Non è questo il titolo del libro da cui è tratto lo spettacolo di stamani al Liceo Classico di Lamezia Terme, proposto e organizzato dalla Fondazione Lilli e dal Sistema Bibliotecario.
La via del pepe con sottotitolo I mercati del Mediterraneo narra in parole e musiche l'epopea di annegati al largo di Lampedusa. A prua nel barcone sta Amal, la speranza, con cinque grani di pepe stretti nel pugno, sono il dono del nonno, un uomo legato al sacro, sono il dono simbolo della lunga via della storia. Sul barcone intanto si scruta l'orizzonte, si aspetta la terra, e mentre si attende, e mentre fiduciosi si abbandonano al rumore del mare avviene il collasso. La carretta del mare si sbriciola, annegano tutti, tutti tranne Amal, la speranza.
Appare nel mare una strana figura, fatta di acqua, ma con un viso femminile, la morte a forma di acqua, e inizia a discorrere con Amal per distrarsi, per allontanare la noia. Amal, smarrito, viene a sapere del potere insito nei cinque grani di pepe, lui non annegherà, per il momento, grazie alle arti del nonno, rimasto in Africa. Nel dialogo con la morte il ragazzo si accorgerà ben presto che non vi è nessuna dignità in questo viaggio e lascia andare i grani. La morte li rimette nel suo pugno con le parole "Non bisogna prendere la morte sul serio". La morte gioca come il gatto col topo e alla fine lascia andare Amal giù nel mare. Una fiaba però ha sempre la potenza del bene, e il nonno riappare, prende il posto del nipote, Amal arriva, sbarca, non viene creduto, viene rispedito di nuovo in Africa, in un luogo imprecisato e ritorna il cammino con una picozza in mano per trovare l'acqua.
Ed è la tristezza il segreto per trovare la vena, sembra dirci Massimo Carlotto, davanti a questa immane tragedia che ogni giorno vede i nostri tempi trascorrere.
Un cimitero, il mare Mediterraneo, un cimitero di numeri senza nome, un cimitero di nefandezze compiute in nome del dio mercato, in nome del commercio di corpi venduti e spellati, venduti e annegati. Una tristezza tanto enorme da richiedere l'uso fiabesco del racconto.
Ascoltiamo le musiche di strumenti di quei luoghi, uno è unico al mondo, Maurizio Camardi e Mauro Palmas suonano, e sentiamo il pizzicore agli occhi, come se ci fossimo toccati gli occhi con la polvere rossa del pepe pestato.
Nella fiaba la luna ha una lacrima, il cielo partecipa con un turbine, gli elementi della terra e dell'acqua si danno un abbraccio nella dolente ingiustizia della storia umana, individuale e di popoli.
"Nel cielo non c'era una nuvola. Nemmeno una. La mano di Dio le aveva allontanate con un gesto delicato perché l'azzurro più intenso splendesse nella traversata del peschereccio Firouz. Il mare era immobile e così trasparente che si potevano contare le conchiglie sul fondo di sabbia dorata. Migliaia di sardine avvolgevano lo scafo"
Con il cielo fotografato da Daniele Rizzuti, la massa degli elementi che sovrastano i delitti e le atrocità commesse in nome del bisogno.
Il bisogno di Amal, la speranza.
Ippolita Luzzo
venerdì 23 marzo 2018
martedì 20 marzo 2018
La casa dei bambini di Michele Cocchi
Per fortuite circostanze compro domenica il libro di Margaret Atwood, Il racconto dell'ancella, e mi sembra che questo racconto parli al libro di Michele Cocchi, La casa dei bambini.
Entrambi i racconti si svolgono in una casa prigione ed in entrambi la privazione della libertà, un senso di claustrofobia aleggia dappertutto. Il desiderio della fuga, l'elogio della fuga, come nel bel libro di Laborit, viene materializzato già dalle prime pagine del libro di Michele. Da subito i ragazzi, orfani, oppure abbandonati dalla famiglia, scappano dalla Casa, dove vengono ospitati in attesa della scelta, per essere dati in adozione, scappano e noi già parteggiamo per quella fuga senza ancora sapere nulla di loro.
La fuga finisce presto, verranno scoperti e portati dal direttore. Sandro, Nuto, Dino.
Conosciamo La Casa, conosciamo Giuliano e le mamme, cioè le donne che si occupano dei bimbi, la scuola, la mensa. "La Casa era come una nave e ognuno di loro avrebbe trovato la terra dove scendere e vivere felice"
Alla casa arrivavano le persone per scegliere i bimbi da prendere e quelle mattine erano tutti nervosi. "Aspettavano la scelta per settimane e, quando finalmente ne arrivava una, volevano che finisse il prima possibile." Essere scelti, in verità, li preoccupava.
Segno ciò che si dicono i due libri, letti insieme, uno transita nell'altro, e nel mio mondo fatto di niente trovo la mia di pagina: Qui conosciamo Caterina, la bimba della locanda, nel paese dove si trova la Casa e sentiamo le parole di sua madre al pensionante, da poco arrivato "Il paese è abitato da vecchi. I giovani se ne sono andati via. Così si era inventata Dalma."Ha sempre avuto degli amici immaginari anche quando era molto piccola. Ho paura che perda il senso della realtà"
Caterina, per giocare, si era inventata Dalma, ed "a volte non era poi tanto male perdere il senso della realtà" Da me i libri si parlano e confabulano tra loro, ed è Caterina ora ad andare alla Casa, in visita, per mano di uno di quei bambini che avevano tentato la fuga. Una fuga dal reale.
Nella Casa dei bambini la storia chiusa, chiusissima, di una ingiustizia senza possibilità di fuga.
Michele Cocchi adotta uno stile compatto, come un mattone, racconta con descrizioni accurate e costruisce come un muratore, a sua volta, con la malta, le pareti narrative del periodo.
Una prova complessa, una scrittura corposa, un esercizio di attenzione e un impegno verso i disederati, gli orfani, le vittime, verso coloro che hanno perso la possibilità di fuga.
Ippolita Luzzo
Entrambi i racconti si svolgono in una casa prigione ed in entrambi la privazione della libertà, un senso di claustrofobia aleggia dappertutto. Il desiderio della fuga, l'elogio della fuga, come nel bel libro di Laborit, viene materializzato già dalle prime pagine del libro di Michele. Da subito i ragazzi, orfani, oppure abbandonati dalla famiglia, scappano dalla Casa, dove vengono ospitati in attesa della scelta, per essere dati in adozione, scappano e noi già parteggiamo per quella fuga senza ancora sapere nulla di loro.
La fuga finisce presto, verranno scoperti e portati dal direttore. Sandro, Nuto, Dino.
Conosciamo La Casa, conosciamo Giuliano e le mamme, cioè le donne che si occupano dei bimbi, la scuola, la mensa. "La Casa era come una nave e ognuno di loro avrebbe trovato la terra dove scendere e vivere felice"
Alla casa arrivavano le persone per scegliere i bimbi da prendere e quelle mattine erano tutti nervosi. "Aspettavano la scelta per settimane e, quando finalmente ne arrivava una, volevano che finisse il prima possibile." Essere scelti, in verità, li preoccupava.
Segno ciò che si dicono i due libri, letti insieme, uno transita nell'altro, e nel mio mondo fatto di niente trovo la mia di pagina: Qui conosciamo Caterina, la bimba della locanda, nel paese dove si trova la Casa e sentiamo le parole di sua madre al pensionante, da poco arrivato "Il paese è abitato da vecchi. I giovani se ne sono andati via. Così si era inventata Dalma."Ha sempre avuto degli amici immaginari anche quando era molto piccola. Ho paura che perda il senso della realtà"
Caterina, per giocare, si era inventata Dalma, ed "a volte non era poi tanto male perdere il senso della realtà" Da me i libri si parlano e confabulano tra loro, ed è Caterina ora ad andare alla Casa, in visita, per mano di uno di quei bambini che avevano tentato la fuga. Una fuga dal reale.
Nella Casa dei bambini la storia chiusa, chiusissima, di una ingiustizia senza possibilità di fuga.
Michele Cocchi adotta uno stile compatto, come un mattone, racconta con descrizioni accurate e costruisce come un muratore, a sua volta, con la malta, le pareti narrative del periodo.
Una prova complessa, una scrittura corposa, un esercizio di attenzione e un impegno verso i disederati, gli orfani, le vittime, verso coloro che hanno perso la possibilità di fuga.
Ippolita Luzzo
lunedì 19 marzo 2018
Piccola società disoccupata al Teatro Morelli
Bellissimo il Teatro Morelli, ed alla confluenza dei fiumi Crati e Busento la Rosticceria Sasà con i suoi gustosi panzerotti filanti di mozzarella e colorati dal rosso del pomodoro.
Da stampa alternativa ringrazio chi legge e chi mi regala opportunità di esserci a spettacoli e incontri. Ieri sera, al termine di una domenica ricca di spunti con la riflessione sullo sciupio del palazzo D'Ippolito a Lamezia, sull'incuria in cui vengono lasciati dalla Sovrintendenza e dal Comune palazzi storici, stiamo qui in prima fila ad ascoltare la Piccola Società Disoccupata.
Rémi De Vos drammaturgo francese, nato a Dunquerque Francia, è l'autore del testo. La drammaturgia e la regia di Beppe Rosso.
Ordunque Marx è morto.
Sul palcoscenico del Teatro Morelli le sedie prima accatastate vengono sistemate ben in ordine come in preparazione di una conferenza, di quelle conferenze sul lavoro tanto dibattute.
Il cerchio la pipa e gli psicofarmaci usati per lenire il disagio. Il disagio si allarga e si spande e come una nube piovosa arriva a noi spettatori incapaci di opporre un ombrello al riparo della pioggia.
Il drammaturgo aveva di sicuro in mente la sofferenza alienante di un dire, ma a chi? Non essendoci più un capitalista riconosciuto in quanto tale il dire dei lavoratori non più lavoratori si annulla in un nichilismo di fatto e si spiaccica sulla sala nel corpo degli spettatori.
Senza lavoro cos'è un uomo? Senza un motivo per vivere, senza una gratificazione, senza poter dire so fare questa cosa, sono abile, sono bravo, come si vive? Certo il lavoro serve per guadagnare, ma serve essenzialmente ad avere una dignità, ad essere in grado di vedersi capace. Molto si è detto sull'alienazione, molto ora si dice in giro sulla disoccupazione, molto era stato discettato e così risentire ieri sera a teatro, da attori pur molto bravi e competenti, uno studio, credo sia proprio uno studio, sugli effetti del non lavoro obbligato dalle circostanze, ha creato in me e in altri disagio e malessere.
Nelle migliori intenzioni spesso, come Goethe ci insegna, si resta perplessi sulla riuscita. Il teatro non è una conferenza.
Noi però eravamo troppo felici e ritorneremo a Cosenza con il teatro che amiamo.
Ippolita Luzzo
foto dello spettacolo di Angelo Maggio
sabato 17 marzo 2018
La maligredi di Gioacchino Criaco
La maligredi è la malvagità, è quel sassolino che sbatte contro il parabrezza di un'auto in corsa, sembra che non abbia prodotto niente e dopo poco il vetro va in frantumi irrimediabilmente danneggiato. La maligredi è la brama del lupo, il lupo in un ovile scanna tutte le pecore. "Quando arriva, la maligredi spacca i paesi, le famiglie e avvelena il sangue fino alla settima generazione". La cattiveria, il rancore, la sete di vendetta, ciò che distrugge, e da ciò le donne hanno sempre cercato di tenere lontano gli uomini consigliando la pace e il perdono, tenere l'animo sgombro e invitare alla concordia.
Un popolo ingenuo e innocente era un tempo il popolo dei monti, un popolo abitante un monte luminoso, Aspromonte vuol dire proprio monte luminoso, lucente, innevato di bianco e splendente al sole. Un popolo di antichi riti grecanici e bizantini, una comunità, quella di Africo, con le rughe, con i bisogni condivisi, con profumi e racconti.
Stasera il protagonista dei racconti di Gioacchino Criaco è suo nonno, stesso suo nome, un nonno desideroso di trasmettere ciò che è stato cancellato dalla storia ufficiale. Una vita di una comunità sradicata e spostata in un non luogo, in una piana, una palude dove si viveva in malattia e asma, senza respiro. Il racconto di Gioacchino ha un ampio respiro stasera, via l'asma e la palude, via il malessere, bensì il recupero dell'orgoglioso momento in cui negli anni settanta si tentò una rivolta con a capo Rocco Palamara, anarchico, a rivendicare un paese e la sua esistenza. Un sequel o presequel di Anime nere questo libro che sembra voglia aggiungere altri protagonisti, altri abitanti in un luogo che si vorrebbe far rivivere, anche se pur come luogo di incontri letterari. Nel libro, fra i tanti personaggi, le gelsominaie, le donne lavoratrici e raccoglitrici di gelsomino staranno al fianco dei ragazzi in una lotta che lo Stato soffocò e disperse. Allora la politica preferì allearsi contro di loro, chiedendo braccia e menti alla maligredi e vediamo i frutti avvelenati fino a qui.
Da Staiti a Brancaleone con le nenie bellissime delle mamme, il vento di Africo, il libeccio, e Rocco Palamara, la storia dei ragazzi d’Aspromonte ora chiude il ciclo sempre nella stessa libreria, nella Sagio Libri, dove ora Pasqualino Bongiovanni comincia con La Rosa nel Bicchiere di Franco Costabile e siamo a dieci anni, dice Gioacchino Criaco. Dieci anni da Anime nere. Fare giustizia di tanti stereotipi.
Ascoltare Gioacchino è sempre un piacere, si va via pacificati. La nobiltà dei gesti e dei pensieri nella narrazione di Gioacchino Criaco confermano una nuova stagione. La stagione della comunità di scrittori calabresi. Io dico che questo è il periodo d’oro della narrativa. Da Domenico Dara ad Olimpio Talarico, a Nicola Fiorita e i Lou Palanca a Nicola H. Cosentino, a Pietro Criaco e a moltissimi altri. Il bisogno di comunità, di stringersi in un luogo letterario vedendo i luoghi reali trasformati in non luoghi.
Fra i libri citati questa sera quelli di Saverio Strati, Mario La Cava, e Via dall’Aspromonte di Pietro Criaco. Quella via che avrebbe dovuto collegare il paese alla pianura ora collega tutti noi nella letteratura della conoscenza.
Ippolita Luzzo
Un popolo ingenuo e innocente era un tempo il popolo dei monti, un popolo abitante un monte luminoso, Aspromonte vuol dire proprio monte luminoso, lucente, innevato di bianco e splendente al sole. Un popolo di antichi riti grecanici e bizantini, una comunità, quella di Africo, con le rughe, con i bisogni condivisi, con profumi e racconti.
Stasera il protagonista dei racconti di Gioacchino Criaco è suo nonno, stesso suo nome, un nonno desideroso di trasmettere ciò che è stato cancellato dalla storia ufficiale. Una vita di una comunità sradicata e spostata in un non luogo, in una piana, una palude dove si viveva in malattia e asma, senza respiro. Il racconto di Gioacchino ha un ampio respiro stasera, via l'asma e la palude, via il malessere, bensì il recupero dell'orgoglioso momento in cui negli anni settanta si tentò una rivolta con a capo Rocco Palamara, anarchico, a rivendicare un paese e la sua esistenza. Un sequel o presequel di Anime nere questo libro che sembra voglia aggiungere altri protagonisti, altri abitanti in un luogo che si vorrebbe far rivivere, anche se pur come luogo di incontri letterari. Nel libro, fra i tanti personaggi, le gelsominaie, le donne lavoratrici e raccoglitrici di gelsomino staranno al fianco dei ragazzi in una lotta che lo Stato soffocò e disperse. Allora la politica preferì allearsi contro di loro, chiedendo braccia e menti alla maligredi e vediamo i frutti avvelenati fino a qui.
Da Staiti a Brancaleone con le nenie bellissime delle mamme, il vento di Africo, il libeccio, e Rocco Palamara, la storia dei ragazzi d’Aspromonte ora chiude il ciclo sempre nella stessa libreria, nella Sagio Libri, dove ora Pasqualino Bongiovanni comincia con La Rosa nel Bicchiere di Franco Costabile e siamo a dieci anni, dice Gioacchino Criaco. Dieci anni da Anime nere. Fare giustizia di tanti stereotipi.
Ascoltare Gioacchino è sempre un piacere, si va via pacificati. La nobiltà dei gesti e dei pensieri nella narrazione di Gioacchino Criaco confermano una nuova stagione. La stagione della comunità di scrittori calabresi. Io dico che questo è il periodo d’oro della narrativa. Da Domenico Dara ad Olimpio Talarico, a Nicola Fiorita e i Lou Palanca a Nicola H. Cosentino, a Pietro Criaco e a moltissimi altri. Il bisogno di comunità, di stringersi in un luogo letterario vedendo i luoghi reali trasformati in non luoghi.
Fra i libri citati questa sera quelli di Saverio Strati, Mario La Cava, e Via dall’Aspromonte di Pietro Criaco. Quella via che avrebbe dovuto collegare il paese alla pianura ora collega tutti noi nella letteratura della conoscenza.
Ippolita Luzzo
lunedì 12 marzo 2018
"Brasilia" tra il vero e il falso di Franz Krauspenhaar
"Il sole stava per tramontare su Brasilia, la città che sembrava non avere confini tra il vero e il falso, tra il reale e l'irreale." così a pagina 23 cominciamo questo giro con una Buick giallo canarino verso gli uffici della tv privata Tuni, nello studio dove nel 1980 si mandavano messaggi subliminali. Leggo come se Franz Krauspenhaar stesse parlando di Reti televisive private italiane e il parallelo mi fa sorridere. Immaginare una Brasilia a Cologno Monzese mi sembra facilissimo e il popolo delle favelas di Brasilia italiana saranno poi gli elettori di una sigla pubblicitaria.
"Brasilia ha gli edifici a forma di astronave, tra i pezzi grossi di pattume intorno, come se si stessero creando campi di calcinacci attorno a navi spaziali enormi, messe in mezzo a una città sbalorditiva.”Brasilia: tra i palazzi e le costruzioni a cupola e le bellissime cattedrali di Niemayer puoi ascoltare la grandezza del cosmo."
Leggo quindi questo racconto immaginando Franz divertirsi con fantasmi e sparizioni in un incontro fra padre e figlio, fra passato e presente, fra giornalismo e narrativa. Nello stesso periodo in cui leggo il libro mi viene incontro un articolo su come Oscar Niemeyer fu incaricato dal presidente del Brasile di creare questa città nella giungla, e di come lui si avvia in macchina, un viaggio lunghissimo.
Dalla Porsche di Grandi Momenti, qui, siamo in viaggio su una Buick gialla, sempre belle macchine guidano la narrativa dei libri di Franz.
Io ho letto Brasilia più come un gioco, come un divertimento, che non come uno libro che debba incutere paura, pensando di avere alle spalle tutto il narrato fatto di esperimenti nei vari campi di concentramento e tutte le insensatezze di regimi totalitari.
Mi auguro sia così almeno e mi auguro che i racconti su grandi poteri dominanti restino sempre confinati sulle pagine scritte dell'immaginario letterario per esorcizzare il dilemma esistenziale su buoni e cattivi, su padri e figli, su ricchi e poveri. In viaggio da In Time, film dove i ricchi potevano comprare il tempo a Brasilia, dove basta bere il siero dell'eterna giovinezza, televisiva.
Ippolita Luzzo
"Brasilia ha gli edifici a forma di astronave, tra i pezzi grossi di pattume intorno, come se si stessero creando campi di calcinacci attorno a navi spaziali enormi, messe in mezzo a una città sbalorditiva.”Brasilia: tra i palazzi e le costruzioni a cupola e le bellissime cattedrali di Niemayer puoi ascoltare la grandezza del cosmo."
Leggo quindi questo racconto immaginando Franz divertirsi con fantasmi e sparizioni in un incontro fra padre e figlio, fra passato e presente, fra giornalismo e narrativa. Nello stesso periodo in cui leggo il libro mi viene incontro un articolo su come Oscar Niemeyer fu incaricato dal presidente del Brasile di creare questa città nella giungla, e di come lui si avvia in macchina, un viaggio lunghissimo.
Dalla Porsche di Grandi Momenti, qui, siamo in viaggio su una Buick gialla, sempre belle macchine guidano la narrativa dei libri di Franz.
Io ho letto Brasilia più come un gioco, come un divertimento, che non come uno libro che debba incutere paura, pensando di avere alle spalle tutto il narrato fatto di esperimenti nei vari campi di concentramento e tutte le insensatezze di regimi totalitari.
Mi auguro sia così almeno e mi auguro che i racconti su grandi poteri dominanti restino sempre confinati sulle pagine scritte dell'immaginario letterario per esorcizzare il dilemma esistenziale su buoni e cattivi, su padri e figli, su ricchi e poveri. In viaggio da In Time, film dove i ricchi potevano comprare il tempo a Brasilia, dove basta bere il siero dell'eterna giovinezza, televisiva.
Ippolita Luzzo
sabato 10 marzo 2018
Gli automi cellulari all'Uniter
Arriva l'evoluzione artificiale all'Uniter con la relazione di Domenico Talia, professore presso l'Università della Calabria.
Tema della relazione: " Sistemi Complessi e Evoluzione Artificiale con Automi Cellulari."
A dirla così non si evince la piacevolezza della serata e il senso di benessere alla fine nell'aver certezza che una regola base, semplicissima, sta all'origine di ogni vita vivente: una costruzione matematica precisa. Come nasce la vita? Come si replica? Come muore e poi torna a rivivere?
Seguendo il principio, dal particolare all'universale, dal fenomeno nascente al fenomeno emergente, il professore Talia ci ha avvinto alle sorti di un automa cellulare in grado di riprodursi seguendo le leggi della vicinanza, del calore, dello spostamento, e poi negli esempi sulla nostra vita abbiamo capito quanto anche il nostro cervello altro non sia che un automa cellulare! Non c'è un pilota che guida i nostri neuroni, il volo degli uccelli o gli spostamenti dei pesci, bensì una regola, innata, dicevano i filosofi, vedendo già un tempo molto lontano ciò che vediamo ora con altri mezzi. Dai sofisti a noi, dalle analisi linguistiche della scuola di Noam Chomsky che hanno teorizzato l'esistenza di strutture grammaticali innate, cioè presenti nel cervello già alla nascita (e.g. nell'area di Broca), senza le quali i bambini non potrebbero sviluppare una competenza linguistica e in psicologia all'innatismo modulare, assumendo l'idea di base che la mente sia costituita da insiemi più o meno connessi di strutture o moduli innati, incapsulati, specializzati e selezionati dall'evoluzione per eseguire funzioni particolari, siamo giunti ad un vero e proprio laboratorio di Intelligenza artificiale. Affascinati dalla lezione, dal cristallo di neve alla nevicata, dalla conchiglia alla regola, continuiamo a svolgerla nella nostra testa con Goethe, dal particolare all'universale con in mano la foglia del ginko biloba,
E’ una sola cosa viva
Che in se stessa si è divisa?
O son due,che scelto hanno,
si conoscano come una?
In risposta a tal domanda
Trovai forse il giusto senso.
Non avverti nei miei canti
Che io sono uno e doppio insieme? Goethe
...è la mia continua domanda, la stessa tensione, sempre. Ogni cosa che dico, da semplice appassionata di chi scrive, tende sempre a chiarire, a mettere luce nella divisione e trovare l’unione, il percorso unico. Ed il professore Talia ieri sera ce lo ha dimostrato con precisione matematica. Una regola tanto semplice da essere sicuramente divina.
Ippolita Luzzo
Tema della relazione: " Sistemi Complessi e Evoluzione Artificiale con Automi Cellulari."
A dirla così non si evince la piacevolezza della serata e il senso di benessere alla fine nell'aver certezza che una regola base, semplicissima, sta all'origine di ogni vita vivente: una costruzione matematica precisa. Come nasce la vita? Come si replica? Come muore e poi torna a rivivere?
Seguendo il principio, dal particolare all'universale, dal fenomeno nascente al fenomeno emergente, il professore Talia ci ha avvinto alle sorti di un automa cellulare in grado di riprodursi seguendo le leggi della vicinanza, del calore, dello spostamento, e poi negli esempi sulla nostra vita abbiamo capito quanto anche il nostro cervello altro non sia che un automa cellulare! Non c'è un pilota che guida i nostri neuroni, il volo degli uccelli o gli spostamenti dei pesci, bensì una regola, innata, dicevano i filosofi, vedendo già un tempo molto lontano ciò che vediamo ora con altri mezzi. Dai sofisti a noi, dalle analisi linguistiche della scuola di Noam Chomsky che hanno teorizzato l'esistenza di strutture grammaticali innate, cioè presenti nel cervello già alla nascita (e.g. nell'area di Broca), senza le quali i bambini non potrebbero sviluppare una competenza linguistica e in psicologia all'innatismo modulare, assumendo l'idea di base che la mente sia costituita da insiemi più o meno connessi di strutture o moduli innati, incapsulati, specializzati e selezionati dall'evoluzione per eseguire funzioni particolari, siamo giunti ad un vero e proprio laboratorio di Intelligenza artificiale. Affascinati dalla lezione, dal cristallo di neve alla nevicata, dalla conchiglia alla regola, continuiamo a svolgerla nella nostra testa con Goethe, dal particolare all'universale con in mano la foglia del ginko biloba,
E’ una sola cosa viva
Che in se stessa si è divisa?
O son due,che scelto hanno,
si conoscano come una?
In risposta a tal domanda
Trovai forse il giusto senso.
Non avverti nei miei canti
Che io sono uno e doppio insieme? Goethe
...è la mia continua domanda, la stessa tensione, sempre. Ogni cosa che dico, da semplice appassionata di chi scrive, tende sempre a chiarire, a mettere luce nella divisione e trovare l’unione, il percorso unico. Ed il professore Talia ieri sera ce lo ha dimostrato con precisione matematica. Una regola tanto semplice da essere sicuramente divina.
Ippolita Luzzo
giovedì 8 marzo 2018
La vita lontana di Paolo Pecere
Essere e divenire nelLa Vita lontana di Paolo Pecere. Sembra che il titolo non fosse questo, allora io vedrei bene "Essere e divenire". Come si cambia per ricominciare da altro.
Il tempo intercorso per creare questo romanzo è durato alcuni anni, quattro, se ricordo bene, e Paolo Pecere ha visitato realmente i luoghi dove i protagonisti abitano e si spostano nella lontananza degli affetti, nella lontananza da se stessi, nella lontananza della propria personalità. Personalità doppie in effetti, i protagonisti fanno viaggi nel loro interiore per togliere e mettere altro, senza tornare mai. Lontano da dove. Non so che titolo abbia avuto in mente Paolo Pecere mentre costruiva esistenze e le sconvolgeva, allontanando il vissuto, dilatando i concetti di essenza, e chiedendosi di cosa siano fatti le azioni, di quanto libero arbitrio ci sia nelle decisioni.
Leggiamo dunque questa storia, narrata dalla voce della protagonista femminile, Dora, l'unica forse che si muove solo per ritrovare coloro che sono andati via e forse non hanno più alcuna voglia a farsi ritrovare.
Il racconto, complesso, condensato in una visione femminile e in un atteggiamento da osservatrice, in effetti, Dora osserva ma non fa, sembra che lasci gli avvenimenti inverarsi senza una sua effettiva complicità: Avvengono.
Nella trama, in apparenza normale, come normale vuole a tutti i costi che noi la percepiamo la protagonista narrante, c'è un matrimonio, da un amore adolescenziale, la nascita di due gemelli e tanti interessi in comune, letture, lotte, ideali. Sembrerebbe un idillio se non avvenisse l'imponderabile. Il coniuge cambia, diventa un altro. Per sempre.
E lei resta a crescere i figli e sembra anche qui che lei riesca a inserire in un tran tran rassicurante i figli e invece tutto si spagina, si sfaglia, e i due gemelli si allontanano. Ci allontaniamo e poi e poi non so se ci ritroveremo più vicini, almeno è un azzardo.
La scrittura di Pecere è densa, e benché sembri con un suo ordine interno ci pone quesiti, ci destabilizza, ci impone una adesione problematica.
Mi sono posta davvero il problema se in una famiglia ci si conosce, non credo, se si ha una possibilità di intervenire, non credo, e mi sono posta il problema del perché Dora sia così certa di non poter a sua volta andarsene via da un immaginario che fa a gara ad essere smentito dai fatti.
Il viaggio di Pecere sta nella filosofia, nella religione orientale, nell'essere e divenire, dove si scontra l'occidentale e l'orientale, e dove naufraga l'occidente con i suoi riti. " Ora la casa è vuota. Il televisore era accanto alla finestra, dove oggi sta il divano, e viceversa, come se uno specchio avesse rovesciato i posti delle cose. Immaginando di sedermi vedo, riflesse sullo schermo spento, quattro persone sul divano." ed ancora "Nelle faglie del ricordo, a questo punto, si è prodotto uno scambio di persona. Sono crollati d’un tratto i giorni successivi: del volto senza vita di Elio resta solo un’idea grigia, senza le mie carezze e il mio rimorso. Al suo posto si è installata un’altra immagine, che si presenta come sua, e invece è di un uomo che dormiva nelle rovine di Chittorgarh, quel pomeriggio dopo la pioggia, e che mi aveva fatto pensare a lui. Questo falso, col tempo, è diventato il simbolo di un travestimento, attraverso il quale bisogna saper vedere la nostra vita lontana. Così Elio, portando al culmine il suo processo di sottrazione, si è ridotto in me all'essenziale: un uomo che non era chi sembrava, e riposa aspettando il temporale."
Una realtà raccontata non è altro che il racconto ed è l'elaborazione di ciò che la narratrice immagina di sapere. Ad un certo punto in oriente Dora arriva e si sposta e l'essere dei fatti incontra lei all'apparir del vero" La verità è feroce come una radiografia, non fa per noi, persone deboli e poco incisive, campioni di confabulazione. Marzio ha ragione: lo sapevo già. Ma c’è dell’altro, in quel che ha detto, che invece suona nuovo." In una domanda che so già.
Ippolita Luzzo
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