sabato 22 aprile 2017

Paolo Aita: un amico in più. Con Gianluca Covelli

Al tavolo fra i relatori stava allora Gianluca Covelli, curatore e critico d'arte, eravamo al Complesso Monumentale San Giovanni a Catanzaro. Come allora stasera a Cosenza, al MAM, museo delle arti e dei mestieri, Gianluca Covelli cura la mostra  su Paolo Aita. Lui mi porge il suo intervento, noi siamo arrivati molto tardi e proprio ai saluti, però rimaniamo oltre la chiusura a chiacchierare. Hic et nunc il titolo del suo parlare di Paolo Aita. Esserci, non solo come localizzazione nello spazio ma qualcosa che ha a che fare con il modo in cui l'Essere si dà nella storia, nell'esistenza dell'uomo. Una stretta emotiva lega gli uomini tra loro vicini ad una dottrina cognitiva che crea soddisfazione. Tutti i movimenti storici e artistici, tutto ogni ogni nostro fare, secondo Vico, nasce da impulso emotivo e solo dopo interviene la conoscenza e lo studio a spiegare, a costruire. Con il senso alto del piacere. 

Ho conosciuto Paolo Aita attraverso le parole dei suoi amici, dei curatori di questa mostra in suo ricordo. Mi è rimasto amico, come mi sono rimasti amici Alessandro Bozzo e Rocco Carbone, entrambi conosciuti attraverso le parole degli amici. Mi succede così con frequentazioni atemporali oltre il sensibile. Si può vivere dopo la morte nei racconti di amici cari e diventare amici di chi si appropria di quei racconti.
Avevo già scritto su Paolo Aita, stasera incontro le sue poesie, nelle mani del responsabile della Vertigoarte, la galleria di Cosenza, promotrice di questa mostra insieme ad artisti e ad altre associazioni. Leggo e fotografo le sue poesie, grata a Salvatore Anelli che me le dona in fogli sparsi. Torno a casa ricchissima. Fogli e fogli con me. Parole e opere. Intanto che si conversa raccolgo una gratificazione assoluta, sciolta da qualsiasi legame: ciò che vedo in anteprima di un qualcosa che avverrà e di cui taccio, un segreto che tutti poi applaudiremo e la parola di Ghislain Mayaud, amico di Paolo Aita, docente  e critico d'arte, nonché artista e poeta, dire del mio pezzo su Paolo Aita È una carezza.
Ancora più unita 
sarai di questi segni,
piccoli grani di delizia.
Un fermo, una pausa
che si impunta,
Svirgola e s'arriccia
nei pensieri. (Paolo Aita)
Nelle relazioni che ci fanno vivere raccogliamo i versi di Paolo Aita, le opere degli artisti, il momento sensibile, il fuori nelle musiche e nel ballo, nei gesti e nel presente che già lontano è, lasciandoci l'amicizia che ci  rallegrerà.  http://trollipp.blogspot.it/2017/03/quella-sera-vertigoarte-ponte-di.html 
Ippolita Luzzo  

domenica 16 aprile 2017

Pasquetta fuori porta Aprile 2011

Pasquetta a Tropea Capo Vaticano   Aprile 2011
La conversazione cos'è?
Una pasquetta fuori porta, fuori stagione,  il tempo incerto, il mare mosso, il vento –levante?
Una pasquetta tradizionale, tranquilla.
Una  semplicità affettuosa negli accoglienti padroni di casa, nei modi, nel fare, nel muoversi. 
Semplicità anche negli ospiti, solo che fra gli ospiti c'è lei. 
La signora so tutto io è una  bella signora.
Occhi celesti, capelli grigi, pettinatura  e vestiti impeccabili, porge con garbo professionale le sue parole con l’autorità del suo dire.
È tutto perfetto, non c’è una sbavatura, gli argomenti esposti correttamente anche facilmente condivisibili, l'eloquio fluente, un parlare misurato. 
Allora perché, ogni tanto, in me che ascolto  prende una leggera insofferenza? Voglia di protagonismo la mia?
Me lo domando e mi assolvo, non desidero nessun riflettore stamani, anzi, più la ascolto, più vorrei eclissarmi. 
Invidia, forse, verso una bella signora che sembra abbia la quintessenza della saggezza e che sembra le siano capitate nella vita tutte le cose come si deve- marito- figli- suocera- madre – lavoro? Tutto meravigliosamente regolare. Ma no, non riesco ad invidiarla. 
Qualcuno cerca e non riesce di esprimere un pensiero, un concetto più dubbioso, un interrogativo su se stesso, è un uomo che si chiede ed esprime un sentire dell’animo, il primo sentire della giornata, ma la conversazione monopolizzata dalla signora so tutto io prosegue come se non avesse sentito. Peccato!
Ed ho capito cosa non mi piaceva-  il non ascolto, la chiacchiera garbata, formale, corretta, che impediva qualsiasi messa in discussione.
Eppure sarebbe stata possibile una conversazione diversa e più leggermente aperta, perché ogni tanto affiorava un gesto, uno sguardo d’intesa, un sorriso e fra noi altri c'era un  tentativo fanciullesco di piccola disubbidienza alle regole della signora maestra.
Fra quello che noi, suoi alunni, volevamo dalla vita e quello che abbiamo avuto c'era uno scarto, una divaricazione netta, che ci ha stupito ma non ci ha deragliato. Gli scossoni, gli attentati, che nel corso degli avvenimenti avrebbero potuto annullarci hanno fortificato le nostre coscienze di uomini e donne capaci, che ora ascoltiamo la sua bella lezione con affettuosità e disincanto, capendone l’importanza, riconoscendone l’utilità.
La scuola, le regole, il sacrificio, per noi non hanno potuto cambiare il corso delle cose.
Abbiamo creduto sicuramente nelle iniziative, nei progetti, li abbiamo sostenuti, incoraggiati, ma poi il contesto umano intorno a noi era diverso, non ci ha aiutato. Cooperative poco cooperative,figli con desideri e residenze lontani, un corpo che non riconosciamo più nostro, e un domandarsi perplessi su quale sia ora il nostro momento.
Ecco, questo avremmo voluto dire noi a noi stessi, se ne avessimo avuto la possibilità, avremmo voluto parlarne, condividere un disagio, sempre con la leggerezza e la cortesia della buona educazione.
Ma abbiamo parlato molto e ascoltato poco perché abbiamo dimenticato quanto un buon ascolto liberi la nostra mente
Liberi avremmo potuto ascoltare oltre le parole, oltre i gesti, oltre il movimento,  il sussurro  dell’anima e fare di quel momento vita vera.
La convivialità cos'è?
Ippolita Luzzo 
                                                                

venerdì 14 aprile 2017

La bellezza che resta Fabrizio Coscia Soli Eravamo

Ci sono alcuni libri, pochi in verità, che diventano nostri amici.
Ce li portiamo in giro, in borsa, nelle mani, dappertutto.
Se ci fotografano li mostriamo orgogliosi e, come succede con gli amici, tutto ci rimanda al loro contenuto, al loro dire. 
Così dalle Domenica delle Palme, le palme festanti sul Corso Numistrano sfilano seguendo in corteo "Il giorno della conoscenza"in Russia, la prima pagina del libro di Fabrizio Coscia La bellezza che resta ad oggi, Venerdì Santo, con la processione del corpo di Gesù riverso nel grembo della Madonna addolorata. 
Mi sembra di vederli quei bambini il primo settembre di ogni anno ringraziare con fiori i loro insegnanti per la dedizione con cui si prenderanno cura di loro. Un ringraziamento anticipato, di riconoscenza, simile alla folla che a Gerusalemme con palme in mano accorrevano a salutare un uomo che donava la buona novella e faceva miracoli. 
I momenti festosi di un primo settembre a Beslan furono seguiti da momenti tragici così come nel Vangelo e Fabrizio Coscia, nel cercare un lenimento ma soprattutto una luce in avvenimenti che videro una strage perpetrata dai ceceni in una scuola per combattere contro il governo russo, si imbatte in un articolo sulla Repubblica dal titolo "Il perdono impossibile" e in quell'articolo il poeta russo Evtušenko  scrive di come  il libro di Tolstoj "Chadzi-Murat" forse, se letto da Putin, avrebbe fatto da deterrente alla guerra contro i ceceni.
Un libro può ergersi contro il Male? e nel male, nel dolore come può esistere la bellezza? Nel tanto che si usa a sproposito questo sostantivo con un potere salvifico appioppato a casaccio qui invece si ricorda altro. 
La bellezza è una cosa spaventosa, terribile. La bellezza come svelamento. La bellezza è verità. La bellezza che resta dunque cos'è?  questa è la domanda che Fabrizio ci fa e si fa, leggendo il libro di Tolstoj "Chadzi-Murat" pubblicato postumo, scritto negli ultimi anni. "Il miglior racconto del mondo secondo il critico americano Haold Bloom". 
Fabrizio Coscia chiede alla letteratura una risposta, chiede alla letteratura quella legge interiore che fu di Tolstoj, di Renoir, di Leopardi, di Simone Weil, di Frida Kalo, di Keats.
Ogni cosa mi riporta al libro, vi dicevo prima, ogni lettura, ogni domanda, e una lettera di Olga Knipper alle lettere di cui parla Domenico Dara, nel Breve Trattato sulle coincidenze, come riparazione dei buchi, lettere che un postino consegna al mondo che a me non rispose mai... con Emily Dickinson. 
"Per molto tempo dopo la morte di Čechov, nel suo diario Olga Knipper continuò a scrivere lettere al marito, in una ostinata, imperterrita negazione della realtà. "E mentre ti scrivo - si legge in una di queste - sento che sei vivo, da qualche parte, mentre aspetti la mia lettera" La bellezza che resta  
Intrecciando la propria vita e quella di suo padre in rianimazione con gli artisti che alla fine della loro vita diedero esempi fulgidi di bellezza fa dire a Renoir in risposta a Matisse stranito dal vederlo dipingere con le mani fasciate e sofferenti per l'artrite "Il dolore passa la bellezza resta" 
La bellezza di Renoir, di Simone Weil, negli occhi, nella luce, nella voglia di guardare. "Non siate ingrate verso le cose belle" è l'esortazione di Simone Weil ai suoi genitori mentre si spegneva nel sanatorio di Ashford. 
Mi lascio prendere dall'urgenza di dirvi altro, di parlarvi di questo libro: non è un romanzo, non è un saggio, non è un genere letterario, è la testimonianza di un grande amore verso la letteratura, di una grande passione verso gli scrittori e della consapevolezza di un compito alto e bello affidato alla lettura.
La bellezza che resta segue Soli eravamo mentre ci allontaniamo dalle brutture.  
"Vivere richiede di allontanarci da ciò che vivo non è più: congedarsi con terribile urgenza da chi ha smesso di esserci, chiudere gli occhi a chi non resta." 
C'è un periodo necessario in cui l'uomo affronta grandi lutti, sciagure, terremoti, guerre, malattie, cattiverie, è il periodo della elaborazione.
La bellezza  che resta, nonostante cotanto male, è l'inesorabile lontananza, un miraggio, il sentimento di verità. 
Ippolita Luzzo 

mercoledì 12 aprile 2017

Tania dagli occhi luminosi

Tania  quella sera faceva il turno in pizzeria.
Sua madre era lontana, ammalata grave.
Lei stava a Lamezia per lavorare.
Non ricordo di quale paese fosse e non l'ho più rivista. 
Quando ritornai per lasciarle questi miei pensieri era andata via.

10 marzo 2012
Tania dagli occhi luminosi    
Così luminosi da rischiarare la mia strada
L’abitacolo della mia panda
L’ingresso di casa, il soggiorno e la cucina
Diffondendo la luce
Trafiggendo l’oscurità con il suo sguardo
Tania dagli occhi luminosi
Dalla pelle rosea e chiaramente seta
Sorride  a me per un coperto
Per una pizza ed una coca
Donandomi invece la serenità
                                                  Ippolita

lunedì 10 aprile 2017

Pasquetta

5 aprile 2010
La mia pasquetta

Il Lunedì dell’Angelo che annuncia agli uomini il Cristo Risorto è per tanti il giorno della prima uscita fuori porta. La "Galinea",  si diceva da bambini, e noi salivamo in terrazza con la cuzzupa in mano.
Non avevamo nemmeno allora comitive vocianti e chiassose, ne conoscevamo l’esistenza però e il senso di privazione di qualcosa al quale mi sarebbe piaciuto partecipare mi ha seguito per tutta la vita,
è sicuramente per molti, per tanti così.
So però dell’esistenza di autobus che partono per agriturismi fiorenti, macchine in gruppo per località di mare, sento e vedo tutto con la fantasia.
Cosa impedisca la realizzazione di questo sogno infantile non l’ho appurato. 
Mi muovo fra gli altri con delicatezza e cortesia, sono disponibile ad essere d’aiuto, telefono, ascolto, invito, non critico e non giudico, ma tollerante cerco di esserlo sia per me che per chi mi circonda, poi vorrei che anche chi mi sta accanto facesse così. 
Arrivo a tesserarmi a qualche associazione, partecipo a qualche iniziativa, ma tutto si spegne velocemente come quando lo stoppino dell’olio incontra l’acqua. Puff.
Le feste sono la dissolvenza dei rapporti sociali che mi illudo di costruire giorno per giorno. Ricordo un’altra pasquetta di un anno fa, forse.  Ritornai ad invitare alcuni soci di un circolo che frequentavo e una signora, accettando,  commentò:- Per me, tutto fa brodo! 
Una signora che ha una comitiva,  che si muove in gruppo, che è sempre insieme ai suoi amici.
Io raggelai e avvilita non riuscì più a concretizzare l’invito. Preferii la solitudine.
Ho la presunzione di coltivare amicizie da molti anni, ho affetto verso i miei parenti, mamma ha sempre invitato loro, nessuno ha mai invitato la mia mamma. 
Un giorno passeggiai con una mia compagna di scuola ora deputata al Parlamento e questa mi disse: - Ippò,  nessuno mi invita, nessuno si ricorda di me.
Io la guardai con curiosità e replicai:- Non è vero! Tu sei seguita, sei votata, sei stimata!
Lei si sentiva così. Non si accorgeva.
Probabile che io non mi accorga degli inviti che mi fanno, delle proposte di gite fuori porta e rinuncio senza accorgermi del rutilante e caleidoscopico tavolo approntato per me da una compagnia sorridente e solare.
Nel castello immaginario e immaginato dei nostri legami ci sarà pure la stanza della convivialità, del desco frequentato da gentiluomini e gentildonne, arguti e salaci, ironici e leggeri, capaci ancora della delicata arte del conversare tra simili.
Filo, quando era ragazza, in un pomeriggio di Natale di molti anni fa, scelse una vita così.
Bella d’incontri, di viaggi, di comitive, la disegnò e la realizzò. 
Non so quanto abbia lavorato e quante rinunce abbia dovuto fare per ottenere ciò, ma la vedo giustamente fiera.
Ne sono ammirata, ma vorrei tanto che queste tecniche, che queste abilità venissero insegnate e che tutti possano realizzare una felice condivisione del Lunedì dell’Angelo e delle altre feste comandate, avendo in mano se non la chiave, almeno la mappa con la quale orientarsi verso la stanza della convivialità. 

Oggi /7/ Aprile 2012
Quell'anno, nel pomeriggio del Lunedì dell’Angelo, andai a mare con una amica e sulle panchine del lungomare leggevo a lei il mio pezzo. Alcune donne s’incuriosirono, si fermarono ad ascoltare, una di loro mi disse:-Lei, signora, ha raccontato la mia pasquetta.
Le altre annuirono e mi ritrovai a rileggere ad un gruppetto di donne sole  quel che ormai era un racconto corale.
Poi riposi il pezzo e l’anno dopo scrissi un’altra pasquetta
Ormai ero un personaggio letterario
Ippolita Luzzo 

domenica 9 aprile 2017

Maurice Aymard e Tino Caspanello al Tip

Due serate al Tip: Venerdì 7 aprile Maurice Aymard, Sabato 8 Tino Caspanello
La storia raccontata dall'altra parte della sponda. Il mare immenso che divide i destini di popoli e i destini individuali. Partire e non tornare. La comprensione dei grandi e piccoli movimenti di interi popoli che inseguono la stessa illusione di una sola donna. Si lascia il proprio paese e si va verso l'incertezza, fidando nella sorte.
Aymard e Caspanello ci parlano del mare, nelle due serate al Tip, il Mar Mediterraneo che la protagonista lascia per quella lunga traversata di dieci mesi necessaria per raggiungere Buenos Aires dove segue le spalle di un uomo che l'ha sposata per procura. 
Quel mar Mediterraneo insanguinato e rosso color del vino, cimitero ormai di una storia lunga, estesa, fatta di tanti annegati, scomparsi, nell'illusione di raggiungere l'altra sponda. Mi si incrociano così i destini delle due serate, una lezione di storia del professore Maurice Aymard, allievo di Braudel, studioso e uomo generoso, studioso consapevole che solo la comprensione possa darci il senso dei fatti storici e individuali. La comprensione e la pietas, direbbe
Caspanello nel raccontarci con lieve e aderente scrittura il narrato di una vita fatta di piccoli punti. Siamo in un piccolo borgo siciliano nei primi anni cinquanta, sulla scena una donna ricama ed insegna ai bambini come il ricamo deve essere ordinato, come voglia luce, tanta luce per non sbagliare, come bisogna contare i punti, perché la fortuna arriva e se ne va via. Si intreccia così la vita di ognuno nella storia dei punti da collegare. Quella mattina lei va nell'orto ad innaffiare, non voleva andare, lo racconta, e quell'andata le sterzerà un destino. Qualcuno la vede, un italiano emigrato in Argentina, la chiede in sposa e lei parte. Porta con sé una foto della sua famiglia e il vestito da sposa fatto con la seta di un paracadute trovato in campagna. Da Rocchenere, frazione di un paese in provincia di Messina, a Buenos Aires, ad affrontare il mare che ci unisce e ci separa. La traversata e poi quell'incidente fatale, il momento in cui si ritrova nelle mani un neonato abbandonato. Sulle note di un tango struggente, come una melodia nuziale mai suonata, colui che l'aspetta non crederà alla sua versione nemmeno di fronte all'evidenza, anzi distruggerà quell'unica prova dell'innocenza in una notte di brutalità. Nulla poi sappiamo dei tanti giorni trascorsi, nulla se non quel racconto lirico e folle dell'estraniamento. 
Come Caspanello con poco ci restituisce il dramma, così Braudel, nelle parole di Aymard, a memoria riscrive la storia dei popoli del Mediterraneo, dall'altra sponda. La storia scritta in modo letterario. La storia come un romanzo veniva scritta da Braudel, la storia come teatro potrebbe essere quella di Caspanello. Interpretazione e comprensione di fatti elaborati dall'interiorità dello studioso, del regista, dei lettori e degli spettatori. La storia come letteratura  A 22 anni Braudel va in Algeria e moltiplica i punti di vista, ci invita a considerare ogni fatto nella dimensione temporale e spaziale in una storia del mondo che non abbia frontiere. Una storia estesa che comprenda gli individui e le diversità, gli incontri fra studiosi di tutte le lingue verso il rispetto dei luoghi e della natura, verso l'ecologia e la generosità. 
Due grandi momenti al Tip. Due sponde per dirci che storia non è solo guerra e violenza. 
Ippolita Luzzo  

giovedì 6 aprile 2017

Il disagio ed il vento a Palazzo Nicotera

É arrivato il nostro scrittore, voi lo conoscete -dice la dottoressa Rossella Manfredi, senza aggiungere il nome perché ormai Domenico Dara è lo scrittore che tutti qui sentiamo nostro.
Miglior augurio non c'è per la sua recente candidatura al Premio Strega di quel "nostro scrittore" con cui è stato presentato al numeroso pubblico presente in una serata organizzata dal Lions Club di Lamezia. La stanza del palazzo in effetti è piccola per questo evento, molti resteranno nelle altre stanze e solo alla fine potranno avvicinarsi per i saluti e gli omaggi.

Il vento scorre
Rossella Manfredi nel presentare e condurre la serata darà alla collega Sonia Graziano il compito di illustrare un lavoro che ha curato proprio la Dottoressa Sonia Graziano.
Un mondo interiore da esplorare in questo libro scritto dalle ragazze di un laboratorio di scrittura tenuto da Sonia Graziano per lenire il disagio mentale. 
Un incontro fra donne all'ora del the, un gruppo Allegria, lo chiamano, un momento di filtro; come la bustina del the filtra l'energica teina corroborante, così il dialogo ed il racconto, inventato o meno, profuma e attenua difficoltà e angustie. 
Non si parlerà stasera di malattia mentale, non si parlerà di farmaci, di cure più o meno invasive, di interventi dissonanti e divergenti, di durezza e complessità. Ne accenna alla fine il dottore Pagliaro, sui medici che dicono cose diverse e sul difficile momento dei familiari di un loro congiunto affetto da disagio e nebbia. 

Stasera l'approccio cura è affidato alla scrittura, più come consolazione, come urgenza, bisogno insopprimibile di comunicare. 
La dottoressa Sonia Graziano comunica con ogni gesto, sguardo, mimica, l'emozione e la felicità di credere in questo tentativo, ora trasformato in un libro, ed è lei stessa a trasmettere a noi la certezza di questa verità. 
Un mondo interiore che si rivela mentre lei beve un sorso d'acqua, mentre sorride di un sorriso anch'esso interiore e consapevole. Il gruppo di scrittura da lei organizzato è stato per lei un recipiente in cui far affluire le sofferenze. Scambiando personaggi con la persona, ci racconta di come si sia rifiutata di farsi identificare con la nonna, uno dei personaggi del libro. 
Sorride Sonia mentre ci presenta le otto ragazze, due gemelle,  ci racconta di una di loro che ha paura di guardarsi nello specchio. 
Sorride e ci conquista nel suo sentirsi  lei desiderosa di essere guidata, di essere confortata, e con questo spirito si rivolge a Domenico Dara chiedendo a lui forse la guida. 
Domenico non ha ricette da dare sulla scrittura, chiunque può scrivere e deve scrivere, se lo sente, in modo originale. Insegnare a scrivere una scrittura creativa non si può, l'atto del creare è libero. 
Vero è però che il racconto cura, che raccontarsi è una autobiografia della cura del sé, che la scrittura è riparazione e trova il filo logico, dona un senso, ridona significato alla vita, dona un ordine ad avvenimenti che ordine non hanno. La vita è un labirinto e la scrittura è un filo. 
Ogni storia è degna di essere raccontata e letta ed in quel momento possiamo, leggendo le storie di autori classici, essere Ovidio, nelle Metamorfosi, oppure Madame Bovary di Flaubert. Sull'esigenza del libro ricorderà il  film  Fahrenheit 451 quando verranno distrutti i libri ma ogni uomo imparerà un libro a memoria per non perderne la memoria e continuare a raccontare raccontandosi. 
Domenico ci parla delle lettere che alcuni studenti di un liceo scientifico di Firenze fecero a qualcuno a loro caro, su invito, in occasione della presentazione del suo libro Breve Trattato sulle coincidenze.
Su dodici dieci avevano scritto al nonno che non c'era più ed anche le altre due erano a due genitori morti.
Come nel libro di Fabrizio Coscia che io mi sono portata dietro "La bellezza che resta""Per molto tempo dopo la morte di Čechov, nel suo diario Olga Knipper continuò a scrivere lettere al marito, in una ostinata, imperterrita negazione della realtà. "E mentre ti scrivo - si legge in una di queste - sento che sei vivo, da qualche parte, mentre aspetti la mia lettera"
La scrittura è un rammendo ma la frattura resta, la lacerazione è lì, nella sua nudità, il grado zero. 
Legge il frammento di Isa, il gesto della madre di Isa ogni sera a ripetere sempre gli stessi gesti, come un rituale per dare una rassicurazione. 
Tre volte chiudeva e riapriva porte, cassetti, tre volte e controllava sempre. L'ossessione di perdersi e ritrovarsi nel gesto ripetuto.
Ogni parola ha il suo significato, ogni gesto, segreto anche a chi l'ha detto o fatto. 
Eva invece la conosciamo attraverso il racconto della nonna in un'insalata di parole. Anche il soffitto della sua camera era pieno di parole. 
Scrivere non è un atto naturale, conclude Domenico, scrivere venne dopo nella storia degli uomini; al sorgere della civiltà, ci insegna Esiodo nel Prometeo Incatenato, concludo io così questi pochi appunti su una serata che finisce in una lettera d'amore, che esiste nel libro, dice Sonia, ed a me ritorna in mente quella a Teresa Sperarò, dove vi mando, nella lettura del nostro scrittore. 
Ippolita Luzzo