mercoledì 29 ottobre 2014

Alessandro editori srl e La Provincia



Alessandro editori srl- La Provincia di Cosenza

Derrida: non c’è filosofia senza amicizia e  l’amicizia è sempre una pratica di denudamento delle pretese di verità. Perché cadano le maschere degli altri occorre riuscire a fare a meno della propria.

“ A chi gli chiese una valutazione del pensiero debole  Derrida rispose che era totalmente d’accordo, alla condizione che per debolezza si intendesse “un certo modo di essere disarmati nel rapporto con l’altro”. Ma deve essere – precisava – “un momento di disarmo assoluto”, senza condizione. Riconoscere che è l’evento che ci rende “inermi” voleva dire per Derrida dotarsi dell’unica arma veramente efficace. Un “disarmo” che è percepibile ovunque nella sua scrittura (una scrittura che, a mio parere, non siamo ancora riusciti ad attraversare), per esempio nell’uso ricorrente ed essenziale della parola –forse-“ da Pier Aldo Rovatti ai dieci anni della scomparsa di Derrida.
“Nel segno di una allegria e sotto gli auspici di una birra artigianale è nata ieri la Alessandro editori srl
Il nome dato alla società rappresenta un tributo al nostro amico Alessandro Bozzo con il quale avremmo tanto voluto condividere il peso e la gloria di questa avventura. Con lui e non con altri.” Così scrive Marco Cribari all’indomani della costituzione di una società che dà vita al giornale, presentato ieri sera nel suo numero zero, al Teatro Morelli di Cosenza
.
La Provincia di Cosenza nasce fra amici che,  da Seneca nel libro primo, lettera tre, si dicono sull’amicizia “ Se hai usato quel vocabolo specifico con un significato generico e hai chiamato amico quel tale, come noi chiamiamo “onorevoli” i candidati alle cariche pubbliche, o come salutiamo con la parola “signori” le persone che incontriamo, se non ci viene in mente il nome, passi pure. Ma se stimi amico uno, e poi non hai in lui la stessa fiducia che hai in te stesso, commetti un grave errore e ignori il valore della vera amicizia. Prendi ogni decisione d’accordo con l’amico, ma prima sii ben sicuro di lui.” 
Questa sicurezza di essere fra amici, fra persone perbene, di potersi fidare uno degli altri, di essere un gruppo onorevole nel senso ottimo della parola, questa sicurezza si irradia dalle parole di Francesco Graziadio, sul palco, a noi in platea, donandoci il brivido della folle avventura e la tranquillità della condivisione in una storia onesta.
Giornalisti non può voler dire essere la voce del padrone, di colui che paga per sporcare un altro, non può esser sempre penna e microfono, tasto e twitter di infamie inventate, giornalisti è pur sempre una professione. Un lavoro.
Da inermi, solo nella condizione di una tribale e familistica situazione di scambi favoristici, da inermi nel gioco economico, da inermi nel luogo oscuro della faida, da forti nel terreno della allontanamento.
Allontanarsi si può, dico io da anni, inventare si può.
Stringersi accanto a chi noi stimiamo, fare un percorso con persone che credono possibile vivere da uomini e non da servi.
Questa direttamente da Alessandro Bozzo che mi sorride come amico ogni mattina.
Auguri Carissimi

domenica 26 ottobre 2014

Gerlanda di Francia e Hirotsugu Aisu- Nostos da Be Cause




Il ritorno di noi bambini
Gli occhi dei bambini
Gli occhi spalancati, stupiti, incuriositi dell’infanzia su favole e fiabe che viviamo tutti i nostri giorni.
L’esorcismo della fiaba per disinnescare ed esercitar nostre  azioni su realtà fatte di torte avvelenate e di Hansel e Grethel nella casetta di marzapane.
Fiabe raccontate per dirci che  più terribile sarà realtà con streghe vestite di buone parole e con orchi cattivi da occhi dolci e pieni di bontà.
Al ritorno della campagna… cantava Lucio  Battisti
seconda cosa voglio parlare
di tutte le cose che ho da dire
e qualcuno deve ascoltare


Intanto sul muro in fondo
Le ombre di Platone sul muro di Be Cause.
Dall'installazione duplice di un classicismo incorniciato e plasticamente emergente dalla parete con la commistione della fibra fluorescente del filmico video che inonda il biancore del calco umano, del corpo. Una duplice storia concettuale sul bianco e sul rosso, sui tanti colori mandati dal fascio di luce a calare dalla testa sul corpo che immobile sta. Si muove su questo lo sfruculiare di un bastoncino, di un elemento che da fuori freddamente lo sfida. Lo inonda di sangue, lo sporca, lo incatena in armatura medioevale, lo veste di puzzle, lo brucia e lo lascia. Riprende infinito sul muro l'eterno contrasto fra un classico e moderno, fra stasi e movimento, fra osservazione e commistione, fra forza e debolezza, fra fiaba e mostruosità da derubricare nell'eterno sforzo del debole di potersi difendere
Dalle tele gli occhi sparluccicanti, irridenti, grandi occhi protagonisti di favole nere che Gerlanda dipinge a chieder perchè di tanta piccineria, di tanta ignavia, di tanto consenso e silenzio assenso sul male che vien fatto ad un altro, di tanta malvagità gratuita, una banalità del male disse la Arendt, di tanta allegoria e allegria sul teatro favolistico dell'esercizio di vivere.
Con arte e fiaba 

sabato 25 ottobre 2014

L'aria del sabato sera



In macchina per Mesoraca la collega frigida ci raccontava che suo marito ogni sabato espletava compito. 
Ogni sabato ripiegava gli abiti in un certo modo, e lei sapeva che doveva svolgere atto.
 Noi, cinque donne in macchina, eravamo sconvolte ma lei diceva che ogni sabato si accorgeva che era sabato e che lei non era interessata, ma  erano una bella coppia anche se per lei e supponiamo anche per lui fosse come andare al bagno.
Misteri del sabato sera.
Avendo trascorso tutti i sabati del  menage in perfetta solitudine oppure con la ragazza delle pulizie a girar calzini non so cosa dirvi se non che la ripetizione a ripetere debba essere una gran noia sia in un senso che nell’altro.
Misteri del sabato sera
Se penso che questo sabato sera ora voglia dire teatro Teatro della Maruca, con Bollari: Memorie dello Ionio, sono molto più contenta del racconto allucinante della collega che ogni sabato…
La prossima volta che la incontro le domando se continua a sentire l’aria del sabato sera
Con la noia abissale dell’incontro già segnato

venerdì 24 ottobre 2014

Se il mondo è fatto a scale. I vecchi che siamo

Se il mondo è fatto a scale
 Tu prendi l'ascensore
Canzoni che frullano in testa di una sessantenne.
Quindi post comprensibili solo da stessa generazione.
Vecchia.
Generazione di vecchi.
Dicono i giornali che...
Sono felice che questo aggettivo venga riqualificato e che dopo la scoperta dei giovani si scoprano i vecchi.
Perchè bisogna investire sui vecchi, perchè-Vecchi, il futuro è vostro.- perchè siamo sempre vecchi, perchè vecchio è bello.
Se il mondo è fatto a scale tu prendi l'ascensore, vecchio o giovane, lo prendiamo tutti.
Al Tropea Festival arrivo da vecchia, io, invitata, ed in attesa di sedermi sul trono degli interventistati sono pregata di accomodarmi. Ma dove? Non ci sono sedie. Chiedo a due bimbi seduti se mi cedono gentilmente per alcuni minuti la sedia e uno si alza l'altro no.
Così io e la mia collega ci sediamo su una stessa sedia, ci stringiamo, ma ormai la vecchiaia incombe ed io sto scomodissima, una chiappa sulla sedia e l'altra nel vuoto, nuovo espediente erotico sarà e guardo il bimbo impassibile ed indifferente che col suo cellulare cincischia e starà scrivendo forse:- C'è una vecchia che vorrebbe sedersi al posto mio, ma che vuole sta vecchia?-
Intanto il supplizio finisce, oppure chiamiamolo gioco, ed io vado a sedermi da vecchia fra giovani al salotto conversativo.
Vecchio, cosa non si fa per te, direbbero i bimbi, vestiti di nuovo, che volentieri ci ammazzerebbero visto che loro son giovani e l'ascensore lo voglion per loro

martedì 21 ottobre 2014

Ho dato



15 luglio 2011

Ho dato

Ho dato alla Biblioteca comunale l’Enciclopedia Einaudi, l’avevo pagata quattro milioni alla fine degli anni settanta.

Volumi grandi, rossi, tutti i collegamenti  semantici, sociologici, strutturali.

Ho dato La storia del partito comunista di Paolo Spriano, volumi quasi intonsi, Pajetta, Bordiga, Gramsci.

Ho dato Lenin Stato e Rivoluzione, L’ideologia tedesca di Marx ed Engels, Rousseau Il contratto sociale.

Ho dato per niente la mia vita. 
Ho riempito sacchi di libri e l’ho depositati alle porte di amiche, nelle sale dei professori, dove donne garrule  e pratiche li hanno tagliati in mille pezzi per farne dei collage.

Ho strappato ciò che ho scritto, i miei diari scolastici, i miei pensieri perché nulla doveva restare di quel tempo.

Ho dato il mio Tfr, quarantamila euro, il mio conto in banca, i miei averi, ma rivoglio indietro la mia firma, il mio nome.

Ho dato giorni, ore, minuti, in attesa, sognante, sperante che  tutto fosse solo un equivoco.

Un errore, uno sbaglio, mi auguravo di non aver saputo leggere.

Ho dato come tutti, non sono una eroina, una vittima, una sciocca.

Sono solo donna

Certo avrei dovuto, certo avrei potuto, certo non si fa così.

Sventata! Pigra! Distratta!

Non mi pento. Rifarei di nuovo i miei studi, le poesie, gli studi con  Giovanna Casadio ”Eravamo due destini” Franco Fortini a Vittorio Sereni, rifarei Filosofia.

Non mi pento, è stato bello crederci come credo possibile qualsiasi suggestione mi baleni in mente. Però sto attenta. 
Io lo so che fra il possibile e la realtà, fra ciò che si può  e ciò che si farà somiglianza non ci sarà.

Capisco la differenza  fra il dire e il fare, fra sogno e realtà, tra volere e potere.

Capisco lo scarto, il lacerante dissidio fra desiderio  e soddisfazione.

Sento il sentire umano, quante belle persone ancora sulla mia strada! On the road!

Bisogna andare e per fortuna non sappiamo dove.

Ho perso il cellulare, tutti i contatti, tutti i messaggi ed un intero luogo è andato via: Il luogo della relazione.

Perdo e riperdo ma poi magicamente ritrovo altro. Il mio nuovo cellulare è più bello, più simpatico, un topo mi saluta, dimenando la coda, mi sorride.
Il topo che non son più io perché il gatto è andato via.

Non siamo più quel che eravamo, abbiamo donato  per essere più leggeri, più noi stessi. 
Senza lacci.

Abbiamo donato per ritrovare intatta la nostra unicità.
Ippolita Luzzo 

lunedì 20 ottobre 2014

Al Tropea Festival Leggere&scrivere



Il regno della Litewb al Tropea  Festival Leggere&scrivere

Se da un immaginario bisogna partire allora che sia quello delle nostre letture, dei nostri dischi, dei nostri film. Remo Bodei
Se dobbiamo vivere di finzioni, tutto è finzione, Finzioni di Borges, allora che sia una finzione improbabile a tal punto da farla diventare realtà.
Se dobbiamo fuggire via, allontanarci da un luogo infelice, cattivo e malato, non possiamo riprodurre lo stesso mondo nel mondo della fantasia e dello slargo abitato da nessuno al mio fianco. Nadine Gordimer
Il nostro regno allora sarà immune da gelosia, da invidie, ripicche, sarà immune da arrivismo e sgambetti, da piccinerie e pettegolezzi, da vanità, tutto è vanità. Quolet
Un regno inesistente nato per contrastare il monopolio del prepotente nei siti letterari, come in qualsiasi luogo reale o virtuale.
Un blog oppure un sito, un qualsiasi strumento che possa dare la possibilità a chi riesca con studio e preparazione, disciplina e serietà, di essere quel che nel suo immaginario ha sempre sognato.
Un piccolissimo gioco di distorsione su un reale a sua volta distortico, su un virtuale che può essere una opportunità oppure  una enorme bolla da Truman Show che ti ingloba e ti soffoca nel conformismo bieco del sensazionalismo
Il luogo della rete non è la libertà nello stesso modo in cui non lo è la realtà,  l’illusione di essere si stampa su tasti neri di un computer creando vere patologie, malessere, alimentando  ego,  insofferenze. Un luogo uguale alla strada che facciamo, agli uffici che frequentiamo, agli ospedali dove siamo ricoverati.
Però può essere una relazione, può creare relazione, ed è su questo gioco che è nato  un regno di relazione, il regno della Litweb
Un regno senza niente e che non vuole nulla, niente, avendo lasciato tutto, avendo capito quanto è utile l’inutile . Nuccio Ordine. Senza rincorrere palchi e palcoscenico, senza voler giornali da colonizzare, senza click da inseguire… 
e davanti alla legge sovrana del conformismo dei vari gruppi, nel regno sconfessiamo Herta Muller "Se stiamo in silenzio mettiamo in imbarazzo, se parliamo diventiamo ridicoli" 
Mentre i Rokes mi cantano “ Bisogna saper perdere”
Io continuo a perdere, felice di saper perdere nel regno incredibile e inesistente del regno della Litweb, da regina quale sono e  non sono, (credereste voi se vi dicessi che sono Napoleone?) libera di non voler niente, la libertà dell’indipendenza. La vera caratteristica della libertà é  l'indipendenza, mantenuta con la forza. Voltaire