Durante il viaggio, per mari, per valli, per terre lontane,
attraversarono i cittadini, a loro volta,
altre città, anch’esse deserte, anch’esse in silenzio, senza bambini
correr per strada, senza un adulto con un giornale.
Durante il viaggio però i cittadini sui mezzi, sui treni,
sui mille tranvai, incontrarono tanti altri con un mantello, con in mano un involto
strano, con un far circospetto, come se
nascondessero un segreto vitale, un tesoro, una gabbietta.
Durante il viaggio i cittadini cominciarono ad accorgersi
che, chi stava con loro in quell’andare, erano uomini, donne, vecchi e bambini,
tutti con quell’involto strano, tutti con uno sguardo perso come lo sguardo delle persone che passeggiano nei vari centri commerciali.
Furono costretti, loro malgrado, a coabitare su aerei, su
bus, su frecce del sud, che veramente di freccia aveva soltanto il nome.
Furono costretti a consultare carte, a guardare dove mai
fosse localizzato quel mondo incantato
con cui si connetteva il loro esserino da sera a mattina e da mattina a sera
Furono costretti a parlarsi, a dirsi qualcosa, malgrado il
sudore, la puzza, i capelli in disordine
Furono costretti a guardarsi col doppio mento, con la
pancetta, con una macchia sul pantalone.
Furono costretti a sorbirsi le lagne di bimbi irrequieti,
col naso impastato, con le lagne, le bizze di affamati di un sandiwch, di un
solo biscotto.
Basta così – avete capito- si accorsero che tutti cercavano
lo stesso luogo, che tutti avevano in mano un oggetto, un solo oggetto
inanimato, unico e solo, uguale per tutti , e che non c’era nessuna magia
E che non c’era nessun incanto se non quello creato da loro
stessi con il loro potere immaginativo
E che l’esserino sapeva fare solo una cosa, una soltanto,
pigiare e pigiare sui tasti neri nella gabbietta
dell'immaginario