Fra le tante iniziative che nella mia città si vanno svolgendo in occasione delle festività natalizie, cominciate, alcune, con largo anticipo, già a novembre, ci sta il Villaggio di Babbo Natale.
Ne sentivo parlare favoleggiando di biglietto d'ingresso da pagare nel Chiostro di San Domenico, luogo dove studiò Tommaso Campanella e dove ho studiato anche io, al Liceo Classico Francesco Fiorentino.
Ne sentivo parlare e parlare, così, mossa a curiosità, ieri mattina sono entrata.
Le donne, al banco, non mi hanno chiesto biglietto ed io, entrata a sbafo, diremmo, ho potuto deliziarmi della vista.
Le bancarelle erano coperte da drappi e quindi non ho potuto fotografarvi la mercanzia.
Non ho voluto nemmeno fotografarvi quello che vedevo perché troppo irritata dalla deriva che prendono i nostri gesti.
C'erano nel chiostro, in visita, tre scolaresche degli istituti compresivi, sia del territorio che dalla periferia, e le loro maestre guidavano quei bimbetti fra giochi e fotografie.
Le tre maestre che vidi nello spiazzo aperto erano intente a far video e foto ai bimbetti, immersi nel puro niente saltellante.
Restarono così per tutto il tempo che io impiegai a fare il periplo dell'edificio, mentre palloncini lunghi lunghi, a salsicciotti con palle finali, mi annebbiavano la vista.
Ma forse i palloncini li vidi ad altra manifestazione e si sovrapposero.
Andai nelle stanze della cultura, e la cultura prese il sopravvento con ninnoli e renne, con immaginario comune al televisivo svolgersi degli eventi culturali che più culturali non si può. E d'altronde le maestre nulla potevano fare di più, nella cultura del nulla merce.
Chiedo scusa a chiunque abbia partecipato a questo scempio, alle bambine e bambini che hanno trascorso ore a guardare il nulla mentre appena sopra le loro testoline stavano i reperti della Terina che ci fondò.
Un degnissimo museo archeologico che avrebbe da dire tanto, anche sul tema del divertimento.
Intanto che osserviamo stupefatti i nostri pargoli videati e fotografati dalle loro maestre solerti al comando del diktat imperante facciamo ola al bosco e alla foresta nera che avanza, nel letterario dei termini.
giovedì 17 dicembre 2015
martedì 15 dicembre 2015
Natale in casa Cupiello. Luca De Filippo per noi
Per noi Luca De Filippo resta il giovane trentenne che alla domanda del papà, Luca Cupiello, interpretato da Eduardo De Filippo, suo padre anche nella vita, te piace 'o presepe?, risponde sempre no, per tutto il tempo.
A niente valgono i tentativi di circuirlo con regali di due cravatte, oppure facendo vedere le tecniche su come avrebbe fatto scendere l'acqua, niente, lui esaspera il padre finché nella rabbia lo caccia di casa. A parole.
Per noi il presepe è sempre la colla da scaldare, i pastori da comprare, sughero, muschio, corbezzoli e la carta argentata, per completare con fiumi e laghi, cielo e stelle il paesaggio su cui pregare.
Per noi presepe, nella commedia al secondo atto, resta la vestizione dei re magi, quel presepe, quando tutto precipita nella lite e Luca, il capofamiglia e gli altri due, arrivano vestiti da Re Magi
Per noi presepe, nella commedia al secondo atto, resta la vestizione dei re magi, quel presepe, quando tutto precipita nella lite e Luca, il capofamiglia e gli altri due, arrivano vestiti da Re Magi
Natale in casa Cupiello, in omaggio a Luca De Filippo che ci ha lasciato il 27 novembre 2015 all'età di 67 anni, nella sua casa romana.
« Senza mio figlio forse io... scusate... me ne sarei andato all'altro mondo tanti anni fa. E io debbo a lui il resto della mia vita. Lui ha contraccambiato in pieno. Scusate se io faccio questo discorso e parlo di mio figlio. Non ne ho mai parlato! Si è presentato da sé. È venuto dalla gavetta, dal niente, sotto... il gelo delle mie abitudini teatrali. »
(Eduardo De Filippo, al XXX Convegno dell'Istituto del Dramma italiano a Taormina, 15 settembre 1984)
Natale in casa Cupiello
Tre atti composti dal '31 al '34, via via arricchito di episodi restando sempre integro l'asse portante del testo: La mistificazione e la rappresentazione.
Tre atti composti dal '31 al '34, via via arricchito di episodi restando sempre integro l'asse portante del testo: La mistificazione e la rappresentazione.
Siamo alla vigilia di Natale e una volta il presepe si faceva rispettando i tempi, quindi nell'approssimarsi della festa.
Nella caparbietà dell'uomo che fa un presepe solo per sé, per divertirsi, così dice, all'inizio del secondo atto infatti Luca Cupiello confessa il suo pensiero a Raffaele, il portiere che si domanda fra sé e sè:"Vedete se è possibile che un uomo alla sua età si mette a fare il presepio. So' juta pe' le dicere:-Ma che 'o ffaie a fa'?-Sapete che mi ha risposto:-O faccio pe' me, ci voglio scherzare io!-"
la caparbietà si scontra con l'incomprensione del figlio che non vuole accontentarlo riconoscendo al papà quel divertimento, si scontra con la delusione della moglie di veder questo uomo perdersi in costruzioni futili.
Nelle giornate, che tanti magari conosciamo, delle inevitabili liti oppure degli equivoci, che costellano come stelle le riunioni familiari, la domanda sul presepe, se piace il presepe, vuole essere un riconoscimento degli affetti che avverrà solo in punto di morte, quando sembra che l'affetto e la vicinanza prevalga sui giochi egoistici di ciascuno dei componenti.
Sul finale vediamo Luca Cupiello (felice che sia riuscito a far fare la pace a Ninuccia e il marito, scambiando uno per un altro, ride soddisfatto) Hanno fatto pace, laggio fatto fa’ pace… Ha visto, Conce’? (a Ninuccia e Vittorio) Voi siete nati l’uno per l’altro. Vi dovete voler bene. Non fate prendere collera a Concetta che ha sofferto assai… (Ninuccia e Vittorio allentano la stretta della mano: ora Luca delirante farfuglia qualcosa di incomprensibile, agitando lentamente il braccio destro come per afferrare qualcosa in aria. E’ soddisfatto, vaga con lo sguardo intorno e chiede) Tommasi’, Tommasi’…
Tommasino (sprofondato nel suo dolore si avvicina al padre mormorando appena) Sto qua
Luca (mostra al figlio il braccio inerte, lo solleva con l’altra mano e lo fa cadere pesantemente come per dimostrare l’invalidità dell’arto. Poi chiede supplichevole) Tommasi’, te piace’ ‘o Presebbio?
Tommasino (superando il nodo di pianto che gli stringe la gola, riesce solamente a dire) Sì
Ottenuto il sospirato “si”, Luca disperde lo sguardo lontano, come per inseguire una visione incantevole: un Presepe grande come il mondo, sul quale scorge il brulichio festoso di uomini veri, ma piccoli piccoli, che si danno un dà fare incredibile per giungere in fretta alla capanna, dove un vero asinello e una vera mucca, piccoli anch'essi come gli uomini, stanno riscaldando con i loro fiati un Gesù bambino grande grande che palpita e piange, come piangerebbe un qualunque neonato piccolo piccolo…
Luca (perduto dietro quella visione, annuncia a se stesso il privilegio) Ma che bellu Presebbio! Quanto è bello!
Con un grande applauso a Luca De Filippo
la caparbietà si scontra con l'incomprensione del figlio che non vuole accontentarlo riconoscendo al papà quel divertimento, si scontra con la delusione della moglie di veder questo uomo perdersi in costruzioni futili.
Nelle giornate, che tanti magari conosciamo, delle inevitabili liti oppure degli equivoci, che costellano come stelle le riunioni familiari, la domanda sul presepe, se piace il presepe, vuole essere un riconoscimento degli affetti che avverrà solo in punto di morte, quando sembra che l'affetto e la vicinanza prevalga sui giochi egoistici di ciascuno dei componenti.
Sul finale vediamo Luca Cupiello (felice che sia riuscito a far fare la pace a Ninuccia e il marito, scambiando uno per un altro, ride soddisfatto) Hanno fatto pace, laggio fatto fa’ pace… Ha visto, Conce’? (a Ninuccia e Vittorio) Voi siete nati l’uno per l’altro. Vi dovete voler bene. Non fate prendere collera a Concetta che ha sofferto assai… (Ninuccia e Vittorio allentano la stretta della mano: ora Luca delirante farfuglia qualcosa di incomprensibile, agitando lentamente il braccio destro come per afferrare qualcosa in aria. E’ soddisfatto, vaga con lo sguardo intorno e chiede) Tommasi’, Tommasi’…
Tommasino (sprofondato nel suo dolore si avvicina al padre mormorando appena) Sto qua
Luca (mostra al figlio il braccio inerte, lo solleva con l’altra mano e lo fa cadere pesantemente come per dimostrare l’invalidità dell’arto. Poi chiede supplichevole) Tommasi’, te piace’ ‘o Presebbio?
Tommasino (superando il nodo di pianto che gli stringe la gola, riesce solamente a dire) Sì
Ottenuto il sospirato “si”, Luca disperde lo sguardo lontano, come per inseguire una visione incantevole: un Presepe grande come il mondo, sul quale scorge il brulichio festoso di uomini veri, ma piccoli piccoli, che si danno un dà fare incredibile per giungere in fretta alla capanna, dove un vero asinello e una vera mucca, piccoli anch'essi come gli uomini, stanno riscaldando con i loro fiati un Gesù bambino grande grande che palpita e piange, come piangerebbe un qualunque neonato piccolo piccolo…
Luca (perduto dietro quella visione, annuncia a se stesso il privilegio) Ma che bellu Presebbio! Quanto è bello!
Con un grande applauso a Luca De Filippo
lunedì 14 dicembre 2015
Dio non gioca a scacchi e suona da Antonello Anzani
Orazio Garofalo parla del Verbo ed il Verbo è presso Dio. Nel sacro della serata ci stavano le vecchie e le nuove scritture. Litweb e Bibbia salutano i partecipanti.
Nelle vesti di Antonello Anzani, perfetto Dio Michelangiolesco della Cappella Sistina.
Una serata a Cosenza, dove io sono stata invitata per una incursione su un tema musicale, il ritmo del romanzo, dolce o crudele, amaro dovremmo dire, in antitesi al dolce ci sta solo l'amaro?
La serata, condotta ed ideata da Gianfranco Labrosciano, presentava una artista che di secondo nome faceva Fiammetta e, come una fiamma intensa e appassionata, ci parlò dei suoi quadri in esposizione, dei duemila quadri lasciati dal suo papà, del suo amore per la pittura.
Mentre parlava tremava ed io pensai, ora è troppo, ci muore qui, ed invece con la presenza di Gianfranco che la rassicurava, finì suo dire e dipingere parole come se avesse fatto un quadro di visioni nell'aria.
Difficile tornare nella terraferma dopo di lei.
Viaggiammo infatti a ritroso, mia cronaca è proprio a ritroso, dalla fine verso l'inizio, viaggiando come Matilde, protagonista del libro di Daniela, viaggiando con lei, sui ponti del nostro immaginare.
Commistione fra quadri, musica e libri, al violino di Pasquale Allegretti con Capriccio numero 24 di Paganini, all'arpa di Rosalba, e ritorno su Orazio, Stefania e Giuseppe Perrone.
Ritorno ad Antonello Anzani e il suono del vivere. La musica usata per sedare o per ribellarsi.
Le frequenze
432 rilassarsi
440 nervosismo
rispondenza fisica alla musica, ed io direi a tutto, anche alle parole. Se leggo un libro senza ritmo io mi ammalo. Mi viene mal di stomaco.
Se sento un parlare vano mi viene mal di testa.
Se suoniamo, vibriamo, nell'elettricità, scambi di sinapsi e tutto torna. Anche il libro vibra, non di emozioni, avrei voluto io gridare ieri sera, no, di liberazione. Certo ci sta tutto il momento intenso, tutto, però se suoniamo, parliamo, cantiamo e scriviamo vogliamo liberare l'energia che possediamo.
Evviva evviva questo spazio bianco che mi permetterà di dirvelo ancora. Evviva evviva Alberto Badolato, che ha reso possibile il ponte fra me e voi stasera, evviva evviva la musica.
Forse sarà la musica del mare...
Ci salverà la musica...
E con tanta musica in testa, compresa quella dell'universo, del silenzio, del testo, del dolore e della gioia, chiudo con le parole di Antonello che ci riportano al testo che ha un ritmo, alle parole delle canzoni.
Dal testo della serata uno stralcio di un giornale... perché poi, tornata a casa, ho studiato!
Dimenticai dirvi di Riccardo che mi ha regalato bellissimo disegno sul mio quadernone verde. Lo ha intitolato: Lo SparaNemici
"Risulta estremamente difficile e triste pensare che la musica, che essenzialmente ci fa stare così bene, sia in realtà influenzata da fattori così negativi. L’intonazione a 440 Hz, alla quale siamo oramai assuefatti, è invece praticamente innaturale, crea disarmonie difficilmente percettibili dagli esseri umani, ha poche armoniche ed evidentemente non è stata scelta casualmente come intonazione standard. Scoperta dall'intelligenza militare tedesca e usata durante l’olocausto, anche per spronare al lavoro più arduo nei campi di concentramento. I tentativi di ritornare al La verdiano sono inevitabilmente falliti. La differenza tra le due frequenze si ritrova anche a livello fisico. Basta osservare le forme che si vengono a creare comprendendo che 432 Hz esse sono decisamente più armoniche. Fortunatamente esistono ancora degli artisti (anche se veramente molto rari) che compongono la loro musica con un’intonazione a 432 Hz. Tra questi non possiamo non citare i Pink Floyd che, specialmente in The Dark Side Of The Moon, possono darci un esempio lampante della differenza tra le varie frequenze.
I 432 Hz compongono quella che viene chiamata Love frequency e che fa parte di ciò che si trova alla base della natura, dell’universo, della filosofia portata avanti da diversi studiosi (tra cui Platone). È collegata al chakra del cuore, quello del sentimento, mentre i 440 Hz vengono ricollegati al chakra che si occupa del… controllo del cervello."
Nelle vesti di Antonello Anzani, perfetto Dio Michelangiolesco della Cappella Sistina.
Una serata a Cosenza, dove io sono stata invitata per una incursione su un tema musicale, il ritmo del romanzo, dolce o crudele, amaro dovremmo dire, in antitesi al dolce ci sta solo l'amaro?
La serata, condotta ed ideata da Gianfranco Labrosciano, presentava una artista che di secondo nome faceva Fiammetta e, come una fiamma intensa e appassionata, ci parlò dei suoi quadri in esposizione, dei duemila quadri lasciati dal suo papà, del suo amore per la pittura.
Mentre parlava tremava ed io pensai, ora è troppo, ci muore qui, ed invece con la presenza di Gianfranco che la rassicurava, finì suo dire e dipingere parole come se avesse fatto un quadro di visioni nell'aria.
Difficile tornare nella terraferma dopo di lei.
Viaggiammo infatti a ritroso, mia cronaca è proprio a ritroso, dalla fine verso l'inizio, viaggiando come Matilde, protagonista del libro di Daniela, viaggiando con lei, sui ponti del nostro immaginare.
Commistione fra quadri, musica e libri, al violino di Pasquale Allegretti con Capriccio numero 24 di Paganini, all'arpa di Rosalba, e ritorno su Orazio, Stefania e Giuseppe Perrone.
Ritorno ad Antonello Anzani e il suono del vivere. La musica usata per sedare o per ribellarsi.
Le frequenze
432 rilassarsi
440 nervosismo
rispondenza fisica alla musica, ed io direi a tutto, anche alle parole. Se leggo un libro senza ritmo io mi ammalo. Mi viene mal di stomaco.
Se sento un parlare vano mi viene mal di testa.
Se suoniamo, vibriamo, nell'elettricità, scambi di sinapsi e tutto torna. Anche il libro vibra, non di emozioni, avrei voluto io gridare ieri sera, no, di liberazione. Certo ci sta tutto il momento intenso, tutto, però se suoniamo, parliamo, cantiamo e scriviamo vogliamo liberare l'energia che possediamo.
Evviva evviva questo spazio bianco che mi permetterà di dirvelo ancora. Evviva evviva Alberto Badolato, che ha reso possibile il ponte fra me e voi stasera, evviva evviva la musica.
Forse sarà la musica del mare...
Ci salverà la musica...
E con tanta musica in testa, compresa quella dell'universo, del silenzio, del testo, del dolore e della gioia, chiudo con le parole di Antonello che ci riportano al testo che ha un ritmo, alle parole delle canzoni.
Dal testo della serata uno stralcio di un giornale... perché poi, tornata a casa, ho studiato!
Dimenticai dirvi di Riccardo che mi ha regalato bellissimo disegno sul mio quadernone verde. Lo ha intitolato: Lo SparaNemici
"Risulta estremamente difficile e triste pensare che la musica, che essenzialmente ci fa stare così bene, sia in realtà influenzata da fattori così negativi. L’intonazione a 440 Hz, alla quale siamo oramai assuefatti, è invece praticamente innaturale, crea disarmonie difficilmente percettibili dagli esseri umani, ha poche armoniche ed evidentemente non è stata scelta casualmente come intonazione standard. Scoperta dall'intelligenza militare tedesca e usata durante l’olocausto, anche per spronare al lavoro più arduo nei campi di concentramento. I tentativi di ritornare al La verdiano sono inevitabilmente falliti. La differenza tra le due frequenze si ritrova anche a livello fisico. Basta osservare le forme che si vengono a creare comprendendo che 432 Hz esse sono decisamente più armoniche. Fortunatamente esistono ancora degli artisti (anche se veramente molto rari) che compongono la loro musica con un’intonazione a 432 Hz. Tra questi non possiamo non citare i Pink Floyd che, specialmente in The Dark Side Of The Moon, possono darci un esempio lampante della differenza tra le varie frequenze.
I 432 Hz compongono quella che viene chiamata Love frequency e che fa parte di ciò che si trova alla base della natura, dell’universo, della filosofia portata avanti da diversi studiosi (tra cui Platone). È collegata al chakra del cuore, quello del sentimento, mentre i 440 Hz vengono ricollegati al chakra che si occupa del… controllo del cervello."
giovedì 10 dicembre 2015
Alessandro Iovinelli. La scala d'oro
Nato il 17/09/1957 Alessandro Iovinelli è del mio segno zodiacale, per quel che può significare, un quasi mio coetaneo, essendo io del 13 settembre del 54
Scrivo sempre questa storia del segno zodiacale perché sono moltissimi gli scrittori nati a Settembre, come se il mese, oltre che per l'autunno e la stagione della semina, fosse il mese della scrittura.
Naturalmente è una mia fissazione, smentita da chissà quanti altri scrittori di altri mesi.
Alessandro Iovinelli: La scala d'oro
Sette racconti per una raccolta. Si raccolgono i pensieri per donarli come fiori.
Giuseppe Antonelli nella prefazione scrive “Perché in questi racconti si alternano luoghi e personaggi diversi – è vero – momenti di felicità e sentimenti di perdita, però c’è un unico protagonista che resta sempre in scena e dà il tono a tutto il resto. La letteratura. La lettura come strenua forma di interpretazione della realtà: leggo dunque penso. E, ancor più, «la scrittura come forma irriducibile dell’essere»: scrivo dunque sono.” “Nondimeno, Alessandro Iovinelli decide di correre ancora una volta il rischio, lasciando la scena al suo Doppelgänger: un personaggio che vive la letteratura come un’infinita illusione senza lieto fine e racconta la sua vita come un saggio narrante.” Adorabile la bella ironia con cui ci racconta di Kirsten Dunst e del suo manoscritto come libello amoroso
Alessandro Iovinelli: Saggio come aggettivo qualificativo e come sostantivo concreto. Colui che sa.
Uno stocco al suo interno- Leggo la storia del teatro Ambra Jovinelli raccontato da lui che lo vide come patrimonio di famiglia, da lui che, bambino, guarda quel nonno alto e forte con un bastone con cui difendersi. Uno stocco al suo interno. Lo stocco è una spada. Così il racconto leggendario si mescola alle parole della mamma a cui Alessandro dedica il libro, si arricchisce con le cronache dell'epoca e con le trasfigurazioni cinematografiche.
Cosa sia il passato non sappiamo più.
" In tema di memoria bisogna essere molto cauti prima di convalidare l’autenticità di una reminiscenza. Su questo punto sono del tutto d’accordo con Mark Twain, quando afferma: più invecchio e meglio ricordo gli eventi che non ho vissuto. A un certo punto però mi è passata pure la voglia di sognare e tanto meno di scherzare sull'argomento. Ho deciso di non farmi più illusioni e di accettare la dura verità. Non avrei mai potuto recuperare tutto quel che il mio bisnonno aveva tirato su dal nulla. Eppure potevo fare un’altra cosa. Era un atto che dovevo a mio padre e ai miei antenati. Dovevo scrivere la loro storia, la storia della famiglia Jovinelli. Ci riuscirò? Porterò mai a termine una tale impresa? Non lo so. Ma so che è un mio dovere: es muss sein"
così scrive Alessandro e poi racconta in sette racconti sette, con il sette magico, racconta e racconta ancora, mentre io non distinguo più la lettura dallo scrivere e dagli incontri favolistici.
Mai avrei immaginato di incontrarlo qui.
Commossa. Strabiliata. Confessavo oggi a Maria Caterina Prezioso come io abbia letto molto tempo fa il racconto su Tabucchi fatto da Alessandro Iovinelli. Lo lessi avidamente allora. Lo imparai a memoria. Io avevo scritto, tempo fa, in un mio pezzo "Ad un anno dalla morte di Tabucchi". Uno dei miei pezzi da semplice lettrice ed intanto preparavo, forse sempre quell'anno, la presentazione del libro "Frontiera" di Pina Majone Mauro per il Maggio dei Libri. Quel Maggio facevo chiacchierare la poetessa con Pessoa.
Al di là dei miei fatti ininfluenti, resta la magia della testimonianza di Alessandro, al quale sono legata affettuosamente prima ancora di conoscerlo, di sapere chi fosse quello studioso che non prese appunti mentre Tabucchi parlava e che però è consapevole che qualcosa resta oltre noi.
Ascoltiamo il racconto di Alessandro
Dialoghi manca(n)ti La scrittura come forma irriducibile dell’essere: ecco, questo è il messaggio che ci ha lasciato Tabucchi Di tutto resta un poco.“Il tempo stringe” è l’ironia, quasi lo scherno dell’esistenza nei confronti dell’uomo: «Purtroppo nella vita non c’è mai molto tempo. Voglio dire: sembra che ci sia un sacco di tempo, ma poi, in realtà, non c’è mai molto tempo». Un teatro perfetto, quello della vita.
"Tabucchi ritornò sul tema al centro di quel racconto e, più in generale, di tutta la raccolta: il tempo. Le sue riflessioni mi anticiparono la trama sottesa a tutte le nove storie, nelle quali la dimensione temporale spariglia il classico ordine cronologico di
fatti passati, presenti e futuri, interrogandosi bensì sull'implosione temporale di tutto ciò che si compie e finisce il suo ciclo. Ascoltai questa sorta di autocommento con un senso di inquietudine, come se fossi anch'io un viaggiatore che sente descrivere un paese ancora ignoto, poco prima di attraversarlo
di persona."
Il tempo è circolare, scrissi in un altro mio pezzo "Dove ritorniamo"
Nel viaggio che si chiama vita capita poi di inciampare, di fermarsi, di non partire affatto.
Alcune volte sono proprio gli inciampi che sublimeranno un vivere complicato in pagine di scrittura immensa.
Completando studi amati e letture vissute, la scala d'oro può essere nello stesso tempo The Golden Stairs, il dipinto del preraffaellita Edward Burne-Jones, oppure la scala dove tutti saliremo, quella dell' ascendere verso la saggezza, del far tesoro di ogni difficile prova che il destino ha in serbo, trasformando il tutto in letteratura.
La scala d'oro: La scrittura come forma irriducibile dell'essere
Scrivo sempre questa storia del segno zodiacale perché sono moltissimi gli scrittori nati a Settembre, come se il mese, oltre che per l'autunno e la stagione della semina, fosse il mese della scrittura.
Naturalmente è una mia fissazione, smentita da chissà quanti altri scrittori di altri mesi.
Alessandro Iovinelli: La scala d'oro
Sette racconti per una raccolta. Si raccolgono i pensieri per donarli come fiori.
Giuseppe Antonelli nella prefazione scrive “Perché in questi racconti si alternano luoghi e personaggi diversi – è vero – momenti di felicità e sentimenti di perdita, però c’è un unico protagonista che resta sempre in scena e dà il tono a tutto il resto. La letteratura. La lettura come strenua forma di interpretazione della realtà: leggo dunque penso. E, ancor più, «la scrittura come forma irriducibile dell’essere»: scrivo dunque sono.” “Nondimeno, Alessandro Iovinelli decide di correre ancora una volta il rischio, lasciando la scena al suo Doppelgänger: un personaggio che vive la letteratura come un’infinita illusione senza lieto fine e racconta la sua vita come un saggio narrante.” Adorabile la bella ironia con cui ci racconta di Kirsten Dunst e del suo manoscritto come libello amoroso
Uno stocco al suo interno- Leggo la storia del teatro Ambra Jovinelli raccontato da lui che lo vide come patrimonio di famiglia, da lui che, bambino, guarda quel nonno alto e forte con un bastone con cui difendersi. Uno stocco al suo interno. Lo stocco è una spada. Così il racconto leggendario si mescola alle parole della mamma a cui Alessandro dedica il libro, si arricchisce con le cronache dell'epoca e con le trasfigurazioni cinematografiche.
Cosa sia il passato non sappiamo più.
" In tema di memoria bisogna essere molto cauti prima di convalidare l’autenticità di una reminiscenza. Su questo punto sono del tutto d’accordo con Mark Twain, quando afferma: più invecchio e meglio ricordo gli eventi che non ho vissuto. A un certo punto però mi è passata pure la voglia di sognare e tanto meno di scherzare sull'argomento. Ho deciso di non farmi più illusioni e di accettare la dura verità. Non avrei mai potuto recuperare tutto quel che il mio bisnonno aveva tirato su dal nulla. Eppure potevo fare un’altra cosa. Era un atto che dovevo a mio padre e ai miei antenati. Dovevo scrivere la loro storia, la storia della famiglia Jovinelli. Ci riuscirò? Porterò mai a termine una tale impresa? Non lo so. Ma so che è un mio dovere: es muss sein"
così scrive Alessandro e poi racconta in sette racconti sette, con il sette magico, racconta e racconta ancora, mentre io non distinguo più la lettura dallo scrivere e dagli incontri favolistici.
Mai avrei immaginato di incontrarlo qui.
Commossa. Strabiliata. Confessavo oggi a Maria Caterina Prezioso come io abbia letto molto tempo fa il racconto su Tabucchi fatto da Alessandro Iovinelli. Lo lessi avidamente allora. Lo imparai a memoria. Io avevo scritto, tempo fa, in un mio pezzo "Ad un anno dalla morte di Tabucchi". Uno dei miei pezzi da semplice lettrice ed intanto preparavo, forse sempre quell'anno, la presentazione del libro "Frontiera" di Pina Majone Mauro per il Maggio dei Libri. Quel Maggio facevo chiacchierare la poetessa con Pessoa.
Al di là dei miei fatti ininfluenti, resta la magia della testimonianza di Alessandro, al quale sono legata affettuosamente prima ancora di conoscerlo, di sapere chi fosse quello studioso che non prese appunti mentre Tabucchi parlava e che però è consapevole che qualcosa resta oltre noi.
Ascoltiamo il racconto di Alessandro
Dialoghi manca(n)ti La scrittura come forma irriducibile dell’essere: ecco, questo è il messaggio che ci ha lasciato Tabucchi Di tutto resta un poco.“Il tempo stringe” è l’ironia, quasi lo scherno dell’esistenza nei confronti dell’uomo: «Purtroppo nella vita non c’è mai molto tempo. Voglio dire: sembra che ci sia un sacco di tempo, ma poi, in realtà, non c’è mai molto tempo». Un teatro perfetto, quello della vita.
"Tabucchi ritornò sul tema al centro di quel racconto e, più in generale, di tutta la raccolta: il tempo. Le sue riflessioni mi anticiparono la trama sottesa a tutte le nove storie, nelle quali la dimensione temporale spariglia il classico ordine cronologico di
fatti passati, presenti e futuri, interrogandosi bensì sull'implosione temporale di tutto ciò che si compie e finisce il suo ciclo. Ascoltai questa sorta di autocommento con un senso di inquietudine, come se fossi anch'io un viaggiatore che sente descrivere un paese ancora ignoto, poco prima di attraversarlo
di persona."
Il tempo è circolare, scrissi in un altro mio pezzo "Dove ritorniamo"
Nel viaggio che si chiama vita capita poi di inciampare, di fermarsi, di non partire affatto.
Alcune volte sono proprio gli inciampi che sublimeranno un vivere complicato in pagine di scrittura immensa.
Completando studi amati e letture vissute, la scala d'oro può essere nello stesso tempo The Golden Stairs, il dipinto del preraffaellita Edward Burne-Jones, oppure la scala dove tutti saliremo, quella dell' ascendere verso la saggezza, del far tesoro di ogni difficile prova che il destino ha in serbo, trasformando il tutto in letteratura.
La scala d'oro: La scrittura come forma irriducibile dell'essere
Il topo morto con la pancia all'aria
Vi risparmio la vista.
Trattengo il conato di vomito ed inghiotto a vuoto.
Sta lì all'angolo dell'arco in via D'Ippolito, centro storico del paese.
Sta lì difronte le scale che salgono verso la Chiesa di Santa Maria Maggiore, in effetti Chiesa di San Francesco.
Sta lì sul selciato, un grosso topo di fogna, morto nel giorno 9 del dicembre 2015, all'alba del nuovo che avanza.
Il topo morto non viene rimosso, dall'alba al tramonto se ne sta in panciolle.
In un centro storico preso a martellate, affinché la bruttezza abbia sempre la meglio e faccia perdere per sempre, negli antichi e pochi abitanti che furono, il ricordo della pulizia.
Se una volta il grido era "tornate nelle fogne" ora il grido è " salite dalle fogne" vivi o morti uguale è il vomito. Servite uguali al disservizio.
Destrutturare e distruggere tessuti urbani, non pulire più, cacche di cani a calpestare, bicchieri e bottiglie di birra abbandonati, piscio di umani ad ogni muro, scritte idiote per terra, case cadenti, in demolizione, non con le ruspe, ma con le erbacce.
Palazzi sventrati per farne garage, e tutto chiuso, in un puzzo di morte.
Su tutto trionfano le multiservizi, trionfano i grandi stipendi ai dirigentidipendenti, alle attività sociali e parasociali, da anni da tempo in un inferno continuo.
I topi invaderanno la città, vi rosicchieranno le orecchie, vi trasmetteranno malattie.
Cominceranno dal basso, come in ogni epidemia, ma poi ma poi, la malattia raggiungerà i piani alti, altissimi, dei vostri stipendi, dei vitalizi, delle confraternite e degli stendardi, delle fondazioni e dei multitavoli, degli organismi costituiti, delle CoCoCo delle commissioni, delle terribili associazioni, e tutti i topi trascineranno anche i vostri pacchi e pacchetti, alberi e viaggi al sole, trascineranno via, tutto via lasciando la lebbra sulla fattoria
Trattengo il conato di vomito ed inghiotto a vuoto.
Sta lì all'angolo dell'arco in via D'Ippolito, centro storico del paese.
Sta lì difronte le scale che salgono verso la Chiesa di Santa Maria Maggiore, in effetti Chiesa di San Francesco.
Sta lì sul selciato, un grosso topo di fogna, morto nel giorno 9 del dicembre 2015, all'alba del nuovo che avanza.
Il topo morto non viene rimosso, dall'alba al tramonto se ne sta in panciolle.
In un centro storico preso a martellate, affinché la bruttezza abbia sempre la meglio e faccia perdere per sempre, negli antichi e pochi abitanti che furono, il ricordo della pulizia.
Se una volta il grido era "tornate nelle fogne" ora il grido è " salite dalle fogne" vivi o morti uguale è il vomito. Servite uguali al disservizio.
Destrutturare e distruggere tessuti urbani, non pulire più, cacche di cani a calpestare, bicchieri e bottiglie di birra abbandonati, piscio di umani ad ogni muro, scritte idiote per terra, case cadenti, in demolizione, non con le ruspe, ma con le erbacce.
Palazzi sventrati per farne garage, e tutto chiuso, in un puzzo di morte.
Su tutto trionfano le multiservizi, trionfano i grandi stipendi ai dirigentidipendenti, alle attività sociali e parasociali, da anni da tempo in un inferno continuo.
I topi invaderanno la città, vi rosicchieranno le orecchie, vi trasmetteranno malattie.
Cominceranno dal basso, come in ogni epidemia, ma poi ma poi, la malattia raggiungerà i piani alti, altissimi, dei vostri stipendi, dei vitalizi, delle confraternite e degli stendardi, delle fondazioni e dei multitavoli, degli organismi costituiti, delle CoCoCo delle commissioni, delle terribili associazioni, e tutti i topi trascineranno anche i vostri pacchi e pacchetti, alberi e viaggi al sole, trascineranno via, tutto via lasciando la lebbra sulla fattoria
domenica 6 dicembre 2015
Gli Indolenti- come me
Libertà, Eguaglianza, Diversità. Ip Ip Urrà
Nel regno della Litweb gli indolenti stanno benone, unica domanda che vi faccio: come mai non ci sono anche io che sono la regina degli indolenti?
E dire che cominciate con Bertrand Russel ed io che ho dedicato tutta la mia esistenza alla contemplazione ed al vuoto dove sto?" Il vuoto come liberazione dal dovere e dall'ubbidienza"
La mia vita è una pausa e quel che scrive Luca Desdra sembra mio autoritratto. Non per nulla sto qui a pigiare tasti di domenica pomeriggio, dopo aver osservato filosoficamente il sole e fatta passeggiata a passi lenti ed infine sbocconcellato un pane arabo con fetta di formaggio parmigiano leggendo i vostri racconti. Come scrittrice sarei indolente ed il mio blog lo testimonia, ma come lettrice, ah come lettrice io sono regina!
Io sono una pioniera, una avventuriera, una amante del rischio su carta stampata!
Vi presento intanto gli autori dei racconti
Alessio Viola scrive. Con “la Repubblica Bari”, con il “Corriere del Mezzogiorno”
Nicola Manuppelli scrive, traduce, cura e “importa” autori. Tiene corsi
Claudio Marinaccio scrive nel 2014 il romanzo Scomparire.
Pasquale Braschi scrive sui siti Santippe e PugliaLibre occupandosi di recensioni di libri.
Io mi sono fatta una mini rassegna di voi
Gli Indolenti
Alessio Viola… Il profumo fradicio dei tamburi. Il rugby a Taranto e poi la morte nell'aria che si respira
Nicola Manuppelli… Una storia di conchiglie. Con chi vorresti tu sentire il rumore del mare se non con il tuo amore? Paco ed il sassofono. Sono rumori che si sognano.
Claudio Marinaccio… Delirio di negazione. Un po’ di polvere nera
Foog. Nel 2023 sarà proprio così, anzi peggio ed il 2038 abbiamo risolto tutto.
Una giornata da dimenticare. Se Nacho può sedere a tavolo può anche lavorare.
Pasquale Braschi… Liberi di sognare. Inizio il mio viaggio sulle ali della fantasia. Adoro i limoni. L’isola di fuoco. Naufraghi di una stessa nave.
Il diario di mia madre. In casa Ditumolo 17 maggio 1952 lei e poi nel 1955 insieme a noi quel giorno l’acquedotto della Puglia.
La lettrice con vizio di scrittura. Il nostro meraviglioso stivale anfibio. La lettrice che vuole cambiare il finale dei libri e comincia con Emma Bovary, e Cosimo del Barone rampante… Emma non si suicida e va a Bari… e Cosimo si sposa
Christian Dellavedova ha disegnato la copertina
Luca Desdra ha scritto l’introduzione
Ed io vi ho letto con grande partecipazione. Mi sono letta, potrei scrivere.
Dal regno della Litweb una lettura indolente e lenta lenta
Ma noi ci capiremo. Sempre con voi, a disposizione
Dice Luca Desdra nella introduzione "Qui dentro non troverete racconti accomodanti che vi risuoneranno familiari. Perché l'atto creativo si è fatto essenza ed è andato a cercare momenti di assoluta verità. Qui troverete degli scrittori che si spogliano di ogni conformismo e diventano se stessi nel modo più puro, palpabile e negligente possibile. L'accidia sia con loro. E che questa resistenza passiva sia foriera di un ritorno alla purezza del racconto e al valore alto della creatività al di là di ogni adesione a canoni, cortili letterari o dittatura dei presunti lettori."
Da "Elogio dell'indolenza"
giovedì 3 dicembre 2015
La penna singhiozzante
La penna singhiozzante nel discorso della regina
Dal dunque carducciano alla tazza di caffè americano
Sui tasti di un web dove mi diverto sempre meno
Eppure sempre di più del reale acquitrino geografico
Mi viene in versi stamattina come le stanze del Poliziano,
Come i furori di Vittorio Alfieri, come Furore di Steinbeck
Mi viene un Giorno di Parini con il giovin signore educato
Conteso da tutta l’allegra compagnia di donne altolocate
Mi viene il canto della solitaria regina di un regno che non
c’è
Se vi ho donato un libro poi non mi parlate più, ormai lo so
Se vi sto vicino sarà per poco e poi con ogni gradevolezza
Tutto finirà in gloria, in salmo, in una Bibbia capace di
Contenere tutto il bello e tutto il brutto che fatto sia.
Troppo poco sarà il dirlo al mondo che parlare non so,
vero cara? Troppo poco ignorare che io scriva, vero cara?
E non è una sola la cara, siete in tante
E non è una sola la cara, siete in tante
Troppo poco e troppo inutile scriverlo poi qui
Nell'immensità del web e nel mio regno di tasti e di
cartone.
Dalla penna singhiozzante al divenire del web
da Furore "Mine eyes have seen the glory
I miei occhi hanno visto la gloria
Of the coming of the Lord
Della venuta del Signore
He is trampling out the vintage
Egli sta calpestando la vendemmia
Where the grapes of wrath are stored
Dove Furore sono memorizzati
He hath loosed the fateful lightning
Egli ha sciolto il fulmine fatale
Of His terrible swift sword
Della sua terribile spada rapida
His truth is marching on
La sua verità è in marcia su
Let us live to make men free
Viviamo per rendere gli uomini liberi
Il titolo originale The Grapes of Wrath, I grappoli d'ira (o I grappoli d'odio), è un verso tratto da The Battle Hymn of the Republic, di Julia Ward Howe)
Fino all'Apocalisse
Dalla penna singhiozzante al divenire del web
da Furore "Mine eyes have seen the glory
I miei occhi hanno visto la gloria
Of the coming of the Lord
Della venuta del Signore
He is trampling out the vintage
Egli sta calpestando la vendemmia
Where the grapes of wrath are stored
Dove Furore sono memorizzati
He hath loosed the fateful lightning
Egli ha sciolto il fulmine fatale
Of His terrible swift sword
Della sua terribile spada rapida
His truth is marching on
La sua verità è in marcia su
Let us live to make men free
Viviamo per rendere gli uomini liberi
Il titolo originale The Grapes of Wrath, I grappoli d'ira (o I grappoli d'odio), è un verso tratto da The Battle Hymn of the Republic, di Julia Ward Howe)
Fino all'Apocalisse
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