lunedì 29 dicembre 2014

Anche il denaro è un'opera d'arte





Anche il denaro è un’opera d’arte.

"Il denarius, moneta d’argento, valeva dieci asses (assi), e l’asse era l’unità di misura del sistema monetario in bronzo. All’inizio dell’Impero dieci asses facevano un denarius; poi, nei secoli successivi, con la svalutazione, ce ne vollero fino a sedici: ecco gli antenati dei nostri problemi finanziari. As, assis significava in latino anche “il tutto”, “l’intero”. Di qui, espressioni entrate nella nostra lingua come asse ereditario, asse patrimoniale."

Ahah Risata amara.
 Stamattina mia mamma è dal notaio, deve firmare non so cosa per un asse familiare con suo fratello defunto. Unica occasione per incontrare nipoti.
asse di legami dispersi nell'infrequentanza.

Di asse in asse il denaro avvelena e crea legami.

Di asse in asse il denaro fa storia di imperi, nazioni, città, villaggi, case, e famiglie.

Mi ero seduta canticchiando, pensando a Nuccio Ordine sull’Utilità dell’inutile e sulla gratificazione dell’arte, sul valore che ha per ciascuno di noi fuggire via dalla corda corta del bisogno, del pagare, delle inutili carte che rifuggo guardare.
Altra situazione, avvocato, questa volta.

Sono stata interrotta e ripiombata in luoghi bui, dove soltanto i tribunali credono ancora di servire a qualcosa.

Un film lunghissimo stiamo tutti girando, Il film, L’avvocato del diavolo,  Paint it black, mi risuona nella testa.

Mi risuona associando film sulla guerra Full Metal Jacket e sull’avidità che avvolge e distrugge, sul deserto intorno.

Se dobbiamo ripensare all’arte come creazione, allora il denaro crea, divide e massacra, compra ed eleva, realizza bellissime chiese e bruttissimi carceri, con la stessa immensa capacità di tutti i più grandi ideali dell’uomo, essendo lui, l’ideale necessario per concretizzare viaggi, case, strade e famiglie.

Anche il denaro è un’opera d’arte. La più grande. Purtroppo.  

domenica 28 dicembre 2014

Lamezia Wine Fest- Guida Slow Wine 2015





Tutto il vino che ho vissuto. Da astemia
Lunghi filari, negli anni settanta, cantavano al sole i grappoli amati, magliocco, malvasia, greco e terracina, filari bianchi e neri, nella campagna dei miei.
Nella vigna le donne riempivano panieri di vimini,  ed il mio compito era di riaccompagnarle a fine lavoro a Maida, il loro paese. 
 Vendemmia coi piedi a pestare quegli acini, ed il torchio, la pressa e le botti di rovere. Di tante misure. Ogni botte il suo vino. 
Poi la grande sconfitta, nessuno vinse in quella guerra, il vino non si vendeva, non si sapeva vendere, nessuno lo voleva e si offriva quasi regalato ai grossi rivenditori che lo usavano per tagliare, diceva papà, le schifezze vere.
 Costretti, avvenne la grande estirpazione di vigneti autoctoni l’impianto di produzione diretta, uva scadente, incoraggiata dalla regione Calabria, che diede soldi ai suoi vignaioli per distruggere il tesoro che avevano.
Due mondi- Lucio Battisti.
Voglio quel mondo che non esiste più.
Guardo Danila Lento, giustamente orgogliosa di produrre vino con il magliocco, ascolto Stefania Mancuso, spostata su anfore e cratere, su corredo che dimostra una lunghissima storia di trasporto e produzione del vino, una storia  offesa dalle tante scellerate decisioni in anni passati.
Negletta e vilipesa la campagna è stata, difficile la vita di proprietari e contadini, di operai e venditori insieme, difficilissima, troppe competenza in una sola figura e tutto sparì.
Ora Slow Wine rilancia eccellenza, dignità e sentore, con antenne fatte di relazioni umane, sul vino, in generale e sul vino  calabro che tanto ha sofferto.
Presentazione di Guida Slow Wine 2015  a Palazzo Nicotera stasera, Lamezia Wine Fest quarta edizione.
Giancarlo Rafele ha curato la parte relativa alle aziende calabre che fanno vino, buono, pulito e giusto.
Dei 223 additivi che sono permessi per fare vino ci auguriamo che ne usino cinque, quelli che bastano, puntualizza Danila, e  Giancarlo  chiede vi siano etichette obbligatorie  su ogni bottiglia.
Il vino è un vivente, il vino ha un volto, diceva il mio papà, ogni botte dà un sapore e un profumo diverso per tempo e per legno. Non vini ingessati, ogni vino è unico, continua Giancarlo Rafaele, contro omologazione, contro massificazione.
Sembra di sentire papà e mio zio, ed allora cosa ci vinse? Il litigio, sicuro, fra coltivatori, lo sparlare, il non esser coesi, non aver fiducia.
Valorizziamo, come fa lui, ora i Cirò boys, i ragazzi di Cirò che hanno riportato  il loro vitigno, valorizziamo Librandi ed il moscato di Saracena, e poi ancora fino al Greco di Bianco.  
Vado a memoria non ho preso appunti, non ricordo i premi, ma non ha importanza, conta soltanto quell’entusiasmo che avremmo dovuto avere negli anni settanta e che ora vedo negli occhi e nei gesti dei protagonisti della serata.

l'ombelico del 2014



Il cerchio si chiude ed è un ombelico.
Mancava al mio calendario a pezzi del 2014 l’ombelico e Nelida commentò, da poetessa, quanto fosse ombelico a dare il motivo di vita nascente e nutrita, di vita che cresce e si rende autonoma dopo che impara a ricomporre i pezzi.
Un corpo a pezzi, senza ombelico, non può ricomporsi se cerchio non ha.
Così ora provo e a settembre festeggiai con fotografia un ombelico che tutti cerchiamo.
Il cerchio è un cercare, verità banale eppure normale, la nostra vita gira in tondo, sappiamo.
La cifra tonda dei nostri anni, il decennio che ho festeggiato, il luogo che ho abitato è Il Cerchio Magico che ho raccontato. Da Susanna Tamaro, molto amata.
Il cerchio era un gioco che vedevo giocare per strada, dalla finestra e dal balcone dal primo piano della mia casa.
Il cerchio si chiude, dice oggi oroscopo, e questo anno così sorprendente si è aperto alla vita ed ora si chiude per dare quella circonferenza che un senso dà a tutte le cose.
Ed è nella circolarità che ritroviamo il nostro destino, caso, fortuna o necessità, è nella nascita del sentimento di benevolenza, indulgenza e fiducia che ci fece nuotare nel grembo materno.
Nutriti, lavati e pettinati, vestiti, parlati e strattonati, siamo poi andati di qua e di là, portandoci in mano un compasso e un foglio per disegnare il nostro cerchio, l’ombelico del mondo nostro, della personalissima storia unica...
Insieme al cerchio che ci creò.


sabato 27 dicembre 2014

Institutional cantando- Tutto l'anno in una parola.





Lo stile dell'anatra di Raffaele La Capria mi sta accanto stamani
Flaiano mi guarda con occhio fraterno e mi giura che nemmeno lui fu institutional.
Istituzionale vuol dire che fa parte di una istituzione, un impiegato, diciamo così.
Ed io non sono istituzionale, essendo regina di un regno senza Comune, Provincia e Regione.
Per tutto il 2014 questa non qualifica istituzionale mi ha impedito di avere patria potestà delle mie idee, ha creato malintesi e sospetti.
Cosa vuole costei?- Si saranno domandati gli istituzionali veri
 E così se io ho scritto che è bello un film, un libro, un dipinto, una fotografia, e se ho dimostrato quella bellezza,
- perchè accorgersi della bellezza al suo esordio è sempre un merito, dopo batter le mani è facilissimo- insomma se sono io ad averlo fatto, ecco la domanda che mi caccia via.
Sei forse istituzionale?
No, quindi vai via.
Qua Qua Qua Qua Qua

Cinque anatre andavano a sud:
 forse una soltanto vedremo arrivare,
ma quel suo volo certo vuole dire che bisognava volare, che bisognava volare,
che bisognava volare, che bisognava volare... 

Institutional cantando... 

giovedì 25 dicembre 2014

Nebraska per tutti sarà





Dal Montana al Nebraska saranno ottocento chilometri.
Padre e figlio  e la distanza sono anni
Da Billings a Lincoln lungo la strada che li porterà dove hanno abitato molti anni prima.
Un viaggio con sosta nella cittadina dove è nato il figlio, dove il padre tornò muto dalla guerra di Corea e  dove abitano i suoi fratelli anziani.
 Io sono la strada, qualcuno ci disse, sulla strada, on the road, fu scritto  e una cattiva strada qualcuno cantò.
Nebraska per tutti sarà.
Una colonna sonora dialoga con noi spettatori portandoci per orecchie nel suono del film. Dentro ancora dentro le strade che non portano mai a niente, come i Nomadi in Dio è morto. Cantano le strade, anzi suonano la melodia dell'alienazione, dell'uomo solo che non può essere un sacco di patate, hamburger e patatine, due birre, tre birre, a volontà.
 Strade e poi case, una macchina e che cos'è una famiglia? Un affetto, un ricordo, una gratificazione che ti dia un motivo per esser orgoglioso di te, del tuo starci sulla strada del mondo? Quante domande potremmo poi farci su luoghi non luoghi, direbbe Marc Augè, su deserti abitati da uomini no.
Sacchi ripieni di merda, potremmo chiamarli quei cugini, parenti, soci e company. Sacchi che vogliono solo insaccare i soldi che lui, il papà, si illude che ha vinto. Poveri sacchi loro, no persone.
 Lui invece, con il suo cocciuto continuo  credere vero non tanto una somma ma una illusione, lui salva suo figlio da un vivere banale...
La tenerezza che non c’è in questo mondo stupido, mi verrebbe da dire al veder quel cappellino sulla testa dell’uomo anziano che crede ad un foglio, ad una pubblicità.
Se non fosse che forse quel che lui ha fatto ha del magico e del reale, traslare fierezza e decisione che non mancheranno ora al figlio, forte fortissimo per aver dato dignità e orgoglio al suo papà.
 Nebraska per tutti sarà.
Un viaggio che è il nostro viaggio

Perché mille auguri, tanti auguri? Uno solo non basta?



Perché mille auguri, tanti auguri? Uno solo non basta?
Mi piacciono i giorni lieti e mi piace il prossimo, ma non capirò mai questa abitudine di sfilacciar questa parola dal suo tessuto originale e darla poi senza un aggancio, un suono che non senso ha.
Che senso ha dar mille auguri a sconosciuti,. oppure a  conoscenti, che incontri sbadata al supermercato, che senso ha stringer la mano e mandare auguri a zii, nipoti, a cognati e parenti di cui hai dimenticato persino i capelli?
 Nessun senso. Eppure si fa ed io mi sorbisco la telefonata di sconosciuta, di tempo che fu,  che mi dà auguri, ogni anno lo fa, forse anno scorso le risposi male, domandai:- Perché mi telefoni e mi fai gli auguri?- 
Questo anno ho imparato e ho detto grazie, e telegrafica ho commentato ai suoi auguri, da sconosciuta che si ostinava a sentirsi educata. 
Preferisco chi, fra color che non sento affatto da anni, quelli che non telefonano più a Natale, Pasqua e Capodanno per far mille auguri di falsità.
Nella gassificazione della parentela, dei rapporti che non esistono più, dovremmo abolire questo rituale che mi fa venir il mal di testa, mi obbliga a stare poi rintanata almeno due giorni per non dover sentirmi augurare mille e tanti milioni di auguri da chi non conosco e neppur mi conoscono, da chi non frequento e da chi  non mi invita ai loro riti culturalconviviali.
Adesso, nel mondo culturalcomposto,  costoro hanno imparato un’altra sadica ipocrisia e mi chiedono:- Come mai non ti fai vedere oppure non vieni ai nostri raduni?-  Ribaltando su me che rispondo sussurrando:- Ma se non lo so, come faccio a venire?- e mentre ancora non ho finito, loro, i culturalcolossal di gite e convegni, son già andati avanti e augurandomi milioni di auguri hanno azzerato disinteresse e curiosità, facendo calcoli su quanto guadagnano a star con me un momento di più.
Niente guadagnano e neppur io, anzi io mi annoio, infatti non ho tessere varie, ho solo pochissimi miei piaceri, un film, un dipinto una musica e un libro che sono loro a farmi un augurio, uno solo,  quello di esser capace ancora di gustare la bravura, quella vera. 
Un augurio sincero dal prossimo al prossimo che non è tuo come te stesso.

lunedì 22 dicembre 2014

Il Mostro Natale




Settimana Santa.
Finisce con Santo Stefano e dopo tre giorni lei risorge quel tanto che basti ad affrontare una festa laica, la settimana del primo dell'anno.
All'epifania ormai nessuno fa caso più, nessun rimpianto, nessun dolore, tutte le feste si porta via.
Già questa sarebbe una bella certezza se non iniziassero le giornate della memoria, degli innamorati, delle donne emarginate e del papà, della mamma, dei senza frontiera, del suolo occupato e via seguendo fino al caldissimo ed arrostito ferragosto tornando diretto dalle ultime vacanze trascorse a sciare sulla sabbia del mare.
La tiritera imperversa su schermi televisivi e sul pc, benchè io passi veloce, richiuda le pagine e oltre mi sposto, poi capita amica e ieri sera mi trovo in libreria a sorbirmi pacchetti e a vedere comprare libri LaGioia autore e Ferocia titolo, fatti per essere poi spacchettati e gioiti, goduti in un consesso di visi gaudenti.
Compro per me Flaiano e La Capria, compra mia amica per sè Borges e andiamo via dagli impacchettanti, con tanto deserto in fondo alla mente.
Lei vuole un lavoro, lei dovrebbe lavorare, perché è il lavoro che ci fa uomini, lei andrà dai parenti in questo Natale a sentirsi dire "e tu come stai? Ma come? Una bella ragazza come te che non è fidanzata? Una ragazza intelligente e preparata come te che non ha un lavoro? Forse sarai troppo esigente! Guarda la piccola che compie un annetto, sorridi alla bimba e al suo gattino" e pensa mia amica che sono degli estranei sadici ed indifferenti questi parenti che intorno stanno.
Io invece il Natale lo trascorro sola, al massimo passo dalla mia mamma, nel deserto degli anni che hanno tranciato perpetuando una sofferenza che lei si porta dietro dalla sua infanzia.
Una vita difficile la sua. Non fece gli studi che lei amava e  non fu amata e neppur rispettata da famiglia di origine, da suo fratello, e da nuova famiglia che si formò.
Un vero supplizio star qui a veder trascorrere i suoi giorni senza una speranza con l'unica colpa di aver generato un ragazzo che  un brutto giorno, verso i quattro anni, si ammalò di meningite e mai più sano ritornò.
Un calvario continuo, le feste acuiscono il deserto del male, della fredda monotonia di un vivere difficile.
Parenti che si dileguarono da moltissimi anni, si allontanarono, forse loro, interrogati, potrebbero dire che ci allontanammo, ma noi non offrivamo sorrisi e vacanze, giochi di bimbi e amicizie influenti, da noi niente, benchè la mia mamma preparasse gustosi pranzi per la domenica.
Ora che lei continua a preparare buoni pranzetti devo sentire qualche parente che invidia finanche mia mamma in piedi, lucida e ancora una roccia su cui poggia il male del mondo.
Non ho un Natale da festeggiare, neppure un Capodanno  ci sarà, nemmeno ricordo come si fa, non avendolo festeggiato quasi mai negli anni passati.
Presumo che sia per tanti così ed hanno tutti la mia vicinanza, presumo anche che per altri sia come si vede scorrere sulle immagini e a costoro io dico soltanto di non irriderci una volta di più.

Foto di Roberto Valentino alla mia mamma
Ippolita Luzzo