giovedì 27 agosto 2015

Quando c'era Marnie

Quando c'era Marnie, lei prendeva appunti

dal Romanzo al film. Dal 1967 ad oggi in un film che potrebbe essere l'ultimo dello Studio Ghibli... 
Il segreto che custodiamo è la fiducia. Si diventa amici se ci possiamo confidare un segreto, anche piccolissimo, che sappiamo solo noi, e regalarlo all'altro che ci donerà a sua volta il suo segreto. Questo mi sembra il bellissimo messaggio che Marnie ci dà.
Esserci o non esserci poi non è influente se sta dentro di noi chi ci diede vita e sempre potrà trovare la strada per parlarci.
Una storia che è un saluto al mondo dallo Studio Ghibli che già ci aveva donato Si Alza il vento,
saluto di un altro regista Miyazaki.
Ci salutano così le grandi fantasie del novecento, ci salutano i personaggi e la nostra infanzia, ci salutano gli anni che se ne vanno, lasciandoci due dita incrociate, quelle delle due amiche, che si salutano anch'esse, promettendosi incontro futuro. Chissà se ci sarà, se un altro mondo la mia vita troverà... sulla colonna sonora di incontri che cambiano la vita, anche Anna tornerà fiduciosa alla vita, alleggerendo le asprezze, sentendosi più accettata, capendo che si è parte di un grande disegno proprio perché ha trovato il filo che la lega al passato. Se nessuno si salva da solo, allora ha una sua bellezza la villa abbandonata e circondata da una palude con la marea che  sale e rende inaccessibile, tutto diventa lontano e difficile, se nessuno si salva da solo. La barca, il pescatore silenzioso, i coniugi simpatici ed accoglienti, il bene che dà sollievo,  e poi  gli scontri, le minuzie e le piccole cattiverie, il male inutile, banale. Nel delicato e verdissimo film che sono riuscita a vedere, grazie alla Marnie che io ho incontrato, c'è la poesia lieve dell'attesa, del disegno, dei pastelli e delle matite, del quaderno e del foglio che Anna abbraccia e appunta, schizza, invera e inventa il suo paesaggio, il paesaggio dell'anima. 
Quando c'era Marnie. Non siamo mai soli se ci abitiamo

 dentro. Le case vive del nostro immaginario. Nelle tante

 sovrapposizioni fra il nostro vivere e i giorni che si 

affastellano ci sta la fantasia. Sempre con noi stanno coloro

 che ci amarono se ci amarono, sempre a far parte di un 

vissuto oltre il muro della realtà.


mercoledì 26 agosto 2015

La magnifica inconcludenza di alcuni post su facebook

Postare è gratis, facile e compulsivo. Lo faccio anche io da mane a sera. Alcuni postano pensieri alati tratti da libri molto studiati, altri argomentano pensieri propri, raggiungendo l'eccellenza. Nell'inconcludenza.
Si dà così ragione ad un antico adagio:" Magnifica facciata ha Fortunato ma il piano superiore è spigionato" Intendendo che il  piano superiore di bel castellotto, colto di facciata,  nessuno lo vuole affittare, quindi vuoto sta, e che molti hanno bella presenza e testa sfitta.
 Mi giungono segnalazioni amene di post fatti da operatori e operatrici culturali che operano in sale operatorie culturalmente anestetizzate all'intelligenza ed al riso,  con personale che sconosce un significato concluso di  pensiero espresso.
Uno dei più recenti pervenuto nelle nequizie quotidiane ve lo ripropongo qui come bozzolo in cui avvolgere noi stessi: Che questo fermento culturale s'innalzi sempre più come un'onda coraggiosa che urtandosi contro qualunque venditore di fumo raggiunga la famosa isola che non c'è.

Nella babele di facebook, quindi, operatori e operatrici culturali operano, producono succulenti prodotti di consumo rapido: Metafore, anafore, similitudini, ossimori, paronomasia, endiadi, zeugma, anadiplosi...
le figure retoriche che tutti utilizziamo nel lessico più usuale. 
Se però codesto lessico dovesse servire a far germogliare la pianta del sapere allora ogni frase dovrebbe significare ed avere in sé un concetto, un'idea conclusa ed io per quanto abbia analizzato post che vi ho appena messo come esempio non trovo corrispondenza fra immagini e significato.
Qualora qualcuno riesca a far esegesi del testo appena proposto sarò felice di applaudire il nuovo e giovane pensiero che avanza come un'onda coraggiosa  



martedì 25 agosto 2015

Luce Nera di Nicola Vacca

In copertina Mario Pugliese con Inchiostro di solitudini
"Luce Nera" Marco Saya Edizioni
Appena arrivata nella solitudine mia affollata, già leggo.
Dal profondo del maiale e unisco questo titolo a Mirco Mungari, archeologo, che ha scritto "De suina immolatione", poemetto satirico, edito Delirium e mi piace questo incontro sul megafono della poesia civile, contro ogni schiavitù, per la luce che ci illumini quel tanto che basti per vedere.
Oltre poi è luce che abbaglia e nulla più si vedrà. Luce nera sarà.
Da Isaia ai nostri giorni

"Macello sublime
Hanno disinnescato gli allarmi
adesso il pericolo non sarà più avvertito"

Leggo con aderenza assoluta ad un mio sentire i versi di Nicola Vacca che a me sono fraterni e familiari, più della parentela appioppatami dal sangue.
Leggo di una Città dei Dormienti, già descritta da Massimiliano Santarossa nel suo ultimo romanzo "Metropoli".
In versi o in prosa uno solo è il desiderio- Poter svegliare i dormienti anestetizzati, poter fermare uno sciupio, la perdita di diritti, di conoscenze, come se fossimo ora alla fine oppure all'inizio del male assoluto.

"Prima che il sonno diventi
il peggiore degli incubi" 

"Nessuno coglie più rose d'amore
in questa grande abbuffata di male
hanno anche reciso le sue radici"

Itinerario di uno smarrimento.
Siamo con Nicola nei gironi danteschi, nel vagare di anime dannate in terra, nell'antinferno dove sono puniti gli ignavi con il girovagare senza meta e senza ideali.Questi inseguono una insegna senza posa, tormentati da vespe  e da mosconi. Leggendo le poesie Dante fa visita  in questa Luce Nera all'alba del 2015. Mille anni dopo siamo sempre al capolinea a chiedere giustizia e serietà, uno scopo per vivere e uno per rispettarci insieme. A volte quartine, a volte distici, ottave, oppure versi liberi,  le stanze della poesia di Nicola Vacca si distendono con ordine ed armonia, dosate e lineari nel raggiungere il chiarore necessario per essere lette e ascoltate. 
Leggevo proprio oggi che  il pensiero parla.
 Andrea Moro in "Accenti", la lingua di Babele, riferisce di ultime ricerche che provano la produzione di onde sonore nel cervello ad ogni atto connesso con il linguaggio. L'impressione di sentire il suono delle parole quando leggiamo a mente le strofe di Luce Nera, oppure il libro di Camus, non è impressione ma realtà, 
quindi grande ordine ha Nicola  perché lui sa che 
"Non c'è parola che tenga
nel disordine delle stanze"
" Viviamo in posti che non siamo capaci
 di abitare con gli incontri. 
Si chiama deserto e si dice vuoto
il luogo dove moriamo lentamente"
L'inverno dell'umanità, ricordo con Massimiliano Santarossa.
Diviso in quattro parti come possiamo dividere una arancia, il libro è la sfera che ci accoglie con freddo e gelo, senza rumore significativo, il poema  con  una rosa nel caos ci offre la poesia. La rosa che ci sublima dal profondo del maiale. 
L'istintualità ed insieme la facilità a  cui, manomessi, gli uomini tutti perdono speranza e futuro, diventando piante senza radici ed esseri senza vista, per ricordare Isaia e tutti i profeti che, in ogni tempo, hanno ammonito con immagini simili gli individui smarriti e brancolanti in epoche di transizione, l'istintualità va regolata con disciplina e metodo. 
Stiamo transitando Acheronte, per restare con Dante, e che questo inferno sia migliore del luogo dove stiamo può mostrarcelo solo una poesia, la poesia che  sia insieme messaggio e sferza, paura e sollievo. 
" Questi giorni senza amore
non tollerano nemmeno
una felicità di riserva"
continuo dopo

Stamattina riprendo a leggere Luce Nera  con negli occhi il Parco Impastato, ieri sera, nel mambo tristissimo di periferia, su una piazzola asfaltata, davanti ad altri dormienti seduti, umanità poverissima mimava i passi al suono dell'amplificatore. Se questo è l'antinferno, mi sono detta, la perdita di qualsiasi individualità, meglio l'inferno della solitudine e la musica di un verso amico.
Triste di una tristezza universale 
" Siamo tutti sulla stessa strada
aspettiamo chissà che cosa
seduti su questa terra morta.
arriverà presto  il giorno 
in cui le parole non diranno niente"
ieri sera quel giorno era arrivato, laggiù in un parco di periferia, affollato e abitato, laggiù sulla riva del mare, all'Hang loos beach, affollato e abitato, laggiù dove le parole non hanno suono e le relazioni diventano uguale gesticolare delle membra, nel divertere che musica non è, e nemmeno luce.
Luce Nera di Nicola Vacca, la lampada di Wood contro ogni falsificazione.
                                                                           Ippolita Luzzo

lunedì 24 agosto 2015

Gli Storioni di Rambaldi

I salmoni di Carlo Rambaldi.
Continuo a stare con la testa in tutto quello che non si è detto .
 Continuo a dialogare con chi è stato assente eppur presente  e che ha preso la scena molto più del reale  vivente.
Continuo a giocare con i salmoni di Carlo Rambaldi per sorprendere  lui ed  il figlio  Alessandro intenti  a far andare avanti i pesci  invece di vederli  risalire la corrente saltellando.
Di tutta una lunga conversazione che i gentilissimi e disponibili figli, Daniela e Victor, mi hanno concesso seduti nel giardino di Villa Ventura, in attesa che iniziasse la serata  E.T. Sotto le stelle, mi rimane un  non detto e su quello io ho continuato a chiacchierare ed a domandarmi diventando amica e compagna  di chi si tace.
In ogni biografia mi affascina un solo dettaglio, lo amplifico e nel dilatarlo occupa lo spazio di anni, di una vita. Un solo dettaglio.
Così Di Carlo Rambaldi, nato in un piccolo paese del ferrarese , con il talento di far vivere le sue  fantasie con congegni meccanici, riporto le frasi del figlio Victor , il racconto dei salmoni, che in  effetti Victor di  storioni mi ha parlato. 
Siamo negli anni cinquanta, nel ferrarese di Florestano Vincini, di Folco Quilici, già lavora Antonio Sturla, come direttore alla fotografia.  Antonio  Sturla «ha consentito il battesimo nel cinema di Carlo Rambaldi, «Per un documentario su Delta del Po – mi racconta Victor-  un filmato ambientato a Pila di Porto Tolle, con soggetto la pesca dello storione , mancavano proprio gli storioni, non essendo  stagione.
  Carlo Rambaldi  realizza tre storioni elettromeccanici. Fu merito della loro realizzazione che ebbe l’occasione di farsi conoscere e di trasferirsi a Roma per continuare la strada nel cinema.
Il fiume più lungo d’Italia, la storia del cinema italiano, che si snoda tortuosa nel racconto di Victor. Una storia, quella dell’imprenditoria cinematografica,  affidata alle individualità, una storia non agevolata da rispetto ma affidata alla improvvisazione, a stranissimi impedimenti che ostacolano il fluire, che impediscono la realizzazione di molte idee geniali.
Nel racconto della vita di Carlo Rambaldi, scivolano  le diapositive di moltissimi film ai quali l’artista ha lavorato, creando effetti speciali: Alberi che si muovono, cani, gatti, pipistrelli, Quattro mosche di velluto grigio, e Profondo rosso.
Mescolo volutamente  titoli di film e creature meccaniche , come un puzzle di una conversazione per offrire ai lettori l’empatia della conversazione con Victor e Daniela, una conversazione sul Cinema e su Carlo, su Alessandro che , come Victor, seguì il padre in America, a Los Angeles  nel ‘76
Come se fossimo a girare un film , dividiamo lo spazio e amplifichiamo la realtà effettuale, stasera.
La vita di Daniela, di sei anni  e la vita di Victor, maturando di licenza liceale, diventa un’altra vita. Le valigie ed i congegni  di Carlo andranno in laboratori più attrezzati dove saranno ricompensati e apprezzati per il genio che  donano.
Il movimento è emozione, ripeteva spesso Carlo Rambaldi ai figli.  Star fermi è contemplazione. Le due positività dell’agire umano che possono diventare negatività se il movimento diventa strumentale ad un consumo e lo star fermi a solo guardare passivi.
Nello scarto dell’arte si vive comunque , e nelle parole  di Victor , tutto il lungo lavorio di un pensiero, gli intoppi creati da istituzioni miopi, la nascita di una fondazione che, in nome di Carlo ed  io direi di Alessandro, vive il cinema non digitalizzato della vita.
 
 La Fondazione Carlo Rambaldi  avrà come sede il Polo Scolastico
di Vigarano Mainarda (Ferrara) dove Carlo è nato  il 15 settembre !925


Ippolita Luzzo



mercoledì 19 agosto 2015

La Linea di Enrico Astolfi

L’esplosivo piano di Bazil- La linea

Organizzato dal Collettivo autonomo Altra Lamezia, al Parco Impastato, martedì 18 agosto, ore 18,30, 
La Linea, favola breve di Enrico Astolfi, con illustrazioni di Aladin Hussain Al Baraduni, Lorusso editore.
Vado con i miei fogli

L’esplosivo piano di Bazil è un film francese del 2009, riproposto questo inverno a Lamezia  da UNA, associazione culturale per la visione di film in lingua originale con sottotitoli.

In questo film il protagonista, solo e senza famiglia,  insieme a una umanità varia e generosa, decide di combattere le multinazionali delle armi. Armi che avevano causato la morte del padre e ferito lui in modo indelebile, portando in testa una pallottola non removibile.
Quello che mi rimase del film furono il grottesco ed il surreale, la giocosità insieme alla distorsione della realtà che trovo tutta stasera,  nell'approccio che lo scrittore Enrico Astolfi  ha dato alla sua storia  sul conflitto, “La Linea” Favola con immagini disegnate da Aladin.
Tanti i punti in contatto con quel film, anche fuori dal contenuto vero e proprio del libro.
Il presentatore sembra quel simpatico personaggio del film che parlava per luoghi comuni, una serie di immagini che sembravano uscire direttamente dalla sceneggiatura di Bazil.
Modi di parlare. Come si parla e di cosa si parla quando si parla dove si parla. E così sorridendo ascolto la storia di un conflitto.
Enrico racconta che con Aladin, Yemenita ed ora abitante di Centocelle da dieci anni, si è incontrato in uno sgombero, fra una occupazione e una manifestazione.
Lui, originario di Ferrara fuori le mura, ora vive a Roma, alternando lavori precari alla sua attività di scrittore. 
Nasce, dall'incontro fra i due, una prima idea di una Linea, nasce  dalle parole di un funzionario della Digos che bloccando entrambi durante un picchetto anti sfratto, proibisce loro di varcare una linea che non era segnata e visibile. Mentre  chiedono al funzionario dove fosse questa linea,  si sentono rispondere che è lui a decidere dove sia  e come e quando poter  essere varcata.
Così La Linea, favola su un conflitto, non specifico, su un conflitto che può essere ogni conflitto, su un generale conflitto fra tesi e antitesi, prende vita in un non luogo, con protagonista che lo diventa in modo assolutamente casuale, durante una notte.
Infatti la favola inizia di notte. Viene tracciata una linea in un luogo immaginario, arrivano da una parte e dall'altra manifestanti che vogliono attraversarla e poliziotti che impediscono il passaggio. Un divieto fatto senza conoscere i motivi, un bisogno di attraversare senza saper perché.  Solo per avere spazio.
La favola ha  una morale senza voler fare morale e credo che la morale  stia proprio nello spazio che si vorrebbe, lo spazio immaginativo.
Le linee sono tante, sono importanti. Bisogna tracciare una linea al nostro comportamento, sempre molto contraddittorio e contorto.
Nello spazio dell’arte il conflitto trova il luogo  della rappresentazione portando le storie e i personaggi a riconoscersi.  I disegni sono veri quando le persone vivono e si riconoscono partecipi nella rappresentazione, dirà Aladin, ripetendo più e più volte, come Boezio, la differenza fra vero e falso. L’arte è militanza, sia su murales che in un disegno o sulle pagine di un libro. Storie vere. Aladin si fa raccontare le storie vere nei luoghi dove va, storie di disagio, di infelicità, storie che nell'arte entusiasmano, aprono il varco del chiuso vivere di ossessione e liberano il soggetto in una appartenenza universale. Ci siamo tutti, anche noi, nello spazio.
E mentre i fogli sui banchetti messi accanto prendono il volo sollevati da un soffio di vento, e mentre i due cagnetti mimano un conflitto fra loro, e mentre la sera si  tinge di rosa,  io ritorno a casa con una immagine affettuosa,  quella dell’editore del libro che, in Puglia, ha seguito  ogni presentazione fatta, con l’autore. Un editore indipendente che pubblica cinque libri all'anno e li segue come suoi familiari, e crede come tutti noi nell'unicità, nelle storie e nel grande spazio che c’è per tutti quelli che lo sanno vedere. Come Bazil.


domenica 16 agosto 2015

Scrivere per viverci dentro. Sull'isola di Venerdì

Robinson Crusoe naufraga e vivrà per molti anni da solo su un'isola. Trova come compagno Venerdì salvandolo dai cannibali che infestavano l'isola. Dovrò rileggermi questa storia che già mi sembra più abitata del luogo, della cooperativa di disabitanti, del paese senza relazione continuata, della città  dove io dovrei abitare. Una isola che è isola fra isole. Senza alcun arcipelago mai, se non momentaneo, raro. 
Nell'isola la zattera di Robinson, nell'isola quotidiana la zattera si chiama scrittura. Robinson annota i giorni per non impazzire, per sapere quanto tempo sta passando, per dare scansione al tempo.
La scansione degli anni è stata inventata da noi umani per avere un prima, un poi e un mentre. Per avere una opportunità.
Così nelle isole, dove ci si attrezza per anni e anni,  la scrittura e la lettura sono vivi, vivono con noi dandoci la compagnia.
Ci scrivo e poi ci vivo dentro. Come Robinson scriveva e segnava sui muri i giorni, così noi tutti scriviamo sui blog, sui siti, sui fogli di carta, e insieme leggiamo sul cellulare, sul tablet, sul libro di carta, leggiamo e leggiamo l'invenzione di vivere.
Poi Robinson andò via dall'isola e ritornò in Inghiterra, lui era un personaggio  nel romanzo, noi, che nel romanzo non stiamo, restiamo e restiamo per sempre nel luogo da dove non siamo e per dove non siamo naufragati davvero, nell'unica e sola certezza che abbiamo, di aver per destino quest'isola in dono.

sabato 15 agosto 2015

La Lavatrice di Ferragosto



Saranno sessanta i ferragosti che dovrei aver fatto uguale a questo e, se un tempo mi arrovellavo, mi ribellavo e mi sembrava una punizione ingiusta, ora reputo che il ferragosto fatto così sia molto meglio delle tante lavatrici con cui si condiscono i dialoghi fra amici.
Non che non sappia della bellezza di conversazioni amene e leggermente ilari, ne ho appena fatto io una poco fa con gruppo di famiglia amicale, però mi restano ferme   quella domanda e quella risposta  che interrompono  l’interesse altrui e lo dirottano  sulla lavatrice.
Qualche tempo fa ad una mia amica domandai se la interessavo, lei mi rispose che proprio in quel momento la lavatrice, bloccata, aveva ripreso a girare, rendendo così inutile intervento del tecnico. Era bastata la mia telefonata! E impedendomi di parlare lei magnificava i giri del cestello.
Ovviamente la telefonata rimase storica nella mia testa e qualche tempo fa, altra amica, a mio nuovo tentativo di dire cosa io stessi pensando di noi due, mi rispose che aveva fatto la lavatrice, suddiviso i bianchi dai colorati, le tovaglie dalle lenzuola, l’intimo dagli abiti, insomma reduce da tre lavatrici era poi passata a raccontarmi come avesse fatto la lavastoviglie,  messo i bicchieri in su, di come avesse lavato a mano a mano altri bicchieri, più fragili. Già io mi ero distratta e lei, accorgendosi, mi domandava ” mi ascolti?” mentre io, in preda a mal di testa da lavatrice, ripetevo a lei per filo e per segno ogni cosa, e aggiungevo  " no, no, non sono distratta".
Certo avevo capito una cosa: era finita, finito l’interesse fra me e lei, fra me e l’altra, ogni interesse non può durare su un giro di lavatrice.

Oggi quindi augurando a mie amiche storiche e non  una  estate ed una festa  che non passerò con loro, così  come non ho trascorso  tutti gli altri anni, giochicchio con i tasti di un computer che nemmeno compagnia mi fanno più. Anche loro mi vogliono dire che sarebbe meglio andare a fare una lavatrice?