Il male come infezione. La propagazione, come una piaga purulenta, negli individui e nell'organizzazione statale.La storia come summa di malvagità. Il peccato storico in questa valle di lacrime. Dalla Bibbia ai nostri giorni: Umiliati e offesi. E dalle offese e dalle umiliazioni il risentimento ed il rancore da sfogare, non potendo verso chi lo infligge, verso un altro ancora, in una concatenazione di avvenimenti che non finisce mai. Dal tempo dei tempi.
Conforme alla gloria, la pelle tatuata del nostro male, nasce in un campo di concentramento, si diffonde poi per le strade dei nostri anni, generando altro male, disfacendo la famiglia del protagonista, Rudolf, che, nell'ossessione di liberarsi dell'eredità paterna, il padre un ufficiale nazista, responsabile dei campi, vede dissolvere il suo mondo di affetti.
Conforme alla gloria senza redenzione, se non la scrittura che sia una testimonianza, una cura da bere e sentirne l'amaro,oppureuna lettura che brucia come bruciano i farmaci che cercano di disinfettare
Una storia che non è mai finita, ieri corpi su corpi, ammassati nella Germania nazista, ed oggi corpi su corpi, annegati nel mare Mediterraneo. In una incoerenza che genera sofferenza.
Conforme alla gloria: dopo settanta anni stiamo ancora lì a contare i morti. Sul corpo tatuato di Ana, su "Salvati e sommersi" di Primo Levi, e nelLa Tregua, nell'offesa che diventa a sua volta male.
Dalla Tregua di Primo Levi, scrittore presente nel libro, e più vivo che mai:" l’offesa ricevuta – in questo caso, ma ciò vale anche per l’offesa immaginata o ritenuta tale – diventi una fonte inesauribile di male. Spezza il corpo e l’anima dei sommersi, li spegne e li rende abietti; risale come infamia sugli oppressori, si perpetua come odio nei superstiti, e pullula in mille modi, contro la stessa volontà di tutti, come sete di vendetta, come cedimento morale, come negazione, come stanchezza, come rinuncia”. Come non leggere in questa descrizione quello che è accaduto e accade anche in tanti conflitti in giro per il mondo, tra popoli e religioni diverse? Nessuno ne è esente. Il risentimento e il rancore non necessariamente, ci avverte Levi, hanno un’origine non motivata. Ma quando ce l’hanno, l’effetto è il medesimo: cedimento morale, vendetta, stanchezza, rinuncia. Non esiste una giustizia umana che estingua l’offesa.
lunedì 25 aprile 2016
domenica 24 aprile 2016
Bella ciao 2016
Con la voce di Giorgio Gaber che canta Bella ciao pigio sui tasti, felice di cantare ancora questa canzone antica nata nel coro, nel farsi dei canti della lotta per la libertà.
Una mattina mi son svegliato
O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao
Una mattina mi son svegliato
E ho trovato l'invasor
O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao
È questo il fiore del partigiano
Morto per la libertà
O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao
E le genti che passeranno
Una mattina mi son svegliato
O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao
Una mattina mi son svegliato
E ho trovato l'invasor
Con in mano il Sole 24 Ore e l'articolo di David Bidussa Bella ciao,
un canto oltreconfine, mi sorrido del bel momento in cui ancora
possiamo cantare una canzone che è un inno alla libertà
È questo il fiore del partigiano
È questo il fiore del partigiano
Morto per la libertà
Certo la libertà è una conquista difficilissima, forse mai raggiunta,
una lotta, una sfida, tracce di canti per la libertà risalgono alla fine
dell'ottocento, all'inizio del novecento, ai primi canti di un popolo
che esiste. Un canto che inizia con la morte e la tomba da cercare.
Una canzone di morte ma con la volontà di essere seppellita sotto
l'ombra di un bel fior. Il fiore della libertà
E le genti che passeranno
E le genti che passeranno
Mi diranno: "Che bel fior
Nella difficile momento del congedo di momenti storici dolorosi che
hanno visto in Italia un guerra civile con molti morti, che, ancora
dopo settanta anni, ci vede divisi gli uni e gli altri contrapposti
in una guerra di livore, di calunnie, di esasperazione e di odio, si alzi
alto il canto che si è feriti, ma non vinti; la partita non è chiusa.
Nella verità storica di un regime sconfitto dalla guerra che lui stesso
aveva voluto per dimostrare di essere forte, un regime che aveva
accettato una guerra per compiacere un alleato diabolico, un
regime nato nel terrore e nelle imposizioni con purghe
e manganelli, resistere vuol dire combattere.
Che poi la resistenza e i partigiani sia stato un
Che poi la resistenza e i partigiani sia stato un
movimento con luci ed ombre lo sappiamo, non dimentichiamo
che combattevano in clandestinità e che episodi anche poco degni
possono e sono successi, nessun movimento è indenne da colpe,
ma non possiamo distorcere la verità e cioè che fu il movimento di
tanti italiani che parteciparono alla Resistenza a creare quel bel
testo costituzionale nato dalle menti più onorabili dell’Italia tutta.
La nostra costituzione ci indica ancora il canto da poter essere
orgogliosi di un nostro desiderio di libertà senza per questo aver
solo la libertà di una tomba oppure di un carcere. Cantiamo Bella
ciao dunque ed insegniamo la libertà ch'è sì cara come sa chi per
lei vita rifiuta
mercoledì 20 aprile 2016
Giuseppe Piccioni Il rosso e il blu
Giuseppe Piccioni: Il grande Blek (1987)
Chiedi la luna (1990) Condannato a nozze (1992)
Cuori al verde (1996) Fuori dal mondo (1998)
Luce dei miei occhi (2001) La vita che vorrei (2004)
Giulia non esce la sera (2009) Il rosso e il blu (2012)
A Lamezia con Il rosso e blu, Giuseppe Piccioni, ospite, per il primo appuntamento della rassegna “L’ora di Cinema Extra”, del direttore artistico GianLorenzo Franzì.
Rassegna sotto il patrocinio del Comune di Lamezia Terme.
Dopo la visione del film Il rosso e il blu, il regista ha parlato con gli spettatori e con Gian Lorenzo, poi ha percorso a ritroso le strade perdute del nostro interiore, del riferimento che ci fa essere simili e dona la felicità di capirsi fra umani.
Pochissimi appunti ho preso. Qualche frase. Ho però stampato indelebile tutto quel che di comune c'era già, non sapendolo. Intanto i titoli dei suoi film. Senza saperlo io li ho copiati negli anni passati, intitolando via via le mie relazioni come i suoi film. Io scrissi La vita che vorremmo, ed ora so perché. Riecheggiavo il suo film " La vita che vorrei"
Giuseppe Piccioni ricorda ogni sequenza dei suoi film, ci spiega ogni dettaglio, quel dettaglio, che solleva i protagonisti dalla noia di una conversazione scontata e fugge via, offrendo a noi tutti la sorpresa di poter parlarci senza scadere nelle ovvietà.
Sembra che tutta la sua cinematografia sia stato questo sfuggire il discorrere lamentevole oppure aggressivo, le offese, il male assoluto, e mostrare un normale esistere capace di altezze, di approfittare del varco stretto, strettissimo e mostrare una realtà che sia un viso, una piega del viso, un sorriso, la luce negli occhi.
Quel momento che fa di tutti un individuo unico e solo nella sua unicità.
Il rosso e il blu è un film sulla scuola e lui ricorda la sua maestra che ad alta voce nell'aula scandiva quel "Leggi, Giuseppe" quel suo nome, come di quello dei suoi compagni, e la maestra voleva sentire proprio la voce di Giuseppe, donando all'alunno, a tutti gli alunni, una individualità. Donando attenzione.
"Attenzione" altro momento molto caro al regista. Ricordo un altro film sulla scuola, "W La Scuola", che terminava proprio con la parola attenzione.
Attenzione che ci fa meno soli, e il regista ci ricorda Silvio Orlando in "Fuori dal mondo" con una suora, in una stanza, raccontare la solitudine di non poter e nemmeno sapere a chi telefonare perché non si ha nessuno, noi tutti siamo lì lì per dire che siamo noi, tutti, uguali, a Silvio Orlando, al suo personaggio.
In fondo il cinema ci chiede immedesimazione, ci fa partecipare al gioco, ci fa sognare, ridere e piangere. E quando si piange il film è riuscito.
La voglia di vivere e di leggere. In Guerra e pace di Tolstoj, libro da lui molto amato, il protagonista ha trentuno anni, non ha voglia di vivere, spento, eppure, in un viaggio, sente una risata gaia, fresca, e lui si chiede cosa avrà tanto da ridere quella ragazza che lui non vede. La sera ascolta la voce e si innamora così, dalla voce, dal suono, dalla gioia di vivere e sceglie l'amore, sceglie la vita.
Tutta la vita è una scelta, ha detto infatti il regista, proprio all'inizio della conversazione. Cosa ci sta a cuore è importante.
Il cinema a lui ha dato la possibilità di sciogliere quell'ossessione di fare delle scelte, di prendere posizioni, di chiedersi sempre " Cosa voglio raccontare?" La vita di tutti segue queste dinamiche, sull'altalena del pensarsi nessuno oppure qualcuno, sullo sconforto e sulla euforia, sulla voglia di lasciare un'orma, lui dice una traccia di sé, sul terreno.
Un modo personale di essere che implica la voglia delle relazioni umane. Che ci fa comunità. E qui lui usa un aggettivo legato a sostantivo che vi metto in grassetto Attenzione civica.
Evviva la civiltà. Ci sentiamo in tanti Fuori dal mondo eppure basta incrociare la magia del cinema e dell'uomo e ci sentiamo nel mondo nel grande mondo dei nostri riferimenti. Mentre Truffaut è presente con noi, lo vedo quasi, nelle parole di Giuseppe Piccioni," Bisogna falsificare per dire qualche verità" la realtà come rappresentazione, e qui io mormoro Débord, la messa in scena è la capacità di rendere una scena interessante, sollevarsi su qualcosa di diverso vedendo il doppio fondo, come in una valigia e scoprire l'incantesimo.
Con le parole di Sergio Quinzio teologo da lui stimato, siamo alla fine della conversazione che termina con " Il mio paesaggio sono i volti"
Ma non termina l'incontro, ci salutiamo, lasciamo le scene e continua il nostro viaggio con lui per le vie di una Nicastro antica, per le vie del Timpone, attraversando ponti, guidati da Cecilia,
leggendo il castello dalle parole di Giovanna ed intanto siamo a Santa Lucia e troviamo Don Vittorio Dattilo, uomo prima che prete, incarnazione di tutto il cinema di Giuseppe Piccioni, in un incastro di coincidenze che, subito, questo libro "Il breve trattato sulle coincidenze" di Domenico Dara, dovrò segnalare al regista.
Per le vie antiche e sciupate, un profumo di garofani, quei garofani piccoli e odorosi delle estati del sud e, nel mentre io ricordo a Giuseppe la poesia di Costabile, lo ringrazio per aver trovato in lui una perfetta aderenza fra le sue scelte e il suo essere uomo in mezzo a noi, in quella relazione che umani ci fa.
Sonno di garofani
L'acqua
del paese
ancora scorre
senza tubature,
ne s'alzano antenne
architetture
di pulegge e gru
perché gli uccelli
possano sbagliare.
C'è pace
vita chiara
di donne di bambini
di carri tirati dai buoi
e a sera, quando ai balconi
c'è un sonno di garofani,
due stelle bizantine
s'affittano una stanza
nel cielo della piazza.
Chiedi la luna (1990) Condannato a nozze (1992)
Cuori al verde (1996) Fuori dal mondo (1998)
Luce dei miei occhi (2001) La vita che vorrei (2004)
Giulia non esce la sera (2009) Il rosso e il blu (2012)
A Lamezia con Il rosso e blu, Giuseppe Piccioni, ospite, per il primo appuntamento della rassegna “L’ora di Cinema Extra”, del direttore artistico GianLorenzo Franzì.
Rassegna sotto il patrocinio del Comune di Lamezia Terme.
Dopo la visione del film Il rosso e il blu, il regista ha parlato con gli spettatori e con Gian Lorenzo, poi ha percorso a ritroso le strade perdute del nostro interiore, del riferimento che ci fa essere simili e dona la felicità di capirsi fra umani.
Pochissimi appunti ho preso. Qualche frase. Ho però stampato indelebile tutto quel che di comune c'era già, non sapendolo. Intanto i titoli dei suoi film. Senza saperlo io li ho copiati negli anni passati, intitolando via via le mie relazioni come i suoi film. Io scrissi La vita che vorremmo, ed ora so perché. Riecheggiavo il suo film " La vita che vorrei"
Giuseppe Piccioni ricorda ogni sequenza dei suoi film, ci spiega ogni dettaglio, quel dettaglio, che solleva i protagonisti dalla noia di una conversazione scontata e fugge via, offrendo a noi tutti la sorpresa di poter parlarci senza scadere nelle ovvietà.
Sembra che tutta la sua cinematografia sia stato questo sfuggire il discorrere lamentevole oppure aggressivo, le offese, il male assoluto, e mostrare un normale esistere capace di altezze, di approfittare del varco stretto, strettissimo e mostrare una realtà che sia un viso, una piega del viso, un sorriso, la luce negli occhi.
Quel momento che fa di tutti un individuo unico e solo nella sua unicità.
Il rosso e il blu è un film sulla scuola e lui ricorda la sua maestra che ad alta voce nell'aula scandiva quel "Leggi, Giuseppe" quel suo nome, come di quello dei suoi compagni, e la maestra voleva sentire proprio la voce di Giuseppe, donando all'alunno, a tutti gli alunni, una individualità. Donando attenzione.
"Attenzione" altro momento molto caro al regista. Ricordo un altro film sulla scuola, "W La Scuola", che terminava proprio con la parola attenzione.
Attenzione che ci fa meno soli, e il regista ci ricorda Silvio Orlando in "Fuori dal mondo" con una suora, in una stanza, raccontare la solitudine di non poter e nemmeno sapere a chi telefonare perché non si ha nessuno, noi tutti siamo lì lì per dire che siamo noi, tutti, uguali, a Silvio Orlando, al suo personaggio.
In fondo il cinema ci chiede immedesimazione, ci fa partecipare al gioco, ci fa sognare, ridere e piangere. E quando si piange il film è riuscito.
La voglia di vivere e di leggere. In Guerra e pace di Tolstoj, libro da lui molto amato, il protagonista ha trentuno anni, non ha voglia di vivere, spento, eppure, in un viaggio, sente una risata gaia, fresca, e lui si chiede cosa avrà tanto da ridere quella ragazza che lui non vede. La sera ascolta la voce e si innamora così, dalla voce, dal suono, dalla gioia di vivere e sceglie l'amore, sceglie la vita.
Tutta la vita è una scelta, ha detto infatti il regista, proprio all'inizio della conversazione. Cosa ci sta a cuore è importante.
Il cinema a lui ha dato la possibilità di sciogliere quell'ossessione di fare delle scelte, di prendere posizioni, di chiedersi sempre " Cosa voglio raccontare?" La vita di tutti segue queste dinamiche, sull'altalena del pensarsi nessuno oppure qualcuno, sullo sconforto e sulla euforia, sulla voglia di lasciare un'orma, lui dice una traccia di sé, sul terreno.
Un modo personale di essere che implica la voglia delle relazioni umane. Che ci fa comunità. E qui lui usa un aggettivo legato a sostantivo che vi metto in grassetto Attenzione civica.
Evviva la civiltà. Ci sentiamo in tanti Fuori dal mondo eppure basta incrociare la magia del cinema e dell'uomo e ci sentiamo nel mondo nel grande mondo dei nostri riferimenti. Mentre Truffaut è presente con noi, lo vedo quasi, nelle parole di Giuseppe Piccioni," Bisogna falsificare per dire qualche verità" la realtà come rappresentazione, e qui io mormoro Débord, la messa in scena è la capacità di rendere una scena interessante, sollevarsi su qualcosa di diverso vedendo il doppio fondo, come in una valigia e scoprire l'incantesimo.
Con le parole di Sergio Quinzio teologo da lui stimato, siamo alla fine della conversazione che termina con " Il mio paesaggio sono i volti"
Ma non termina l'incontro, ci salutiamo, lasciamo le scene e continua il nostro viaggio con lui per le vie di una Nicastro antica, per le vie del Timpone, attraversando ponti, guidati da Cecilia,
leggendo il castello dalle parole di Giovanna ed intanto siamo a Santa Lucia e troviamo Don Vittorio Dattilo, uomo prima che prete, incarnazione di tutto il cinema di Giuseppe Piccioni, in un incastro di coincidenze che, subito, questo libro "Il breve trattato sulle coincidenze" di Domenico Dara, dovrò segnalare al regista.
Per le vie antiche e sciupate, un profumo di garofani, quei garofani piccoli e odorosi delle estati del sud e, nel mentre io ricordo a Giuseppe la poesia di Costabile, lo ringrazio per aver trovato in lui una perfetta aderenza fra le sue scelte e il suo essere uomo in mezzo a noi, in quella relazione che umani ci fa.
Sonno di garofani
L'acqua
del paese
ancora scorre
senza tubature,
ne s'alzano antenne
architetture
di pulegge e gru
perché gli uccelli
possano sbagliare.
C'è pace
vita chiara
di donne di bambini
di carri tirati dai buoi
e a sera, quando ai balconi
c'è un sonno di garofani,
due stelle bizantine
s'affittano una stanza
nel cielo della piazza.
martedì 19 aprile 2016
Conforme alla gloria
Appunti
Fra offesa e rancore
“zona grigia” proposta da Levi: il male non ha intrinseca grandezza, può scaturire da piccoli gesti e piccoli atti e avere conseguenze catastrofiche.
"Il rancore si presenta così sotto forma di “un demone prigioniero”, che continua il suo eterno lavorio, imprigionato dentro di noi, alimentatore di rovelli inestinguibili, tenuto in vita dal nostro stesso desiderio. Il demone rumina, rimugina, rimastica sempre il medesimo bolo, come se il tempo della digestione definitiva non dovesse mai giungere. Kancyper, che ha dedicato all’argomento del risentimento uno studio, sostiene che questa emozione è legata alla dimensione temporale, differenziando tra due tipi di memorie: la memoria del dolore, che continua nel tempo della rassegnazione, e la memoria del risentimento e del rancore, che “si trincera e si nutre dell’aspettativa della vendetta in un tempo futuro”. Per questo il risentimento appare allo psicoanalista legato a pulsioni di morte: “la compulsione ripetitiva e insaziabile del potere vendicativo”; si regge, dunque, sul principio del “tormento”, un pensare calamitoso, come lo chiama un paziente dello psicoanalista argentino, in cui la collera diventa la sola via di fuga dal tormento interiore. - : http://www.doppiozero.com/rubriche/4270/201604/risentimento-i-parte#sthash.sjlMZlj7.dpuf
"La memoria è uno strumento meraviglioso ma fallace. E questa una verità logora, nota non solo agli psicologi, ma anche a chiunque abbia posto attenzione al comportamento di chi lo circonda, o al suo stesso comportamento. I ricordi che giacciono in noi non sono incisi sulla pietra; non solo tendono a cancellarsi con gli anni, ma spesso si modificano, o addirittura si accrescono, incorporando lineamenti estranei. Lo sanno bene i magistrati: non avviene quasi mai che due testimoni oculari dello stesso fatto lo descrivano allo stesso modo e con le stesse parole, anche se il fatto è recente, e se nessuno dei due ha un interesse personale a deformarlo. Questa scarsa affidabilità dei nostri ricordi sarà spiegata in modo soddisfacente solo quando sapremo in quale linguaggio, in quale alfabeto essi sono scritti, su quale materiale, con quale penna: a tutt’oggi, è questa una meta da cui siamo lontani. Si conoscono alcuni meccanismi che falsificano la memoria in condizioni particolari: i traumi, non solo quelli cerebrali; l’interferenza da parte di altri ricordi «concorrenziali»; stati abnormi della coscienza; repressioni; rimozioni. Tuttavia, anche in condizioni normali è all’opera una lenta degradazione, un offuscamento dei contorni, un oblio per così dire fisiologico, a cui pochi ricordi resistono. É probabile che si possa riconoscere qui una delle grandi forze della natura, quella stessa che degrada l’ordine in disordine, la giovinezza in vecchiaia, e spegne la vita nella morte. É certo che l’esercizio (in questo caso, la frequente rievocazione) mantiene il ricordo fresco e vivo, allo stesso modo come si mantiene efficiente un muscolo che viene spesso esercitato; ma è anche vero che un ricordo troppo spesso evocato, ed espresso in forma di racconto, tende a fissarsi in uno stereotipo, in una forma collaudata dall’esperienza, cristallizzata, perfezionata, adorna, che si installa al posto del ricordo greggio e cresce a sue spese." Primo Levi I sommersi e i salvati
Fra offesa e rancore
“zona grigia” proposta da Levi: il male non ha intrinseca grandezza, può scaturire da piccoli gesti e piccoli atti e avere conseguenze catastrofiche.
"Il rancore si presenta così sotto forma di “un demone prigioniero”, che continua il suo eterno lavorio, imprigionato dentro di noi, alimentatore di rovelli inestinguibili, tenuto in vita dal nostro stesso desiderio. Il demone rumina, rimugina, rimastica sempre il medesimo bolo, come se il tempo della digestione definitiva non dovesse mai giungere. Kancyper, che ha dedicato all’argomento del risentimento uno studio, sostiene che questa emozione è legata alla dimensione temporale, differenziando tra due tipi di memorie: la memoria del dolore, che continua nel tempo della rassegnazione, e la memoria del risentimento e del rancore, che “si trincera e si nutre dell’aspettativa della vendetta in un tempo futuro”. Per questo il risentimento appare allo psicoanalista legato a pulsioni di morte: “la compulsione ripetitiva e insaziabile del potere vendicativo”; si regge, dunque, sul principio del “tormento”, un pensare calamitoso, come lo chiama un paziente dello psicoanalista argentino, in cui la collera diventa la sola via di fuga dal tormento interiore. - : http://www.doppiozero.com/rubriche/4270/201604/risentimento-i-parte#sthash.sjlMZlj7.dpuf
"La memoria è uno strumento meraviglioso ma fallace. E questa una verità logora, nota non solo agli psicologi, ma anche a chiunque abbia posto attenzione al comportamento di chi lo circonda, o al suo stesso comportamento. I ricordi che giacciono in noi non sono incisi sulla pietra; non solo tendono a cancellarsi con gli anni, ma spesso si modificano, o addirittura si accrescono, incorporando lineamenti estranei. Lo sanno bene i magistrati: non avviene quasi mai che due testimoni oculari dello stesso fatto lo descrivano allo stesso modo e con le stesse parole, anche se il fatto è recente, e se nessuno dei due ha un interesse personale a deformarlo. Questa scarsa affidabilità dei nostri ricordi sarà spiegata in modo soddisfacente solo quando sapremo in quale linguaggio, in quale alfabeto essi sono scritti, su quale materiale, con quale penna: a tutt’oggi, è questa una meta da cui siamo lontani. Si conoscono alcuni meccanismi che falsificano la memoria in condizioni particolari: i traumi, non solo quelli cerebrali; l’interferenza da parte di altri ricordi «concorrenziali»; stati abnormi della coscienza; repressioni; rimozioni. Tuttavia, anche in condizioni normali è all’opera una lenta degradazione, un offuscamento dei contorni, un oblio per così dire fisiologico, a cui pochi ricordi resistono. É probabile che si possa riconoscere qui una delle grandi forze della natura, quella stessa che degrada l’ordine in disordine, la giovinezza in vecchiaia, e spegne la vita nella morte. É certo che l’esercizio (in questo caso, la frequente rievocazione) mantiene il ricordo fresco e vivo, allo stesso modo come si mantiene efficiente un muscolo che viene spesso esercitato; ma è anche vero che un ricordo troppo spesso evocato, ed espresso in forma di racconto, tende a fissarsi in uno stereotipo, in una forma collaudata dall’esperienza, cristallizzata, perfezionata, adorna, che si installa al posto del ricordo greggio e cresce a sue spese." Primo Levi I sommersi e i salvati
domenica 17 aprile 2016
Nel sole del parco un Rifugio Fata
Giornata per raccogliere fondi e sostenitori al Rifugio Fata: "Associazione onlus per la protezione animali, sede della Sezione di Lamezia, della Lega Nazionale per la Difesa Del Cane. Recupero sul territorio di un drammatico randagismo.
Il Rifugio ospita circa 150 cani senza avere alcuna sovvenzione pubblica permanente, ma con donazioni che i sostenitori erogano." Partecipano, insieme a tanti, gli alunni del Liceo Campanella con dolci e fette di pane condito con olio dall'azienda Dattilo, che ha sede a Maida.
La giornata assolata sembra di un giugno inoltrato ed io arrivo alla festa, mi siedo accanto a Samarcanda, al Liceo Campanella e godiamo la manifestazione con loro che partecipano: Manuelita Iacopetta, Giovanna Adamo, Michela Cimmino.
Intanto dai banchi del Rifugio Fata
friggono crispelle ottime, 12 chili di farina hanno impastato, e vediamo tutti prendere a morsi queste crispelle. Abbiamo l'acquolina in bocca e Nella Fragale, senza sapere, dopo un po', intercettando il nostro muto gustare, ci porta un sacchetto con dentro le crispelle che noi, insieme ad alcuni alunni, divoriamo in un attimo, mettendo io come voto 10+
Intanto dai banchi del Rifugio Fata
friggono crispelle ottime, 12 chili di farina hanno impastato, e vediamo tutti prendere a morsi queste crispelle. Abbiamo l'acquolina in bocca e Nella Fragale, senza sapere, dopo un po', intercettando il nostro muto gustare, ci porta un sacchetto con dentro le crispelle che noi, insieme ad alcuni alunni, divoriamo in un attimo, mettendo io come voto 10+
I ragazzi ora suonano,
qualcuno ha una chitarra e arrivano i giornalisti ufficiali, la stampa per davvero, arriva il Sindaco, arriva l'Uniter, nelle vesti del suo presidente, Italo Leone, ma lui arriva per suo diletto. Nel parco alcuni sono venuti con il loro cane, però sono cani educatissimi, nessun cane abbaia, o litiga. Regna una pace fra loro. La pace del Rifugio Fata
qualcuno ha una chitarra e arrivano i giornalisti ufficiali, la stampa per davvero, arriva il Sindaco, arriva l'Uniter, nelle vesti del suo presidente, Italo Leone, ma lui arriva per suo diletto. Nel parco alcuni sono venuti con il loro cane, però sono cani educatissimi, nessun cane abbaia, o litiga. Regna una pace fra loro. La pace del Rifugio Fata
venerdì 15 aprile 2016
Angelo Calvisi Adieu Mon Coeur
Mi arriverà e vi arriverà leggendo il ritmo dei piatti battuti. Un suono che ballare vi farà, segnando il ritmo, battendo una mano sulla coscia e vai.
Letto veloce e in riva al mare, scaldata dal sole, apprezzo questa scrittura che, fresca e sincera, vien giù dalla penna, dai tasti, dai piatti di Angelo Calvisi. Non sapevo mentre leggevo che l'autore fosse anche un musicista, un batterista, però chi ha la musica in testa scrive seguendo le note.
Questo anno mi sono arrivati altri musicisti che scrivono molto bene, fra questi Massimiliano Nuzzolo, con La Felicità è facile, racconti ritmati, Fabio Ivan Pigola ed ora Angelo Calvisi con Adieu Mon Coeur, per segnare un anno che mi sembra scritto in musica.
Non vi citerò gli altri, ma questi scrittori io li terrò nel regno della Litweb fra i bravi e dotati di talento. Ne sentiremo parlare, ne sono sicura, sempre così mi è successo con gli autori che ho accettato nel regno della letteratura web. Sarà questo il significato di Litweb?
"Ho sognato che provavo a scavalcare la cancellata della scuola e ci rimanevo infilzato, praticamente il braccio diventava uno spiedino, poi passavo di nuovo davanti alla cancellata e sulle punte era rimasto un filamento che sembrava cera di candela e invece era la mia pelle e tutto attorno ci volavano le mosche." inizia così e continua narrando la storia del bimbo, dell'uomo, del ragazzo, nel libro diviso in tanti capitoli, ognuno con il suo titolo, con il pezzo di vita del personaggio. Ve lo presento
"l’ingresso nell'oratorio con Fabio che mi tiene per un braccio mi
fa sentire al centro dell’interesse generale, come se fossi anch'io un famosissimo del quartiere, o forse il più rompipalle fra tutti i babanetti." Deliziata da questi "babanetti" sento che la vera goduria del testo sono i termini, giocosi, gioiosi e sorridenti di una lingua usata per trastullarsi un po'.
Avevo già assaporato la lingua e la costruzione di Fabio Ivan Pigola, nella Forma fragile del silenzio, altro bel libro di questi ultimi giorni, si può dire che in tre, con Fabio alla chitarra e Angelo alla batteria, e Massimiliano Nuzzolo, avrei fatto la band del primo trimestre del 2016.
Certo ritrovo echi di scrittori che ho amato in loro, ma sento il suono di un proprio gioco.
I ragazzi dell'oratorio, del rock, delle famiglie che si rompono, delle nonne che arrivano a cucire un affetto "Mia nonna sorride con uno dei suoi sorrisi che mi fanno andare il respiro in fondo alle scarpe. Lo fa apposta per farmi deprimere oppure non capisce davvero quello che le sto dicendo?" e l'adolescente che si domanda, che cerca un motivo, quella musica che lo fa andare.
Ogni capitolo racconta un decennio dal 1983, 1993, 2003, e "Ho cominciato a capire che la musica mi piaceva sul serio attorno ai sedici anni. Red Ronnie era già Red Ronnie, faceva una trasmissione che si chiamava Be Bop a Lula e andava in onda la sera, una volta alla settimana, su Italia 1. A Be Bop a Lula Red Ronnie intervistava gli ospiti e li faceva parlare di argomenti che con la musica non c’entravano una mazza." e 2013 Armonia a Berlino e mi ipnotizzo sulle quattro dita di Junger "Il ragazzo della reception parla un italiano da Accademia della Crusca e ha una faccia da contadino, una bella faccia bonaria e lattiginosa. Sul cartellino di riconoscimento c’è scritto che si chiama Jurgen. La sua mano sinistra ha quattro dita. Gliela osservo mentre digita sulla tastiera, conto e riconto le dita, sono quattro, come le mani dei Simpson, e non ci sono segni di mutilazione, solo quattro dita ordinate e ben distribuite. Passo a Jurgen la carta di credito e non riesco a staccare gli occhi dalla sua mano, ne sono ipnotizzato.
Forse dipende dal fatto che nei corpi guasti ci vedo qualcosa che mi somiglia."
Dovrete gustarvi queste immagini, come ho fatto io, visualizzando il protagonista ruotare "Sono una moneta che ruota sul suo asse, rallento e mi fermo soltanto quando ho esaurito la spinta, e la spinta si esaurisce davanti al portone di mia madre."
Sul molo di una Corcordia che vien smantellata il libro va a chiudere un cerchio con Armonia.
Adieu mon coeur, forse un po' sgangherato, termine usato in modo affettuoso, Adieu mon coeur, canzone che cantiamo un po' tutti credendoci veri. Suoneremo questa canzone per ogni dove, dove vorranno racconti autentici anche se non perfetti. Vivi.
Letto veloce e in riva al mare, scaldata dal sole, apprezzo questa scrittura che, fresca e sincera, vien giù dalla penna, dai tasti, dai piatti di Angelo Calvisi. Non sapevo mentre leggevo che l'autore fosse anche un musicista, un batterista, però chi ha la musica in testa scrive seguendo le note.
Questo anno mi sono arrivati altri musicisti che scrivono molto bene, fra questi Massimiliano Nuzzolo, con La Felicità è facile, racconti ritmati, Fabio Ivan Pigola ed ora Angelo Calvisi con Adieu Mon Coeur, per segnare un anno che mi sembra scritto in musica.
Non vi citerò gli altri, ma questi scrittori io li terrò nel regno della Litweb fra i bravi e dotati di talento. Ne sentiremo parlare, ne sono sicura, sempre così mi è successo con gli autori che ho accettato nel regno della letteratura web. Sarà questo il significato di Litweb?
"Ho sognato che provavo a scavalcare la cancellata della scuola e ci rimanevo infilzato, praticamente il braccio diventava uno spiedino, poi passavo di nuovo davanti alla cancellata e sulle punte era rimasto un filamento che sembrava cera di candela e invece era la mia pelle e tutto attorno ci volavano le mosche." inizia così e continua narrando la storia del bimbo, dell'uomo, del ragazzo, nel libro diviso in tanti capitoli, ognuno con il suo titolo, con il pezzo di vita del personaggio. Ve lo presento
"l’ingresso nell'oratorio con Fabio che mi tiene per un braccio mi
fa sentire al centro dell’interesse generale, come se fossi anch'io un famosissimo del quartiere, o forse il più rompipalle fra tutti i babanetti." Deliziata da questi "babanetti" sento che la vera goduria del testo sono i termini, giocosi, gioiosi e sorridenti di una lingua usata per trastullarsi un po'.
Avevo già assaporato la lingua e la costruzione di Fabio Ivan Pigola, nella Forma fragile del silenzio, altro bel libro di questi ultimi giorni, si può dire che in tre, con Fabio alla chitarra e Angelo alla batteria, e Massimiliano Nuzzolo, avrei fatto la band del primo trimestre del 2016.
Certo ritrovo echi di scrittori che ho amato in loro, ma sento il suono di un proprio gioco.
I ragazzi dell'oratorio, del rock, delle famiglie che si rompono, delle nonne che arrivano a cucire un affetto "Mia nonna sorride con uno dei suoi sorrisi che mi fanno andare il respiro in fondo alle scarpe. Lo fa apposta per farmi deprimere oppure non capisce davvero quello che le sto dicendo?" e l'adolescente che si domanda, che cerca un motivo, quella musica che lo fa andare.
Ogni capitolo racconta un decennio dal 1983, 1993, 2003, e "Ho cominciato a capire che la musica mi piaceva sul serio attorno ai sedici anni. Red Ronnie era già Red Ronnie, faceva una trasmissione che si chiamava Be Bop a Lula e andava in onda la sera, una volta alla settimana, su Italia 1. A Be Bop a Lula Red Ronnie intervistava gli ospiti e li faceva parlare di argomenti che con la musica non c’entravano una mazza." e 2013 Armonia a Berlino e mi ipnotizzo sulle quattro dita di Junger "Il ragazzo della reception parla un italiano da Accademia della Crusca e ha una faccia da contadino, una bella faccia bonaria e lattiginosa. Sul cartellino di riconoscimento c’è scritto che si chiama Jurgen. La sua mano sinistra ha quattro dita. Gliela osservo mentre digita sulla tastiera, conto e riconto le dita, sono quattro, come le mani dei Simpson, e non ci sono segni di mutilazione, solo quattro dita ordinate e ben distribuite. Passo a Jurgen la carta di credito e non riesco a staccare gli occhi dalla sua mano, ne sono ipnotizzato.
Forse dipende dal fatto che nei corpi guasti ci vedo qualcosa che mi somiglia."
Dovrete gustarvi queste immagini, come ho fatto io, visualizzando il protagonista ruotare "Sono una moneta che ruota sul suo asse, rallento e mi fermo soltanto quando ho esaurito la spinta, e la spinta si esaurisce davanti al portone di mia madre."
Sul molo di una Corcordia che vien smantellata il libro va a chiudere un cerchio con Armonia.
Adieu mon coeur, forse un po' sgangherato, termine usato in modo affettuoso, Adieu mon coeur, canzone che cantiamo un po' tutti credendoci veri. Suoneremo questa canzone per ogni dove, dove vorranno racconti autentici anche se non perfetti. Vivi.
martedì 12 aprile 2016
Florence di Stefania Auci
Come dice Rimbaud,“C’è un Dio che ride sulle tovaglie di damasco degli altari” sussurrò.
C’è chi approfitta di tutto ciò, passando sopra la morte di migliaia di uomini, uomini che lei ha visto morire.
"Mi chiedono i tuoi occhi, chiari come il cristallo:
«Per te bizzarro amante qual è insomma il mio merito?»…
Sonetto d’autunno. Charles Baudelaire."
Florence romanzo storico e romanzo d'amore, romanzo sulla guerra e romanzo sull'amicizia, sul Greve e Firenze, Parigi e il Belgio. Romanzo che, a tratti, diventa un noir. Una cronaca nera, nerissima di esistenze picchiate e stuprate, un romanzo che contiene diversi spunti e se nella prima parte si sofferma a lungo su una ambizione del protagonista, Ludovico, cronista della Nazione, poi comincia a seguire quella guerra e quel momento in cui all'Italia si chiese se intervenire oppure restare neutrale. Quei tre mesi che ci scaraventarono in perdite di giovanissimi, compreso mio zio, il fratello del nonno, fidanzato di mia nonna, che morì sul fronte appena arrivò e che, con la sua morte, in effetti, creò la possibilità che nascessi io. Infatti mio nonno, suo fratello, sposò la fidanzata di lui che non tornò. Sempre legata sono stata io a questa guerra.
Una guerra terribile " Uomini contro" di Rosi
Ludovico intanto conosce in quella guerra un ufficiale Freeman
“Ogni passo che avrebbe fatto, ogni metro di suolo francese che avrebbe percorso l’avrebbe resa vera. Non più un’idea, non più un mito, non più un racconto. La guerra. Ludovico si impose di ignorare i propri timori. Respirò l’aria umida. Sono qui per questo, si disse. A suo modo, era anche lui un combattente. Aveva la sua guerra. Ed era lì per portare a casa la vittoria.”
“Ludovico batté le palpebre, sconcertato. Cosa stava dicendo? Era ubriaco? Una meraviglia sgradevole e improvvisa gli fece alzare la voce. «Ciascuno di noi ha un dovere da compiere in questa guerra: il mio è quello di raccontare cosa accade, così come il suo è quello di combattere. La realtà deve arrivare a chi è lontano da qui, a chi non può vedere il sangue versato e non può udire il rombo dei cannoni.» Freeman rise sommessamente. Un suono malinconico, che gli rammentò la risacca su una spiaggia di ciottoli. «Oh, amico mio, per essere un adulto, è ancora così ingenuo. Pensa che la verità arriverà intatta sul suo giornale? Che non ci sarà qualcuno che la manipolerà? Non capisce che è tutto inutile? Che la gente vede solo ciò che vuol vedere?”
«Lei è una persona di grande coraggio e lo ha dimostrato in questi giorni. Ma la sua rabbia rischia di farle compiere degli errori, o di farle perdere di vista le cose importanti, come gli affetti. La collera ci impedisce di vedere ciò che conta nella nostra vita e alla fine non lascia che cenere. Tutti hanno bisogno di qualcuno che li accolga, che sia una persona o un luogo. Dà uno scopo alla nostra esistenza.»
Leggo e sottolineo i tanti momenti di un grande affresco sui giornali del tempo a Firenze, La Nazione, Lacerba, La Voce, e questi sono i momenti più piacevoli per me, vedere quei giornali vivi, quel desiderio di raccontare "commentò gelido Ghelli. «Cosa vuoi?» Ludovico studiò il cilindro scuro. Il tabacco aveva un profumo ricco, il rivestimento era ruvido, secco. «Voglio andare in Francia. Come inviato del giornale», affermò in maniera quasi distratta. Spostò lo sguardo dal pavimento al viso dell’altro che lo squadrava sbalordito.”
Sento nell'autrice l'amore per la letteratura francese che appare anche nella struttura dei personaggi, a me ricordarono tanti momenti dei libri amati, da Maupassant a Flaubert. E da Florence riporto in alto i versi di Rimbaud e di Baudelaire. Sono due poeti che incarnano per noi il verso, i versi amati e lei, Stefania Auci li mette a suggello della storia d'amore che conclude il suo raccontare. Un racconto che dimostra quanto sia grande in lei il piacere di una scrittura sia sui fatti storici che su quelli individuali e sulle contraddizioni che possano cambiare gli uomini al cospetto di fatti sanguinosi oppure di amore. Un racconto amato, vero Stefania? Rimane nel leggere la sensazione che fra una storia, che sono due o tre storie, ci sia il far più racconti diversi, unire i generi, come nei romanzi dei tempi andati, rimane il gusto di voler dare a chi leggerà immagini di positività, di saper aspettare, di studiare ed amare la scuola, che, io credo, sia la vera protagonista in Florence, con l'università, il professore, gli alunni e lo studio, vero filo conduttore del libro dall'inizio alla fine.
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