Per innamorarmi ancora della mia innocenza: “Danze di guerra“.
Attratta dal titolo e dalla copertina, una vera opera d’arte che mi ricorda i vestiti a strisce, le varie figure, negli anni Sessanta, l’Op-Art, le linee a formare dei disegni optical, per uno stile stripes-chess-dot, questi i riferimenti fino agli anni Novanta da Jean Paul Gaultier, a Kurt Cobain, l’aspetto ribelle del millerighe nel grunge.
Mi piace molto leggere Sherman Alexie, mi piace quando cercando notizie sulla sua origine indiana, della tribù Spokane, e sui suoi studi all’università Gonzaga di Spokane e sui numerosi romanzi e la carriera universitaria, trovo che dica un concetto a me sempre familiare. Lo ripeto spesso e nella gioia di trovarlo corrisposto lo riscrivo detto da Sherman: “I suoi non sono romanzi di formazione, poiché un antico detto indiano, molto simile al medesimo ricorrente in quasi tutte le culture e le etnie dice: chi nasce in un modo, non muore nell’altro.”
Danze di guerra, I sintomi. Cosa ci induce a scrivere sui sintomi che ci disturbano non lo so, ma trovo divertente leggere i bozzetti che ne fa Sherman “Quando mi svegliai alle tre del mattino, ero completamente sordo dell’orecchio otturato e sicuro che un maledetto sciame di locuste ci si fosse incastrato dentro, lasciai un messaggio in segreteria al mio dottore, dicendogli che mi avrebbe trovato ad aspettarlo davanti all’ambulatorio. Quella sarebbe stata la mia prima volta in un ospedale dopo l’ultima operazione di mio padre.”
Ed eccolo a ricordare suo padre, quando questi deve subire amputazione al piede, ed ora, nell’attesa, incontrare un altro nativo forse asiatico, “ce ne sono parecchi a Seattle” e scoprire che è un indiano della tribù dei Lummi. C’è questa riflessione che faccio mia su tutto ciò che ci manca, ormai scacciati dalle strade, dalle tribù, da un mondo che non c’è più, da una guerra feroce che ha cancellato tutto “Il mondo indiano è affollato di ciarlatani, uomini e donne che fingono di essere sacri. L’anno scorso sono andato ad una conferenza alla Washington University. Una indiana di una certa età, una Sioux, scrittrice, studiosa e ciarlatana, era venuta a parlare dell’indipendenza e della letteratura degli indiani. Insisteva sul fatto che esistesse un qualche tipo di identità letteraria indigena, il che era paradossale visto che stava parlando in inglese a una stanza zeppa di professori bianchi. Ma non ero arrabbiato con quella donna , e neppure annoiato. No, ero dispiaciuto per lei. Ho capito che stava morendo di nostalgia. La nostalgia era diventata il suo falso mito-la sua coperta sottile- e la stava uccidendo.”
Danze di guerra racconta a pezzi, in versi, e in prosa, frammenti di vita, racconta la guerra in cui ci si chiede quante volte possiamo perdonare chi ci ha fatto a pezzi, in cui ci si chiede se esiste un punto oltre il quale il perdono è semplicemente l’atto di un codardo, in cui ci si chiede se un bugiardo abbia mai detto la verità.
Nel momento in cui narra egli stesso fa dire al protagonista di “Agghiacciante simmetria”: sono un genio bugiardo e mentire è una forma di narrazione. Nel momento in cui le parole si trasformano in cenere e carbone, nel momento in cui aveva appiccato un fuoco di fuga, si era convinto di essere capace a scrivere un’altra storia. Per innamorarmi ancora della mia innocenza.
Sherman Alexie, “Danze di guerra” (trad. Laura Gazzarrini), pp. 204, 18 €, NNE, 2018.
Direttamente da http://www.cabaretbisanzio.tk/2018/02/07/danze-di-guerra-sherman-alexie/
Ippolita Luzzo
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