sabato 9 gennaio 2016

Mio padre compie oggi novantuno anni

Novantuno anni. 
Lui diceva spesso che suo nonno era vissuto novanta anni e più senza conoscere un dottore, senza farsi una puntura. La prima puntura gliela fecero a novanta anni. E lui scherzando disse che lo avevano sverginato! 
Non conosco questo nonno di mio padre, come potrei? se non per questo e altri aneddoti lontani. Fatto sta che mio nonno era convinto di vivere molto, almeno quanto il suo papà ed invece morì giovane, a settanta anni, sorpreso dello scherzo che la sorte gli faceva. 
Mio padre invece che non aveva tutto questo interesse a vivere ha oltrepassato la novantina perdendosi ogni giorno qualcosa del giorno prima. 
Nella terribile decomposizione della vecchiaia. 
Due ingiustizie. 
Mio nonno morto con la voglia forte di vivere e mio padre invece  questo lungo protrarsi di un soggiorno in lui che non ha da tempo avuto mai interesse a continuare. 
Non comandiamo noi 
Ippolita Luzzo 

mercoledì 6 gennaio 2016

Demetrio Paolin Non fate troppi pettegolezzi

Demetrio Paolin
Non fate troppi pettegolezzi: La lezione di Paolin.
Nella Torino dal color viola
Quando manca il motivo per continuare, quattro scrittori spezzano la penna, si precipitano dalle scale, si addormentano per l’eternità 
Quattro scrittori tratteggiati nelle linee essenziali, nei contorni, con occhiali, baffi, barba e capelli, sopracciglia, in un viola che ci piace molto. Il viola è il colore della penitenza, del dolore, della tristezza, ma accresce la capacità creativa e la fantasia. Chi ama il viola è amante dell'arte. Con umiltà. 
Demetrio Paolin scrive "La mia dipendenza dalla scrittura: questo è il mio esame di coscienza. Torino, gennaio-novembre 2013" 
Fare lezione a scuola così, con in mano il libro di Demetrio, per dire ai ragazzi che qualcosa dobbiamo pur ricordare 
 "C’è una poesia di Borges ne "L’elogio dell’ombra", in cui lo scrittore argentino immagina Caino e Abele che si incontrano in un ipotetico aldilà. Nessuno dei due ricorda chi ha ucciso chi e sembra che questa smemoratezza sia salvifica per entrambi.Nessuno di noi ricorda tutto, l’oblio serve per discernere alcuni ricordi da altri. Il rischio che si corre sarebbe altrimenti la pazzia"
Nella Torino che non conosco e che conosco così, dal suo descriverla, seguiamo i momenti che lui racconta.
Quattro autori, quattro uomini, alle prese con povertà, pudore e vergogna,  servizio e dono, impossibilità a vivere un momento di più.
Nell'accostarsi affettuoso di Demetrio ai suoi scrittori
c’è un momento in cui anche la scrittura non consola più, è il momento in cui gli editori non ti pagano, in cui il foglio non  dà più gioia e non risponde, nella strettoia del giorno. Allora il rasoio o una pillola o cadere dalle scale sembra unico modo per  spezzare lo stringimento.

EMILIO SALGARI Torino, strada Val San Martino Superiore 27 (25 aprile 1911)
Salgari, l’uomo pulito dell’immaginario semplice, lussureggiante ma corretto. I suoi personaggi onesti vivono in una colorata e profumata natura, combattono nemici certi e cattivi, si fidano e amano. Con responsabilità. Nella costrizione Salgari scrive.
Vi è “una nevrosi da spazi angusti, da costrizione carceraria. Si prendano alcune bestie e le si privi del loro habitat, le si privi della loro dovuta violenza e diventeranno queste cose vuote.”
Questo sentimento di costrizione e di vergogna  si supera con l’immaginazione. Inventa mondi. Ad un certo punto  Salgari sa che la sua storia personale finisce male e “quello di Salgari non è un suicidio, ma un sacrificio: c’è qualcosa di religioso e primitivo nel suo gesto. Sandokan è invecchiato.” atto di resa, ma in grande stile.

CESARE PAVESE Torino, piazza Carlo Felice 60 (27 agosto 1950)
Pavese come Orfeo
Lavorare stanca:” il mito di Orfeo inizia con un viaggio e finisce con un ritiro solitario sulle colline. La dicotomia tra movimento/immobilità” Il movimento però  è simile a quello di chi improvvisamente si volta. Orfeo si volta ed Euridice è immobile e chiara: il tempo pare fermarsi, lui rivede l’oggetto del suo amore. Nel momento in cui appare più viva, lei svanisce come i filamenti delle lampadine prima di bruciarsi, che rilasciano una luce chiarissima, molto più forte del loro voltaggio, una luce finale, che è segno che ogni cosa sta per finire. Così per Orfeo è stata Euridice: un nitore composto e poi nulla più.” Dialoghi con Leucò. 
E mentre Pavese diviene Orfeo "Il sacro rimane a noi lontano, mentre il mistero – sempre quando si è ammessi a esperirlo – ci consente una conoscenza totale, ci fa immedesimare con gli stessi Dei di cui celebriamo il rito."
Tutto l’amore che Orfeo ha per Euridice è un viatico per comprendere che l’uomo è niente. 
In "Il mestiere di vivere" Pavese, nel marzo del 1950, il 25 per la precisione, scrive queste righe: Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla." Ma anche il nulla può dare euforia.
L'euforia del leggere sempre molto simile è.

PRIMO LEVI Torino, corso Re Umberto 75 (11 aprile 1987)
 Se questo è un uomo "una sorta di progressivo spogliamento dell’uomo: Si immagini ora un uomo a cui, insieme alle persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno. L’uovo senza guscio e l’uomo vuoto sono la medesima cosa."
E poi il sopravvissuto ha vergogna "perché sei vivo al posto di un altro? Ed in specie, di un uomo più generoso, più sensibile, più savio, più utile, più degno di vivere di te? Non lo puoi escludere: […], no, non trovi trasgressioni palesi, non hai soppiantato nessuno, non hai picchiato […], non hai rubato il pane di nessuno; tuttavia non lo puoi escludere." Primo Levi, I sommersi e i salvati

Mi disse una mia amica, dottoressa al Sert, che basta pochissimo, un odore, una musica e si è di nuovo ripiombati nell'inferno della droga, dell’alcool, la sirena che trascina i suoi pazienti. Forse lo scrisse Jung. Qui lo leggiamo da Paolin che fa parafrasi da Levi "Via Cigna è la descrizione dell’angoscia dell’essere ancora laggiù nel lager e di come basti un niente affinché tale sentimento venga portato alla luce, grazie a una trama di complessi rimandi interni e citazioni velate."
"il nome – questo Levi lo sapeva bene – è il nocciolo dell’esistenza del mondo, perché la parola è ciò che crea il mondo. Così immagino Levi che durante un noioso venerdì pomeriggio, aspettando il suono della sirena che sanciva la fine del turno, scarabocchia qualcosa su di un quattrino. Prende un foglio bianco e incomincia ad  anagrammare il suo nome e il suo cognome. Per il suo cognome la soluzione più facile è quella di invertire le sillabe. E così facendo da "levi" è passato a "vile". Fuori sta annottando e la sirena ancora non suona, Primo prende il foglio e legge: primo vile" Che cosa triste! sbagliare anagramma 

FRANCO LUCENTINI Torino, piazza Vittorio Veneto angolo via Po (5 agosto 2002)
“Nell’agosto del 2002 Lucentini si butta giù dalle scale del suo appartamento di Torino. Lucentini vive in un bellissimo alloggio in piazza Vittorio Veneto, che è forse la piazza della mia città che amo di più.” 
Venendo meno il dialogo venne meno il motivo “. Per Lucentini succede qualcosa di simile, il dialogo è un prisma che offre diversi punti di vista, mostra incongruenze, perplessità, dubbi e pochissime certezze; il cammino verso la verità non è facile, non è costruito su saldi pilastri, ma appunto è traballante e balbettante come può esserlo un dialogo tra due esseri umani”

“l’ossessione della scrittura come tentativo di riprodurre fedelmente qualcosa che già c’è. C’è stato un tempo in cui la parola era una cosa sola con l’idea e la realtà; nominare e pensare erano la stessa cosa: perché facevano esistere. Poi venne la memoria, e con la memoria venne la letteratura e quella identità si perse. Fu Babele, fummo noi con le nostre povere parole che ci permettono di vedere il mondo e di capirlo come enigma e tramite uno specchio oscuro. La condizione dello scrittore, lo diceva Benjamin nel saggio su Leskov, è una condizione di morente” Al servizio della letteratura: se muore il dialogo muore tutto.
Ippolita Luzzo


Lo scrigno alchemico del conferenziere

Sono qui che prendo appunti in una bella sala conferenze.
Al tavolo i relatori e l'autore del libro. 
Ha da poco terminato una lei, ora inizia a parlare un lui.
"Secondo me, lei scrigno alchemico" esordisce lui alla lei che si gingilla del suo scrigno. Alchemico.
Ora entriamo nel vivo della relazione
"Praticamente, ecco, davvero, devo dire, appunto, proprio certamente no? come diceva lei, psicologicamente e onestamente, praticamente della mancanza, e compagnia bella, cocci interiori, osso e polpa, strappi e buchi neri, devo dire, appunto, così nel fare di"
Ho anche scritto quante volte abbia detto "ecco", dieci volte al nanosecondo, quante volte abbia detto "appunto", altre dieci volte.
Non ho potuto prendere nota sul numero infinito di "Praticamente" perché ebbi mal di testa immediato e sindrome di Stendhal. 
Anche io, ammirata davanti a tanto capolavoro linguistico, caddi come corpo morto cade.
Posso capire una o un conferenziere improvvisato cadere nella ripetizione e nell'inciampo.
Non mi faccio una ragione del persistere dell'errore in scafati individui sempre col microfono in bocca. 
Io avevo due vizi orrendi "Ovvio" e "Appunto" 
Mi mordo la lingua ogni qualvolta vogliano uscire.
Una volta dissi ad un ragazzo che veniva intervistato  come se fosse un  filosofo di non ripetere sempre"Diciamo"
Lui mi rispose urtato che quel "Diciamo" era la sua caratteristica. Capisco che gli altri non vogliano essere corretti, io invece vi autorizzo a dirmi, quelle rare volte che apro bocca, quali siano le mie ripetizioni per non incorrere negli errori che provocano malessere negli ascoltatori 

martedì 5 gennaio 2016

Thalassa Francesca Tuscano


Thalassa “Navigando sul mare color vino verso uomini di altre lingue.” – Dall’Odissea, 1.183.
ονοψ “Oinops” è generalmente l’epiteto per il mare in Omero.
Navigando sul mare colore del vino, verso genti straniere, verso Temesa in cerca di bronzo, sono arrivato qui con nave e compagni. Porto con me ferro lucente"

Una ballata del mare salato Luglio 1967, Italia Hugo Pratt
Dal mare, che viene solcato per portare guerra, al mare della conoscenza, del seguir virtute e conoscenza. La possibilità di navigare e conoscere altre città, altre usanze, altre geometrie.
Era questo il canto dell’Odissea, il ritorno al conoscere, dopo la distruzione.
Avevo anni fa un bellissimo telo mare, in cotone piqué, con su stampati questi versi dell'Odissea e sul fondo campeggiava il profilo di  Corto Maltese, dalla ballata sul mare salato.
Avrei voluto trovarlo in casa e mi sono messa alla ricerca accorgendomi che casa mia negli anni mi è sconosciuta.
Non ricordo dove ho riposto il telo e non saprei dove cercarlo.
Non mi interessano e non amo i teli e gli asciugamani che ho ora.
Ricordo invece con quanto orgoglio io mi portassi dietro quel telo per aver modo poi, ai rari curiosi che mi domandavano, di parlare e parlare di Omero, Ulisse e  Corto Maltese.
Come faccio ora con il mare “Thalassa”, raccolta di versi  di Francesca Tuscan, un mare colore del vino.
Il mare dei nostri riferimenti
Non si può leggere una raccolta di versi, non nel senso del comune dire: ” leggere” come un romanzo.
Ogni poesia ci invita alla sosta, a ricominciare, a ricordare.
Navigando nel mare dal Pre-scriptum al Post- scriptum
 Pre-scriptum “Amiamoci senza sfiorarci, nell’odore di pelle e silenzio”
(a Laurent)
 Post-scriptum “Si perdono i regali degli addii./…Lo Sguardo e la mano si dannano nella semplice storia.”
Dai dialoghi con Leucò di Cesare Pavese, che sempre al mito ci riporta, quel luogo popolato da ninfe che ci avrebbero guidato o illuso, si giunge al luogo con gli  dei, satiri e Armonia e Cadmo che si sposeranno. Vero, Calasso? Ho amato moltissimo anche il tuo libro, necessario.
“Thalassa"
"Un giorno si leverà la polvere gialla a dirci che il nostro secolo è finito.”
Navigando nel mare dei nostri cari
Nel frattempo lei stringe al collo la sciarpa degli affetti:
 Il nonno che le ha insegnato a cantare, ad amare e ad essere anarchica “è la forza del dolore, la speranza che non consola. Quella che pende/dal ramo del melo”
Lucina, Angela, Pinuccia,  Roberto,  Arturo, le  maestre, i maestri, i loro occhiali ”Ognuno ha da fare la sua parte. E questa è la mia./C’è chi canta e c’è chi copia. Le mani, però, sanno/cantare e copiare. Così se ne fanno armi./Ed io l’ho fatto. Per questo.”
E poi le vittime, Franca e Antonio, vittime di un sistema punitivo che non rispettò la maternità
E si riparte. ”Eppure continuiamo a ripulire parole,/a pensarle senza mentire,/ad essere dalla parte del muro senza ombra./Non c’è altro luogo ed altro foglio,/non c’è altra rupe e altro masso-/sempre riprendere il cammino ostinato./pag52


 The Boat That Rocked , I love Radio Rock,  un film del 2009 scritto e diretto da Richard Curtis, mi ricorda quel momento in cui arrivano tante zattere sul mare del nord, tante zattere in aiuto ai musicisti che,  in balia delle onde, sulla nave trasmettevano musica rock.”
Allora io scrissi quello che vorrei scrivere qui sui versi di Francesca Tuscano
“Nella straorzante virata che fa la tua barca puoi sempre contare su zattere e natanti che accorrono in aiuto nella procella-
Il mare freddo del nord, le onde radio, la voce e il suono.
Vibra su tutto l'esaltazione e l'entusiasmo di essere vivi
ed eterna è la sconfinata allegria di testarsi capaci di cotante osare.
Dall'alto del pennone si ha la vertigine che ti fa tuffare giù, a capofitto, e il conte ed il re, si ritrovano amici.
Una sfida a noi stessi, alla piaggeria, al monotono e arido formular  editti, una sfida al Regno Unito d'Inghilterra, ai burocrati e alle carte.
Ci salverà la musica...
i film, la poesia.”
Leggendo le poesie di Francesca
“Rimane il segno che non volevi,/e infine sai che il giusto è in questo rimpianto,/nel ricordo che ha odore di terra.”pag53
“Ed ho cominciato ad amare i sorbi./Cercare i simili, per guardare lontano, e sempre insieme./ No, non è inutile leggere i poeti.”pag80

Nella squadra ideale che Antonio Bux, caro amico e poeta, aveva immaginato, vi erano molti che considero più che poeti, familiari, per la vicinanza di pensieri. Così avviene che leggere i versi di Bertoldo Roberto, di Massimo Sannelli o di Francesca, è sempre quel cercare i simili per guardar lontano. Nell'intimità che è interiorità di pensieri. Una complessità che ci riguarda.
Navigando nel mare color del vino con “Thalassa”

        


lunedì 4 gennaio 2016

Un piccolo teatro come Il Piccolo. Patres al teatro Umberto

Immaginando di stare a Milano al tempo di Paolo Grassi ascoltiamo Alessandro Toppi e Dario Tomasello parlare di Patres con il regista Saverio Tavano. Dalla  platea affollata, con spettatori in piedi, si sono appena sentiti gli applausi ripetuti a Gianluca Vetromilo e Dario Natale, i due attori protagonisti dell'atto unico "Patres", spettacolo già più volte visto, da alcuni di noi, e amato come un nostro simile.
Con più di quaranta rappresentazioni in molti teatri italiani Patres è stato più volte premiato. Più e Più, scrissi io a Saverio Tavano, al suo conoscerlo, rapita dal suo talento, oltre i confini geografici e temporali. 
Patres sconfigge l'augusto spazio dei luoghi, del pantano locale, per sfuggire, malgrado la netta collocazione del navigatore, ad una matrice che non sia quella umana. 
Come Dario Tomasello chiude il suo intervento con quell'aggettivo
"Umano" che connota la differenza fra teatro di genere e teatro con la T maiuscola, questo testo appena visto ha spostato la marginalità del territorio in un universale che ci appartiene, malgrado il dialetto e nonostante lui. Forse un dialetto impreciso, non propriamente del Cafarone, ma cosa importa? Non è il dialetto la dominante del testo. Qui domina il tragico destino individuale di scelte di singoli che soggiacciono a disegni malvagi. Ineluttabile mondo de I Vinti  di Verga, dei pescatori di Aci Trezza, dei pescatori che ormai potranno pescare cadaveri nelle loro reti.
Getta le tue reti, cantava Bertoli, tanto pesce pescherai.
Ora il pesce ancora sta sui banchi delle pescherie e surgelato ci guarda mentre tutto non è più buono, non solo il pesce. 
Nella denunzia del male, del tumore che incalza, come la lebbra del nostro secolo, ci sta dolente il rapporto padre-figlio. 
Un rapporto terribile. Sulla disillusione, sull'inganno, sulla non accettazione. 
Il padre non accetta il figlio, il padre va via, torna e lo lava, lo abbandona di nuovo a quella corda che sembra il destino di un figlio problematico.
Con foto di Aldo Tomaino
Moltissimi ormai fanno dei loro limiti una vittoria, una forza, qui, nel testo, ed in alcune tristi realtà, quel limite diventa la condanna ad un esilio da scontare da vivi, perché la morte si sconta vivendo. Nello spostamento dal verticale all'orizzontale sul  piano di una relazione cercata e non ottenuta sta il discorso di Dario Tomasello, mentre la testimonianza di Alessandro Toppi, da critico teatrale attento a un teatro vivente, urla compostamente quanto di bello ci sia in teatri piccoli, in sperimentazioni che avrebbero bisogno di essere sostenuti perché validi, senza tagliare fondi "alla cicatigna" per dirla in dialetto e chiamare teatro quello che non lo è. Ricordando Emma Dante e suo spettacolo, durante queste feste natalizie, in un piccolo teatro, con trenta posti, Alessandro ci ha ridato la magia del recitare, del poter applaudire un vero spettacolo.
Con in mano il libro edito dalla casa editrice "La Mongolfiera" voliamo anche noi nei cieli del teatro vero. Da spettatori uscenti sul palco della vita.

Piccola nota per sorridere: Da pubblico in piedi, e accoccolata sul gradino, io poi presi il posto di Alessandro e seduta nel riservato dedicato ai critici veri mi impregnai dello spirito di Flaiano. 
foto di Angelo di Maggio


  

sabato 2 gennaio 2016

Chiedo scusa ai premi Internazionali della mia regione

Premio Internazionale "Rana nello stagno" del granducato di...
Premio Internazionale "Mucche nella stalla" del principato di...
premio Internazionale " Spiriti celesti" dal regno dei cieli 

Chiedo scusa e vi chiedo "Internazionali di cosa? Di dove?"
Ci saranno fra voi alcuni premi significativi, dati cioè con criteri validi.
Ci saranno fra voi alcuni premi che fanno onore all'autore che riceve ed al paese che lo consegna
Ci saranno fra voi alcuni premi che poi varcheranno la soglia della propria strada e andranno nel mondo
Non lo dubito.
Sull'aggettivo internazionale mi fermo a riflettere. 
Come può una contrada, un borgo, una cittadina, una provincia ed una regione, periferia della periferia, non solo geografica ma ideale, come può dare un premio Internazionale, fuori cioè dai confini di quella nazione di appartenenza dove si è misconosciuti?
E come si può travalicare la nazione delle lettere e delle arti e dare premio urbi et orbi?
Chi dà i permessi affinché un premio possa fregiarsi dell'aggettivo Internazionale? 
un luogo altrettanto oscuro, suppongo, chiamato Dipartimento agli affari interni della cultura e dei premi.

Chissà come si fa ad avere simile referenza! Anche noi così potremmo fare un bel premio internazionale per ogni numero civico di strada, per ogni cattedrale, per ogni scuola privata e pubblica, un bel premio intestato ad ogni cittadino del natio borgo selvaggio, un bel premio internazionale che poi daremo...
Già a chi lo daremo? 
Se saremo noi stessi i titolari di questi bellissimi premi internazionali tanto varrà che  lo consegniamo a noi stessi. Intorno a noi nessuno ci sarà sprovvisto a sua volta del suo bel premio ed anche costui se lo intitolerà.
Evviva Evviva il mondo dei premi
Evviva il mondo di chi premia e dei premiati che abbiamo visto molte volte sono la stessa persona. Internazionale, però.

venerdì 1 gennaio 2016

Tagliando pensieri con Pino Cortese


 Tagliando tagliando capelli e concetti, ora ne faccio una foto.
 Lui allora sistema le forbici in ordine, un ordine che ha sempre intorno, dai pettini alle spazzole, al phon ai capelli.
 Come  Spoerri, mi dice Silvia Puija.
 Spoerri è un artista, che sistema e compone queste opere d'arte, spostando gli oggetti del quotidiano  dal piano verticale a quello orizzontale  così come le forbici di Pino Cortese, qui fotografate. 
Tagliando tagliando pensieri e concetti, noi qui fra capelli e fra pensieri, vediamo cadere per terra e spazzati via ogni nostra piccola crescita, decrescita, ogni possibile allungamento.
Riuscirò mai a portare lunghi capelli? Giammai, pensa Pino, tagliando tagliando il superfluo ed inutile girovagare di punte, doppie punte e voilà.
 Fra trecce e toupet che non si usano più ci sta anche la forbice che al Limen tagliava,
conferma che son le forbici ad andare di moda ora che  è sempre nella resistenza.
Nel chiedere a lui e  alle forbici un taglio, un taglio con tutto un passato, con un presente che non piace, con un destino che sembra ingrato, con un momento che non conta niente, chiediamo alle forbici del nostro pensiero di fare piano per non tagliare definitivamente quel poco vorremmo conservare per dopo.
Le attese, il calore ed il sapore di tutto il bello abbiamo creduto, di idee belle che abbiamo cantato con le canzoni della resistenza.
Nel chiedere a lui che intanto taglia, e lui fa questo da tutta una vita, sentiamo anche quel suo racconto, sua mamma, e suo fratello, le frasi che ha sulle pareti, il bacio e l'abbraccio del suo saluto, la debolezza e la sua forza, le decisioni e indecisioni. Tutto una sorte da tagliare ancora.
"Le metto in ordine, ora puoi." Mi dice
Mettere in ordine forbici e pettinatura come vorremmo che fosse in ordine almeno per poco, per un momento, quella difficile tessitura che ha per nome nostra esistenza, che ha per trama un insieme di fatti che poi tagliamo come i capelli.
Dalla sala operatoria del chirurgo Cortese al passaggio sui capelli che mi taglio un po'. Lui, intanto che  taglia le chiacchiere della conversazione, mette uno stop al cicalare e nel pensiero continua a parlare. 
Tagliando pensieri in divagazione  un pezzo di fine anno ed inizio anno.
Quando  lui ha finito, e sono asciugati tutti i pensieri  nel  salutare accarezzo il  pancione di Rosaria, la sua assistente e... nascerà bimba in primavera.