martedì 23 agosto 2016

Il valore

Fra i tanti significati della parola "Valore" ci sta il significato di prezzo, costo. 
Valore di scambio:quantità di un bene o di moneta che si dà in cambio di un altro bene o servizio di cui si abbisogna o che si desidera. 
Valore aggiunto:aumento di valore che riceve una cosa per effetto delle lavorazioni e trasformazioni delle materie prime ausiliarie impiegate.
Valore come pregio. Ciò che è vero, bello, buono, secondo un giudizio personale più o meno in accordo con quello della società dell'epoca. Il valore artistico di un quadro, di una statua, di una ceramica. 
Il valore è distinzione. Ciò che distingue e mostra a tutti un qualcosa da ammirare.
Tutto ciò di introduzione sul valore di cui oggi voglio raccontarvi. 
Il valore che ciascuno di noi attribuisce ad un libro, ad un articolo, ad un pezzo, secondo una personale stima.
 Alcuni anni fa passeggiavo per via Garibaldi, guardando il barocco dei palazzi e le intemperie degli anni e degli uomini sui muri, sui balconi, quando fermo lo sguardo su un dipinto esposto in una galleria d'arte che ora non c'è più.
Prendo appunti, entro, chiedo il prezzo, chiedo mail dell'artista e riesco. Il quadro viveva nella mia testa, i fiori volteggiavano felici davanti i miei occhi e aperto il PC ho iniziato a scrivere. Un pezzo. 
Felice di questo mio blog che mi permette di scrivere a Scianna, Daverio, Recami e Di Paolo, come se fossero amici e di avere da loro gentilissime risposte.
Non mi aspettavo altro quindi che una mail, ma la realtà ci sorprende sempre e dopo qualche tempo mi vedo arrivare il bravissimo artista a casa con il quadro ammirato in dono. 
Rifiuto e protesto che non posso accettare e mi convince argomentando  sul valore che dà al mio pezzo, già messo nella sua cartella pubblica, come presentazione, insieme agli altri articoli che parlano di lui.
Il mio pezzo ha un valore per lui.
Altri artisti, negli anni a venire, hanno ripetuto il gesto dando il valore ai miei pezzi. 
Così ho deciso di raccogliere questo anno i pezzi sull'arte, sulla mia felicità di applaudire la bravura, e dopo aver pubblicato su lulu, la piattaforma di autopubblicazione, ricevo un'altra telefonata. Dalla Sicilia,
- Ciao, Ippolita, voglio regalarti un mio quadro e comprare il tuo libro.
- Cosa dici? Io il libro te lo regalo e non posso accettare un tuo quadro. 
Lui però mi fa il discorso del valore, del valore che si dà alle cose, agli scritti, alle parole come ai sentimenti, ai libri come ai dipinti, alle azioni come alla vita tutta. Il valore che si riconosce. 
E mi riconcilia sul genere umano che ha valore e dà valore.    
  

lunedì 22 agosto 2016

Sulle note degli U2

22 agosto 2012 scrivevo così: Sulle note degli U2
With Or Without You.
Il complesso guidato dalla voce dell’avvocato Massimo Sereno ha dato voce a tutta una cittadinanza giustamente fiera che il tribunale fosse rimasto lì, non perché fosse città di mafia, questo no, ma perché Lamezia terme è una città grande, viva e normale e vuole tutto funzionante, ospedale, scuole e tribunale.
Il canto si librava nell’aria sereno e gridava a tutti che non è vero con te o senza te sia la stessa cosa, ma che tutto è necessario in questo mondo di ladri, altra canzone cantata, dove tutti noi andiamo vagabondi, e qui abbiamo cantato tutti. 
Io vagabondo che son io.
Una splendida batteria ha battuto I tempi della riscossa con una nota di rimpianto, triste elegiaca al pensiero degli avvocati che non erano presenti, su tutti uno in particolare, GianLuca Materazzo, da poco non più , per un banalissimo incidente in moto, non causato da lui e che probabilmente in un ospedale più attrezzato avrebbero saputo salvare.
Ma il nostro ospedale non è più.
Ed allora la prossima dovrà essere la mobilitazione seria per un ospedale non più sguarnito, ma cuore vero di una cittadina bisognosa di cure pronte e attente, bisognosa di aria , di studi, di vita.
La serata ha intonato il canto e l’inno del tribunale e le parole di un sindaco giustamente orgoglioso ma….
Ricordiamoci sempre di voler l’impossibile, un ospedale efficiente in una città viva.
Ippolita luzzo

Padre, madre, figlio, figlia, zia e cognata, cugina e nipote, scrivono tutti.

- E come state in famiglia?
- Bene, grazie, scriviamo tutti.
 Così rispondono i fortunati consanguinei della penna, gli scrittori dei florilegi e dei madrigali.

Solo a casa mia se apro bocca vengo redarguita con: - Smettila di parlare di mafia - mio zio alquanto seccato, e a nulla vale per mia discolpa chiarire  che io di mafia non scrivo. 
- Allora smettila di parlare di gay! - mi intima ancora più seccato. Mah! dove avrà letto da me non so, sono sicura che non mi ha letto mai. 
Sono altresì sicura che non mi hanno letto mai i miei familiari, dal più stretto al più allargato.  
Non solo. Nella mia famiglia la scrittura è vista con fastidio. Da sempre. Mio padre leggeva moltissime riviste, ogni giorno. Mia madre, quando poteva sedersi, sfogliava il giornale e ora ha imparato la settimana enigmistica, fratello e sorella non leggono e non scrivono da poeti e scrittori, quindi finisce qui il rapporto con le amene letture a casa mia.
Io fuori sto. Da lettrice. 
Noto però con vero piacere e ammirazione che esistono famiglie in cui tutti leggono e scrivono, uno poi presenta e incensa l'altro, e nella felicità più assoluta stanno, avendo un libro per le mani. Il loro.
Evviva.
Felice per loro che non conosceranno mai i dispiaceri degli esiliati, degli esclusi, di chi legge per sopravvivere un testo al giorno e che non sia il suo o della proprio famiglia.
Leggersi la letteratura prodotta nelle stanze di casa propria deve dare quella soddisfazione spalmabile che prende a chi prepara le marmellate in estate, autunno e inverno. Fatta in casa meglio è. 
La marmellata. 
  

giovedì 18 agosto 2016

Piangere per la Siria. Ferragosto 2016



Laggiù nel Medio Oriente

come un bufalo impazzito

Sarà ricordata così questa epoca insanguinata di civili usati come soldati, di merce uccisa per far spazio alle armi.

Mi rende conto di non voler conoscere nulla da alcuni anni, da molti anni, e di aver spento audio e video sul mondo da troppo tempo. Al Jazeera era l'unica televisione che vedevo allora dopo aver spento ogni altra. E ora accendendo Tiscali vedo dal PC il volto in lacrime del giornalista denunciare la stessa impotenza che mi prese quando decisi di spegnere, solo che ora l'impotenza deve accendere una azione. Spegnere e accendere, sul mondo del male, delle armi, del capitale, della ricchezza e della infamia, spegnere e accendere nel mese delle ferie, del ferragosto di guerra.   
da Lettera 43 tutti i numeri della catastrofe: In cinque anni 470 mila morti. Il 45% della popolazione ha perso la propria casa. Quasi 5 milioni di profughi. L'Onu: «Ad Aleppo rischio di disastro umanitario». 
TG1 online:Il dramma dei civili in Siria. L'immagine di un bimbo estratto dalle macerie e messo in salvo su un'ambulanza diventa il simbolo della catastrofe ad Aleppo, colpita ripetutamente dagli attacchi aerei. Le Nazioni Unite sospendono la task force di aiuti umanitari. "Aiuti impossibili"
Aleppo: È patrimonio dell'umanità dell'UNESCO dal 1986.
Nell'anno 2006 Aleppo è stata la prima città a fregiarsi del titolo di "Capitale culturale del mondo islamico".
La cartina per situare un luogo geografico con i confini anch'essi insanguinati nel tempo: Libano, Israele, Giordania, Iraq, Turchia.
Il Medio Oriente. Abbiamo appeso la bandiera partigiana della nostra Palestina. Una Palestina che sia pace per tutti i popoli
 Laggiù nel Medio Oriente come un bufalo impazzito trionfa il pirata americano... (russo e cinese uguale è) era una canzone degli anni settanta, ora Il Disastro umanitario.
Ferragosto 2016 Siria, «Qui ad Aleppo i bambini non hanno più nulla da mangiare»: giornalista di Al Jazeera in lacrime in diretta.
Il reporter Milad Fadel stava raccontando la drammatica situazione nella città siriana sotto assedio ed è scoppiato a piangere. 
Laggiù nel Medio Oriente

 


mercoledì 17 agosto 2016

Sebastiano Lo Monaco Il berretto a sonagli

Togliere il berretto a sonagli della pazzia e... beeee
 A Lamezia Summertime 2016 commedia in esclusiva per la Calabria. 
Quando la rabbia acceca e la vendetta, sperata e invocata come libertà, diventerà una prigionia, questa in sintesi la traccia della rivisitazione teatrale di Sebastiano Lo Monaco, nel portare in scena il testo di Luigi Pirandello.

Noi non sappiamo quale strada prenderà una azione, e su questo non sapere, su questo mistero dovremmo stare sul ciglio della decisione ed alimentare il dubbio, sembra ci dica nel primo tempo l'attore e regista, che giocando coi toni della farsa, della commedia, si distacca dal testo quel poco che basti a inscenare un rapporto di complicità con il pubblico, nel patto di fiducia che si instaura fra spettatori e attore, un patto di affidamento e di partecipazione. Stiamo giocando, sembra che ci dica nel primo tempo il regista, e gli scappa da ridere su tutto un assetto, su tutto un prendersi troppo sul serio, che va dall'atteggiamento della moglie del cavalier Fiorica al sussiego del delegato Spanò, al moralismo della madre, fino allo stesso Ciampa, marito geloso eppur consapevole del tradimento, a cui sarà costretta, noi supponiamo, sebben perpetrato dalla moglie, donna tenuta sotto sale, come le sardine, chiusa con un catenaccio.
" Moglie, sardine ed acciughe: queste, sott'olio e sotto salamoja; la moglie, sotto chiave."
Tutto si regge fino a quel momento, sembra dicano nel primo tempo gli attori, se non prendiamo sul serio i propositi di verità. 
Pausa, primo atto.
Secondo atto. Pupi, tutti Pupi, nel dramma. Il puparo non sta sulla scena del berretto a sonagli. Non si vede e benché tutti ne parlino o ne subiscano sue prepotenze si rivolgono al suo indirizzo con sussiego. Sola a ribellarsi la moglie, non tanto per rivendicare una sua identità ma per desiderio di scoperchiare un inganno: La vanità della moglie di Ciampa che esibisce, alla finestra, i gioielli avuti in dono dal cavaliere e il regalo di una collana a pendagli che non vedremo.
Come nella vita, nella società civile e non, nel secondo atto la conclusione dell'azione va per strade sconosciute a chi l'ha voluto e assistiamo allo sconcerto, al rimescolar di carte, al terribile non ritorno delle conseguenze.

Il berretto a sonagli, commedia in due atti di Luigi Pirandello, fa parte della raccolta Maschere nude, analisi di una società civile che esiste se indossa una maschera, se ognuno dei partecipanti recita per bene il ruolo che gli viene assegnato, o quello che trova, o quello che viene imposto, nello spazio ristretto e asfittico della libertà personale. 

Alla fine, fra gli applausi finali, Sebastiano Lo Monaco ci intrattiene, ci trattiene con lui, quasi a voler ricominciare  la recita di un copione libero, un altro copione, il suo, sul suo vivere di teatro, un teatro sempre più difficile da far vivere e da viverci,  sui legami che si creano fra una compagnia teatrale e un luogo, un pubblico,  il piacere di tornare e voler ritornare ancora a Lamezia, la prima risata che unisce spettatori e attori in una complicità. 
Ogni dramma dissipa l'azione umana, svanisce al vento, e svanire è anche il mezzo con cui si vince o si perde, nel momento individuale e nel fatto sociale.  
Uno strumento da accordare giorno per giorno, il nostro ruolo con il contesto e risentiamo le parole di Ciampa mentre ci allontaniamo dai ruderi dell'abbazia benedettina, composti e meditabondi.
"La corda civile, signora. Deve sapere che abbiamo tutti come tre corde d'orologio in testa.
La seria, la civile, la pazza. Sopra tutto, dovendo vivere in società, ci serve la civile; per cui sta qua, in mezzo alla fronte. ‑ Ci mangeremmo tutti, signora mia, l'un l'altro, come tanti cani arrabbiati.
 Ma può venire il momento che le acque s'intorbidano. E allora... allora io cerco, prima, di girare qua la corda seria, per chiarire, rimettere le cose a posto, dare le mie ragioni, dire quattro e quattr'otto, senza tante storie, quello che devo. Che se poi non mi riesce in nessun modo, sferro, signora, la corda pazza, perdo la vista degli occhi e non so più quello che faccio!" 
e "Potessi farlo io, come piacerebbe a me! Sferrare, signora, qua
per davvero, tutta la corda pazza, cacciarmi fino agli orecchi il berretto a sonagli della pazzia e scendere in piazza a sputare in faccia alla gente la verità. Sono i bocconi amari, le ingiustizie, le infamie, le prepotenze, che ci tocca d'ingozzare, che c'infràcidano lo stomaco! il non poter sfogare, signora! il non potere aprire la valvola della pazzia! Cominci, cominci a gridare!" Eh no...

martedì 16 agosto 2016

La parabola dell'asino

Da Esopo a noi
Non potremmo mai contentare gli altri e, ogni cosa facciamo, per un altro sarà sempre una stranezza.
Ho pensato esattamente così quando, uscita da una conferenza stampa, incrocio loro due, conoscenti, che, salutandomi, mi domandano cosa io facessi per poi commentare al mio indirizzo con frase similare ai passanti della storiella qui riportata in varie versioni.
Dalla più antica di Esopo (Esopo, ca 620 a.C. - ca 560 a.C.) all'altra storia dopo Cristo, cambiano i personaggi ma nulla è immutato. 
Esopo:Un vecchio faceva il cammino con il figlio giovinetto. Il padre e il figlio avevano un unico piccolo asinello: a turno venivano portati dall'asino ed alleviavano la fatica del percorso. Mentre il padre veniva portato e il figlio procedeva con i suoi piedi, i passanti li schernivano: "Ecco," dicevano "un vecchietto moribondo e inutile, mentre risparmia la sua salute, fa ammalare un bel giovinetto". Il vecchio saltò giù e fece salire al suo posto il figlio suo malgrado. La folla dei viandanti borbottò: "Ecco, un giovinetto pigro e sanissimo, mentre indulge alla sua pigrizia, ammazza il padre decrepito". Egli, vinto dalla vergogna, costringe il padre a salire sull'asino. Così sono portati entrambi dall'unico quadrupede: il borbottio dei passanti e l'indignazione si accresce, perché un unico piccolo animale era montato da due persone. Allora parimenti padre e figlio scendono e procedono a piedi  con l'asinello libero. Allora sì che si sente lo scherno e il riso di tutti: "Due asini, mentre risparmiano uno, non risparmiano se stessi". Allora il padre disse: "Vedi figlio: nulla è approvato da tutti; ora ritorneremo al nostro vecchio modo di comportarci".
Oppure
"Maria, incinta di Gesù, e Giuseppe sono in viaggio verso Betlemme. Giuseppe cammina, mentre Maria cavalca l’asino. Passano in un paese e la gente, indignata, mormora: “Che vergogna! Quell'uomo anziano è costretto a camminare, mentre lei, così giovane, è comoda sull'asino”! Giuseppe e Maria si confrontano e decidono di scambiarsi i posti. Giuseppe sale sull'asino e Maria si mette a camminare. Attraversano un altro paese e la gente, scandalizzata, dice: “Guarda quella povera donna incinta, lasciata a piedi mentre l’uomo, sano e forte, si fa portare dall'asino”!  Maria e Giuseppe ci rimangono molto male, pertanto decidono, per evitare di essere nuovamente criticati, di salire entrambi in groppa all'asino. Nel paese successivo, però, un gruppo di persone mostra grande disaccordo sulla scelta, ritenendo che i due viaggiatori siano delle persone davvero crudeli, per aver deciso di far trasportare entrambi i loro pesi al povero asino. Maria e Giuseppe, allora, scendono dall'asino e proseguono a piedi. Attraversano l’ennesimo villaggio e qui la gente esclama, divertita: “Guardate che stupidi quei due! Hanno un asino e vanno a piedi”!
Ritornando a noi, io vorrei aggiungere all'indirizzo di chi si sorprende del  fare altrui, trovando sempre il difetto:-Non si accorgono, simili spettatori, che gli asini sono loro?

Ah tu con questa letteratura! mi dicono infatti

domenica 14 agosto 2016

L'autobiografia di Alessandro Moscè

"Dove i piccioni volano più in basso dei merli, dove i merli volano più in basso dei gabbiani, dove i gabbiani volano più in basso dei cormorani" termina così "L'età bianca" di Alessandro Moscè uscito nel giugno 2016, che continua "Il talento della malattia" entrambi per la casa editrice Avagliano, testimonianza di una guarigione che lo rende un privilegiato.
Così racconta lo stesso Alessandro in una intervista:"Ho acquisito un linguaggio medico dopo anni di studio sui sarcomi ossei. Oggi guarisce il 25% dei malati, allora erano pochissime possibilità di scamparla. Pubblicare il libro è stato invece molto difficile, perché gli editori non credevano che fossi uno dei due unici guariti, negli anni Ottanta, dal sarcoma di Ewing ischio-pubico, secondo la casistica personale del grande Mario Campanacci, direttore dell’Istituto Rizzoli e luminare internazionale nel campo dell’oncologia ortopedica. Uno dei maggiori editori italiani ha interpretato il romanzo definendolo miracolistico. Per questo lo ha rifiutato. Franco Brevini mi ha restituito l’onestà almeno dell’intenzione letteraria, dicendo di “una grande storia di guarigione nel segno del calcio”.
Leggo dunque la sua vita, da lui delineata su i capisaldi essenziali che la tengono: la passione per il calcio, per Chinaglia, eroe e amico, forte e combattente, la passione verso una lei, quasi una rincorsa verso l'illusorio della condivisione amorosa, e la malattia da cui si guarisce, restandone sempre segnati, come riscatto. E in tutto questo il giornalismo, la scrittura e la poesia, la voglia di esserci e di essere protagonista. 
Leggo su "Pelagos", rivista di letteratura contemporanea, un suo articolo in cui si interroga sul romanzo e riporta un pensiero di Franco Cordelli sul destino del romanzo, nel quale Cordelli ha dichiarato che ci sono all'interno delle cose vere, delle cose verosimili e gli episodi autobiografici. Alessandro Moscè ha seguito questi tre momenti e ha costruito la storia inserendo via via la malattia, referti e studi sulla malattia, vari pezzi giornalistici, articoli del periodo a cui fa riferimento, indagini da cronista e repertorio sportivo, riguardante la carriera e la vita di Chinaglia, da lui indicato come un motore. Ci sono quindi molti momenti in cui il giornalismo prende la mano al narratore e la storia si sposta sul foglio della rivista. Ho, per caso, incrociato, grazie al racconto di un mio amico, la storia di un altro miracolato, di uno scrittore che si salvò dalla tisi, e poi lo raccontò nella trasposizione letteraria  del sanatorio della Rocca. Bufalino, in "Diceria dell'untore" racconta come chi si salva e veda gli altri perire abbia come il rimorso d'aver tradito «il silenzioso patto», stretto con i compagni della Rocca, di non sopravvivere ad essi. Per lui, reciso il «comodo cordone ombelicale col sublime», dismessa la parte di prim'attore di tragedia, si riapre, con il ruolo di comparsa, il tempo ordinario dei giorni. Se la morte resta uno scandalo, la guarigione è una caduta da cui potrà riscattarsi rendendo «testimonianza, se non delazione, d'una retorica e d'una pietà», componendo la sua diceria.
Raccontava Calvino che lui avrebbe scritto e riscritto una sua biografia personale in modo sempre diverso a secondo del momento che lui viveva, proprio perché ogni nostro momento vive nel paese dell'immaginazione, proprio come scrive de Maistre e come Moscè riprende.
"Leggeva Xavier De Maistre e il suo "Viaggio intorno alla mia camera" in cui ripercorreva in sequenza tutti gli oggetti della stanza: la poltrona, il letto, le stampe, i quadri, lo specchio, la scrivania, la sedia usandoli come principio di libertà, tanto da scrivere: “Incantevole paese dell’immaginazione, che l’essere benefico per eccellenza ha concesso agli uomini per consolarli della realtà, ti debbo lasciare. Oggi stesso, certe persone da cui dipendo hanno la pretesa di ridarmi la libertà, come se me l’avessero tolta”.
L’ossessione della memoria rimane un caposaldo. La malinconia stessa, in fondo, non è altro che un ricordo inconsapevole. Il lavoro di ricostruzione di aneddoti ed episodi è stato certosino. La letteratura non salva niente, è un artificio. L’età bianca precede la malattia... un film, la vita, ha bisogno non solo di eros, ma di silenzio, di preghiera.    
Tutto questo per dire che ogni storia raccontata, nel momento che viene raccontata, va oltre la trama e il fine e può diventare romanzo e racconto se incontra la letteratura. Un incontro tra parole e  suono,  ritmo, musicalità.