domenica 27 novembre 2016

Ricchezza e cultura: il respiro che non c'è

Valanghe di soldi sulla cultura arrivano dagli enti proposti. 
Valanghe benefiche nelle tasche dei dirigenti, di dirigenti e animatori addetti.
Valanghe culturali che poi diventano rivoli sempre più piccoli quando giungono a dover pagare gli artisti che stanno con il cappello in mano, con la mano tesa a chieder mercede. Ricchezza si sposa con ricchezza, da sempre ed ora perché dovrebbe far eccezione?
Ricchezza si sposa e vuole al suo matrimonio il canto di menestrelli educati, i quadri ed i ninnoli per far bella la festa, il cibo del cuoco che sia di nome acclarato, il vestito e gli invitati tutti abbinati. 
Ricchezza poi fa finta di essere caritatevole, in fondo si sposa e vuol essere buona.
Fa finta perciò di essere umile, interessata al sociale, pronta a mettere fiocchetto contro la violenza verso chiunque, a metter colore d bandiera francese, ad essere per giornata gay pride, ad essere insomma benigna verso le categorie. 
Meglio essere aperti- si dice fa sé la ricchezza che sposa cultura. 
Ed è così che il matrimonio diventa una festa, una festa grande, applaudita ed anche bella, perché si sa, "la bellezza salverà il mondo", con questa frase orribile, buona però per digerire il pasto. 
Un rutto è dunque il respiro che resta, dopo il pasto abbondante, dopo i balli, dopo gli evviva, il rutto dei ricchi è quello che resterà a chi, povero artista, povero ma non categoria, può solo guardare senza farne parte, come alla corte medicea del Cinquecento. Respiro non c'è, c'è solo la festa. Ricchezza e cultura si mettono in macchina e partono insieme in viaggio di nozze. Evviva gli sposi 

sabato 26 novembre 2016

Il Vangelo secondo Antonio di Dario De Luca

Le marionette che diventiamo se vengono tagliati i fili, se si spezzano i fili della coscienza, se si annienta la volontà, fra malattia e dipendenza a ciondoloni si sta.
Il Vangelo secondo Antonio, atto teatrale di Dario De Luca, un testo nato da una idea contenuta nel libro della dottoressa Francesca Frangipane, autrice del "La vita dimenticata", e voluto questa sera dall'Associazione per la Ricerca Neurogenetica di Lamezia Terme, va in scena al Teatro di Lamezia nella giornata contro la violenza delle donne, una violenza contro la volontà, ed in  entrambi i momenti io vedo la stessa realtà. Una volontà che si annulla tagliando i fili della coscienza. 
Un fatto vero ha sollecitato l'attore e autore a trasformare in teatro le fasi della malattia l'Alzheimer che taglia fuori dal consesso civile l'ammalato e spezza i ricordi.
Cosa ci fa essere senzienti e coscienti? Il ricordo. Il ricordo di chi noi siamo. Eppure sulla coscienza leggevo che è il mistero più profondo.
 "Un pugno ben assestato sconquassa il cervello e la coscienza scompare, una fiala di anestetico  o una droga potente e ciascuno di noi si spegne nel nulla, cessiamo di esistere, ed ogni sera quando ci addormentiamo svaniscono improvvisamente spazio, tempo, pensieri, forme, colori, il nostro mondo, l'universo intero." Sono fili che ci tengono al mondo, i fili del ricordo, della consapevolezza. Al di là della malattia, la tematica va oltre raggiungendo ognuno di noi, seduto a guardare quel perdere i fili su una scena fatta di certezze, i fili illuminati con cui viene delimitato lo spazio della recita.
Fili di luce, rettangoli e quadrati, e poi al centro della scena il crocifisso come l'uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, le proporzioni che ci fanno appartenere al centro dell'universo. 
Esserci con le nostre misure. 
Il grande sconforto assale, la grande debolezza e disperazione avvolge famiglie e singoli nel momento straziante della perdita senza ritorno di quei fili che uniscono l'individuo all'universo e la famiglia all'individuo, lasciando vagare ognuno nell'indistinto dolore. 
Nel testo di Antonio De Luca un parroco di un piccolo paese si accorge, tutti si accorgono, ricordo perfettamente mia zia come si accorse, e nel momento che si accorge c'è tutta la paura di precipitare nel nulla indistinto.
Il testo si accolla la drammaticità di una malattia, sulla quale la medicina cerca ancora la cura, la prevenzione, e diventa però metafora di un mondo in cui tutti, privati dal nostro essere cosciente rimaniamo marionette ed il nostro vivere con le parole del fisico Erwin Schrödinger diventa "una recita davanti un teatro vuoto, un teatro di marionette per marionette." Perché fare non è essere ed essere è essere coscienti.
Dario De Luca, Scena Verticale, dalla malattia alla dipendenza, e dalla dipendenza all'uomo, centro di tutte le cose, universalizzando una tematica che ogni giorno ci chiede attenzione.
Qui il momento dell'accorgersi, la bravissima Matilde Piana, la sorella del prete,  porta le mani alla testa, nel momento in cui entrambi sanno di precipitare in un indistinto senza ritorno. 
E lo sguardo finale di Davide  Fasano, che interpreta il prete assistente in parrocchia, nella scena del sudario con cui Don Antonio avvolge il corpo di Cristo con l'ultimo gesto rimasto impresso su una memoria a brandelli.
Dario De Luca trasforma il suo corpo e percorre lo straniamento in ogni fase, adattando la materia alla rarefazione dell'essere con l'abilità dei grandi attori di sempre. Nel Vangelo secondo Antonio.   

     

giovedì 24 novembre 2016

Dal passato: La mezza età


Quando pubblicavo su Neteditor 
Pubblicato da Ippi il Mar, 10/04/2012 - 15:40
Che bella età la mezza età
Cantava così negli anni sessanta Marcello Marchesi
Tranquillità, serenità
Già, ma qual era la mezza età?
Per me, bambina allora, era l’età dei miei genitori, degli zii, oltre i quarant’anni 
Era l’età della mia maestra, del parroco, del commerciante, del mio medico di famiglia
La mezza età allora esisteva
Mia mamma si vestiva da mamma, la nonna faceva la nonna, il nonno portava il cappello, un borsalino, panama, il vestito doppio petto grigio, mio padre era severo e comandava su tutto, dopo il nonno, però.
Gli adulti erano adulti
Poi il tempo passò ed adulti saremmo dovuti diventare noi.
Noi?
Ma siamo matti?
Noi? che abbiamo fatto gli anni settanta con perline e gonnellini, con eskimo e jens?
Neanche a pensarci.
E così abbiamo allevato i nostri ragazzi nel laissez faire più scontato, abbiamo cavalcato gli anni novanta e duemila con ipnosi collettiva ed ora, quasi, siamo ancora sulla soglia di una adolescenza, immemori e incantati del tempo  passato.
Abbiamo reagito in vari modi.
Molti scompostamente, molte donne e uomini sembrano macchiette,
ma la maggior parte di noi, ha ripreso un cammino, mi auguro felice, del riappropriarsi del nostro mondo, degli ideali in cui abbiamo creduto
Non li abbiamo mai dimenticati, solo soporiferamente, abbiamo lasciato che le cose, gli inganni, i matrimoni, gli interessi, il lavoro, ci allontanassero
E così ci rifiutiamo, a cinquant’anni, cinquantacinque ed oltre, di sentirci nella mezza età
Siamo in una età
Sicuramente, ma la vera età è l’età del nostro entusiasmo, è l’età di imparare il pc,  di imparare il web, di riprendere in mano gli studi, la poesia, gli ideali, di riprendere in mano il filo della memoria
Ed è uno stato di grazia,una grande opportunità, una seconda giovinezza.
Non importa se non abbiamo vissuto la prima, o se l’abbiamo vissuta intensamente
Stranamente chi l’ha vissuta intensamente permettendosi amori reali  ed incontri occasionali ora ha l’ennui
Invece chi ha vissuto di rimessa, guardando e sognando, ha ancora il pudore e la bellezza del sogno pulito di una possibile alterità
E riconosco che ognuno racconta dalla sua stanza
Ognuno racconta per darsi un motivo
Per farsi una ragione
Per darsi un perché
Senza sentirci in una età--- come una riserva indiana

lunedì 21 novembre 2016

Di spazio e di luce, l'artista Caporale al Marca



Alla ricerca di uno spazio per trovare un po' di luce sembra dicano i corpi fluttuanti, le teste staccate e cerchiate insieme con rane, le mani ed i piedi nel giallo e celeste di un luogo non luogo.
Così Marc Augè ricorda i non luoghi, dove l'umanità si accalca per lenire la solitudine di un vivere senza. Centri commerciali, nuovi spazi di un nulla umano che chiede il conforto di dimenticare.
Il quadro di Antonio Caporale sembra dialogare con Marc Augè e regala un non luogo dove mani, piedi e bocca chiedono e non ottengono, chiedono e vengono lasciati nuotare nel giallo di un non luogo.
L'alienazione si vede e si sente stasera, nella bravura dell'artista che mette nei colori e nelle sue figure quel grido, quella richiesta. quella fame di esserci, come identità, come persona.
Ci siamo? Ci siamo quando siamo in un luogo? Così ci chiedono quelle terracotte di argilla rossa ingobbiata di argilla bianca, liquida, (questa, mi spiega l'artista, la tecnica usata), ci siamo? e dove siamo? e a chi chiediamo qualcosa? inutile, il gesto sembra rivolgersi a chi ci sta accanto ed ogni gesto fluttua anche da fermo, fluttua, sui quadri, sulla terracotta, fluttua e si protende, inutilmente.
La curatrice della Mostra, Teodolinda Coltellaro, ci mostra la tensione spirituale del protendere, l'elevarsi proprio, io invece ne sento a pelle quel grande bisogno imploso, trattenuto sotto uno strato di bianco che mi ricorda il brano del Vangelo sui sepolcri imbiancati. 
E ci sono moltissimi riferimenti stasera ad un Vangelo presente nella infanzia ed adolescenza di tanti di noi, nella preparazione alla Prima Comunione anche noi di bianco vestiti.
Fra discorso e ascolto un muro. Questa la sala del discorso,
dall'altra parte l'ascolto.
Al Marca le opere stanno in due sale parallele e non si incontrano mai, nemmeno fra i partecipanti accorsi numerosi all'inaugurazione della mostra. Da una parte i tre momenti del discorso
"Il primo discorso e l'asino buono"
"Il secondo discorso una mano in preghiera" e
"Il terzo discorso sulla montagna", dall'altra parte del muro l'ascolto, nei tre momenti: ascolto da un solo orecchio,
"Il primo ascolto"poi "Il secondo ascolto" e "Il terzo ascolto, il sogno si fece pane" ascolto e preghiera affinché possa la preghiera dare un senso alla solitudine del discorso.
Nel vagare da una parte all'altra trovo un ponte, fragile e messo in fondo ed io penso che forse il ponte dovrebbe stare a congiungere un discorso con un ascolto diventato ormai impossibile. "Passaggio del ponte da Occidente a Oriente" un passaggio attuabile solo attraverso il cuore, sembra ci dica l'opera che posiziona i due pilastri del ponte all'altezza dello sterno e non più della bocca.
Un passaggio di spazio e di luce.  

    

martedì 15 novembre 2016

Il palio di Sant'Eufemia

Il Palio di S. Eufemia del 2009 forse 

Vado, non vado, fa caldo, troppo caldo, chiamo qualche amica, ma no, vado sola. 
E così nel pomeriggio assolato di un giorno di Agosto, vado ad assistere al Palio.
Mi ritrovo con altre persone nella piazza di Sant'Eufemia; silenzio, poi qualcuno mette della musica.. arrivano ragazzi con costumi normanni, cominciano a prendere posto per la sfilata; arrivano i cavalli e i loro cavalieri, si  posizionano e aspettano.
Un cavallo con lo zoccolo batte impaziente sul selciato, una volta, due volte.
Finirà per rompere l'asfalto, è il commento di una signora accanto a me. Ma poi velocemente tutto si anima, la sfilata ha inizio, i colori, i costumi, i personaggi, la corte bizantina sfila sotto i nostri occhi, i cavalli seguono, ed anche noi, con passo deciso, li seguiamo fin nello stadio Riga dove prenderemo posto.
Una musica che io conosco, risuona nell'aria. Suona un flauto cinese, una musica che rimanda a castelli in rovina, abbazie dimenticate, giostre, libri di storia impolverati.
Entrano il conte, la contessa, entrano personaggi minori, deferenti verso la nobiltà; arrivano i cavalli con i cavalieri e, loro con gli assistenti, la vincitrice del torneo dell'anno precedente consegna la spada, la casacca a Roberto il Guiscardo. 
Tutti i cavalieri si inginocchiano e risalgono sul cavallo.
Il Palio ha inizio.
Cinque giri di corsa, e noi sulle gradinate ammiriamo i cavalieri, la plasticità delle loro forme, la forza che imprimono ai muscoli, l'adrenalina dei conducenti, i loro visi concentrati e di dominio, forti della stessa forza dei loro cavalli;  e poi la vittoria, una vittoria, pacifico riconoscimento della bravura del cavallo e del cavaliere. La contrada di ......... avrà la coppa. I nobili applaudono, la vincitrice andrà a prendere i simboli della vittoria dalle mani del conte, della contessa, viene fatto il giuramento originale: tale e quale si sarà sentito attorno all'anno 1000 da queste parti, forse nella vicina abbazia degli Altavilla, dove un tempo questi luoghi hanno conosciuto ricchezze, importanze, ruolo strategico. 
Questi luoghi che possono fare affidamento solo su un passato onorevole e vetusto per ritrovare la dignità di essere rispettati e riconosciuti. Bravi, il Centro Ippico ha il merito di voler almeno ricordare la grandezza antica e ripristinare un Palio che può darci la sensazione di un'appartenenza comune ad una storia condivisa di cavalieri e fanti.

lunedì 14 novembre 2016

Relazione Uniter: Dalla Pop Art alla Post Art

L'arte come libertà di fruizione, l'arte come accorgersi, l'arte come immaginazione, l'arte come comprensione. L'arte come divertimento. 
Lo sguardo libero sull'arte
Lo sguardo libero e libertà di pensiero sono i due atteggiamenti più difficili da raggiungere, per ognuno di noi. Magari noi pensiamo di essere liberi se restiamo fra il consueto, fra ciò che l'ortodossia ha già decretato sia letterarietà o arte. Pensiamo di essere liberi eppure abbiamo quasi dubbi e paure sul nostro stesso percepire difforme dal percepire in voga. 
Quanti di noi non accettano critiche su capolavori consolidati nel tempo oppure su opere d'arte modernissime spacciate per capolavori! Sulla libertà dunque, esercizio che necessita di costante allenamento, verte, in modo scherzoso, la fruizione artistica di questa sera, che inizia giocando sul significato di pop art, cioè arte popolare, ogni nostro oggetto può diventare arte, giocando su Andy Warhol e mia supposta somiglianza, nella curiosità di accorgersi, giocando sul significato di post sia nel senso del poi che in quello di pezzo, articolo scritto in occasione di alcuni momenti io abbia organizzato oppure visitato da semplice fruitrice. Attraversando ed incontrando Alan Jones, newyorchese, scrittore, critico e curatore di mostre d’arte, uno dei massimi conoscitori della scena della Pop Art, che con noi parla di fantasia, di fantasmagoria e poi lancia la provocazione che l'arte vada cercata nelle osterie, perché nei musei, l'arte non è più arte è ideologia. 
Altri incontri  

collage di Fausta Genziane Le Piane  Scrivere per collage.
Quel che ci accomuna con Fausta è questo nostro raccogliere e conservare in borsa, riponendo e dimenticando, ritrovando e rifacendo altro pensiero da quello fatto nel momento iniziale.
Un pensiero originale, nuovo, una sorpresa, su quell'oggetto, quel pezzo di carta, quel filo conservato per chissà quale scopo.
Credo di sentirmi, pur nella giocosità adulta, una compagna di Fausta, anche e solo nel gesto del raccogliere, io raccolgo pensieri, gesti, attimi, per poi buttare o fissare su brevissimi formati word.
Un foglio.
Agostino Tulumello che si chiama Agostino e come Agostino D'Ippona, nelle Confessioni, ci domanda e si domanda "Che cos'è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede non lo so più."
Il tempo come distendere su tela, come sovrapposizione, come azione della nostra gioia per essere partecipi ad un flusso eterno.
Negli occhi dell'artista quella passione, quel colore nel gesto, quella soddisfazione di poter giocare con un meccanismo che potrebbe ingabbiare. Il tempo per lui è un gioco che si può colorare. 
Ad Alberto Badolato, ed al suo ricercare Una ragione di più: La ragione dell'informale
Sai c'è una ragione di più per dirti che vado via, cantava Ornella Vanoni, e porto anche con me la tua malinconia, continuava il testo di Califano e Reitano ed io stamani la sento in testa con altre canzoni e fra queste
Una ragione vera non c'è... della  Formula tre su testi di Mogol Battisti.
"Ma che disperazione nasce da una distrazione era un gioco non era un fuoco."
Nelle canzoni la ragione ha un bel dire, la ragione ci chiede un comportamento, una azione, una scelta.
Alberto Badolato sceglie proprio questa ragione per dare il titolo alla sua mostra. Ma sarà Alberto a dirci il modo in cui si posa lo sguardo della Litweb sull'arte, questo inventato luogo della letteratura e della libertà.
Un altro dei temi che questa sera mi sembra essenziale far emergere è l'accorgersi

Mostra su Andy Warhol
Nella sala d’ingresso al Marca di Catanzaro vi  sono gli scatti del 1986 gli ultimi, mentre  nelle sale in fondo gli scatti del ‘77 e noi iniziamo da lì da Andy giovane,  e guardo il pubblico, e domando ad un esperto da dove iniziare. Costui mi dà una risposta tecnica, cioè mi dice che non lo sa perché non ha curato i lavori. Ma come è possibile? Non si è accorto che va per età?
Rifletto molto su cosa sia  riconoscere e conoscere, su cosa sia la parola e l’azione “ accorgersi”.
Una volta un medico, in ospedale, ebbe un infarto davanti a me a mia cugina  e alle infermiere, e mentre io blateravo che lui stava male e di soccorrerlo, mia cugina insisteva a voler sapere come stesse sua madre e le infermiere badavano a guardare le cartelle. Logicamente poi si accorsero perché il medico scivolò a terra.
Così guardo tutta questa bella gente e mi domando se si accorge oppure no, se si accorge di quanto si possa soffrire, di quanto sia sofferente Andy negli scatti della sala del 1987 e di quanto sia diverso e quasi divertito negli scatti del “77, quasi come recitasse, anzi sicuramente recitava.
Ci accorgiamo delle cose? Ecco che in un altro luogo del Marca viene proiettato un documentario sulla vita di Aurelio Amendola. Prendo appunti sulla cartella bianca e lucida e spariscono gli scritti.
Quello che mi rimane è l’allegria della serata, i molti amici incontrati, l’umanità e la simpatia di Aurelio Amendola che mi fa una fotografia vicino ad Andy, mi dà sua mail e vedo Diego Dolcini che chiede anche lui una foto al Maestro Amendola.
Aurelio Amendola ha fotografato Burri mentre nel fuoco modella il futuro, ha fotografato De Chirico in gondola metafisica e reale, ha fotografato Michelangelo e la sua Aurora, ha fotografato il Davide e me. 

 “Lui sa quello che sta facendo perché è quello che fa anche lui” da una frase del documentario. Lui, Aurelio, sa cosa ha fatto Michelangelo e conosce  ogni sfumatura dell’Aurora e carezza l’Aurora con la stessa stupita delicatezza e purezza con cui iniziò da bambino a carezzare le pellicole  da lavare nello studio di un fotografo del suo paese.
Ogni paese può diventare il centro del mondo se ci si  accorge di vivere. 
E così in questo accorgersi mi accorgo che viviamo un territorio con Musei interessanti e con proposte da visitare e vi invito a seguire.
Al Limen Al Limen con Antonio Pujia. Dalla Piramide a noi
Un viaggio
Già il viaggio per Vibo diventa un viaggio a Tusa, quel luogo dove Antonio Presti, imprenditore e mecenate italiano ha dato vita alla Fondazione Fiumara d’Arte. Su suggestione di quel che io mi porto dietro, salendo sull'auto. Il libro "La Tusa dei desideri" di Gianfranco Labrosciano
Un viaggio.
In macchina  parliamo  con Antonio, Silvia e Saverio,  mentre andiamo al Limen, di Antonio Presti,  imprenditore che costruisce un albergo sul mare, decide di realizzare un museo all'aria aperta, dà vita al parco di sculture monumentali Fiumara d'arte, nella valle dei monti Nebrodi in Sicilia, un museo all'aperto, un parco di sculture il  più grande d’Europa. Nel  suo albergo Atelier sul mare (1991-2013) a Castel di Tusa, in provincia di Messina, decine di artisti sono stati coinvolti  per la decorazione di camere d’arte.
L’ultima delle sculture della Fiumara d'arte, la Piramide – 38º parallelo di Mauro Staccioli sull’altura di Motta d'Affermo, noi avremmo dovuto vederla questo anno. Eravamo nei paraggi ma l'autista ci sconsigliò.
Antonio Pujia Veneziano racconta e racconta di come Antonio Presti subì alcune condanne prima di essere riconosciuto e mentre racconta siamo già arrivati a Vibo al Limen Premio Internazionale dove  parlava Domenico Piraina, Responsabile del Polo museale e dei Musei scientifici di Milano, io presi appunti mentali. Ricordo che lui, citando Federico Zeri, suo amico, ci raccontò che il genio non vive e produce da solo, ma ha bisogno di avere intorno quel crogiolo di bravi artigiani che lo sostengano e raccontava  di quanti bravi scalpellini abbiano partecipato alla creazione di opere sotto la direzione di Michelangelo.Ed è "Un viaggio" l'opera di Giuseppe Stissi, al Limen, un libro aperto per non vedenti quello che leggo  e vedo.  Un viaggio dall'Africa verso l'occidente, andata e ritorno, raccontato da un bambino  a Giuseppe. Un viaggio da toccare.
 Litweb intervista Daverio.
E sempre  al Premio Limen
Litweb intervista Daverio. Daveru?
Daveru?-  mi domanda spesso una  amica, non so se perché non ci creda affatto o per dire che quella cosa, quand’anche fosse vera, sarebbe niente, visto che lei dopo un attimo l’ha già scordata, infatti me la ridomanda.
Così, davvero, vi riporto mia intervista con Daverio, al Limen e sulla soglia del Palazzo Gagliardi di Vibo Valentia, ieri sera.
Intervista da Litweb, aerea e senza televisione, senza registrazione. Solo tasti di tastiera.
Conferenza, conferenza, ci sediamo inizia il Limen
Arte da far incontrare, da mostrare e da gustare per infine premiare.
Guardar lontano veder vicino, L'arte di guardare l'arte, L'arte è la nave, Arte stupefacente. Da Dada alla Cracking art. Installazioni
In corsivo titoli di libri di Daverio, che solo stasera conosco, venendo io  da un paese straniero, dalla Litweb, appunto, come inviato speciale.
Ascolto suoi aneddoti storici sui balconi di ghisa inglese nei palazzi nobiliari di Vibo Valentia e su  navi, con  arance e vino verso l’Inghilterra, ritornanti, per stabilizzar peso, carichi di ghisa, (a minor prezzo di quella di Mongiana) e   su come il marmo di Carrara stia sulle soglie delle scale del palazzo Gagliardi, essendo la proprietaria cugina dell’arciduca di Toscana.  
Una vera commistione di elementi, commenta Daverio, forse maggiore di oggi in cui tutto sembra commisto e non lo è.
Continua e ci porta in Parlamento Europeo a chieder vocianti solo di immagini, di statue e dipinti, gridare che con arte  Italia sia fatta, salvata, dice lui, per il vero motivo che sia Italia e Calabria  il paese dell’immaginazione.

Così lo ascoltiamo e  lo seguiamo per stanze e dipinti fermandoci insieme a dire bravo, interessante, molto carino oppure niente, sentendolo dire che per esser veri bisogna dire una bufala grande, dirla con forza e crederci davvero, convincere gli altri che questa sia vera, come fu con Capalbio, luogo di residenza di intellettuali, ma quali? Sorride lui, eravamo solo quattro amici che volevano divertirsi, eppure Capalbio diventò quello che per scherzo lui aveva detto.
Ed a questa sua asserzione  io dico:- Ahah come il regno della Litweb!-
Lui mi dà mail ed io manderò mio stralunato post su incontro Daverio -Daveru?- direbbe mia amica.
Daverio sarebbe pronto a fare un catalogo, perché un catalogo ci vuole, è come una casa, ed io son già nel film La migliore offerta e ricordo Virgil, il protagonista, Geoffrey Rush, alle prese con un catalogo che stravolgerà la sua vita.
Daverio come Geoffrey?
Da Dadaista al Regno. 
Le élite
Io sono Litweb in rosso.
 La copertina del libro riprende una carta di Caterina Luciano, facente parte di una mostra del 2014 Gli insetti, ed in questa carta Scaccia mostri delle crisalidi, Caterina Luciano inventa per me il personaggio alato che vedete in mantello coccinella pronta a combattere e a far linguaccia ai mostri.
Ma i mostri sono le zanzare? Quindi le scaccio affinché non attacchino le crisalidi? Chiedo a Caterina
e lei mi risponde:- Certo, sono succhiatori o succhiatrici di sangue  di tutti gli esseri viventi. Il tuo ruolo è di trovare e aiutare le crisalidi, per me erano artisti  di vario genere: scrittori, pittori, crisalidi che diventeranno farfalle grazie a te.-
....
E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te

non sciuparla (Kavafis )E se non puoi la vita che desideri...
Mettila su carta, Trasformala, elabora simboli, e diventa profeta di un tempo nuovo. La rinascita
Dalla sapienza del Siamo tutta luce la spes unica dea, dalla Sapienza
a noi, a Caterina Luciano, alla sua semplicità, alla sua umiltà, al grande lavorio e impegno di denuncia verso tutti gli irresponsabili e invertebrati La X delle lucciole 
L'incognita che cerchiamo in tutte le equazioni.
Quando ero alunna, davanti a problemi algebrici, risolvevo di fantasia, e le stesse equazioni difficilmente mi davano risultato simili, ogni qualvolta risolvevo la x.
Una incognita sempre diversa mi si svelava.
Nessuna sorpresa dunque sulle tante dinamiche interpersonali che hanno risolto questa equazione del #vivonotranoi a Lamezia Terme
Noi siamo tutta luce
Il mantra dei nostri giorni difficili.
Siamo tutta ombra.
Insieme
Senza ombra niente luce
Così fra ignorare e non guardare
fra silenzi e lontananze
appaiono nuove lucciole.
Le lucciole della comprensione







venerdì 11 novembre 2016

Dante Maffia a Lamezia Terme

L'Uniter di Lamezia ha invitato lo scrittore Dante Maffia per inaugurare il ventottesimo anno dell'associazione che ogni mercoledì e venerdì, nella casa del sacerdote, tiene lezioni per i soci. Presentato Maffia dalla Vicepresidente Costanza FalvoD'Urso, dopo i saluti di Italo Leone, Presidente Uniter, la lezione prese il volo. 
Stessa opportunità poi è stata data dall'associazione all'Istituto Tecnico Economico, Valentino De Fazio, dove accolto dalla Dirigente, dottoressa Blandino e dalla Referente, professoressa Concetta Ruberto, il poeta si è incontrato con gli alunni delle ultime classi. Gli alunni hanno letto alcune poesie e posto delle domande. Ai ragazzi Dante Maffia ha raccontato di aver imparato le regole e poi di averle  dimenticate nel momento creativo, ma senza mai venir meno allo studio, vera opportunità di riscatto umano  unito alla testardaggine ed alla costanza,  ed ha concluso esortandoli a seguire ognuno il proprio interesse, il proprio sentire. Senza tradire la propria inclinazione.  

In serata poi Dante Maffia è stato ospite della Biblioteca Comunale. 

Controcanto, una delle poesie lette da Giovanna Villella, in un verso fa così: "...Le cose accadono/ perché è stabilito in qualche luogo della fantasia/ e del dolore" o non accadono, aggiungerei io, per impedimenti e piccinerie. 
Dante Maffia ci ha immerso, per due giorni, nella sua sterminata conoscenza degli autori della letteratura europea, con la sua personale e a volte divergente lettura su autori pluriosannati nelle aule scolastiche, suscitando le perplessità dei docenti più allineati, sia all'Uniter che in Biblioteca, due docenti di età diversissima, una giovanissima e l'altra da tempo in pensione, espressero il loro sconcerto sulla poca considerazione verso I promessi Sposi di Manzoni, un libro nemmeno tradotto in altre lingue e un capolavoro forse di ipocrisia più che di vitale letteratura. 
A scuola, fra gli alunni, Dante Maffia ha parlato di lievito, di libri come pane quotidiano, di Pinocchio, uno dei capolavori della letteratura mondiale, tradotto in tutte le lingue, dei poeti come coloro che vedono l'invisibile, dei libri come granai dell'umanità. 
Facendo sentire, in ognuno degli appuntamenti, la bellezza del verso, educando le nostre orecchie alla musicalità ed al ritmo, ci ha recitato, con una memoria prodigiosa, intere poesie di Pascoli, Quasimodo, Saba.
"L'apparenza e la sostanza" è un suo saggio, di una produzione sterminata, in cui ci invita ad andare oltre l'apparenza e a ricercare sempre quella individualità che ci fa diverso uno degli altri, quell'anima che soffia in ciascuno di noi per permettere il volo. 
...e dalla Biblioteca di Alessandria "Arriveranno di lontano. Domanderanno/parole nuove."