Ad aspettare cento notti sotto la finestra del mondo intero e infine prendere lo sgabello e andare via.
domenica 10 giugno 2018
giovedì 7 giugno 2018
Pezzo di Andrea Zandomeneghi: Ospite eccezionale del blog
Credo sia unico caso nella storia del blog, sebbene felice di avere ospite quassù Andrea Zandomeneghi con un suo articolo. Un abbraccio e un augurio alle sue produzioni da tutta la Litweb. Andrea è un bravo autore e lo leggeremo molto e in molti.
Notazioni di lettura incrociate
su Ipsilonaccadoppiavuacca nell’epilettico barbuto e nel sifilitico emicranico
Dostoevskij non ha mai conosciuto, né tantomeno letto, Nietzsche. Viceversa il tedesco ha letto il russo e la lettura de qua fu folgorante, tale da irradiare e innervare la seconda parte sua vita [prima lo erano state le frequentazioni assidue dei testi di Schopenhauer, Wagner, Rèe – tutti poi decostruiti e seppelliti] – scrive di lui nei frammenti postumi [memorandum: per Nietzsche nulla è più importante dell’essere uno psicologo, nel senso peculiare da lui inteso e il divino è spiccatamente fenomeno psicologico]: «Io conosco un solo grande psicologo» – altrove dirà addirittura: «uno psicologo a me superiore e superiore a Stendhal» – «Fedor Dostoevskij».
Attribuirà la sua idea di Cristo al russo: «egli ha indovinato Cristo». Di più: l’idiotismo di Dostoevskij è la base per l’idea del Cristo buddhista edonista pervertito e iperirritabile che andrà a tracciare; fu la lettura de I demoni a ispirare l’idea di Dio nell’Anticristo [Satov in particolare, ma non solo: gli estratti autografi di Nietzsche dai Demoni occupano più di dieci pagine formato in folio dei suoi quaderni]; fu Rodiòn Romànovič Raskòl'nikov – e non Cesare Borgia, come sostengono talune letture censurabili e disinformate – la prima incarnazione del prototipo dell’oltreuomo [infra #2]; parlando dei Vangeli scrive parole inequivocabili [riferite al Principe Myškin, ma anche a Kirillov, Šigalëv, Stavrogin, Liza, Peter Verchovenskij, Ippolit, il Generale Ivolgin, Lebedev et coetera]: «quello strano mondo in cui ci introducono i Vangeli – un mondo che sembra uscito da un romanzo russo in cui i rifiuti della società, le malattie nervose e una “infantile idiozia” paiono essersi dati convegno».
Enormi le differenze tra le concezioni dei due autori [assimilabili invece per l’irriducibile asistematicità delle loro cogitazioni, intuizioni e spettralità], ma intanto vediamo una interessantissima convergenza sulla questione di Dio, dell’Inferno e del Paradiso, in una parola: dell’aldilà.
Fedor Pavlovic Karamazov dice: «crederei all’Inferno se non ci fossero i soffitti» – che intende? Che l’aldilà non è materiale, non ha spazio, non ha edifici, non può avere un soffitto! L’aldilà è psicologico – questo emerge anche dalla conversazione di Ivan con il Diavolo – e non c’entra nulla con i monaci che mangiano i ghiozzi: «il paradiso non si compra mangiando ghiozzi e cavoli».
Nietzsche scrive nell’Anticristo: «l’eterno non è che una nozione simbolica di liberazione dal tempo […] Con la parola figlio il Cristo esprime l’immergersi nel sentimento di una trasfigurazione totale di ogni cosa, la beatitudine, con la parola padre questo stesso sentimento […] Il regno dei cieli è una condizione del cuore, non giunge dopo la morte, oltre la vita, oltre la terra. […] Il paradiso è psicologico»
Da ultimo un altro passaggio – di un tipo così raro in Nietzsche! – dallo stesso testo a metà del capitolo 31: «ci sarebbe da rammaricarsi che non sia vissuto un Dostoevskij nelle vicinanze di questo interessantissimo décadent, un uomo, intendo dire, che sapesse appunto avvertire il trascinante fascino di una siffatta mescolanza di sublimità, malattia e infantilismo. Un ultimo punto di vista: il tipo, come tipo della décadence, potrebbe essere stato caratteristicamente multiplo e contraddittorio».
In conclusione, mi chiedo, quale è però l’opposto di questo paradiso psicologico, cioè cosa è l’inferno in terra, l’inferno psicologico? Credo possa essere ricondotto a due differenti morfologie complementari: ossessione e «oasi d’orrore in un deserto di noia» – cioè il Baudelaire in esergo a 2666 di Roberto Bolaño.
Andrea Zandomeneghi
Notazioni di lettura incrociate
su Ipsilonaccadoppiavuacca nell’epilettico barbuto e nel sifilitico emicranico
Dostoevskij non ha mai conosciuto, né tantomeno letto, Nietzsche. Viceversa il tedesco ha letto il russo e la lettura de qua fu folgorante, tale da irradiare e innervare la seconda parte sua vita [prima lo erano state le frequentazioni assidue dei testi di Schopenhauer, Wagner, Rèe – tutti poi decostruiti e seppelliti] – scrive di lui nei frammenti postumi [memorandum: per Nietzsche nulla è più importante dell’essere uno psicologo, nel senso peculiare da lui inteso e il divino è spiccatamente fenomeno psicologico]: «Io conosco un solo grande psicologo» – altrove dirà addirittura: «uno psicologo a me superiore e superiore a Stendhal» – «Fedor Dostoevskij».
Attribuirà la sua idea di Cristo al russo: «egli ha indovinato Cristo». Di più: l’idiotismo di Dostoevskij è la base per l’idea del Cristo buddhista edonista pervertito e iperirritabile che andrà a tracciare; fu la lettura de I demoni a ispirare l’idea di Dio nell’Anticristo [Satov in particolare, ma non solo: gli estratti autografi di Nietzsche dai Demoni occupano più di dieci pagine formato in folio dei suoi quaderni]; fu Rodiòn Romànovič Raskòl'nikov – e non Cesare Borgia, come sostengono talune letture censurabili e disinformate – la prima incarnazione del prototipo dell’oltreuomo [infra #2]; parlando dei Vangeli scrive parole inequivocabili [riferite al Principe Myškin, ma anche a Kirillov, Šigalëv, Stavrogin, Liza, Peter Verchovenskij, Ippolit, il Generale Ivolgin, Lebedev et coetera]: «quello strano mondo in cui ci introducono i Vangeli – un mondo che sembra uscito da un romanzo russo in cui i rifiuti della società, le malattie nervose e una “infantile idiozia” paiono essersi dati convegno».
Enormi le differenze tra le concezioni dei due autori [assimilabili invece per l’irriducibile asistematicità delle loro cogitazioni, intuizioni e spettralità], ma intanto vediamo una interessantissima convergenza sulla questione di Dio, dell’Inferno e del Paradiso, in una parola: dell’aldilà.
Fedor Pavlovic Karamazov dice: «crederei all’Inferno se non ci fossero i soffitti» – che intende? Che l’aldilà non è materiale, non ha spazio, non ha edifici, non può avere un soffitto! L’aldilà è psicologico – questo emerge anche dalla conversazione di Ivan con il Diavolo – e non c’entra nulla con i monaci che mangiano i ghiozzi: «il paradiso non si compra mangiando ghiozzi e cavoli».
Nietzsche scrive nell’Anticristo: «l’eterno non è che una nozione simbolica di liberazione dal tempo […] Con la parola figlio il Cristo esprime l’immergersi nel sentimento di una trasfigurazione totale di ogni cosa, la beatitudine, con la parola padre questo stesso sentimento […] Il regno dei cieli è una condizione del cuore, non giunge dopo la morte, oltre la vita, oltre la terra. […] Il paradiso è psicologico»
Da ultimo un altro passaggio – di un tipo così raro in Nietzsche! – dallo stesso testo a metà del capitolo 31: «ci sarebbe da rammaricarsi che non sia vissuto un Dostoevskij nelle vicinanze di questo interessantissimo décadent, un uomo, intendo dire, che sapesse appunto avvertire il trascinante fascino di una siffatta mescolanza di sublimità, malattia e infantilismo. Un ultimo punto di vista: il tipo, come tipo della décadence, potrebbe essere stato caratteristicamente multiplo e contraddittorio».
In conclusione, mi chiedo, quale è però l’opposto di questo paradiso psicologico, cioè cosa è l’inferno in terra, l’inferno psicologico? Credo possa essere ricondotto a due differenti morfologie complementari: ossessione e «oasi d’orrore in un deserto di noia» – cioè il Baudelaire in esergo a 2666 di Roberto Bolaño.
Andrea Zandomeneghi
martedì 5 giugno 2018
Il nostro tempo è terminato da Salvatore Parise a Michele Vaccari Il tuo nemico
Leggo entrambi i libri in tempi differenti e ne sento la familiarità, la vicinanza per il tema trattato, Hikikomori: gli adolescenti chiusi in una stanza con tutti gli strumenti connessi su tutto un mondo digitale, su relazioni ed immagini che sono i nuovi mezzi per restare in comunicazione.
Nel libro di Michele Vaccari "Gregorio è un ragazzo prodigio, un genio dell'informatica, il bersaglio preferito dei bulli della scuola. Quando la professoressa di economia gli comunica l'intenzione di sostenere la sua candidatura al MIT di Boston, Gregorio vorrebbe gioire per la notizia ma non può: c'è un ostacolo, e sono i suoi genitori.Gregorio sceglie l'esilio, diventando un NEET giovani che non studiano e non lavorano." Questo sta scritto nelle note di presentazione e questo mi piace riportare oltre la prosa eccellente e il periodare curato usato da Michele. Nel libro c'è molto di più ma preferisco limitarmi alla vicinanza con Ramy, l'altro ragazzo incontrato in questi giorni sul libro di Salvatore Parise, come se volessi farli incontrare.
Gregorio mi sembra Ramy, il ragazzo protagonista del racconto "Il nostro tempo è terminato" di Salvatore Parise ed infatti leggo questo racconto con in testa Gregorio. Le famiglie di entrambi sono famiglie infelici, irrisolte, composte da esseri umani in difficoltà e che creano a loro volta difficoltà. Il difficile delle famiglie e nelle famiglie è proprio non fare danni, o almeno cercare di limitare i danni.
Le famiglie, questi organismi mutanti, composti da individui inermi e sconsolati, falliti ed egoisti, hanno al loro interno spesso, dei figli. I figli di genitori oramai senza ruolo, senza funzioni, senza il senso vero della vita, direbbe Battiato. I genitori di Gregorio e di Ramy si somigliano. Gregorio e Ramy reagiscono con gli strumenti di ora. I collegamenti internet, il ciberspazio, il virtuale come vero momento di scelta. D'altronde il virtuale è reale ed io non vedo nessuna divaricazione se non un altro modo di comunicare con strumenti anche questi da qui a poco antelucani.
Solitudine umana sempre più ampia, grande superficialità nel voler risolvere rapporti e ansie, desideri e umiliazioni con semplici strumenti. Ho sempre in mente un quadro "Il seppellimento di Santa Lucia" di Caravaggio a Siracusa. In quel quadro più si amplifica la scena più l'individuo resta solo. Così ora più il mezzo, i mezzi, ci connettono, io a te, voi a noi, più noi restiamo soli e fissati come Gregorio e Ramy. Le ossessioni, le fissazioni si ingigantiscono. I genitori sono altrettanto sprovvisti di difese interiori e vengono fagocitati dal loro orizzonte, una rotatoria, un complimento, un momento di gratificazione. I figli si guardano e non si vedono e volano nella dimensione onirica dell'infinito. Lo psicologo dove Loser il padre di Ramy si rivolge ammette la sua impotenza "Sai, che a noi psicologi non è dato di conoscere tutti i segreti della memoria, della mente umana. E come dice uno scrittore, ognuno di noi è padrone di ciò che tace e schiavo di ciò di cui parla. Ciò che ti interessa è il presente, per oggi il nostro tempo è terminato" Fra la vita e la morte ondeggiare fra orgasmo e finitezza, fra piacere e disgusto, fra un vorrei e non vorrei, con nuovi mezzi più potenti e maggior nausea si creerà. Nella condizione di essere umani la famiglia affonda e chiede aiuto a chi ne fa parte vedendo però i suoi componenti fuggire a quel S:O:S: inascoltato in due punti e zero, nuove tecniche di chat.
Leggo Michele Vaccari e Salvatore Parise nella famiglia dei libri veri, famiglia che non fuggirà alle richieste di aiuto.
Ippolita Luzzo
Michele Vaccari si occupa di editoria e comunicazione dal 1999. È consulente per la narrativa italiana di Chiarelettere ed è copywriter per Paramount Channel. È stato direttore editoriale di Transeuropa Edizioni. Ha scritto tre romanzi: Italian fiction (ISBN Edizioni), Giovani, nazisti e disoccupati (Castelvecchi Editore), L'onnipotente (Laurana Editore). È nato a Genova nel 1980.
Salvatore Parise, scrittore calabrese, vive a Crotone. È bassista e cantante del gruppo “Il Genere”. Alla sua quarta pubblicazione, ha pubblicato Poesie Metropolitane (Princesse Editrice, 2006), In Vivo (Csa Editrice, 2012), Sono una rockstar (Csa Editrice, 2015). Con Musicaos Editore, nel 2018, ha pubblicato il romanzo dal titolo “Il nostro tempo è terminato”
Nel libro di Michele Vaccari "Gregorio è un ragazzo prodigio, un genio dell'informatica, il bersaglio preferito dei bulli della scuola. Quando la professoressa di economia gli comunica l'intenzione di sostenere la sua candidatura al MIT di Boston, Gregorio vorrebbe gioire per la notizia ma non può: c'è un ostacolo, e sono i suoi genitori.Gregorio sceglie l'esilio, diventando un NEET giovani che non studiano e non lavorano." Questo sta scritto nelle note di presentazione e questo mi piace riportare oltre la prosa eccellente e il periodare curato usato da Michele. Nel libro c'è molto di più ma preferisco limitarmi alla vicinanza con Ramy, l'altro ragazzo incontrato in questi giorni sul libro di Salvatore Parise, come se volessi farli incontrare.
Gregorio mi sembra Ramy, il ragazzo protagonista del racconto "Il nostro tempo è terminato" di Salvatore Parise ed infatti leggo questo racconto con in testa Gregorio. Le famiglie di entrambi sono famiglie infelici, irrisolte, composte da esseri umani in difficoltà e che creano a loro volta difficoltà. Il difficile delle famiglie e nelle famiglie è proprio non fare danni, o almeno cercare di limitare i danni.
Le famiglie, questi organismi mutanti, composti da individui inermi e sconsolati, falliti ed egoisti, hanno al loro interno spesso, dei figli. I figli di genitori oramai senza ruolo, senza funzioni, senza il senso vero della vita, direbbe Battiato. I genitori di Gregorio e di Ramy si somigliano. Gregorio e Ramy reagiscono con gli strumenti di ora. I collegamenti internet, il ciberspazio, il virtuale come vero momento di scelta. D'altronde il virtuale è reale ed io non vedo nessuna divaricazione se non un altro modo di comunicare con strumenti anche questi da qui a poco antelucani.
Solitudine umana sempre più ampia, grande superficialità nel voler risolvere rapporti e ansie, desideri e umiliazioni con semplici strumenti. Ho sempre in mente un quadro "Il seppellimento di Santa Lucia" di Caravaggio a Siracusa. In quel quadro più si amplifica la scena più l'individuo resta solo. Così ora più il mezzo, i mezzi, ci connettono, io a te, voi a noi, più noi restiamo soli e fissati come Gregorio e Ramy. Le ossessioni, le fissazioni si ingigantiscono. I genitori sono altrettanto sprovvisti di difese interiori e vengono fagocitati dal loro orizzonte, una rotatoria, un complimento, un momento di gratificazione. I figli si guardano e non si vedono e volano nella dimensione onirica dell'infinito. Lo psicologo dove Loser il padre di Ramy si rivolge ammette la sua impotenza "Sai, che a noi psicologi non è dato di conoscere tutti i segreti della memoria, della mente umana. E come dice uno scrittore, ognuno di noi è padrone di ciò che tace e schiavo di ciò di cui parla. Ciò che ti interessa è il presente, per oggi il nostro tempo è terminato" Fra la vita e la morte ondeggiare fra orgasmo e finitezza, fra piacere e disgusto, fra un vorrei e non vorrei, con nuovi mezzi più potenti e maggior nausea si creerà. Nella condizione di essere umani la famiglia affonda e chiede aiuto a chi ne fa parte vedendo però i suoi componenti fuggire a quel S:O:S: inascoltato in due punti e zero, nuove tecniche di chat.
Leggo Michele Vaccari e Salvatore Parise nella famiglia dei libri veri, famiglia che non fuggirà alle richieste di aiuto.
Ippolita Luzzo
Michele Vaccari si occupa di editoria e comunicazione dal 1999. È consulente per la narrativa italiana di Chiarelettere ed è copywriter per Paramount Channel. È stato direttore editoriale di Transeuropa Edizioni. Ha scritto tre romanzi: Italian fiction (ISBN Edizioni), Giovani, nazisti e disoccupati (Castelvecchi Editore), L'onnipotente (Laurana Editore). È nato a Genova nel 1980.
Salvatore Parise, scrittore calabrese, vive a Crotone. È bassista e cantante del gruppo “Il Genere”. Alla sua quarta pubblicazione, ha pubblicato Poesie Metropolitane (Princesse Editrice, 2006), In Vivo (Csa Editrice, 2012), Sono una rockstar (Csa Editrice, 2015). Con Musicaos Editore, nel 2018, ha pubblicato il romanzo dal titolo “Il nostro tempo è terminato”
venerdì 1 giugno 2018
Tiziana Calabrò ed Eleonora Uccellini a Lamezia
Ieri sera al Chiostro Di San Domenico lo spettacolo di Tiziana Calabrò ed Eleonora Uccellini “Ho attraversato ridendo la terra capovolta... ma anche no” ispirato al blog di Tiziana “Lamedagliadelrovescio” si chiude fra abbracci, applausi e profezie. Ritornerete, esclamo, ritorneranno, diciamo insieme a Michela Cimmino, alle colleghe e agli alunni del liceo Scientifico e del Liceo Campanella. Ritorneranno, tutti lo vogliamo, sentiamo in coro dal pubblico.
Dopo lo spettacolo Tiziana Calabrò ed Eleonora Uccellini vanno a conferire al Quirino con zaino e trolley, vero Michela?
Michela Cimmino presenta lo spettacolo ricordando Paola Scialis, donna stupenda, attrice e promotrice di attività teatrali, scomparsa domenica, per un attimo brutale di fatalità. A lei dedichiamo lo spettacolo che inizia con l'augurio di rinascere.
L’incontro con il teatro per davvero, ridendo e pensando sulle note dell’essere donna.
Cosa vuol dire essere donna. Un inno alla femminilità.Se rinasco voglio essere donna. E se rinasco uomo? Improvviserò
Inizia così un lungo viaggio sui diritti e sui sentimenti, sul dialogo mamma vecchietta e figlia e sul dialogo fra la figlia diventata mamma e la sua di figlia. Un abbraccio a tutte le coppie, alla famiglia, in qualsiasi forma essa si presenti perché la famiglia è dove ci si vuole bene. Un omaggio agli amori, a qualsiasi forma di amore, anche a quelli distruttivi, a Frida, alle donne sfortunate, disgraziate, per una sorte terribile, eppure capaci di respirare. Il respiro come forza, e la forza sia con noi. Con tutte le donne
In scena la scrittrice è “Tizianeda”, come la chiamava la nonna Bianca. La scelta di questo nome è un omaggio alla nonna. Eleonora e Tiziana ci coinvolgono, interpretano e recitano con professionalità e presenza ciò che donano, un gioioso mondo di nascite, nascite per davvero. Si sente palpabile l'amore e la competenza, si sente lo studio e l'entusiasmo, e si sente la voglia, l'incoscienza e la follia... di voler esserci a modo loro, a modo nostro. Senza stereotipi. Cosa sarà mai una donna del sud? Davvero davvero quel legame fra figli e mamme e scatoloni di cibi spediti in ogni angolo d'Italia? Sorridiamo e ci abbracciamo e fra gli abbracci finali arriva qualcuno alla fine col rimpianto di non esserci stata, mentre tutti dicono "Oh cosa ti sei persa!" e questo è il bello del teatro, lasciare quel sottile languore di voler esserci ancora. Ritorneranno.
Ippolita Luzzo
Dopo lo spettacolo Tiziana Calabrò ed Eleonora Uccellini vanno a conferire al Quirino con zaino e trolley, vero Michela?
Michela Cimmino presenta lo spettacolo ricordando Paola Scialis, donna stupenda, attrice e promotrice di attività teatrali, scomparsa domenica, per un attimo brutale di fatalità. A lei dedichiamo lo spettacolo che inizia con l'augurio di rinascere.
L’incontro con il teatro per davvero, ridendo e pensando sulle note dell’essere donna.
Cosa vuol dire essere donna. Un inno alla femminilità.Se rinasco voglio essere donna. E se rinasco uomo? Improvviserò
Inizia così un lungo viaggio sui diritti e sui sentimenti, sul dialogo mamma vecchietta e figlia e sul dialogo fra la figlia diventata mamma e la sua di figlia. Un abbraccio a tutte le coppie, alla famiglia, in qualsiasi forma essa si presenti perché la famiglia è dove ci si vuole bene. Un omaggio agli amori, a qualsiasi forma di amore, anche a quelli distruttivi, a Frida, alle donne sfortunate, disgraziate, per una sorte terribile, eppure capaci di respirare. Il respiro come forza, e la forza sia con noi. Con tutte le donne
In scena la scrittrice è “Tizianeda”, come la chiamava la nonna Bianca. La scelta di questo nome è un omaggio alla nonna. Eleonora e Tiziana ci coinvolgono, interpretano e recitano con professionalità e presenza ciò che donano, un gioioso mondo di nascite, nascite per davvero. Si sente palpabile l'amore e la competenza, si sente lo studio e l'entusiasmo, e si sente la voglia, l'incoscienza e la follia... di voler esserci a modo loro, a modo nostro. Senza stereotipi. Cosa sarà mai una donna del sud? Davvero davvero quel legame fra figli e mamme e scatoloni di cibi spediti in ogni angolo d'Italia? Sorridiamo e ci abbracciamo e fra gli abbracci finali arriva qualcuno alla fine col rimpianto di non esserci stata, mentre tutti dicono "Oh cosa ti sei persa!" e questo è il bello del teatro, lasciare quel sottile languore di voler esserci ancora. Ritorneranno.
Ippolita Luzzo
mercoledì 30 maggio 2018
Ordo Mortis di Salvatore Conaci
“Quella briosa ventata di incognite” Riprendo in mano il manoscritto Ordo Mortis,letto in anteprima. Il libro sta avendo riscontri positivi nei preordini. L'autore, Salvatore Conaci è di Girifalco. Sarà il mio legame forte con il paese di Girifalco descritto da Domenico Dara, sono stata a Girifalco più volte, al seguito di Domenico, e reputo effettivamente quel luogo un luogo al centro del mondo.
Affascinata da Girifalco leggo e vedo la cura con cui Salvatore Conaci descrive i luoghi. Salvatore scrive recensioni e articoli su alcune riviste ed io sono molto contenta per la sua attività e per il suo entusiasmo. Benché io in effetti non leggo questa tipologia di racconti sul fantasy, non leggo moltissimi generi essendo lontanissimi dal mio interesse, sono incuriosita dal racconto Ordo Mortis."
I suoi personaggi prendono vita. Alessio rimarrà nell'immaginario dei lettori che seguiranno le sue vicende amplificate dalla bravura dello scrittore.
Siamo in ansia, leggendo, per il suo arrivo nella località dove lui dovrà prendere servizio, chiamato per insegnare in una scuola. "Buongiorno, lei deve essere il nuovo professore. Ipotizzò, rendendogli la destra una giovane donna che, vedendolo, si era alzata da una sedia confinata in un angolo dell’ampio atrio... Bionda, candida, le labbra d’un rosso folgorante." Anche la scuola e il suo personale diventano presenze sceniche e lo stesso incontro col preside mette ansia. Il preside ferocemente professionale, la scuola con uno stranissimo magazzino... mi mette paura. Proprio ciò che vuole l'autore, far nascere questo sentimento di oppressione e di grande curiosità anche nel semplice gesto del professore che prende il tè e fuma la pipa.
Salvatore mi conferma ciò che ho intravisto e cioè la sua maestria:"Ho scritto un articolo per "Luoghi misteriosi", un sito che si occupa appunto di misteri da tutta Italia. Vi ho scritto della leggenda diabolica che aleggia attorno alla fontana di piazza San Rocco a Girifalco" e riconosco alcuni suoi maestri: la forza evocativa di Ennio e Petronio; S. Agostino e Dante; la perfezione aurea di d’Annunzio, Edgar Allan Poe, ispiratore in ”Perle nere” suo precedente romanzo.
Un gesto naturale diventa ansia. Sarà il lessico che usa, appropriato alla bisogna, sarà il periodare, ed io intravedo la maestria nel genere ed auguro a Salvatori molti lettori. La casa editrice ha già dato fiducia a questo autore ed io da semplice ed inadatta lettrice confermo. Morta di Paura!
Ippolita Luzzo
Salvatore Conaci nasce a Catanzaro, nel '90. Conseguita la maturità scientifica, coltiva gelosamente, e con passione, una cultura quasi prevalentemente umanistica ed esoterica. Laureato in Lettere Moderne, attualmente studia Filologia Moderna. "Perle nere" (Montedit, 2015) è il suo lavoro d’esordio. Dopo una breve collaborazione con la rivista Luoghi Misteriosi, ha scritto per 900 letterario.
Affascinata da Girifalco leggo e vedo la cura con cui Salvatore Conaci descrive i luoghi. Salvatore scrive recensioni e articoli su alcune riviste ed io sono molto contenta per la sua attività e per il suo entusiasmo. Benché io in effetti non leggo questa tipologia di racconti sul fantasy, non leggo moltissimi generi essendo lontanissimi dal mio interesse, sono incuriosita dal racconto Ordo Mortis."
I suoi personaggi prendono vita. Alessio rimarrà nell'immaginario dei lettori che seguiranno le sue vicende amplificate dalla bravura dello scrittore.
Siamo in ansia, leggendo, per il suo arrivo nella località dove lui dovrà prendere servizio, chiamato per insegnare in una scuola. "Buongiorno, lei deve essere il nuovo professore. Ipotizzò, rendendogli la destra una giovane donna che, vedendolo, si era alzata da una sedia confinata in un angolo dell’ampio atrio... Bionda, candida, le labbra d’un rosso folgorante." Anche la scuola e il suo personale diventano presenze sceniche e lo stesso incontro col preside mette ansia. Il preside ferocemente professionale, la scuola con uno stranissimo magazzino... mi mette paura. Proprio ciò che vuole l'autore, far nascere questo sentimento di oppressione e di grande curiosità anche nel semplice gesto del professore che prende il tè e fuma la pipa.
Salvatore mi conferma ciò che ho intravisto e cioè la sua maestria:"Ho scritto un articolo per "Luoghi misteriosi", un sito che si occupa appunto di misteri da tutta Italia. Vi ho scritto della leggenda diabolica che aleggia attorno alla fontana di piazza San Rocco a Girifalco" e riconosco alcuni suoi maestri: la forza evocativa di Ennio e Petronio; S. Agostino e Dante; la perfezione aurea di d’Annunzio, Edgar Allan Poe, ispiratore in ”Perle nere” suo precedente romanzo.
Un gesto naturale diventa ansia. Sarà il lessico che usa, appropriato alla bisogna, sarà il periodare, ed io intravedo la maestria nel genere ed auguro a Salvatori molti lettori. La casa editrice ha già dato fiducia a questo autore ed io da semplice ed inadatta lettrice confermo. Morta di Paura!
Ippolita Luzzo
Salvatore Conaci nasce a Catanzaro, nel '90. Conseguita la maturità scientifica, coltiva gelosamente, e con passione, una cultura quasi prevalentemente umanistica ed esoterica. Laureato in Lettere Moderne, attualmente studia Filologia Moderna. "Perle nere" (Montedit, 2015) è il suo lavoro d’esordio. Dopo una breve collaborazione con la rivista Luoghi Misteriosi, ha scritto per 900 letterario.
martedì 29 maggio 2018
Usano il silenzio! Pièce teatrale della classe terza A
La terza A dell'Istituto Comprensivo di Sant'Eufemia Lamezia nella Chiesa di San Giovanni Battista, guidata dalle loro insegnanti e diretta da Teodolinda Coltellaro ideatrice e coordinatrice insieme agli alunni, presenta il lavoro teatrale oggi sulla scena in due divertenti momenti . La punteggiatura e la pubblicità. Divertentissima opportunità per vedere quanto possa fare la scuola con la fantasia, come possa essere visualizzata e vivacizzata la grammatica, quanto il teatro dia in presenza, gestualità e mimica al crescere dei bimbi. Una opportunità, ripeto, validissima, in termini di disciplina, organizzazione e senso dello spazio, nel superare le difficoltà e le timidezze, nel capire cosa vuol dire lavorare in gruppo.
D'altronde il teatro nei paesi anglosassoni è materia scolastica. Qui siamo in un teatro di una chiesa, senza microfoni, però con una buona acustica, senza musica eppure c'era una musicalità di fondo. Velocissimi i cambi, velocissime le scene, apparivano i segni di punteggiatura nelle vesti degli alunni, simpaticissimi momenti di silenzio, pause, e rimanevano nel nostro immaginario. ed eravamo già nel Carosello, nella pubblicità, quando la pubblicità era fantasia e non invadeva, quando la pubblicità raccontava storie bellissime. Gli alunni recitano brevissimi stacchi pubblicitari ed uno lo dedicano proprio al teatro, un teatro amico, un grande amico. Nella presentazione iniziale la loro docente ci ha ricordato Picasso, come Picasso abbia affermato di aver messo una vita a dipingere come un bambino, per dire di conservare sempre la freschezza e l'entusiasmo, la commozione delle lacrime del bimbo che alla fine si stringe forte alla sua insegnante grato di quel grande momento di felicità.
W Il teatro e W La scuola
Ippolita Luzzo
D'altronde il teatro nei paesi anglosassoni è materia scolastica. Qui siamo in un teatro di una chiesa, senza microfoni, però con una buona acustica, senza musica eppure c'era una musicalità di fondo. Velocissimi i cambi, velocissime le scene, apparivano i segni di punteggiatura nelle vesti degli alunni, simpaticissimi momenti di silenzio, pause, e rimanevano nel nostro immaginario. ed eravamo già nel Carosello, nella pubblicità, quando la pubblicità era fantasia e non invadeva, quando la pubblicità raccontava storie bellissime. Gli alunni recitano brevissimi stacchi pubblicitari ed uno lo dedicano proprio al teatro, un teatro amico, un grande amico. Nella presentazione iniziale la loro docente ci ha ricordato Picasso, come Picasso abbia affermato di aver messo una vita a dipingere come un bambino, per dire di conservare sempre la freschezza e l'entusiasmo, la commozione delle lacrime del bimbo che alla fine si stringe forte alla sua insegnante grato di quel grande momento di felicità.
W Il teatro e W La scuola
Ippolita Luzzo
domenica 27 maggio 2018
Il Cantico dei Cantici di Roberto Latini
Non Guardarmi.
I tuoi occhi mi dissolvono.
Il Cantico dei Cantici in scena al Teatro Comunale di Catanzaro, ultimo spettacolo della rassegna Oscenica, dissolve in un solo momento luci ed ombre dell'inconsistente eppur vitale gioco dei rapporti amorosi interpersonali. "I tuoi occhi mi dissolvono, non guardarmi."
Sarebbe piaciuta moltissimo a Daniele Rizzuti questa implorazione, ed avrebbe poggiato accanto al dj una fotografia senza corpo, solo aria, la forma dell'aria, avrebbe portato quella dissoluzione colorata, quei corpi fatti anima, alone, visti con "La coda dell'Occhio", "il vuoto da elaborare e l'atteggiamento dell'artista nell'accedere alle alte stanze ormeggiate al margine del precipizio e private del bianco filo a piombo" da Ghislain Mayaud sulla fotografia di Daniele Rizzuti.
Non guardarmi, l'immagine può dissolversi. L'immagine come diniego dell'altro, della realtà, e abbassiamo gli occhi davanti al divino.
Lo spettacolo di Roberto Latini, la musica, la voce, il corpo, trasferiscono sulla accezione del divino il rapporto fra l'individuo e l'oggetto del suo amore, in una preghiera On Air lampeggiante di rosso.
Da Radio On Air lui manda in onda il libro dei libri, un testo eterno, un testo senza un autore, dissolto anche lui.
Occhiali scuri, lui fuma, fa una telefonata.
Sulla consolle la testa del manichino porta una parrucca verde fluo e un telefono fisso esiste ancora a ricordarci la cornetta con il filo in una realtà senza fili.
La dicotomia divino- sacro, "c'è del sacro ai nostri occhi, sempre laddove l'immagine si apre a qualcosa altro rispetto a se stessa" la dicotomia fra un divino che fa abbassare lo sguardo e il sacro che fa innalzare la testa, in alto lassù, scrive Gianfranco Neri, nella "Coda dell'Occhio"
Tutto lo spettacolo di Roberto Latini è una dicotomia ipnotica, fra essere e non essere, fra amore e sonno, fra sveglia e desiderio, nella seduzione che incanta e porta via.
Stiamo lì rapiti dalla voce, dai gesti, lui diventa un altro, mette le cuffie, toglie le cuffie, dondola la panchina, abbraccia e balla con un albero sulle note di "A far l'amore comincia tu" di Raffaella Carrà, toglie la parrucca verde al manichino, toglie la parrucca che porta lui, "Che peccato, Che Peccato!" e al telefono nessuno.
Stiamo in apnea.
Lo spettacolo è finito. Come finito? ne vogliamo ancora...
Agli applausi finali lui ancora tremante di tutto l’amore portato in scena con parole e opere, suono e voce, lui si piega verso terra per raggiungere in un solo momento il terreno del ricongiungimento fra il corpo e l’anima
Vi rimetto pochissimi appunti per sentire la dolcezza delle carezze, la dolcezza della voce, la dolcezza del teatro, e la disperazione del vocativo. Ti chiamo e tu non ci sei, anche quando ci sei.
La favola di Amore a Psiche, Il cantico dei cantici e il teatro sulla scena del nostro amore.
Il nostro Letto è primavera, non svegliate il mio amore che dorme, l'inverno è finito, le piogge spazzate, primavera, io sono un fiore di campo, io sono un giglio della valle, ora mettimi tra i fiori, tra i fiori e tra i gigli, per tutte le piazze ho cercato e non l'ho trovato...
Non guardarmi, i tuoi occhi mi dissolvono.
Ippolita Luzzo
Cantico dei Cantici adattamento e regia Roberto Latini
musiche e suoni Gianluca Misiti (Premio Ubu 2017 'Miglior progetto sonoro o musiche originali')
luci e tecnica Max Mugnai
con Roberto Latini (Premio Ubu 2017 'Miglior attore o performer')
organizzazione Nicole Arbelli
produzione Fortebraccio Teatro
I tuoi occhi mi dissolvono.
Il Cantico dei Cantici in scena al Teatro Comunale di Catanzaro, ultimo spettacolo della rassegna Oscenica, dissolve in un solo momento luci ed ombre dell'inconsistente eppur vitale gioco dei rapporti amorosi interpersonali. "I tuoi occhi mi dissolvono, non guardarmi."
Sarebbe piaciuta moltissimo a Daniele Rizzuti questa implorazione, ed avrebbe poggiato accanto al dj una fotografia senza corpo, solo aria, la forma dell'aria, avrebbe portato quella dissoluzione colorata, quei corpi fatti anima, alone, visti con "La coda dell'Occhio", "il vuoto da elaborare e l'atteggiamento dell'artista nell'accedere alle alte stanze ormeggiate al margine del precipizio e private del bianco filo a piombo" da Ghislain Mayaud sulla fotografia di Daniele Rizzuti.
Non guardarmi, l'immagine può dissolversi. L'immagine come diniego dell'altro, della realtà, e abbassiamo gli occhi davanti al divino.
Lo spettacolo di Roberto Latini, la musica, la voce, il corpo, trasferiscono sulla accezione del divino il rapporto fra l'individuo e l'oggetto del suo amore, in una preghiera On Air lampeggiante di rosso.
Da Radio On Air lui manda in onda il libro dei libri, un testo eterno, un testo senza un autore, dissolto anche lui.
Occhiali scuri, lui fuma, fa una telefonata.
Sulla consolle la testa del manichino porta una parrucca verde fluo e un telefono fisso esiste ancora a ricordarci la cornetta con il filo in una realtà senza fili.
La dicotomia divino- sacro, "c'è del sacro ai nostri occhi, sempre laddove l'immagine si apre a qualcosa altro rispetto a se stessa" la dicotomia fra un divino che fa abbassare lo sguardo e il sacro che fa innalzare la testa, in alto lassù, scrive Gianfranco Neri, nella "Coda dell'Occhio"
Tutto lo spettacolo di Roberto Latini è una dicotomia ipnotica, fra essere e non essere, fra amore e sonno, fra sveglia e desiderio, nella seduzione che incanta e porta via.
Stiamo lì rapiti dalla voce, dai gesti, lui diventa un altro, mette le cuffie, toglie le cuffie, dondola la panchina, abbraccia e balla con un albero sulle note di "A far l'amore comincia tu" di Raffaella Carrà, toglie la parrucca verde al manichino, toglie la parrucca che porta lui, "Che peccato, Che Peccato!" e al telefono nessuno.
Stiamo in apnea.
Lo spettacolo è finito. Come finito? ne vogliamo ancora...
Agli applausi finali lui ancora tremante di tutto l’amore portato in scena con parole e opere, suono e voce, lui si piega verso terra per raggiungere in un solo momento il terreno del ricongiungimento fra il corpo e l’anima
Vi rimetto pochissimi appunti per sentire la dolcezza delle carezze, la dolcezza della voce, la dolcezza del teatro, e la disperazione del vocativo. Ti chiamo e tu non ci sei, anche quando ci sei.
La favola di Amore a Psiche, Il cantico dei cantici e il teatro sulla scena del nostro amore.
Il nostro Letto è primavera, non svegliate il mio amore che dorme, l'inverno è finito, le piogge spazzate, primavera, io sono un fiore di campo, io sono un giglio della valle, ora mettimi tra i fiori, tra i fiori e tra i gigli, per tutte le piazze ho cercato e non l'ho trovato...
Non guardarmi, i tuoi occhi mi dissolvono.
Ippolita Luzzo
Cantico dei Cantici adattamento e regia Roberto Latini
musiche e suoni Gianluca Misiti (Premio Ubu 2017 'Miglior progetto sonoro o musiche originali')
luci e tecnica Max Mugnai
con Roberto Latini (Premio Ubu 2017 'Miglior attore o performer')
organizzazione Nicole Arbelli
produzione Fortebraccio Teatro
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