14.30 – Sala Polaris. Premio Stendhal 2018 – Premio per la traduzione dal francese all'italiano. Annuncio e presentazione dei finalisti. Intervengono Ilide Carmignani, Valerio Magrelli, Stefano Montefiori, Cristophe Musitelli e Alessandro Zaccuri. A cura di Institut français Italia, di Service de coopération et d’action culturelle, dell’Ambasciata di Francia in Italia.
Valerio Magrelli arriverà proprio sul finire, per uno scambio di battute con Alessandro Zaccuri, sul suo ruolo di presidente della giuria del premio. A corpo morto, dirà, e nelle fulminanti affermazioni citerà Cosimo Malatesta, poeta ancora più bravo di Caproni.
Cristophe Musitelli, direttore dell’Institut français in Italia si dirà molto eccitato del Premio e della possibilità di avere anche in Italia il nome del traduttore in copertina, di veder tradotti autori francesi viventi, e di poter premiare i vincitori con un soggiorno ad Arles dove avranno modo di frequentare dei seminari insieme a tutti i traduttori da ogni parte del mondo.Non solo quindi il premio in danaro, tre mila euro, per i traduttori tutti ma quel che sarà importantissimo per i giovani under 35 riguarda la possibilità di vivere e frequentare in un luogo dove si privilegeranno gli scambi e le conoscenze. Una residenza di traduzione di un mese al Collège international des traducteurs littéraires (CITL) a Arles per pensare insieme i loro pensieri, sono le parole di Musitelli che mi trovo segnate sul foglio dei miei brevi appunti.
Il traduttore è l'autore invisibile, dice, insieme a lui, Ilide Carmignani, traduttrice dallo spagnolo e una delle voci più importanti. Di lei ho trascritto: La Traduzione è il sistema circolatorio della letteratura nel mondo.
Solleva i problemi annessi ad una professione ancora in Italia non ben regolamentata, come in Francia, ed auspica per tutti i traduttori gli stessi diritti che hanno i colleghi che traducono dal francese. In Francia si riconosce al traduttore anche una percentuale sulle vendite! evviva la Francia. La sua amicaYasmina Melaouah è stata citata più volte alla tavola rotonda dicendo che la fa morire d’invidia raccontandole delle sue residenze, assisi e fabbriche arlesiane ma soprattutto della generosità di Pennac!W la Francia.
Alessandro Zaccuri, molto felice di pigiare con scioltezza il mouse delle slide riguardanti i finalisti, presentati da Stefano Montefiori, sente questo premio come momento amicale che unisce due letterature, e nell'amicizia finisce l'incontro con me, del regno della Litweb, affascinata dai calzini a pois di Musitelli. Li posseggo uguali! Faremo di nuovo incontro felice fra pois e letteratura nella Sala Polaris?
Ippolita Luzzo
giovedì 14 dicembre 2017
martedì 12 dicembre 2017
Stéfanie Hochet Un romanzo inglese
Un romanzo inglese.
Osservo il corpo di Edward.
Osservo il corpo di Edward.
Un uomo di quarant'anni. Un corpo che conosco da dieci. Il primo, il solo. L'attrazione che mi rende curiosa mi preoccupa, mi rassicura, mi esalta. Ho amato questo uomo. Quando ci siamo conosciuti aveva trent'anni, io ventidue. Il suo corpo era caldo, imponente, coperto di una dolce peluria sul dorso. Forte. Era il primo e l'amavo anche per questo. Un odore il suo... un sapore.
Un romanzo inglese, al capitolo 13, nella descrizione biologica e romantica della moglie.
Edward appare da subito, come incipit del romanzo ambientato nel 1917, con la sua decisione di far pubblicare un annuncio sul Times. Cercano qualcuno che si occupi di Jack, il loro bambino, affinché la mamma, traduttrice, possa riprendere il suo lavoro.
Raccontato a volte in prima persona, proprio da una lei, Anna, moglie,mamma, traduttrice, donna, a volte in terza persona dalla narratrice, il romanzo racconta il cambiamento.
Nulla è per sempre.
Eppure "A Edward, più ancora che ad Anna, piace che le cose attorno a lui non cambino. L'ordine è un ideale... un mondo chiuso che funziona come lo scappamento di un orologio"
Nell'ingranaggio del romanzo appare George, il tempo passa e siamo già al 1940 nella stupefacente alchimia della storia, degli incontri, del rinnovo, della rinascita.
Un romanzo che non vi racconto, così gusterete pagina per pagina gli ambienti e i pensieri, riconoscerete in molti passaggi i vostri passaggi, e apprezzerete lo stile, la scrittura e la partecipazione.
Vi è un bel senso di partecipazione in ogni avvenimento del libro, un abbraccio continuo fra lettore e scrittrice, un passeur, direbbe Pennac, un passare quel foglio a noi che leggiamo.
Tradotto con cura da Roberto Lana, viene pubblicato nella collana Amazzoni dalla Voland. Una collana a me vicina, visto il nome che ho.
Tradotto con cura da Roberto Lana, viene pubblicato nella collana Amazzoni dalla Voland. Una collana a me vicina, visto il nome che ho.
Amo moltissimo questo romanzo, tanto da andare a Roma, per riabbracciarlo in fiera, scusandomi con la scrittrice per non essermi trattenuta.
Nella certezza che tutto cambia e molto si può rinnovare e tante sono le cose che rinascono, consiglio al regno intero della Litweb la lettura di Un romanzo inglese.
Ippolita Luzzo
Ippolita Luzzo
domenica 10 dicembre 2017
Maria Antonietta Ferrarolo e Giorgio Biferali fra lo scoiattolo e il gattopardo
Più libri più liberi, la grande vetrina annuale della media e piccola editoria indipendente, inizia così, con "Lo scoiattolo della penna" di Giorgio Biferali che gioca con "Il Gattopardo raccontato a mia figlia" di Maria Antonietta Ferrarolo.
Incontro voluto da una collana per ragazzi, dagli 11 anni in su, La Nuova Frontiera, una collana pensata per far conoscere i grandi autori del Novecento italiano.
Questi sono i primi volumi.
Ve li presento con pochissimi appunti da Litweb.
Italo Calvino, lo scoiattolo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il gattopardo.
I due autori si mettono al servizio della letteratura con semplicità e con rispetto, offrendo ai tanti alunni delle scuole di Roma un'ora di piacevole conversazione.
"L'obbligo è diventato un piacere" racconta Giorgio, ricordando se stesso alunno, figlio di una prof di filosofia, e poco attratto, da bambino, dalla lettura. Un bel giorno scoprì " I sentieri dei nidi di ragno" di Calvino e nacque la sua meraviglia.
" Scuola vuol dire riposo, spazio libero, spazio di sperimentazione" argomenta Maria Antonietta, ricordando come la scuola sia il luogo del pensiero e non del lavoro.
Una lezione lieve e di invito ad assaggiare, a guardare, da passeur, le offerte letterarie, a loro volta di passaggio sulla vetrina della nostra letteratura.
Ritorno a casa con questa figura del passeur, evocata da Giorgio, ben delineata da Pennac in una sua lezione magistrale a Bologna.
Il passeur, colui che ama i libri, li legge e li porta a spasso, facendoli incontrare con altri libri. offrendo un foglio, una citazione, per incuriosire un ragazzo, un alunno, un amico, donando in regalo un titolo, una trama, un racconto.
Il passeur ci regala l'immaginazione, la serenità di leggere senza obbligo, leggere come piacere e godimento.
Ippolita Luzzo
"#Piùlibripiùliberi: il passeur di Pennac
Altri, per fortuna — professori, critici letterari, librai, bibliotecari — preferiscono essere dei passeur . Ed è ben più di un ruolo, è un modo di essere, un comportamento. I passeur sono curiosi di tutto, leggono tutto, non si accaparrano niente e trasmettono il meglio al maggior numero di persone.
Passeur sono i genitori che non pensano solo ad armare i figli di letture utili a farli laureare al più presto, ma che, conoscendo il valore inestimabile della lettura in sé, sperano di farne lettori di lungo corso.
Passeur è il professore di lettere la cui lezione ti fa venire voglia di correre subito in libreria. E costui non si limita a insegnare la letteratura francese in Francia, l’italiana in Italia o la tedesca in Germania, ma apre tutte le frontiere letterarie, dà accesso all’Europa, al mondo, all’umanità e a tutte le epoche della letteratura.
Passeur è il libraio che inizia i suoi giovani clienti agli arcani della classificazione, che insegna loro a viaggiare fra generi, soggetti, autori, paesi e secoli… che fa della libreria il loro universo.
Passeur sono gli universitari che non vogliono formare soltanto dei chirurghi della letteratura, ma degli stimolatori della coscienza, degli attivatori della meraviglia.
Passeur è il bibliotecario capace di raccontare i romanzi presenti sui suoi scaffali!
Passeur è l’editore che si rifiuta di investire solo nelle collane di best seller, ma che non per questo si chiude nella torre d’avorio della letteratura sperimentale.
Passeur è il critico letterario che legge tutto, scopre e invita a leggere il giovane romanziere, il giovane drammaturgo, il nuovo poeta, o che risuscita la grande penna dimenticata anziché gongolare delle proprie raffinate stroncature.
Passeur è il lettore la cui biblioteca contiene solo pessimi romanzi o saggetti di quart’ordine perché i libri migliori li ha prestati e nessuno glieli ha restituiti. D’altronde l’atto di leggere è per definizione un atto di antropofagia, perciò è assurdo aspettarsi che un libro prestato sia restituito.
Passeur supremo, infine, è colui che non ti chiede mai la tua opinione sul libro che hai letto, poiché sa che la letteratura ha ben poco a che fare con la comunicazione. Per quanto desiderosi di trasmettere, siamo anche i guardiani del nostro tempio intimo.
Incontro voluto da una collana per ragazzi, dagli 11 anni in su, La Nuova Frontiera, una collana pensata per far conoscere i grandi autori del Novecento italiano.
Questi sono i primi volumi.
Ve li presento con pochissimi appunti da Litweb.
Italo Calvino, lo scoiattolo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il gattopardo.
I due autori si mettono al servizio della letteratura con semplicità e con rispetto, offrendo ai tanti alunni delle scuole di Roma un'ora di piacevole conversazione.
"L'obbligo è diventato un piacere" racconta Giorgio, ricordando se stesso alunno, figlio di una prof di filosofia, e poco attratto, da bambino, dalla lettura. Un bel giorno scoprì " I sentieri dei nidi di ragno" di Calvino e nacque la sua meraviglia.
" Scuola vuol dire riposo, spazio libero, spazio di sperimentazione" argomenta Maria Antonietta, ricordando come la scuola sia il luogo del pensiero e non del lavoro.
Una lezione lieve e di invito ad assaggiare, a guardare, da passeur, le offerte letterarie, a loro volta di passaggio sulla vetrina della nostra letteratura.
Ritorno a casa con questa figura del passeur, evocata da Giorgio, ben delineata da Pennac in una sua lezione magistrale a Bologna.
Il passeur, colui che ama i libri, li legge e li porta a spasso, facendoli incontrare con altri libri. offrendo un foglio, una citazione, per incuriosire un ragazzo, un alunno, un amico, donando in regalo un titolo, una trama, un racconto.
Il passeur ci regala l'immaginazione, la serenità di leggere senza obbligo, leggere come piacere e godimento.
Ippolita Luzzo
"#Piùlibripiùliberi: il passeur di Pennac
Altri, per fortuna — professori, critici letterari, librai, bibliotecari — preferiscono essere dei passeur . Ed è ben più di un ruolo, è un modo di essere, un comportamento. I passeur sono curiosi di tutto, leggono tutto, non si accaparrano niente e trasmettono il meglio al maggior numero di persone.
Passeur sono i genitori che non pensano solo ad armare i figli di letture utili a farli laureare al più presto, ma che, conoscendo il valore inestimabile della lettura in sé, sperano di farne lettori di lungo corso.
Passeur è il professore di lettere la cui lezione ti fa venire voglia di correre subito in libreria. E costui non si limita a insegnare la letteratura francese in Francia, l’italiana in Italia o la tedesca in Germania, ma apre tutte le frontiere letterarie, dà accesso all’Europa, al mondo, all’umanità e a tutte le epoche della letteratura.
Passeur è il libraio che inizia i suoi giovani clienti agli arcani della classificazione, che insegna loro a viaggiare fra generi, soggetti, autori, paesi e secoli… che fa della libreria il loro universo.
Passeur sono gli universitari che non vogliono formare soltanto dei chirurghi della letteratura, ma degli stimolatori della coscienza, degli attivatori della meraviglia.
Passeur è il bibliotecario capace di raccontare i romanzi presenti sui suoi scaffali!
Passeur è l’editore che si rifiuta di investire solo nelle collane di best seller, ma che non per questo si chiude nella torre d’avorio della letteratura sperimentale.
Passeur è il critico letterario che legge tutto, scopre e invita a leggere il giovane romanziere, il giovane drammaturgo, il nuovo poeta, o che risuscita la grande penna dimenticata anziché gongolare delle proprie raffinate stroncature.
Passeur è il lettore la cui biblioteca contiene solo pessimi romanzi o saggetti di quart’ordine perché i libri migliori li ha prestati e nessuno glieli ha restituiti. D’altronde l’atto di leggere è per definizione un atto di antropofagia, perciò è assurdo aspettarsi che un libro prestato sia restituito.
Passeur supremo, infine, è colui che non ti chiede mai la tua opinione sul libro che hai letto, poiché sa che la letteratura ha ben poco a che fare con la comunicazione. Per quanto desiderosi di trasmettere, siamo anche i guardiani del nostro tempio intimo.
sabato 9 dicembre 2017
Pentadattilo Film Festival XI
Pentadattilo in festival: l'XI edizione del Pentedattilo Film Festival.
Litweb con Pentadattilo Film Festival
Partecipa il cortometraggio "Fu" vincitore del LFF, svolto da poco a Lamezia Terme.
Sabato 9 Dicembre: Stasera lo spettacolo previsto alle 17.30 nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo.
Giorgio Colangeli, di ritorno dall'affermazione al David di Donatello e ai Nastri d'Argento, presenterà lo spettacolo "E quindi uscimmo a riveder le stelle" recitando i primi canti del Purgatorio dalla Divina Commedia di Dante Alighieri.
Workshop di animazione, creazione e narrazione saranno curati dalla stessa Bognar e da Marino Guarnieri, protagonista della serata finale con la doppia proiezione de "La Gatta Cenerentola".
Oltre 40 cortometraggi, tra documentari, corti di finzione e di animazione: si va da "Delicatessen", del citato regista Chen, ad "Aloha", di Charlotte A. Rolfes, a "Pastel", di Robert Shupe, dal corto di animazione "Vittorio De Seta Maestro del Cinema", di Simone Massi, a "Touch" di Noel Harris, a "Le Retour du train" di Sara Grimaldi.
entusiamo per i corti "Brazuca" (Grecia) e "Watu Wote" (coproduzione Germania\Kenya) . Applauditi Americo Melchionda e Maria Milasi nel doppio turno di proiezione del corto "Non toccate questa casa-The Angry Men", fra Reggio e Pentedattilo, dove si è esibita l'orchestra giovanile Alvaro. Fra i protagonisti di questa edizione la regista ungherese Eva Katinka Bognar, docente di animazione digitale presso l'Università di Budapest, Fenglin Chen che proviene da Macao, l'israeliano Basil Khalil il cui curriculum annovera nomination agli Oscar e Palma d'Oro a Cannes e Tino Franco, con una casa di famiglia proprio nei pressi di Melito Porto Salvo. Sarà una proiezione speciale durante la quale il Maestro Ugo Gregoretti riannoderà i fili della memoria di quel tragico sisma che nel 1908 devastò i territori di Messina e Reggio Calabria
Al Festival hanno partecipato gli alunni degli Istituti Comprensivi De Amicis-Bolani, Vitrioli-Principe di Piemonte, del Convitto Campanella di Reggio Calabria e dell'Istituto Jerace di Polistena, dei Licei Gulli, Volta, Da Vinci, Campanella di Reggio Calabria ed I.S.I Fermi di Bagnara -
Da segnalare l'inaugurazione della mostra "Caduti dal mare" di Fabio Orlando in anteprima assoluta, una co-produzione originale Exodus Calabria società cooperativa e Ram Film ore 17.15 presso la chiesa di SS. Pietro e Paolo, che lega in forma di gemellaggio il PFF con l'università della Southern California (U.S.A)
Tutti gli altri dettagli sul sito ufficiale: www.pentedattilofilmfestival.net e i canali social sempre attivi.
Litweb con Pentadattilo Film Festival
Partecipa il cortometraggio "Fu" vincitore del LFF, svolto da poco a Lamezia Terme.
Sabato 9 Dicembre: Stasera lo spettacolo previsto alle 17.30 nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo.
Giorgio Colangeli, di ritorno dall'affermazione al David di Donatello e ai Nastri d'Argento, presenterà lo spettacolo "E quindi uscimmo a riveder le stelle" recitando i primi canti del Purgatorio dalla Divina Commedia di Dante Alighieri.
Workshop di animazione, creazione e narrazione saranno curati dalla stessa Bognar e da Marino Guarnieri, protagonista della serata finale con la doppia proiezione de "La Gatta Cenerentola".
Oltre 40 cortometraggi, tra documentari, corti di finzione e di animazione: si va da "Delicatessen", del citato regista Chen, ad "Aloha", di Charlotte A. Rolfes, a "Pastel", di Robert Shupe, dal corto di animazione "Vittorio De Seta Maestro del Cinema", di Simone Massi, a "Touch" di Noel Harris, a "Le Retour du train" di Sara Grimaldi.
entusiamo per i corti "Brazuca" (Grecia) e "Watu Wote" (coproduzione Germania\Kenya) . Applauditi Americo Melchionda e Maria Milasi nel doppio turno di proiezione del corto "Non toccate questa casa-The Angry Men", fra Reggio e Pentedattilo, dove si è esibita l'orchestra giovanile Alvaro. Fra i protagonisti di questa edizione la regista ungherese Eva Katinka Bognar, docente di animazione digitale presso l'Università di Budapest, Fenglin Chen che proviene da Macao, l'israeliano Basil Khalil il cui curriculum annovera nomination agli Oscar e Palma d'Oro a Cannes e Tino Franco, con una casa di famiglia proprio nei pressi di Melito Porto Salvo. Sarà una proiezione speciale durante la quale il Maestro Ugo Gregoretti riannoderà i fili della memoria di quel tragico sisma che nel 1908 devastò i territori di Messina e Reggio Calabria
Al Festival hanno partecipato gli alunni degli Istituti Comprensivi De Amicis-Bolani, Vitrioli-Principe di Piemonte, del Convitto Campanella di Reggio Calabria e dell'Istituto Jerace di Polistena, dei Licei Gulli, Volta, Da Vinci, Campanella di Reggio Calabria ed I.S.I Fermi di Bagnara -
Da segnalare l'inaugurazione della mostra "Caduti dal mare" di Fabio Orlando in anteprima assoluta, una co-produzione originale Exodus Calabria società cooperativa e Ram Film ore 17.15 presso la chiesa di SS. Pietro e Paolo, che lega in forma di gemellaggio il PFF con l'università della Southern California (U.S.A)
Tutti gli altri dettagli sul sito ufficiale: www.pentedattilofilmfestival.net e i canali social sempre attivi.
lunedì 4 dicembre 2017
Ricrii al quindicesimo anno di età
Una grafica deliziosa e verde abbraccia nella trasparenza le foglie dell'albero che giganteggia col tronco proteso verso il cielo. Una Quercia, suppongo, anzi no si tratta del Platano millenario di Curinga facilmente "visitabile"e fotografato da Aldo Tomaino.
Sdraiato nell'incavo, un paio di jeans e una maglietta rossa testimoniano la misura della presenza umana quando essa va in pace nella natura.
Si parla stamattina di natura e nature, nelle varie nature che studiavamo a scuola: vegetale, animale, minerale, umana.
Conferenza stampa al Tip.
Presentazione del programma RICRII 15 nature.
Incendi e alberi. Montagna e distanza.
Noi e la complessità di vivere in anni sottotraccia. Sotto la traccia del teatro con Daniele Timpano ed Elvira Frosini, noi con Dario Natale che ora sta esponendo le particolarità di ogni spettacolo scelto per la stagione 2017/18 per dare a chi ritorna a Lamezia la stessa opportunità di chi vive in una grande città: poter assistere a spettacoli interessanti e di respiro nazionale. W RICRII
Alla comunicazione Valeria D'Agostino.
Dario Natale, direttore artistico della rassegna, si sofferma su ogni spettacolo e di ognuno riesce a darci le connotazioni forti per cui è stato scelto. Io vi parlerò del primo e dell'ultimo, rimandandovi tutti a leggere le proposte e a fare abbonamento.
Acqua di colonia, di Elvira Frosini e Daniele Timpano, è uno studio sul colonialismo italiano in Africa. Sulla scena una donna africana starà muta ad osservare gli anni, gli arrivi e partenze di soldati e sfruttatori occidentali su un suolo caldo, caldissimo di conseguenze.
Il 9 e 10 marzo Fare pubblico2 Teatro primo
il ripetersi di un seminario con gli studenti nell'inaspettato che nascerà quando incontreranno il teatro vivo.
Teatro primo che adoro, essendo loro amici di Rocco Carbone, avendo forse conosciuto Rocco Carbone, ed amandolo come lo dovremmo amare noi tutti, leggendo i suoi libri.
Seguiremo quindi da Litweb ogni spettacolo plaudendo Dario Natale e tutti coloro che vi partecipano. Un bravo particolare a Domenico D'Agostino per la grafica.
Ippolita Luzzo
Sdraiato nell'incavo, un paio di jeans e una maglietta rossa testimoniano la misura della presenza umana quando essa va in pace nella natura.
Si parla stamattina di natura e nature, nelle varie nature che studiavamo a scuola: vegetale, animale, minerale, umana.
Conferenza stampa al Tip.
Presentazione del programma RICRII 15 nature.
Incendi e alberi. Montagna e distanza.
Noi e la complessità di vivere in anni sottotraccia. Sotto la traccia del teatro con Daniele Timpano ed Elvira Frosini, noi con Dario Natale che ora sta esponendo le particolarità di ogni spettacolo scelto per la stagione 2017/18 per dare a chi ritorna a Lamezia la stessa opportunità di chi vive in una grande città: poter assistere a spettacoli interessanti e di respiro nazionale. W RICRII
Alla comunicazione Valeria D'Agostino.
Dario Natale, direttore artistico della rassegna, si sofferma su ogni spettacolo e di ognuno riesce a darci le connotazioni forti per cui è stato scelto. Io vi parlerò del primo e dell'ultimo, rimandandovi tutti a leggere le proposte e a fare abbonamento.
Acqua di colonia, di Elvira Frosini e Daniele Timpano, è uno studio sul colonialismo italiano in Africa. Sulla scena una donna africana starà muta ad osservare gli anni, gli arrivi e partenze di soldati e sfruttatori occidentali su un suolo caldo, caldissimo di conseguenze.
Il 9 e 10 marzo Fare pubblico2 Teatro primo
il ripetersi di un seminario con gli studenti nell'inaspettato che nascerà quando incontreranno il teatro vivo.
Teatro primo che adoro, essendo loro amici di Rocco Carbone, avendo forse conosciuto Rocco Carbone, ed amandolo come lo dovremmo amare noi tutti, leggendo i suoi libri.
Seguiremo quindi da Litweb ogni spettacolo plaudendo Dario Natale e tutti coloro che vi partecipano. Un bravo particolare a Domenico D'Agostino per la grafica.
Ippolita Luzzo
domenica 3 dicembre 2017
Tu mi turbi, cara turba. Il popolo commentante
La turba: Definizione di popolo commentante. Tu mi turbi cara turba, nuovo canto rap sulla turba che conturba.
I commenti a valanga augurano morte subitanea alla Iena colpita da aneurisma, augurano ogni sorta di malvagità a qualsiasi individuo venga additato come mostro.La turba va contro una pubblicità, contro un regista, contro persone di cui non sa.
E la turba va col suo turbine innestato.
Il mostro è da scorticare, appendere, squartare.
I commenti i susseguono a ripetizione verso chi viene accusato di molestie. Saranno vere o false le accuse la turba incalza.
Distrugge.
Prendiamo un vocabolario e troviamo il significato di turba: Volgo, marmaglia, accozzaglia. Qualcosa di molesto.
Commenti pubblici sotto articoli di giornali, sotto la Stampa, La Repubblica, commenti a loro volta fomentati da articoli di altri giornali.
La turba sembra abbia potere, sembra stia pronta all'attacco, sembra viva e contro di noi.
Contro chiunque tenti un ragionamento pacato, contro chiunque voglia riflettere e invita a non augurare il male a nessuno.
Contro tutti la turba sta.
Immemore. Incosciente. Immorale. Intollerante. Ignorante.
Inetta, direbbe una mia amica. Turba inetta. E da inetta la turba inietta ogni genere di malvagità.
Ed allora cantiamola come un canto rap, cantiamola anche a chi mi accusa di fare la maestrina, a chi mi accusa di bacchettare turbanti e turbative, turbolenze e turbolenti.
Nella turba sconfinata dove le pistole dettano legge s'ode un grido nella pampa: Il commento sarà mio.
Basta poco per eliminarlo.
Basta poco per sentirsi onnipotenti, ci vuole molto per sapersi controllare.
Turba, solo un canto rap per lenire il turbamento della tua esistenza.
Cantiamola così senza rancore
I commenti a valanga augurano morte subitanea alla Iena colpita da aneurisma, augurano ogni sorta di malvagità a qualsiasi individuo venga additato come mostro.La turba va contro una pubblicità, contro un regista, contro persone di cui non sa.
E la turba va col suo turbine innestato.
Il mostro è da scorticare, appendere, squartare.
I commenti i susseguono a ripetizione verso chi viene accusato di molestie. Saranno vere o false le accuse la turba incalza.
Distrugge.
Prendiamo un vocabolario e troviamo il significato di turba: Volgo, marmaglia, accozzaglia. Qualcosa di molesto.
Commenti pubblici sotto articoli di giornali, sotto la Stampa, La Repubblica, commenti a loro volta fomentati da articoli di altri giornali.
La turba sembra abbia potere, sembra stia pronta all'attacco, sembra viva e contro di noi.
Contro chiunque tenti un ragionamento pacato, contro chiunque voglia riflettere e invita a non augurare il male a nessuno.
Contro tutti la turba sta.
Immemore. Incosciente. Immorale. Intollerante. Ignorante.
Inetta, direbbe una mia amica. Turba inetta. E da inetta la turba inietta ogni genere di malvagità.
Ed allora cantiamola come un canto rap, cantiamola anche a chi mi accusa di fare la maestrina, a chi mi accusa di bacchettare turbanti e turbative, turbolenze e turbolenti.
Nella turba sconfinata dove le pistole dettano legge s'ode un grido nella pampa: Il commento sarà mio.
Basta poco per eliminarlo.
Basta poco per sentirsi onnipotenti, ci vuole molto per sapersi controllare.
Turba, solo un canto rap per lenire il turbamento della tua esistenza.
Cantiamola così senza rancore
sabato 2 dicembre 2017
Ufficio delle entrate sordo alla letteratura
Equitalia, Melanide, Tasse municipali, Imu, tasse tasse tasse tasse. Arrivano richieste di pagamento dal 2012, 2013, 2014, 2015, arrivano e per inerzia cominci a pagare sconsolata. Vado al Comune a chiedere spiegazioni. Una folla di impiegati che non sa, giro fra la la folla che non sa, oppure sa e non ritiene opportuno suggerirmi una soluzione. Le leggi sono cambiate, mi dice uno. Da quando? chiedo io affranta. dal 2012, 2013, 2014. Paghiamo.
Paghiamo e leggiamo con grande invidia questa intervista, penso che lunedì dovrò riandare al Comune, mi sono arrivati altre notizie di tasse, tasse, tasse, dovrò ripassare dal commercialista, dovrò allontanarmi dai libri e conservare, come mi consiglia mia sorella, le ricevute già pagate in una bella cartellina, altrimenti dal comune, dai vari enti, mi faranno pagare due o tre volte quel che ho già pagato e amen. Meglio conservare le ricevute che i libri. D'altronde solo per cinque anni dovrai farlo...
Mio caro scrittore:
(Da Lucia Comparato vi propongo questo articolo)
Paghiamo e leggiamo con grande invidia questa intervista, penso che lunedì dovrò riandare al Comune, mi sono arrivati altre notizie di tasse, tasse, tasse, dovrò ripassare dal commercialista, dovrò allontanarmi dai libri e conservare, come mi consiglia mia sorella, le ricevute già pagate in una bella cartellina, altrimenti dal comune, dai vari enti, mi faranno pagare due o tre volte quel che ho già pagato e amen. Meglio conservare le ricevute che i libri. D'altronde solo per cinque anni dovrai farlo...
Mio caro scrittore:
(Da Lucia Comparato vi propongo questo articolo)
Da la Repubblica di oggi
Philip Roth
“Il romanzo non è morto ma i lettori spariranno”
DARIO OLIVERO
«Ora trascorro quattro mesi all’anno nella mia casa di campagna sperduta nel Connecticut, cento miglia a nord di New York. Fino a qualche tempo fa ci vivevo tutto l’anno, ma adesso che non scrivo più sto a New York da ottobre alla fine di aprile. In questo momento sono in città. Il mio appartamento è al dodicesimo piano, e un’intera parete è fatta di finestre da cui il mio sguardo spazia liberamente su Manhattan in direzione sud.
Vedo quasi due chilometri di luci della città — è sera — e un grande cielo nero. Ogni pochi minuti compaiono le luci baluginanti degli aeroplani che volano silenziosi da sud a nord».
Comincia così questa conversazione a distanza con Philip Roth. Una conversazione scritta, nella quale l’uomo di Pastorale americana, La macchia umana, L’animale morente, l’uomo insomma del Grande romanzo americano, lascia intravedere ancora nelle risposte la grazia addestrata da una vita di lavoro sulle parole. Si può smettere di scrivere, non di essere scrittori, come dimostrano le risposte che seguono: letteratura, politica, solitudine di fronte all’«inferno della stupidità”. Si è scrittori anche se si è presa una decisione che molti con meno talento, meno forza morale, intelligenza, autocoscienza — ed evidentemente proprio per questo — non riuscirebbero neanche a immaginare.
Non c’era più niente da scrivere? Lo spirito dei tempi andava ormai in direzione contraria?
«La decisione di smettere di scrivere narrativa che ho preso nel 2010, quando avevo 77 anni, non è stata una conseguenza dello spirito dei tempi. Il motivo è stato un altro: avevo il forte sospetto di aver ormai prodotto le mie opere migliori, e che qualunque altra cosa avessi scritto non sarebbe stata altrettanto buona. Non mi sentivo più in possesso del vigore intellettuale, dell’energia verbale e della forma fisica necessarie per sferrare e portare a compimento un attacco creativo su larga scala a una struttura complessa ed esigente come quella del romanzo. Ogni talento ha i suoi termini contrattuali — una propria natura e portata e forza, e anche una fine, una durata, un decorso. Non tutti possono essere fecondi per sempre».
Ma non si può smettere di leggere.
«Stranamente, o forse non così stranamente, ora leggo pochissima narrativa. Ho trascorso l’intera mia vita lavorativa a leggere narrativa, insegnare narrativa, studiare narrativa e scrivere narrativa. Fino a sette anni fa ho pensato a questo e poco altro. Da allora trascorro una buona parte di ogni giornata a leggere storia, soprattutto storia americana, ma anche storia europea moderna. Dopo tutti questi anni sono ridiventato uno studente, non in un istituto scolastico, ma nello studio dove prima scrivevo. Ovviamente non è altrettanto esaltante, ma è molto meno tormentoso».
Si dice che la narrativa sia un genere superato da altre forme artistiche come le serie tv e che il romanzo stia morendo per questo. Che cosa ne pensa?
«Non concordo sul fatto che la narrativa sia morta — in questo momento in America sono attivi molti romanzieri di prim’ordine.
Quello che sta diminuendo è il bacino di lettori seri, attenti e impegnati, e continuerà a diminuire a causa dell’incommensurabile popolarità dello Schermo. Prima lo schermo cinematografico, poi lo schermo televisivo, e ora lo schermo più invasivo di tutti, lo schermo elettronico in tutte le sue allettanti incarnazioni. Il fascino che un tempo la narrativa esercitava su bambini e adulti è stato distrutto dalle attrattive e dalle seduzioni della magia dello schermo. Gli scrittori continueranno a scrivere, ma il pubblico diminuirà sempre più, fino a quando un bel giorno la setta dei lettori di narrativa non sarà più numerosa di quella di chi oggi legge poesia latina per svago».
Il ruolo di un intellettuale è intercettare contraddizioni, violenze e illibertà dei propri tempi. E uno scrittore non può non sentire l’esigenza di raccontarle. È così?
«Credo che il ruolo dello scrittore sia scrivere meglio che può, e con un’immaginazione che non si lasci ingabbiare da intenti extraletterari. Non bisogna fare confusione fra la lotta del protagonista del romanzo per liberarsi da ciò che lo imprigiona e gli intenti dello scrittore nel descrivere quella lotta. La descrizione è tutto, e il mio ruolo è quello di descrivere. Riverso tutta la mia forza in questo, e lascio ad altri di decidere quale uso fare dei miei romanzi. Io mi considero un artista della letteratura, non sostengo nessun programma né trasmetto alcun messaggio».
Bellow ha detto, e lei ha dimostrato in 31 romanzi, che la lingua è una “dimora spirituale”. Pensa che questo discorso valga anche per le nuove generazioni di immigrati non solo in America? La lingua, la scrittura rivestono ancora questa importanza?
«Io direi che, se scrivi in inglese americano, sei uno scrittore americano, qualunque sia il tema che affronti e qualunque sia la tua biografia. Ecco perché, ad esempio, penso che in America la categoria “scrittore ebraico” sia fuorviante.
Quando scrivi narrativa, lo sforzo principale è rivolto a trovare la forma verbale che esprima nel modo più perfetto ciò che immagini. La mia principale responsabilità estetica è nei confronti della lingua inglese così come si è evoluta in America, la madrelingua per mezzo della quale cerco di trasmettere al mondo le mie fantasie di realtà — le mie sbrigliate allucinazioni camuffate da romanzi realistici».
I suoi personaggi Zuckerman e Sabbath si sono a un certo punto ritirati dal mondo divenendo osservatori delle vite degli altri. Lei è ancora curioso di storie?
«Io non mi sono ritirato dal mondo, o meglio, non mi sono isolato dal trambusto del mondo più di quanto abbia sempre fatto allo scopo di concentrarmi sul mio lavoro. La solitudine della scrittura che un tempo occupava le mie giornate, e non di rado anche le mie nottate, è stata sostituita dalla solitudine della lettura. Ho trascorso molte ore della mia vita da solo e non ho mai desiderato vivere in altro modo. Tuttavia, l’inferno della stupidità — l’espressione è di Saul Bellow — ci ingabbia tutti, in quanto cittadini del momento storico presente. Che tu sia solo o meno, in America non puoi sfuggire a quel che si è abbattuto su di noi».
Lei è sempre stato critico nei confronti della politica dai tempi delle sue satire contro Nixon fino a Trump.
«Il mio paese ha ingurgitato un mostro orrendo. Vedremo se riuscirà a rigurgitarlo prima che il suo veleno contamini tutto».
Lei si è impegnato molto in passato per gli scrittori dell’Europa orientale che vivevano sotto la dittatura.
Oggi in quelle regioni nascono movimenti xenofobi e di estrema destra che penetrano nel cuore dell’Occidente. È una nuova Weimar?
«Negli anni Settanta ho curato una collana per la Penguin chiamata “Writers from the Other Europe” in cui ho pubblicato narrativa scritta sotto il regime totalitario comunista in Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria e Jugoslavia.
Ora, quando sul giornale leggo dei regimi autoritari xenofobi saliti al potere in alcuni di quei paesi, penso con grande tristezza agli scrittori che ho pubblicato. In quegli anni terribili molti di loro li sono andati a trovare, e ho avuto modo di conoscerli bene. È una grottesca ironia della storia che la loro forza d’animo e le loro sofferenze nel resistere al comunismo siano sfociate, meno di vent’anni dopo, in questa profanazione della democrazia».
Come possiamo immaginare la sua vita ora? Magari in questo preciso momento.
«Sono seduto su una logora poltrona Eames che è diventata la mia casa da quando ho abbandonato il computer alla scrivania. Il pavimento tutt’attorno è disseminato di libri e riviste che sto leggendo, e accanto a me, a portata di mano, c’è un tavolino quadrato di vetro su cui sono impilati i libri che ho finito di recente e quelli che intendo leggere dopo. È straordinariamente silenzioso, per essere un appartamento newyorkese. Ho i doppi vetri per tenere lontano il rumore della strada, e dagli appartamenti accanto non sento nulla, sia perché i vicini sono tranquilli sia perché le pareti sono acusticamente isolate.
La televisione è spenta, quindi niente Trump. Appena finirò di scrivere questa risposta, mi rimetterò a leggere il penultimo capitolo di Impressioni personali di Isaiah Berlin, una straordinaria galleria di ritratti di alcune delle più grandi figure del Novecento, da Winston Churchill e Virginia Woolf ad Albert Einstein e Edmund Wilson. Ora sto leggendo dei suoi incontri con gli scrittori russi nel 1946.
C’è anche quella che è forse la più grande di tutti, la poetessa Anna Achmatova, che Berlin incontra una notte nel suo appartamento di Leningrado, dove vive come una paria, perseguitata da Stalin e dal suo regime. “Mi parlò della sua solitudine e del suo isolamento, sia personale sia culturale. Per lei la Leningrado del dopoguerra non era altro che un enorme cimitero — i pochi alberi carbonizzati rendevano la desolazione ancor più desolata”. Ora vi lascio e torno alla mia serata con Isaiah Berlin e Anna Achmatova. Cosa potrebbe esserci di meglio?».
Philip Roth
“Il romanzo non è morto ma i lettori spariranno”
DARIO OLIVERO
«Ora trascorro quattro mesi all’anno nella mia casa di campagna sperduta nel Connecticut, cento miglia a nord di New York. Fino a qualche tempo fa ci vivevo tutto l’anno, ma adesso che non scrivo più sto a New York da ottobre alla fine di aprile. In questo momento sono in città. Il mio appartamento è al dodicesimo piano, e un’intera parete è fatta di finestre da cui il mio sguardo spazia liberamente su Manhattan in direzione sud.
Vedo quasi due chilometri di luci della città — è sera — e un grande cielo nero. Ogni pochi minuti compaiono le luci baluginanti degli aeroplani che volano silenziosi da sud a nord».
Comincia così questa conversazione a distanza con Philip Roth. Una conversazione scritta, nella quale l’uomo di Pastorale americana, La macchia umana, L’animale morente, l’uomo insomma del Grande romanzo americano, lascia intravedere ancora nelle risposte la grazia addestrata da una vita di lavoro sulle parole. Si può smettere di scrivere, non di essere scrittori, come dimostrano le risposte che seguono: letteratura, politica, solitudine di fronte all’«inferno della stupidità”. Si è scrittori anche se si è presa una decisione che molti con meno talento, meno forza morale, intelligenza, autocoscienza — ed evidentemente proprio per questo — non riuscirebbero neanche a immaginare.
Non c’era più niente da scrivere? Lo spirito dei tempi andava ormai in direzione contraria?
«La decisione di smettere di scrivere narrativa che ho preso nel 2010, quando avevo 77 anni, non è stata una conseguenza dello spirito dei tempi. Il motivo è stato un altro: avevo il forte sospetto di aver ormai prodotto le mie opere migliori, e che qualunque altra cosa avessi scritto non sarebbe stata altrettanto buona. Non mi sentivo più in possesso del vigore intellettuale, dell’energia verbale e della forma fisica necessarie per sferrare e portare a compimento un attacco creativo su larga scala a una struttura complessa ed esigente come quella del romanzo. Ogni talento ha i suoi termini contrattuali — una propria natura e portata e forza, e anche una fine, una durata, un decorso. Non tutti possono essere fecondi per sempre».
Ma non si può smettere di leggere.
«Stranamente, o forse non così stranamente, ora leggo pochissima narrativa. Ho trascorso l’intera mia vita lavorativa a leggere narrativa, insegnare narrativa, studiare narrativa e scrivere narrativa. Fino a sette anni fa ho pensato a questo e poco altro. Da allora trascorro una buona parte di ogni giornata a leggere storia, soprattutto storia americana, ma anche storia europea moderna. Dopo tutti questi anni sono ridiventato uno studente, non in un istituto scolastico, ma nello studio dove prima scrivevo. Ovviamente non è altrettanto esaltante, ma è molto meno tormentoso».
Si dice che la narrativa sia un genere superato da altre forme artistiche come le serie tv e che il romanzo stia morendo per questo. Che cosa ne pensa?
«Non concordo sul fatto che la narrativa sia morta — in questo momento in America sono attivi molti romanzieri di prim’ordine.
Quello che sta diminuendo è il bacino di lettori seri, attenti e impegnati, e continuerà a diminuire a causa dell’incommensurabile popolarità dello Schermo. Prima lo schermo cinematografico, poi lo schermo televisivo, e ora lo schermo più invasivo di tutti, lo schermo elettronico in tutte le sue allettanti incarnazioni. Il fascino che un tempo la narrativa esercitava su bambini e adulti è stato distrutto dalle attrattive e dalle seduzioni della magia dello schermo. Gli scrittori continueranno a scrivere, ma il pubblico diminuirà sempre più, fino a quando un bel giorno la setta dei lettori di narrativa non sarà più numerosa di quella di chi oggi legge poesia latina per svago».
Il ruolo di un intellettuale è intercettare contraddizioni, violenze e illibertà dei propri tempi. E uno scrittore non può non sentire l’esigenza di raccontarle. È così?
«Credo che il ruolo dello scrittore sia scrivere meglio che può, e con un’immaginazione che non si lasci ingabbiare da intenti extraletterari. Non bisogna fare confusione fra la lotta del protagonista del romanzo per liberarsi da ciò che lo imprigiona e gli intenti dello scrittore nel descrivere quella lotta. La descrizione è tutto, e il mio ruolo è quello di descrivere. Riverso tutta la mia forza in questo, e lascio ad altri di decidere quale uso fare dei miei romanzi. Io mi considero un artista della letteratura, non sostengo nessun programma né trasmetto alcun messaggio».
Bellow ha detto, e lei ha dimostrato in 31 romanzi, che la lingua è una “dimora spirituale”. Pensa che questo discorso valga anche per le nuove generazioni di immigrati non solo in America? La lingua, la scrittura rivestono ancora questa importanza?
«Io direi che, se scrivi in inglese americano, sei uno scrittore americano, qualunque sia il tema che affronti e qualunque sia la tua biografia. Ecco perché, ad esempio, penso che in America la categoria “scrittore ebraico” sia fuorviante.
Quando scrivi narrativa, lo sforzo principale è rivolto a trovare la forma verbale che esprima nel modo più perfetto ciò che immagini. La mia principale responsabilità estetica è nei confronti della lingua inglese così come si è evoluta in America, la madrelingua per mezzo della quale cerco di trasmettere al mondo le mie fantasie di realtà — le mie sbrigliate allucinazioni camuffate da romanzi realistici».
I suoi personaggi Zuckerman e Sabbath si sono a un certo punto ritirati dal mondo divenendo osservatori delle vite degli altri. Lei è ancora curioso di storie?
«Io non mi sono ritirato dal mondo, o meglio, non mi sono isolato dal trambusto del mondo più di quanto abbia sempre fatto allo scopo di concentrarmi sul mio lavoro. La solitudine della scrittura che un tempo occupava le mie giornate, e non di rado anche le mie nottate, è stata sostituita dalla solitudine della lettura. Ho trascorso molte ore della mia vita da solo e non ho mai desiderato vivere in altro modo. Tuttavia, l’inferno della stupidità — l’espressione è di Saul Bellow — ci ingabbia tutti, in quanto cittadini del momento storico presente. Che tu sia solo o meno, in America non puoi sfuggire a quel che si è abbattuto su di noi».
Lei è sempre stato critico nei confronti della politica dai tempi delle sue satire contro Nixon fino a Trump.
«Il mio paese ha ingurgitato un mostro orrendo. Vedremo se riuscirà a rigurgitarlo prima che il suo veleno contamini tutto».
Lei si è impegnato molto in passato per gli scrittori dell’Europa orientale che vivevano sotto la dittatura.
Oggi in quelle regioni nascono movimenti xenofobi e di estrema destra che penetrano nel cuore dell’Occidente. È una nuova Weimar?
«Negli anni Settanta ho curato una collana per la Penguin chiamata “Writers from the Other Europe” in cui ho pubblicato narrativa scritta sotto il regime totalitario comunista in Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria e Jugoslavia.
Ora, quando sul giornale leggo dei regimi autoritari xenofobi saliti al potere in alcuni di quei paesi, penso con grande tristezza agli scrittori che ho pubblicato. In quegli anni terribili molti di loro li sono andati a trovare, e ho avuto modo di conoscerli bene. È una grottesca ironia della storia che la loro forza d’animo e le loro sofferenze nel resistere al comunismo siano sfociate, meno di vent’anni dopo, in questa profanazione della democrazia».
Come possiamo immaginare la sua vita ora? Magari in questo preciso momento.
«Sono seduto su una logora poltrona Eames che è diventata la mia casa da quando ho abbandonato il computer alla scrivania. Il pavimento tutt’attorno è disseminato di libri e riviste che sto leggendo, e accanto a me, a portata di mano, c’è un tavolino quadrato di vetro su cui sono impilati i libri che ho finito di recente e quelli che intendo leggere dopo. È straordinariamente silenzioso, per essere un appartamento newyorkese. Ho i doppi vetri per tenere lontano il rumore della strada, e dagli appartamenti accanto non sento nulla, sia perché i vicini sono tranquilli sia perché le pareti sono acusticamente isolate.
La televisione è spenta, quindi niente Trump. Appena finirò di scrivere questa risposta, mi rimetterò a leggere il penultimo capitolo di Impressioni personali di Isaiah Berlin, una straordinaria galleria di ritratti di alcune delle più grandi figure del Novecento, da Winston Churchill e Virginia Woolf ad Albert Einstein e Edmund Wilson. Ora sto leggendo dei suoi incontri con gli scrittori russi nel 1946.
C’è anche quella che è forse la più grande di tutti, la poetessa Anna Achmatova, che Berlin incontra una notte nel suo appartamento di Leningrado, dove vive come una paria, perseguitata da Stalin e dal suo regime. “Mi parlò della sua solitudine e del suo isolamento, sia personale sia culturale. Per lei la Leningrado del dopoguerra non era altro che un enorme cimitero — i pochi alberi carbonizzati rendevano la desolazione ancor più desolata”. Ora vi lascio e torno alla mia serata con Isaiah Berlin e Anna Achmatova. Cosa potrebbe esserci di meglio?».
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