Leggo gli articoli di oggi e il libro di Massimiliano Nuzzolo mi ritorna in mente:"È morto il pioniere della lotta all'Aids Fernando Aiuti
Per una caduta di oltre dieci metri nella tromba delle scale del policlinico Gemelli. Non escluso il suicidio" Molti scelgono di fare un salto, spinti dalla disperazione, ricordiamo Monicelli.
Sembra quanto mai urgente saper aiutare le persone ad andare via dalla vita, quando essa è solo peso e dolore senza più speranza di guarigione.
Si chiama eutanasia e dovrebbe, credo, essere un diritto che ognuno di noi vorrebbe. Andare via con dolcezza, con il conforto di affetti e di una medicina che lenisca.
Ciò è l'idea che sta alla base del testo di Massimiliano Nuzzolo. Un pretesto per affrontare con levità e arguzia, infelicità e rock, la morte e la vita, con l'amore per "Grease" e per le tastiere, i synth, i campionatori, il pianoforte, le chitarre, per la Musica amata.
L'agenzia della buona morte aiuta tutte le persone ad uscire dal dolore e all'improvviso l'idea diventa virale e il protagonista con i suoi compagni proveranno cosa vuol dire essere al centro della bolla mediatica.
"Il telefono inizia a squillare alle 5,45. Io rispondo. È il Corriere. Mi chiedono se ho qualche dichiarazione da rilasciare... Il giornalista al telefono mi dice di accendere la tivù. Accendo e cado dalle nuvole. Siamo in tutti i telegiornali. ... Nei giorni successivi è un vero delirio. Non riesco quasi a camminare per strada che vengo assalito da sostenitori, fans, gente che mi sputa addosso... I nostri telefoni squillano senza sosta. Ho due emittenti televisive accampate con tanto di roulotte davanti al mio giardino... E su tutto il suolo nazionale si scatenano campagne a favore e contro la nostra Agenzia." la viralità del leggere.
Il libro molto divertente, si raccontano alcune telefonate, per dire quanto possa essere grottesca, a volte, e pura fantascienza ciò che si richiede.
E leggiamo del marito che vuole morire perché tradito dalla moglie, e a ragione sembrerebbe in quanto sta tutto il giorno sul divano con il telecomando in mano, al quale viene consigliato, ridendo suppongo, di mangiare un candelotto di dinamite oppure andare in una periferia della città abitata da "energumeni di colore" con un fazzoletto della Lega al collo e pronunciare frasi razziste.
Addirittura un grande marchio sportivo vuole l'esclusiva, vuole mettere su i suoi prodotti la dicitura " Agenzia della buona morte". Insomma un vero spasso quando una idea prende a volare, anche questo verbo mi sembra appropriato.
E poi? Poi arriveranno le minacce.
Il fenomeno virale prevede l'ascesa e poi la caduta e poi insomma l'alterno muoversi dei giornali, della comunicazione, del popolo commentante. Una goduria.
Fino al caso del suicida famoso che lascia un biglietto...
Vi leggerete questo libro scritto con ironia e sagacia, vi troverete molto altro, la musica e l'amore, vi troverete il ritmo e la voglia di rileggervelo. Ne sono sicura
Ippolita Luzzo
giovedì 10 gennaio 2019
mercoledì 9 gennaio 2019
Il Film su Van Gogh è un dipinto
Il giallo Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità: un dipinto su pellicola
siamo a Parigi e poi in Provenza. Ad Arles con Vincent Van Gogh Sono gli anni del trasferimento alla "Casa Gialla"
"Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità: il lavoro di Schnabel
Julian Schnabel, in quanto pittore, giunge alla realizzazione di un secondo film in cui pone l'arte a protagonista. Come per "Basquiat" al regista non interessa indagare sulla creazione artistica, bensì concentrarsi sui rapporti tra Van Gogh e Gauguin, e tra il protagonista e il suo tempo. Per realizzare il film Schnabel si trasferì in Provenza per tentare di cogliere quanto Van Gogh, nei suoi anni, aveva colto."
Nel film il tormento e il malessere di un artista, dipendente dal fratello, e la sua anima errante che fa nascere la sua arte dal dolore e dal dubbio, esplodono nella luce dell'arte, del colore.
Ed ora parliamo di vivi e morti. Cos'è l'arte se non il dare la vita? e chi sono i vivi fra noi se non gli artisti? Nel dialogo fra il medico e Vincent ci sta tutta la diversa sensibilità o meglio adesione alla vita fra l'artista e il suo dono agli altri affinché anch'essi vivano. Si crede puerilmente che vivere sia compiere gesti abilitati alla sopravvivenza del corpo e gesti ripetuti ogni giorno nelle abitudini necessarie. Si crede poi che vivere sia raggiungere una stabilità e una sistemazione e tutto ciò che occorre per interpretare un ruolo e una funzione. Ebbene ciò non fa di un essere vivente un vivo, spiega Van Gogh, anzi quei vivi sono così poco vivi che lui sente l'urgenza di donare loro in regalo la luce dei suoi colori, la meraviglia della sua arte. E poco interessa all'artista se in quel momento non verrà capito il dono, anzi non venir capito sembra una terribile conseguenza del dono.
siamo a Parigi e poi in Provenza. Ad Arles con Vincent Van Gogh Sono gli anni del trasferimento alla "Casa Gialla"
"Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità: il lavoro di Schnabel
Julian Schnabel, in quanto pittore, giunge alla realizzazione di un secondo film in cui pone l'arte a protagonista. Come per "Basquiat" al regista non interessa indagare sulla creazione artistica, bensì concentrarsi sui rapporti tra Van Gogh e Gauguin, e tra il protagonista e il suo tempo. Per realizzare il film Schnabel si trasferì in Provenza per tentare di cogliere quanto Van Gogh, nei suoi anni, aveva colto."
Nel film il tormento e il malessere di un artista, dipendente dal fratello, e la sua anima errante che fa nascere la sua arte dal dolore e dal dubbio, esplodono nella luce dell'arte, del colore.
Ed ora parliamo di vivi e morti. Cos'è l'arte se non il dare la vita? e chi sono i vivi fra noi se non gli artisti? Nel dialogo fra il medico e Vincent ci sta tutta la diversa sensibilità o meglio adesione alla vita fra l'artista e il suo dono agli altri affinché anch'essi vivano. Si crede puerilmente che vivere sia compiere gesti abilitati alla sopravvivenza del corpo e gesti ripetuti ogni giorno nelle abitudini necessarie. Si crede poi che vivere sia raggiungere una stabilità e una sistemazione e tutto ciò che occorre per interpretare un ruolo e una funzione. Ebbene ciò non fa di un essere vivente un vivo, spiega Van Gogh, anzi quei vivi sono così poco vivi che lui sente l'urgenza di donare loro in regalo la luce dei suoi colori, la meraviglia della sua arte. E poco interessa all'artista se in quel momento non verrà capito il dono, anzi non venir capito sembra una terribile conseguenza del dono.
In ciò l'arte continua il dialogo fra essere vivente e non esserlo, nella dicotomia del gesto impellente e della distanza, nel disagio e nella ricchezza di suggestioni. Come vive l'artista? ci chiede e ci va vedere questo film che si pone come un paesaggio di vicinanza al vissuto intimo del pittore. Il pittoreregista ci risponde con immagini di una natura vista attraverso gli occhi dei quadri di Van Gogh, una natura colorata o spoglia ma parlante nella desolazione dei girasoli grigi e ripiegati nella landa invernale e nei girasoli gialli ed esplosivi dell'estate, nei campi verdi di Arles, nelle foglie e nei rami protesti verso il cielo blu. L'artista ha in sé il dono della grazia, diceva quel grande umanista di Bazlen, che ha dato vita alla casa editrice Adelphi insieme a Roberto Calasso. Ed è Roberto Calasso a raccontarlo nel libro L'impronta dell'editore, quando diedero vita ai libri unici, ai libri che nessun altro avrebbe pubblicato perché straordinari. La grazia, lo stato di grazia, per l'artista è quel momento in cui lui, incurante del gusto del momento, sente di dover regalare la sua personalissima visione del creato, della creazione.
Ippolita Luzzo
Fin qui il mio apporto al film e di seguito riporto una recensione di Gianni Canova
Ippolita Luzzo
Fin qui il mio apporto al film e di seguito riporto una recensione di Gianni Canova
"Ha 63 anni, ma interpreta in modo credibile un artista che di anni ne aveva solo 37.
Si sottopone a tutti i rituali iconici con cui la leggenda di Vincent Van Gogh vive nell’immaginario collettivo (il cappello di paglia, la benda che copre l’orecchio mozzato, la barba non rasata…) senza per questo mai lasciarsi catturare dalla “maniera”.
Presta il suo viso scavato e spigoloso a incarnare le asprezze, le rotture, le cesure, le furie e le malinconie che segnarono gli ultimi anni della vita di Van Gogh riuscendo comunque a non risultare mai scontato. Se l’è meritata, Willem Dafoe, la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile al Festival di Venezia per la sua performance nei panni del protagonista nel film di Julian Schnabel Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità.
Il modo, lo sguardo, la forma. Di questo, del resto, discutono Van Gogh e Gauguin in uno dei loro tanti dialoghi sull’arte presenti nella sceneggiatura del film. “Perché – chiede uno all’altro – la gente guarda un quadro? Per vedere le persone dipinte o i dipinti delle persone?”. Già: cosa ci interessa in un’opera d’arte (un quadro, ma anche un romanzo, o un film)? Perché guardiamo la Gioconda? Per sapere qualcosa dell’enigmatica signora che vi è ritratta o perché ammaliati dal modo in cui Leonardo la ritrae? La risposta è quasi implicita: e ho come l’impressione che dovremmo applicare lo stesso criterio anche al cinema e ai film. Anche a questo film.
Che è più interessante per come mette in scena van Gogh che per quello che racconta di Van Gogh (l’ipotesi della morte per omicidio invece che per suicidio come sostengono le fonti più accreditate).
Schnabel usa spesso la soggettiva per farci vedere il mondo come si può ipotizzare lo vedesse Van Gogh., lascia che il nostro sguardo sia invaso dai colori (i gialli-girasole, i verde-albero, i blu-cielo) che colpivano la visione di Van Gogh e poi diventavano quadri.
La sceneggiatura spesso si ferma, gira su sè stessa, si accende, contempla, schizza. Ed è in questi momenti che il film vibra e vola: quando Schnabel cerca di fare con la macchina da presa ciò che Van Gogh faceva col pennello. Cogliere l’attimo. Rendere il flusso della vita. Creare contrasti, accoppiamenti spregiudicati, rompere le proporzioni. Vedere come gli altri non vedono.
Ecco: questo ci offre Schnabel con questo film. Un’esperienza di visione. Per apprezzarla però bisogna rendersi disponibili a vedere in un altro modo. E non comportarci anche noi come quei bambini o quei saccenti o quei paesani che osteggiavano Van Gogh, e lo sbeffeggiavano, e lo isolavano, semplicemente perché non lo capivano."
In soli quattro giorni dall’uscita ufficiale nelle sale cinematografiche italiane, il film evento Van Gogh - Sulla soglia dell’eternità ha raggiunto oltre un milione di incassi: record al box office.
L’opera cinematografica con la regia di Julian Schnabel che racconta gli ultimi anni della vita del celebre pittore olandese è al sesto posto nella classifica Cinetel e al terzo posto come miglior media copia. Distribuito da Lucky Red in associazione con 3 Marys Entertainment, la pellicola infatti supera il milione di incassi al box office, per un totale di 1.241.021 euro e di 179.753 spettatori.
In 256 copie, il film Van Gogh - Sulla soglia dell’eternità registra anche un’ottima media copia di 4.848 euro, collocandosi al terzo posto della classifica subito dopo Ralph Spacca internet e Aquaman.
sabato 5 gennaio 2019
Il teatro bambino di Franco Piol: Teatro Monello
Inizio anno augurale parlando di Teatro come approccio all'universo bambino, come sta scritto nel sottotitolo della raccolta Teatro Monello di Franco Piol. Testi e pretesti teatrali che raccolgono l'esperienza nelle scuole primarie del Gruppo del Sole negli anni settanta e a seguire fino al 1986.
Il teatro come rappresentazione e liberazione, come riscatto e superamento della paura, delle paure, il teatro amato come forma di espressione pura del gesto, della voce, della mimica, come appropriazione di uno spazio. Tito Piol ha dato vita a questo esperimento nelle scuole disagiate della periferia romana creando il Centro Sociale di Largo Spartaco, a Roma, dove cinquanta ragazzini e più ogni anno per almeno undici hanno partecipato ai corsi di teatro, creando a loro volta liberi testi. Corredato da fotografie dell'epoca il libro ha le fotografie dei bimbi sulle scene, prima seconda e terza elementare, La rivolta dei manichini, 1975, fino al 1986, Bit al lampone, un testo per il secondo ciclo della scuola primaria. Pupazzi, musica e giochi, divertimento e conoscenza, questo è il grande regalo del teatro che Franco Piol vuole raccontare e far conoscere, nel corso delle sue molteplici attività: da autore e regista di teatro con collaborazioni con Dario Fo, Il Teatro di Roma, Gianni Rodari, Renato Nicolini, Roberto Pinto.
Edizioni Corsare nei Quaderni di Facciamo Teatro pubblica i testi e l'esperienza nelle scuole, formando un corpo accogliente di teatro, fatto per aiutare, per quella grande esigenza al bene e allo stare insieme, proprio nei luoghi più difficili.
Decontestualizzando si può sorridere in una risata di libertà di scene così: C'era una volta un ragazzino che si metteva sempre le scarpe del suo papà, finché questo si stufò e attaccò il figlio al lampadario.
A mezzanotte il papà volle andare a dormire ma il ragazzino era tutto acceso. Allora il papà provò a girargli la testa, le orecchie, il naso i capelli l'ombelico, niente, non si spegneva. Allora gli sfilò le scarpe e il ragazzino si spense di colpo. E tutti precipitarono nel buio, nel Bit al Lampone.
Alice nel quartiere delle meraviglie: Il quartiere delle meraviglie: Il teatro come difesa, come amico, direbbe Franco Piol, e noi con lui in questo inizio anno teatrale e amicale.
Auguri a tutti noi
Ippolita Luzzo
Il teatro come rappresentazione e liberazione, come riscatto e superamento della paura, delle paure, il teatro amato come forma di espressione pura del gesto, della voce, della mimica, come appropriazione di uno spazio. Tito Piol ha dato vita a questo esperimento nelle scuole disagiate della periferia romana creando il Centro Sociale di Largo Spartaco, a Roma, dove cinquanta ragazzini e più ogni anno per almeno undici hanno partecipato ai corsi di teatro, creando a loro volta liberi testi. Corredato da fotografie dell'epoca il libro ha le fotografie dei bimbi sulle scene, prima seconda e terza elementare, La rivolta dei manichini, 1975, fino al 1986, Bit al lampone, un testo per il secondo ciclo della scuola primaria. Pupazzi, musica e giochi, divertimento e conoscenza, questo è il grande regalo del teatro che Franco Piol vuole raccontare e far conoscere, nel corso delle sue molteplici attività: da autore e regista di teatro con collaborazioni con Dario Fo, Il Teatro di Roma, Gianni Rodari, Renato Nicolini, Roberto Pinto.
Edizioni Corsare nei Quaderni di Facciamo Teatro pubblica i testi e l'esperienza nelle scuole, formando un corpo accogliente di teatro, fatto per aiutare, per quella grande esigenza al bene e allo stare insieme, proprio nei luoghi più difficili.
Decontestualizzando si può sorridere in una risata di libertà di scene così: C'era una volta un ragazzino che si metteva sempre le scarpe del suo papà, finché questo si stufò e attaccò il figlio al lampadario.
A mezzanotte il papà volle andare a dormire ma il ragazzino era tutto acceso. Allora il papà provò a girargli la testa, le orecchie, il naso i capelli l'ombelico, niente, non si spegneva. Allora gli sfilò le scarpe e il ragazzino si spense di colpo. E tutti precipitarono nel buio, nel Bit al Lampone.
Alice nel quartiere delle meraviglie: Il quartiere delle meraviglie: Il teatro come difesa, come amico, direbbe Franco Piol, e noi con lui in questo inizio anno teatrale e amicale.
Auguri a tutti noi
Ippolita Luzzo
sabato 29 dicembre 2018
Madre Terra Foreste in Calabria a Serra Aiello
Alla vita
La vita non è uno scherzo
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.
Nazim Hikmet
Convegno sugli alberi con Pezzi.
Intanto la copertina ha due alberi, uno nel pieno del verde e l’altro nello spazio del bianco.
Entrambi vivono su un terreno che può essere vita e può essere nulla. Nelle stagioni dell’anno i riti del passaggio e della trasformazione.
Gli alberi testimoni del tempo del riposo e dei frutti. Il tempo che cambia e ci cambia. Si può parlare di alberi come respiro, senza di loro addio ossigeno, si può parlare di loro come ombra, senza di loro addio frescura, si può parlare di loro come nutrimento, senza di loro addio frutti, si può parlare di loro come tempo.
Senza di loro non ci accorgeremmo del cambiamento del tempo. Delle foglie a terra in autunno, del ritorno delle gemme a primavera. Gli alberi come pezzi di noi, ci stanno perché essenziali e non potrebbero non starci più pena la nostra scomparsa, senza respiro, nutrimento e tempo.
Eppure benché così importanti sono deturpati e bruciati, sono decapitati e tolti dal paesaggio urbano come se fossero nemici, oppure inseriti senza il rispetto della crescita.
Vedo le radici di molti alberi nei marciapiedi esplodere, sollevare l’asfalto e cercare quello spazio di cui non furono dotati. Come si può piantare un albero senza sapere che la sua radice si espanderà, che esso crescerà? Questa la domanda che vorrei fare agli esperti del comune quando decidono di mettere alberi senza aiuole intorno.
Racconto spesso di come gli alberi vengano esiliati e maltrattati, vengano usati solo come addobbi natalizi da buttare poi nel cassonetto della spazzatura subito dopo. L'albero non è un addobbo, per questo partecipo stasera al convegno organizzato da Angelica Artemisia Pedatella sul ripiantumare una foresta ad Amantea, foresta distrutta due anni fa dal fuoco.
Mettiamo a dimora alberi, ogni albero siamo noi e con il poeta diremo: La vita non è uno scherzo, prendiamola sul serio ripiantando gli alberi e donando a noi una possibilità di respiro.
La vita non è uno scherzo
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.
Nazim Hikmet
Convegno sugli alberi con Pezzi.
Intanto la copertina ha due alberi, uno nel pieno del verde e l’altro nello spazio del bianco.
Entrambi vivono su un terreno che può essere vita e può essere nulla. Nelle stagioni dell’anno i riti del passaggio e della trasformazione.
Gli alberi testimoni del tempo del riposo e dei frutti. Il tempo che cambia e ci cambia. Si può parlare di alberi come respiro, senza di loro addio ossigeno, si può parlare di loro come ombra, senza di loro addio frescura, si può parlare di loro come nutrimento, senza di loro addio frutti, si può parlare di loro come tempo.
Senza di loro non ci accorgeremmo del cambiamento del tempo. Delle foglie a terra in autunno, del ritorno delle gemme a primavera. Gli alberi come pezzi di noi, ci stanno perché essenziali e non potrebbero non starci più pena la nostra scomparsa, senza respiro, nutrimento e tempo.
Eppure benché così importanti sono deturpati e bruciati, sono decapitati e tolti dal paesaggio urbano come se fossero nemici, oppure inseriti senza il rispetto della crescita.
Vedo le radici di molti alberi nei marciapiedi esplodere, sollevare l’asfalto e cercare quello spazio di cui non furono dotati. Come si può piantare un albero senza sapere che la sua radice si espanderà, che esso crescerà? Questa la domanda che vorrei fare agli esperti del comune quando decidono di mettere alberi senza aiuole intorno.
Racconto spesso di come gli alberi vengano esiliati e maltrattati, vengano usati solo come addobbi natalizi da buttare poi nel cassonetto della spazzatura subito dopo. L'albero non è un addobbo, per questo partecipo stasera al convegno organizzato da Angelica Artemisia Pedatella sul ripiantumare una foresta ad Amantea, foresta distrutta due anni fa dal fuoco.
Mettiamo a dimora alberi, ogni albero siamo noi e con il poeta diremo: La vita non è uno scherzo, prendiamola sul serio ripiantando gli alberi e donando a noi una possibilità di respiro.
venerdì 28 dicembre 2018
La stanza dei lumini rossi di Domenico Conoscenti
La stanza dei lumini rossi di Domenico Conoscenti
Nella sua seconda vita.
Stampato nel 1997 da E/O e riproposto nel 2015 e poi con ristampa a Marzo 2018 da Il Palindromo.
“Albus Silente come Domenico Conoscenti” mi viene da mettere in relazione Albus Silente il preside della scuola di Hogwarts, molto abile nella Legilimanzia, quel particolare tipo di magia mentale che permette di conoscere il corso dei pensieri di un'altra persona capendo le sue intenzioni senza essere scoperti, con l’abilità dell’autore di creare una Palermo magica, gotica, hanno detto altri lettori, con l’abilità di leggere, più che i pensieri, le concatenazioni degli avvenimenti.
La stanza dei lumini rossi di Domenico Conoscenti come Hogwarts, come ogni luogo magico, misterioso, come ogni luogo con il suo Voldemort, con la morte nella stanza, ci invita con immagini forti in stanze polverose, buie, in un palazzo di Palermo raggiunto da Saverio con un viaggio lentissimo. Il protagonista, Saverio, si avvia da Partanna a Palermo per lavorare in un albergo importante della città e trova pensione da una donna anziana e solitaria.
Sul treno verso Palermo, su un treno verso l’ignoto “Non mi importava voltarmi indietro. Contava solo quello che sarebbe accaduto. Ero pronto allo scatto” A Palermo a Palermo. “Scesi a Piazza Politeama. L’ultimo tragitto fu interminabile” Tutta la fatica e il sudore per giungere Via Houel, al primo piano di un palazzo dal portone pesantissimo. Lentissimo il viaggio, pesantissimo il portone. I superlativi assoluti mi piacciono molto.
E siamo già nell'oscurità. Nelle chiavi che girano e rigirano, nelle fiabe terribili. Erano terribili le fiabe della nostra infanzia, erano terribili gli incontri degli eroi con le streghe, con le megere, erano uguali a questo incontro, ma Domenico attualizza la fiaba e gli eroi ora sono uomini con debolezze e mancanze. Come Saverio, in questa fiaba gotica, si trovano in un albergo di prima categoria a Piazza Croci i vari comprimari della storia, sia i clienti venuti dal Nord per un affare che la donna “fatale” da Saverio trasfigurata in un suo amore.
Leggerete questo racconto e vi sentirete la sensazione che qualcun altro abbia aperto la porta, che qualcun altro vi stia a guardare, che qualcun altro, come Albus Silente, vi stia leggendo i pensieri e vi stia portando con lui nella seduzione della letteratura.
Un racconto seducente, condotto con virtuosismo e conoscenza dei luoghi e delle situazioni, strutturato con quella verità di fondo che fa scolorare le fiabe più terribili, la fiaba della realtà.
Credo che stia nel racconto finale, nella trasfigurazione del racconto in un luogo magico benché riconoscibilissimo, quello nel quale l’autore ci racconta quale sia stato il pretesto per raccontare la storia, la vera terribilità, e di come ci stia poi l’abilità grande dello scrittore nell'averla, con azione magica, alla Albus Silente, regalata a noi, in ricordo. Nella postfazione sta il senso grande della tragedia di ciò che è la realtà. L'impostura, la prevaricazione sui vecchi, deboli e soli.Ed è questa la molla per cui si scrive, quasi un voler dare giustizia.
Ippolita Luzzo
La stanza dei lumini rossi di Domenico Conoscenti
Edizione Il Palindromo
Nella sua seconda vita.
Stampato nel 1997 da E/O e riproposto nel 2015 e poi con ristampa a Marzo 2018 da Il Palindromo.
“Albus Silente come Domenico Conoscenti” mi viene da mettere in relazione Albus Silente il preside della scuola di Hogwarts, molto abile nella Legilimanzia, quel particolare tipo di magia mentale che permette di conoscere il corso dei pensieri di un'altra persona capendo le sue intenzioni senza essere scoperti, con l’abilità dell’autore di creare una Palermo magica, gotica, hanno detto altri lettori, con l’abilità di leggere, più che i pensieri, le concatenazioni degli avvenimenti.
La stanza dei lumini rossi di Domenico Conoscenti come Hogwarts, come ogni luogo magico, misterioso, come ogni luogo con il suo Voldemort, con la morte nella stanza, ci invita con immagini forti in stanze polverose, buie, in un palazzo di Palermo raggiunto da Saverio con un viaggio lentissimo. Il protagonista, Saverio, si avvia da Partanna a Palermo per lavorare in un albergo importante della città e trova pensione da una donna anziana e solitaria.
Sul treno verso Palermo, su un treno verso l’ignoto “Non mi importava voltarmi indietro. Contava solo quello che sarebbe accaduto. Ero pronto allo scatto” A Palermo a Palermo. “Scesi a Piazza Politeama. L’ultimo tragitto fu interminabile” Tutta la fatica e il sudore per giungere Via Houel, al primo piano di un palazzo dal portone pesantissimo. Lentissimo il viaggio, pesantissimo il portone. I superlativi assoluti mi piacciono molto.
E siamo già nell'oscurità. Nelle chiavi che girano e rigirano, nelle fiabe terribili. Erano terribili le fiabe della nostra infanzia, erano terribili gli incontri degli eroi con le streghe, con le megere, erano uguali a questo incontro, ma Domenico attualizza la fiaba e gli eroi ora sono uomini con debolezze e mancanze. Come Saverio, in questa fiaba gotica, si trovano in un albergo di prima categoria a Piazza Croci i vari comprimari della storia, sia i clienti venuti dal Nord per un affare che la donna “fatale” da Saverio trasfigurata in un suo amore.
Leggerete questo racconto e vi sentirete la sensazione che qualcun altro abbia aperto la porta, che qualcun altro vi stia a guardare, che qualcun altro, come Albus Silente, vi stia leggendo i pensieri e vi stia portando con lui nella seduzione della letteratura.
Un racconto seducente, condotto con virtuosismo e conoscenza dei luoghi e delle situazioni, strutturato con quella verità di fondo che fa scolorare le fiabe più terribili, la fiaba della realtà.
Credo che stia nel racconto finale, nella trasfigurazione del racconto in un luogo magico benché riconoscibilissimo, quello nel quale l’autore ci racconta quale sia stato il pretesto per raccontare la storia, la vera terribilità, e di come ci stia poi l’abilità grande dello scrittore nell'averla, con azione magica, alla Albus Silente, regalata a noi, in ricordo. Nella postfazione sta il senso grande della tragedia di ciò che è la realtà. L'impostura, la prevaricazione sui vecchi, deboli e soli.Ed è questa la molla per cui si scrive, quasi un voler dare giustizia.
Ippolita Luzzo
La stanza dei lumini rossi di Domenico Conoscenti
Edizione Il Palindromo
La nostra ultima prima cena
Il teatro a Lamezia ha una tradizione antica. Il teatro a Lamezia vive e viene presentato anche in un luogo dove ormai sembra tutto chiuso e di chiuso può esserci solo un lucchetto e non certo la vitalità e la bravura dei nostri artisti.
Stasera con La nostra prima ultima cena Achille Iera porta sulla scena l’emarginazione psicologica della crescita in un luogo di bassezze e arretratezza spirituale. Un luogo di una povertà fatta di tanti bicchieri di vino, di partite e carte, di tradimenti e di tanti ceffoni.
Una povertà di sentimenti, più che materiale.
Una non vita familiare con un padre sempre ubriaco, con una madre a subire e infine morta quando il protagonista ha appena nove anni.
Il ragazzo cresce con un gruppo di compagni, anch'essi sprovveduti, cresce e di una cosa è ben certo ed è che mai lui farà come il padre. Infatti lui sarà un bravo ragazzo, senza vizi, non fuma e non beve. Ciò che era suo padre viene allontanato dal suo agire.
Una storia di autentica bellezza, riuscire ad affrancarsi dal padre che non si stima.
Altrettanto delicata viene a delinearsi la storia d’amore monca di sviluppo, bloccata e scoperta dal padre di lei dopo due anni di sguardi, di saluti, di un bacio. Sguarniti entrambi dalle conoscenze sulle dinamiche di relazione, la coppia vive di silenzi e di divieti. Imperioso il divieto del padre di lei di vedersi, imperioso e violento, senza volerlo, lo schiaffo del ragazzo alla donna amata. E poi quella disperazione autentica di lui per esser diventato come il suo di padre.
La tristezza di non poter aiutare e soccorrere con un raziocinante sempre più lontano dalla emotività ci attanaglia e nel precipitare degli eventi restano le canzoni a lenire quella dissipazione di vita, di affetti, di buoni propositi che si chiama "vivere al Sud".
“Questo disco è il mio pensiero d’amore” e “Guardatelo quanto è bello Sant’Antonio” la canzone della tredicina.
Achille corre e corre, occupa lo spazio vuoto di un Sud emarginante e dolente, uno straccio nero con cui coprire le confessioni, forse anch'esse buie.
Per ora mi appunto questo poi passerò a trovare gli artisti per complimentarmi e parlarne ancora.
Dal Regno della Litweb pochissimi appunti e applausi
Gli scatti rubati prima dell’inizio e alla fine del monologo di uno strepitoso Achille Iera, sempre più bravo. Presentato da Armando Canzoniere con grande semplicità e simpatia lo spettacolo ha tenuto desta l’attenzione del numerosissimo pubblico, due repliche nella stessa serata, suppongo con il tutto esaurito nella prima e anche nella seconda. Applausi alla compagnia La nostra ultima prima cena | Matrioska Caffè letterario e applausi a tutto lo staff, da Valeria Bonacci alla mia pupilla, Chiara Sacco. Applausi ancora e W il teatro
Ippolita Luzzo
La nostra ultima prima cena
scritto e diretto da Gianluca Vetromilo
con Achille Iera
audio e tecnica Erica Cuda
disegno luci Gianluca Vetromilo
foto di scena Angelo Maggio
organizzazione Radice di Due
logistica Chiara Sacco
ufficio stampa Valeria Bonacci
video a cura di Immagine PCA Srl
produzione MammutTeatro
assistenza alla drammaturgia Achille Iera
Gianluca Vetromilo è un attore ed un artista poliedrico, appassionato alle tecniche di spettacolo di strada. È fondatore e direttore artistico della compagnia "Nuncepace. Artisti di Strada". Per il Teatro Ragazzi ha scritto, diretto e interpretato, insieme a Marco Rialti, lo spettacolo di clownerie “Migni mogni”. Collabora con diverse realtà teatrali – tra le altre cose è aiuto regia dell’ultimo lavoro di Scena Verticale “Il Diario di Adamo ed Eva” firmato da Dario De Luca - e ha dato vita, insieme all’attore, regista e formatore teatrale Achille Iera, a MammuT Teatro.
Achille Iera collabora con le associazioni “Nastro di Mobius”, “Capusutta” e “Nuncepace”. Attore de “La marcia lunga”, spettacolo di Saverio Tavano, con cui si aggiudica una menzione speciale al Premio Scintille 2015, e con il regista Mario Vitale come attore nei cortometraggi “Il tuffo” e “Al giorno d’oggi il lavoro te lo devi inventare”. Vetromilo e Iera si occupano di formazione teatrale presso la Nadd Academy di Lamezia Terme e collaborano con il Teatro delle Albe di Ravenna come guide del laboratorio teatrale “Capusutta”.
Stasera con La nostra prima ultima cena Achille Iera porta sulla scena l’emarginazione psicologica della crescita in un luogo di bassezze e arretratezza spirituale. Un luogo di una povertà fatta di tanti bicchieri di vino, di partite e carte, di tradimenti e di tanti ceffoni.
Una povertà di sentimenti, più che materiale.
Una non vita familiare con un padre sempre ubriaco, con una madre a subire e infine morta quando il protagonista ha appena nove anni.
Il ragazzo cresce con un gruppo di compagni, anch'essi sprovveduti, cresce e di una cosa è ben certo ed è che mai lui farà come il padre. Infatti lui sarà un bravo ragazzo, senza vizi, non fuma e non beve. Ciò che era suo padre viene allontanato dal suo agire.
Una storia di autentica bellezza, riuscire ad affrancarsi dal padre che non si stima.
Altrettanto delicata viene a delinearsi la storia d’amore monca di sviluppo, bloccata e scoperta dal padre di lei dopo due anni di sguardi, di saluti, di un bacio. Sguarniti entrambi dalle conoscenze sulle dinamiche di relazione, la coppia vive di silenzi e di divieti. Imperioso il divieto del padre di lei di vedersi, imperioso e violento, senza volerlo, lo schiaffo del ragazzo alla donna amata. E poi quella disperazione autentica di lui per esser diventato come il suo di padre.
La tristezza di non poter aiutare e soccorrere con un raziocinante sempre più lontano dalla emotività ci attanaglia e nel precipitare degli eventi restano le canzoni a lenire quella dissipazione di vita, di affetti, di buoni propositi che si chiama "vivere al Sud".
“Questo disco è il mio pensiero d’amore” e “Guardatelo quanto è bello Sant’Antonio” la canzone della tredicina.
Achille corre e corre, occupa lo spazio vuoto di un Sud emarginante e dolente, uno straccio nero con cui coprire le confessioni, forse anch'esse buie.
Per ora mi appunto questo poi passerò a trovare gli artisti per complimentarmi e parlarne ancora.
Dal Regno della Litweb pochissimi appunti e applausi
Gli scatti rubati prima dell’inizio e alla fine del monologo di uno strepitoso Achille Iera, sempre più bravo. Presentato da Armando Canzoniere con grande semplicità e simpatia lo spettacolo ha tenuto desta l’attenzione del numerosissimo pubblico, due repliche nella stessa serata, suppongo con il tutto esaurito nella prima e anche nella seconda. Applausi alla compagnia La nostra ultima prima cena | Matrioska Caffè letterario e applausi a tutto lo staff, da Valeria Bonacci alla mia pupilla, Chiara Sacco. Applausi ancora e W il teatro
Ippolita Luzzo
La nostra ultima prima cena
scritto e diretto da Gianluca Vetromilo
con Achille Iera
audio e tecnica Erica Cuda
disegno luci Gianluca Vetromilo
foto di scena Angelo Maggio
organizzazione Radice di Due
logistica Chiara Sacco
ufficio stampa Valeria Bonacci
video a cura di Immagine PCA Srl
produzione MammutTeatro
assistenza alla drammaturgia Achille Iera
Gianluca Vetromilo è un attore ed un artista poliedrico, appassionato alle tecniche di spettacolo di strada. È fondatore e direttore artistico della compagnia "Nuncepace. Artisti di Strada". Per il Teatro Ragazzi ha scritto, diretto e interpretato, insieme a Marco Rialti, lo spettacolo di clownerie “Migni mogni”. Collabora con diverse realtà teatrali – tra le altre cose è aiuto regia dell’ultimo lavoro di Scena Verticale “Il Diario di Adamo ed Eva” firmato da Dario De Luca - e ha dato vita, insieme all’attore, regista e formatore teatrale Achille Iera, a MammuT Teatro.
Achille Iera collabora con le associazioni “Nastro di Mobius”, “Capusutta” e “Nuncepace”. Attore de “La marcia lunga”, spettacolo di Saverio Tavano, con cui si aggiudica una menzione speciale al Premio Scintille 2015, e con il regista Mario Vitale come attore nei cortometraggi “Il tuffo” e “Al giorno d’oggi il lavoro te lo devi inventare”. Vetromilo e Iera si occupano di formazione teatrale presso la Nadd Academy di Lamezia Terme e collaborano con il Teatro delle Albe di Ravenna come guide del laboratorio teatrale “Capusutta”.
martedì 25 dicembre 2018
Discorso di fine anno 2018 L'esigenza di essere un essere pensante
Il discorso di fine anno mi sorprende alla finestra, una finestra ideale dalla quale vi dirò alcuni pensieri presi a prestito da chi leggo con attenzione: Da una frase di Tristram Shandy: Le cose che fate entrare sono le stesse che fate uscire.
Ciò che fai entrare dalla finestra sarà quello che farai uscire, mi ripeto e vi ripeto per l'anno 2019, quindi facciamo attenzione, questa è un'altra parola che vi regalo per l'anno a venire. Il fatto di preparare il discorso di fine anno mi mette in difficoltà. L’anno della verità? L’anno cretino? Non so. Non sono più andata alle conferenze stampa da stampa alternativa e se sono andata non ho scritto nulla. Nella cappa del Lametame si perde il respiro dell’allegrezza.
Intanto però ritorno da Roma come BloggerInStand, come scherzosa zoppicante maghella, speranzosa che tutti i libri da me letti e amati vengano premiati, vengano riconosciuti come libri veri. Dopo il diluvio, Comportati da uomo, Ogni Mare è Ramingo, La Stanza dei Lumini rossi... Pantarei, Tu che eri ogni ragazza, L'invenzione dell'amore... a Roma a Più Libri più liberi.
Mi ritrovo a regalarvi da questa finestra ideale i fogli, i miei pezzi, affidando al vento una frase, una esigenza. Vi regalo Esigenza come parola da custodire e usare: esigenza di capire ciò che si legge, esigenza di avere un gesto, un gesto naturale, esigenza di essere unici e diversi, esigenza di essere simili benché diversi.
Esigenza al rispetto in quanto esseri.
Mi trovo a guardare con dolore le tante manifestazioni inutili e stereotipate con le quali si spendono e spandono i soldi pubblici, mi trovo a guardare sconfortata i tanti privati, travestiti da associazioni, accedere ai fondi senza fine, senza un fine. Mi trovo e in effetti non mi trovo più se non nelle pagine dei libri veri che giungono nel regno della Litweb ormai per strade anche a me misteriose. Chi me li manderà?
Intanto la strada è questa, presa dalla libreria indipendente di Pistoia, Les Bouquinistes, dove spero proprio di portare i pezzi
La strada
E’ una strada lunga e silenziosa.
Cammino nelle tenebre e inciampo e cado
e mi rialzo e calpesto con passi ciechi
le pietre mute e le foglie secche
e qualcuno dietro di me cammina:
se mi fermo, si ferma;
se corro, corre. Mi volto: nessuno.
Tutto è oscuro e senza scampo,
e svolto e risvolto angoli
che conducono sempre alla strada
dove nessuno mi aspetta né mi segue,
dove io seguo un uomo che inciampa
e si rialza e dice vedendomi: nessuno.
Octavio Paz, Poesie di viaggio a cura di R. Mussapi (EDT, 2009)
Nell'immagine: Elk, Lennart Helje's nordic postcard
Un buon anno a tutti voi nell'esigenza di essere tutti, a proprio modo, un essere pensante
Ippolita Luzzo dal Regno della Litweb
Ciò che fai entrare dalla finestra sarà quello che farai uscire, mi ripeto e vi ripeto per l'anno 2019, quindi facciamo attenzione, questa è un'altra parola che vi regalo per l'anno a venire. Il fatto di preparare il discorso di fine anno mi mette in difficoltà. L’anno della verità? L’anno cretino? Non so. Non sono più andata alle conferenze stampa da stampa alternativa e se sono andata non ho scritto nulla. Nella cappa del Lametame si perde il respiro dell’allegrezza.
Intanto però ritorno da Roma come BloggerInStand, come scherzosa zoppicante maghella, speranzosa che tutti i libri da me letti e amati vengano premiati, vengano riconosciuti come libri veri. Dopo il diluvio, Comportati da uomo, Ogni Mare è Ramingo, La Stanza dei Lumini rossi... Pantarei, Tu che eri ogni ragazza, L'invenzione dell'amore... a Roma a Più Libri più liberi.
Esigenza al rispetto in quanto esseri.
Mi trovo a guardare con dolore le tante manifestazioni inutili e stereotipate con le quali si spendono e spandono i soldi pubblici, mi trovo a guardare sconfortata i tanti privati, travestiti da associazioni, accedere ai fondi senza fine, senza un fine. Mi trovo e in effetti non mi trovo più se non nelle pagine dei libri veri che giungono nel regno della Litweb ormai per strade anche a me misteriose. Chi me li manderà?
Intanto la strada è questa, presa dalla libreria indipendente di Pistoia, Les Bouquinistes, dove spero proprio di portare i pezzi
La strada
E’ una strada lunga e silenziosa.
Cammino nelle tenebre e inciampo e cado
e mi rialzo e calpesto con passi ciechi
le pietre mute e le foglie secche
e qualcuno dietro di me cammina:
se mi fermo, si ferma;
se corro, corre. Mi volto: nessuno.
Tutto è oscuro e senza scampo,
e svolto e risvolto angoli
che conducono sempre alla strada
dove nessuno mi aspetta né mi segue,
dove io seguo un uomo che inciampa
e si rialza e dice vedendomi: nessuno.
Octavio Paz, Poesie di viaggio a cura di R. Mussapi (EDT, 2009)
Nell'immagine: Elk, Lennart Helje's nordic postcard
Un buon anno a tutti voi nell'esigenza di essere tutti, a proprio modo, un essere pensante
Ippolita Luzzo dal Regno della Litweb
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