martedì 11 settembre 2012

La favola della gabbietta- settima puntata-continua


Durante il viaggio, per mari, per valli, per terre lontane, attraversarono i cittadini, a loro volta,  altre città, anch’esse deserte, anch’esse in silenzio, senza bambini correr per strada, senza un adulto con un giornale.
Durante il viaggio però i cittadini sui mezzi, sui treni, sui mille tranvai, incontrarono tanti altri con un mantello, con in mano un involto strano, con un far circospetto, come se  nascondessero un segreto vitale, un tesoro, una gabbietta.
Durante il viaggio i cittadini cominciarono ad accorgersi che, chi stava con loro in quell’andare, erano uomini, donne, vecchi e bambini, tutti con quell’involto strano, tutti con uno sguardo perso come  lo sguardo delle  persone che passeggiano  nei  vari  centri commerciali.
Furono costretti, loro malgrado, a coabitare su aerei, su bus, su frecce del sud, che veramente di freccia aveva soltanto il nome.
Furono costretti a consultare carte, a guardare dove mai fosse localizzato quel mondo  incantato con cui si connetteva il loro esserino da sera a mattina e da mattina a sera
Furono costretti a parlarsi, a dirsi qualcosa, malgrado il sudore, la puzza, i capelli in disordine
Furono costretti a guardarsi col doppio mento, con la pancetta, con una macchia sul pantalone.
Furono costretti a sorbirsi le lagne di bimbi irrequieti, col naso impastato, con le lagne, le bizze di affamati di un sandiwch, di un solo biscotto.
Basta così – avete capito- si accorsero che tutti cercavano lo stesso luogo, che tutti avevano in mano un oggetto, un solo oggetto inanimato, unico e solo, uguale per tutti , e che non c’era nessuna magia
E che non c’era nessun incanto se non quello creato da loro stessi con il loro potere immaginativo
E che l’esserino sapeva fare solo una cosa, una soltanto, pigiare e pigiare sui tasti neri nella gabbietta
dell'immaginario

La favola della gabbietta - sesta puntata



Gli anni passarono, molti anni  passarono.
Il tempo inesorabile cambiava i connotati, usurava le cose, rovinava le strade
Divenne pericoloso mettersi in viaggio su sentieri oramai impraticabili
Tanto a cosa serviva viaggiare e spostarsi se bastava soltanto raggiungere casa e andare a guardare felici e irretiti il nostro piccolo che intanto pigiava?
E mentre gli adulti facevano così, i ragazzi e i bambini sul computer vero, sul loro cell, scambiavano mess sgrammaticati a mille amici che non conoscevano, messaggi in bottiglia come una volta, messaggi di un tempo ormai dilatato senza più attesa, senza sorpresa.
Insoddisfatti ed un po’ ingrugniti, alcuni bimbi facevano oh, facevano pio pio come You tube aveva insegnato  loro proprio quel dì.
E fu bellissimo per grandi e piccini restare a girare su quella giostra, la giostra nuova dei nuovi rapporti, invisibili, insensibili, immaginari, con i quali andare a spasso, al cinema, in parrocchia  e ai quali poter chiedere aiuto certi, certissimi di avere risposta.
Scoprirono infatti i cittadini che se il piccolino cercava aiuto perché era solo, perché era triste, perché aveva un malessere strano, tutto lo schermo altruista, sollecito rispondeva in coro:- Ma noi siamo qui. Siamo vicini a te. Siamo dentro di te. Siamo solo per te. Preghiamo per te. Non ti scordiamo.
Meglio di una Crocerossa, meglio di una mamma, del pronto soccorso, della mia amica più cara.
Ma nessuno arrivava dallo schermo bianco, certo i ragazzi sostenevano che era tutto più facile, era tutto lì, sicuramente lo era, però poi bisognava spostarsi ed andare a vedere se c’era davvero quello che veniva offerto di là.
Perché è vero al nick bastava pigiare e pigiare per essere a posto, era il suo gioco, ma agli esseri umani dopo un bel po’ che stanno a guardare poi viene sempre la curiosità di andare a vedere se ci sia mai  quel mondo dell’offerte e dell’amore senza problemi.
Si misero così tutti in viaggio, portando con loro la gabbietta, portandola sotto un mantello, come i pellegrini di un tempo che fu  
Portandola cara e guardando ogni tanto le coordinate del loro incanto per giungere infine in quel paradiso  che loro avevano visto lassù su uno schermo bianco dove il loro esserino pigiava e pigiava sui tasti neri

sabato 8 settembre 2012

Un fumo denso e nero


Il fumo denso e nero degli zingari di Lamezia Terme  è bellissimo
Sale nel cielo e si espande meraviglioso con un  delizioso profumo
Chanel  N 5  e noi la notte andiamo a dormire in quella nuvola di talco
Come la Monroe, ringraziando ogni  notte gli zingari felici
E’ bellissimo averli con noi, siamo orgogliosi di essere vicini di casa
Di respirare insieme a loro quel fumo denso e nero di pneumatici
Di copertoni, di gomme da bruciare, per fare pulizia.
Grazie al cielo che esistono gli zingari che lavorano senza  un sabato
Senza una domenica a raccogliere, chissà dove , montagne di  copertoni
E poi sistemarli in una pira e dare fuoco  come se ci fosse Didone
A gridare ancora lassù ad Enea la sua vigliaccheria
Ma noi, qui, noi, noi, con tumori bellissimi, alle ossa, alla gola, al pancreas,
noi moriamo, felici però, perché non siamo nella media nazionale.
La nostra media  è fatta dal respiro di un fumo denso e nero
che si sparge per la città, da un meraviglioso fumo che nessuno spegnerà.
Che siamo per caso razzisti a non capire la beltà di questa grande civiltà?
Di un popolo migrante, di un popolo di nomadi che sono quaranta anni
Che stanno fermi qua, migranti  sì,  per migrare migrano
Ma solo di qua e di là
Evviva  il fumo denso e nero che s’innalza sopra il cielo della nostra città
Con orgoglio lo diciamo, noi siamo ospitali, noi siamo civili, noi siamo
Un popolo di fessi che ci ammaliamo e come le mosche cadiamo giù con una spruzzata di DDT
Ma non era proibito, ma non era fuorilegge? Per gli zingari nulla è proibito. Sei forse razzista?
Essere contro un fumo che appesta la città vuol dire essere intollerante di una libertà
vuol dire essere contro una etnia di tradizioni millenarie? Mah!
Ma ho visto zingari felici ...  
e sono tanti,  felici di vivere in città...
ed allora fanno solo un gran falò per la felicità!


giovedì 6 settembre 2012

La favola della gabbietta- Quinta puntata



Ma che favola è?-direte voi- senza i buoni e senza cattivi, senza un nemico da andare a stanare, senza un drago da addormentare?-
Sono tutti buoni, sono tutti cattivi, sono soltanto dei cittadini, manca Pinocchio ma non le bugie, manca Peter Pan ma c’è capitan Uncino.
Manca la bella fanciulla rapita e tenuta prigioniera nella torre lassù. Rapunzel   con le sue trecce aspetta invano il cavaliere che salirà abbracciando i capelli prima di darle la libertà.
Qui non c’è nessun cavaliere
Qui non c’è nessuna torre
Qui c’è soltanto una gabbietta, una minuzia, una cosa innocua  che invece imprigiona e porta via, peggio di una strega cattiva, peggio di un sortilegio , un incubo strano che ingabbia e ti porta lontano.
Sembra di essere dietro il pifferaio che tutti i topi fece annegare … mi sembra che fossero però solo i bambini ad annegare.
E dopo i bambini seguirono gli adulti
E senza i bambini, una città diventa una scatola, una gabbietta.
Moltissimi adulti continuarono ad andare al lavoro, ma anche lì, scoprirono presto che potevano restare connessi e non interrompere il mondo fatato fatto di incontri, di concerti, di musiche, di maccheroni
Un mondo di video gustosi, di immagini erostiche, cotte a puntino, salate e pepate…
Che cosa importava sbrigare una pratica, guardare un referto, controllare un registro?
Che cosa importava se un ospedale andava in frantumi, se si era rotto l'ecografo, se il personale era ridotto?
Che cosa importava se la città tornava ad essere sporca  e puzzava di buste, di rifiuti, di fumi neri, di gomme bruciate?
Quel che importava
  invece urgentemente era  andare a vedere che cosa faceva
  quell’esserino che intanto da solo pigiava e pigiava sui tasti neri


lunedì 3 settembre 2012

La favola della gabbietta- Quarta puntata



Interrogato, il nickname non rispose.
Era intento sui tasti, era troppo impegnato.
Nessuna risposta alleviò l’ansia, il tormento di cuori affranti, di amori spezzati.
Nessuna risposta ci fu in quel vuoto di attese, speranze, frustranti bip.
Qualcuno si ricordò di favole antiche, di mostri cattivi coperti di lana, di lupi vestiti di agnelli, di streghe che offrivano mele odorose, del gatto e la volpe che rubavano monete, di invidiosi calunniatori, di perfide sorellastre e di matrigne odiose … qualcuno si accorse che bastava toccare con un bastoncino il piccolino nella gabbietta  ed avrebbe avuto i contorcimenti e gli stessi spasmi della vita di fuori.
Dalle favole alla realtà
Tutto ruotava eppur stava fermo, non c’erano storie, non c’erano mai state, non c’era neppure il castello incantato, non c’era nessuno, nemmeno un  soldato
Eppure tutto quel fermento, quel correre intorno, quel grande da fare aveva distrutto famiglie e legami, aveva portato un freddo nel cuore, più freddo di quello che c’era stato fino ad allora
Qualcuno provò a dirlo in giro, qualcuno provò a chiudere in cantina, in soffitta ,quella gabbietta tanto carina
Qualcuno provò poi ad usare un tablet, un pc in modo normale, dicendo nome cognome ed età allo sconosciuto che trovava di là
 Parlando parlando con amici e parenti, con figli lontani, con soci e clienti.
Avevano perso la fiaba e la fantasia  però …
Riuscirono a vincere quella malia.
Molti non tutti e le strade di quella città, di tante città, di troppe città continuarono ancora per giorni ad essere sempre troppo deserte.

domenica 2 settembre 2012

La favola della gabbietta-terza puntata



Il cittadino, ma tutti con lui, ormai cominciarono a non vivere più, ma no, ma che dico? A vivere una vita straordinaria.
Nell’altrove!
Ridevano sempre, parlavano da soli, guardavano il sedile della loro automobile e prendevano per mano l’immaginario incontrato laggiù, nella stanza fatata dove il loro nick pigiava e pigiava.
Chissà chi aveva incontrato stamane! Chissà che cosa era successo su quello schermo tanto intrigante, tanto volubile, tanto cangiante.
Parlavano intanto i cittadini nella loro mente, per giorni e giorni, con l’altro da loro, uguale preciso, identico e solo, una vera affinità, due anime gemelle.
Magari non erano sempre le stesse, tutto mutava al sorger del sole, tutto veloce tornava a rinascere al tramontar del sole.
Ma, mentre in quella stanza il piccolo si dava tanto da fare, la realtà  si polverizzava, uomini adulti lasciavano le mogli e donne incazzate cercavano altrove, nel gioco degli incontri e degli scontri, del togli uno e metti un po’ quello, restando alla fine scornate e deluse dell’ennesimo giro in una giostra infernale.
Tutti oramai non vivevano più o vivevano troppo, prendendo per vero quello che faceva quell’esserino che  stava con loro.
Urgeva trovare di corsa un rimedio.
Chi aveva per primo inventato il gioco non aveva pensato alle conseguenze, voleva distrarre, voleva ingannare, ma leggermente per un solo momento, voleva soltanto vendere un sogno, un tanto al tempo, con la durata, convinto che poi chiunque avrebbe potuto svegliarsi di colpo e senza pretese.
Ma i sogni sono pericolosi, sono più disturbanti di una realtà, i sogni ti portano sempre per mano e non ti lasciano andare di là
I sogni ci nutrono e ci danno lo slancio per dismettere un vivere  che non piace più
Così in quella città una grande malia invase le case, un girovagare per un aldilà che  portava tutti di qua e di là
Il rimedio, il rimedio, ma quale?
Dove trovare una risposta ad una domanda così impellente, così urgente?
Decisero dunque di rivolgersi tutti a quell’esserino che intanto pigiava




sabato 1 settembre 2012

La favola della gabbietta- seconda puntata

Il cittadino, che era all'inizio consapevole di essere solo nella sua stanza e di guardare quell’esserino, comincio però ad essere molto curioso.
Molto curioso di quel mondo fatato con cui il suo piccolino si divertiva.
Sembrava veramente un altro mondo, un altrove dove donne  giovani, profumate e nude, si offrivano solo per puro piacere senza nemmeno chiedere il nome
Dove uomini giovani, dolci e romantici offrivano carezze, baci e quant’altro a donne sole o malmaritate,o maritate ma non eccitate.
Un mondo fatato dove ognuno poteva essere quello che aveva sempre sognato, uno scrittore, un seduttore, una odalisca, una troia perfetta.
Un mondo incantato senza problemi e senza nemmeno aprire portafogli, bastava soltanto stare a guardare il nickname pigiare e sognare con lui.
Il mondo di fuori pian piano sparì, sembrava noioso, sembrava scialbo, senza nemmeno un’offerta,  se non di un caffè.
Il mondo di fuori era sempre lo stesso, il traffico intenso, la banca, la posta, il cane da portare a passeggio, la gatta incinta, il pappagallino, la suocera da invitare quel dì
Le ricevute e la spazzatura, le figlie in crisi adolescenziale, il figlio ancora disoccupato, la moglie o il marito  sullo stesso divano
Nemmeno un fremito, nemmeno un attesa, nessuna emozione, nessun batticuore.
Era proprio una noia, una noia perfetta, anche se urlavi con il vicino, anche se poi suonavi agli incroci, anche se litigavi con la fidanzata, con l’amante, con il tuo postino.
Cominciarono così a correre in tondo, dapprima impercettibilmente poi sempre più visibilmente, cominciarono a voler tornare a casa, sempre più in fretta, sempre di corsa per guardare  con grande affetto quel piccolino che pigiava e pigiava