sabato 28 luglio 2018

Maurizio Pansini Oscura ragione

Sensibilità artistica è profezia
Un racconto di Maurizio Pansini su Satisfiction affronta il tema dello straniero, della paura di ciò che non si conosce, della profezia.
Come viene accolto chi arriva in un luogo di piccola comunità, la curiosità e poi una volta saziata la curiosità la colpa dello straniero di non essersi integrato, di non aver preso usi e costumi e del luogo.
Essendo vissuta da straniera nel luogo dove abito da sempre non mi sorprendono le cattiverie e le scortesie che il luogo natio riserva anche agli indigeni che non fanno vita di scambi, di riti, di funerali e battesimi, di matrimoni e tavolate. 
Riti che fanno comunità, comunità implacabili contro chi escludono, sia lo straniero del luogo oppure arrivi da fuori. L'esclusione di chi non si uniforma genera sospetto e maldicenza, genera furia quando non si può con altro modo eliminare quella apprensione che nasce dal sentirsi osservati.

giovedì 19 luglio 2018

A. Igoni Barrett L'amore è potere, o almeno gli somiglia molto

A. Igoni Barret è nato in Nigeria nel 1979. Dalla Nigeria ci giungono i suoi racconti. Leggerli è più istruttivo di un testo di storia, racconti bellissimi nello svelamento della realtà.
Un racconto può essere tante cose, sta scritto sulla prima pagina di questa raccolta di nove storie e leggo e rileggo alcuni di questi imparando a conoscere la Nigeria da qui, dai racconti. Molti lavorano alle Ong, in Nigeria. Una Nigeria di strade polverose e non finite. "Sei, sette, otto uomini armati di fucili automatici irruppero in casa" Godspeed e Perpetua, fra colpi di stato e vita di coppia, nel tentativo di una normalità impossibile. Gli eventi della storia trascinano esistenze individuali contro la volontà dei singoli. La violenza si subisce essendo impotenti al dominio delle forze brute.
E come si è impotenti davanti a decisioni imposte dall'alto allo stesso modo si è impotenti nei rapporti interpersonali. Ciò sembra dirci Igoni in Trophy dove un professore seduce una sua allieva, poi cerca di scaricarla offrendola quasi ad un conoscente e mentre la ragazza chiede inutilmente ascolto, siamo testimoni dell'uso che si fa del potere su un altro. Ridurne a zero la sua volontà.  
Dosando l'amaro con il dolce troviamo un delizioso racconto di amore affettuoso in La ragazzina con i seni in boccio e la risata di gomma da masticare, "La amava da quando aveva nove anni e i seni come due mandarini.lei era ancora nella fase irruente-correva per casa con un paio di mutandine,strillava e rideva. Lui era suo cugino, un fratello maggiore, aveva quindici anni più di lei". Ci riconciliamo con la dolcezza di questa storia, e scordiamo per un attimo l'arteria modello della Nigeria, un chilometro e tre di lunghezza, cominciata nel 1970 ed ora un fiume grigio cenere disseminato di buche, rovinata dalle crepe, con i canaletti di scolo ostruiti dal limo, dai rifiuti. L'aria satura di gas, il fracasso di un popolo famoso per la sua lingua lunga.
NelLa forma di un cerchio perfetto, la storia di Dimiè, quattordici anni. C'è la fame e l'arte di arrangiarsi, la storia di Dimiè che ha una madre da accudire, c'è il caparbio sciupio della malattia, della dipendenza dall'alcool e la lotta di Dimiè per non essere sopraffatto. Violenza, violenza, violenza, nell'Amore è potere, o almeno gli somiglia molto. Violenza di scambio. 
Nairobi, Lagos-Nairobi, con scalo ad Addis Abeba. Nel Racconto Una storia di tira e molla a Nairobi Igoni Barrett ci dice "Il motore di Nairobi gira grazie alle colture da reddito, il combustibile è il turismo, ma al volante ci sono i soldi delle Ong. Ovunque vai in città trovi loro, quelli delle Ong, camuffati con cappelli di paglia, scarponi da safari e il colore della pelle dei turisti, il bianco.Tutto è loro, supermercati, hotel di lusso, li trovi dovunque le Ong."
Ong belga, britannica... pagano bei soldi. sono i padroni.
Il colonialismo si chiama Ong nel 2018.
Una copertina dalle bolle beige, tortora, marrone, la traduzione dall'inglese di Michele Martino, la casa editrice 66thand2nd, confermano la qualità e la competenza nelle scelte stilistiche e di contenuti.
Una estate con i racconti di Igoni Barrett in Litweb, racconti da struggimento e volontà di tornare ancora.  
Racconti per fare conoscere, racconti per far riflettere, racconti dalla Nigeria per una estate dai colori polverosi. 
Ippolita Luzzo 


A. Igoni Barrett è nato a Port Harcourt, in Nigeria, nel 1979. Fellow, tra gli altri, del Chinua Achebe Center e del Norman Mailer Center. Nel 2005 ha esordito con la raccolta di racconti From Caves of Rotten Teeth, tra cui figura The Phoenix, premiato quello stesso anno dalla Bbc. La seconda, Love Is Power, or Something Like That, uscita nel 2013, pubblicata da 66thand2nd nel 2018. Culo nero, il suo primo romanzo, ha imposto Barrett sulla scena della letteratura nigeriana di oggi insieme a Teju Cole, Chimamanda Ngozi Adichie e Helon Habila.

mercoledì 18 luglio 2018

Vito Di Battista L'ultima diva dice addio

L'ultima diva, nel romanzo di Vito, è la memoria. Ciò che noi facciamo con la memoria, cosa raccontiamo e come quando vogliamo essere ricordati, cosa vogliamo ricordare e tutte le trasformazioni con cui rielaboriamo i fatti. La memoria ultima dea.
In Foscolo era la spes, la speranza, ultima dea, qui, nel libro di Vito è la memoria.
Una memoria circolare che ritorna spesso su alcuni dettagli. Sono infatti i dettagli a dare le epifanie, le rivelazioni.
Un affresco a pennellate ripetute, questo il libro di Vito, originale e inusuale, una spennellata sulla memoria dimenticata attraverso un pretesto immaginifico e cinematografico, la biografia di una diva del cinema ormai ritiratasi a vita privata.
"Una volta ho chiesto a Molly Buck quale fosse il criterio di selezione più adatto quando si deve ricostruire una storia. "Non ha senso raccontare quegli anni" mi rispose, riferendosi agli inizi "perché sono uguali a quelli di tutti. Ferma una qualunque persona per strada e ti dirà le cose che potrei dirti io, solo vaneggiando vagamente sui dettagli, ma la solfa rimane sempre la stessa" Dettagli, cantava Ornella Vanoni, nel 1973 con un testo di Bruno Lauzi e musiche di Roberto Carlos
"È inutile tentare di dimenticare per molto tempo ancora nella vita dovrai cercare dettagli così piccoli che tu non sei ancora pronto per capire ma che comunque contano per dire chi siamo noi" e Flaiano scriveva che nella vita sono due o tre i giorni importanti a costruire una vita, gli altri servono a far volume.
Dettagli.
Mentre il biografo raccoglie i dettagli della vita di Molly si accorge di stare a raccogliere i suoi dettagli e dare un nome alle cose fino ad allora successe. Gli anni di Annie Arnaux, il lungo elenco, gli anni, il 1974, 75, 76, 77. Scrivo pensando a quegli anni. Ricordando di quegli anni gli errori e gli orrori, non salvando quasi nulla se non la musica, una musica interiore di curiosità, di studio e di letture. Eppure nel fascinoso gioco del tempo, nella fretta e nell'ansia di perdere gli anni, Molly rivela grandi momenti di saggezza:"La verità è che tutta quella fretta non è altro che paura. Paura di perdere quel treno che passa una sola volta, paura di arrivare a trent'anni e di non piacersi quando ci si guarda allo specchio" 
Scrivo sentendo Lucio Dalla del 1988 e mi rendo conto di fare altra lista di canzoni da aggiungere a questo rapinoso racconto sulla memoria. D'altronde la memoria è una rapina, un furto che noi facciamo al tempo sottraendo all'oblio alcuni dettagli
"ah felicità su quale treno della notte viaggerai lo so che passerai ma come sempre in fretta non ti fermi mai"
La meraviglia che Vito ci regala, con questo romanzo, aleggerà stupefatta sui giorni che scorrono, raccogliendo per noi le foglie, il foglio che vorremo conservare per dire chi siamo. La vita è un giorno, ho spesso scritto e quel giorno non si dimentica. Possiamo dimenticare tutto ciò che avevamo deciso di ricordare a perfezione ma il punto di fuga dal tempo che fugge dobbiamo conservarlo. Questo sembra a me la bellezza e la grande lezione del racconto di Vito, che fa una lezione senza voler farla, non è questo il suo intento.  Cos'è che rimane a raccontare? Si chiede. Dovrei trascrivervi interamente pagina 195 e 196 del libro  per dirvi l'importanza delle riflessioni lette, l'ingiustizia senza riscatto, la disumanità estrema della poca attenzione a cui molti guardano ai dettagli, e il cercare nell'affetto un rifugio da questa ingiustizia. Anche l'affetto ha mille sfumature e stamani anche io, avvinta da affetto verso l'autore, Vito di Battista, verso Giuseppe Girimonti che ringrazio per la grande amicizia e stima con cui mi propone da leggere libri come tesori da scoprire, anche io scrivo per sfuggire alla disumanità estrema della poca attenzione.
L'ultima diva dice addio ma non per ora, ora l'ultima diva ci accompagna verso altro, salutando noi amici di lettura, verso i tanti altri racconti che Vito ci regalerà, facendoci entrare nella Firenze che luccica, in piazza della Repubblica con quell'arco che si finge un po' Parigi e le insegne delle Giubbe Rosse su di un lato. 
Con il regno della Litweb accanto
Ippolita Luzzo 

Vito di Battista è nato nel 1986 in un paese d’Abruzzo a trecento gradini sul mare. Ha vissuto a Firenze, dove si è laureato in Italianistica scegliendo una tesi su Romain Gary, Tarjei Vesaas e J.M. Barrie. Si è poi trasferito a Bologna, dove la stessa sorte è toccata a Ted Hughes, Sylvia Plath e Hart Crane.
Collabora con la rivista letteraria «Nuovi Argomenti» e ha pubblicato il romanzo L’ultima diva dice addio per SEM – Società Editrice Milanese.
Dal 2016 lavora come editor e agente dei diritti esteri presso l’agenzia letteraria Otago e organizza il festival letterario Garp Under 30.
Ha maturato esperienza nella progettazione di una nuova startup in ambito creativo-culturale partecipando al percorso personalizzato Fare Impresa.
Lo mandano in crisi le riduzioni ai minimi termini, soprattutto quando hanno a che fare con le biografie

lunedì 16 luglio 2018

Piergiorgio Bellocchio e i suoi amici di Giuseppe Muraca

L'atto d'amore verso i Quaderni Piacentini, verso quegli anni di grande vivacità intellettuale. 
Giuseppe Muraca incontra nei primi anni settanta, come me, come quelli di una generazione entusiasta, le poesie di Franco Fortini, i Quaderni Piacentini dove scriveva Fortini, e decide, alla chiusura della rivista, di scrivere una monografia sui Quaderni.
Incontra Piergiorgio Bellocchio, editore-amministratore della rivista e da lui avrà i numeri mancanti. Vi sono in questo libro una raccolta di articoli di Giuseppe Muraca su quegli anni, su quella rivista, su cosa è avvenuto dopo. 
Nel 1962 nascono i Quaderni Piacentini e nel 1966 si aggiunse a Goffredo Fofi. Grazia Cherchi c'era già.
Per quasi un ventennio Bellocchio si è dedicato alla preparazione e  diffusione della rivista, portando in Italia la conoscenza dei pensatori francofortesi, Adorno, Benjamin, Marcuse, e poi via via Brecht, Fanon, Don Milani. 
Quegli anni sessanta, dal movimento studentesco alla sua parabola, saranno seguiti sulla rivista con attenzione.
Nel 1985 Piergiorgio Bellocchio darà vita ad una nuova rivista, Diario, un lavoro appartato. 
Man mano che il tempo sgretolava certezze e volontà Bellocchio è diventato un "invisibile", per scelta, per dissenso al pensiero dominante.
Qui ho con me "Scompartimento per lettori taciturni" di Grazia Cherchi con la prefazione di Bellocchio del 1997.
Nel 2007 Bellocchio pubblica Al di sotto della mischia, il silenzio come lotta. Dagli anni sessanta al duemila la sparizione di ogni idea diventa sempre più impietosa e nel libro Dalla parte del torto Bellocchio raccoglierà l'esperienza e gli articoli tenuti sul Diario. Il mondo è diventato un immenso parco divertimenti, gli unici valori che contano sono:"grinta, piaceri, efficienza, soldi, successo" Assuefazione sembra la parola per descrivere questi tempi sguaiati, così li chiamo io. Nell'ultimo libro di Bellocchio vi è uno scrittore disincantato, dolente e sconsolato.
Abbiamo incontrato Goffedro Fofi a Cropani un anno fa e in lui vi era rabbia, rabbia che ora sarà maggiore con la chiusura delLo Straniero, la rivista da lui creata.
 "È impossibile- dirà Grazia Cherchi in Fatiche d'amore perduto- non prendere atto che è sparito, si è perso tutto quello in cui credevamo, che amavamo. Non credo a un progetto che oggi ci possa unire. Un gruppo c'è soltanto se c'è una battaglia politica, anche in senso lato" 
Il libro di Giuseppe Muraca ci racconta un periodo lungo e breve. 
La storia, diceva Braudel, ha fenomeni di lunga durata la longue durée."Questi emergono alla vista storica nella misura in cui seguiamo il loro tempo, senza imporgli le categorie temporali delle nostre provvisorie immagini di mondo, nella misura un cui seguiamo il territorio e non le mappe. Da qui, la differenza tra rivoluzione ed emancipazione, breve e superficiale la prima, lenta e profonda la seconda, legata alla mappa che disegna il capitalismo la prima, legata alla mappa che disegna la gerarchia la seconda." 
Aver perso o meno non sarà il tempo umano, relativo agli anni di una esistenza, a poter dirlo.
Seguo il libro di Giuseppe Muraca come un amico in più, seguo questi anni dal luogo dove sto e dove mi giungono libri su libri, alcuni parlanti, come questo, altri sempre più conformi agli usi e costumi del tempo effimero in corso. Nel parlare e nel proporre etica e scelta vicini a questo libro mi piace ricordare Filippo La Porta Il Bene e Gli Altri, Alessandro Leogrande La Frontiera e guardare sempre verso la lunga frontiera della storia. 
Ippolita Luzzo  
    

giovedì 12 luglio 2018

Cetti Curfino Una lunga Lettera di Massimo Maugeri

Cetti Curfino è una donna di una bellezza ferale. 
In questo modo Andrea Coriano, il giornalista la descrive.
Cetti in questo modo appare a Massimo Maugeri, quel giorno in cui lui scriverà il racconto dal quale è stato tratto il monologo teatrale Ratpus. Forma errata per raptus, detto da Cetti per dire come mai abbia ucciso.
Nel 2014 il giorno 8 marzo, a Catania va in scena Ratpus un racconto  contenuto nella raccolta Viaggio all’alba del millennio (edita da Perdisa Pop). Ne abbiamo parlato anche l'anno scorso a Vibo.
 Una lunga lettera attraversa il monologo e una lunga lettera continua a fare Cetti Curfino a Massimo Maugeri spingendolo a scrivere ancora di lei, prepotentemente.
La lettera sarà il filo conduttore del romanzo, attraverserà tutti i momenti e dirà al mondo che non le rispose mai, alla maniera di Emily Dickinson, la sua verità. 
Un romanzo che ci farà entrare nelle carceri femminili, e qui non posso non ricordare Rocco Carbone che insegnava a Rebibbia nel carcere femminile, non posso non portare con me "Libera i miei nemici di Rocco" 
Come Cetti anche Rocco ha abitato casa mia, da anni, da quando ho saputo da Romana Petri quanto lui fosse bravo.
 Un nostro grande scrittore di cui questo anno ricorrono i dieci anni dalla scomparsa. 
Ci sono personaggi inventati o no che vivono e ci chiedono testimonianza come Cetti a Massimo.     

lunedì 9 luglio 2018

Tutte le cose

Tutte le cose      17 ottobre 2011 
Tutte le cose hanno un principio e una fine in questo misero mondo anche quelle che non iniziano…
muoiono, 
all'alba  grigia di un divenire.
La prima parte della frase era proverbiale a casa mia, sempre ripetuta, col commento scherzoso della reazione della cugina di mia mamma nel ricevere la lettera del fidanzato che, appunto con quella frase, chiudeva il legame, la lasciava.
Lei fece in mille pezzi la lettera e disse tante parolacce, così raccontano, poi seccata se ne andò ad insegnare a Merano dove sposò l’uomo più buono che noi avessimo conosciuto.
Un uomo che lei comandò aspramente, forse facendo scontare a lui il rifiuto del suo primo amore. Lui, dolcissimo, la adorava
Lei, malgrado le sue stranezze, le sue uscite spiazzanti, corrosive, era benvoluta da tutto il parentado, era così, "sprudente" -diceva la mia mamma.
Credo invece che questa mia zia sia stata una donna  pratica  e non  si sia fatta comandare da nessuno e che abbia attraversato fascismo e guerra con la freschezza della sincerità ed abbia anticipato movimenti  e ideologie con una semplicità disarmante.
Quasi tutte le altre donne, compresa la sorella, rimasero ingabbiate in rapporti  subiti, dolorosamente distruttivi, ed a nulla valse loro una laurea, un insegnamento o una abnegazione costante ma  rimasero stritolate da uomini incapaci, fannulloni e prepotenti e concludono ora una vita con l’amarezza di averla malamente sciupata.
Guardo mia mamma e la sorella di mia zia, guardo queste donne ottantenni, capaci, intelligenti, che hanno allevato figli, hanno insegnato eppure ingabbiate. 
A mamma non è stato concesso nemmeno di terminare l’ultimo anno di scuola superiore ed ha trascorso la sua vita sognando di insegnare.
Guardo queste donne che non vogliono parlare più, che vogliono solo dimenticare lo sciupio delle loro capacità e ne provo una pena infinita.
L’autunno porta sempre insieme alle foglie rosse degli alberi il crepuscolo,il freddo improvviso, il coprirsi e riflettere con li calore rubato alle piume d’oca.
L’autunno  perché
ed ora non c’è che
una pena infinita

Ippolita 

mercoledì 27 giugno 2018

L'efebo di Mozia

L’efebo di Mozia nel maggio 2011
29 maggio a Mozia. All'imbarcadero saliamo, il mare è piatto, una laguna, la laguna dello Stagnone. I pescatori sembra che ti diano un passaggio sulle loro chiatte, addirittura in tempi recenti un carretto trainato da un cavallo percorreva il tracciato della strada fenicia che collegava l’isola alla città di Marsala. Solo sei stadi la distanza fra l’isola e la costa. Qui i fenici tessevano le stoffe e le tingevano di rosso con la porpora, Mozia-filanda, l’isola era una filanda, qui i commerci erano lucrosi, arrivavano, compravano, ripartivano i mercanti, prima che le guerre e le rivalità portassero morte e distruzione.  Agli inizi del novecento l’intera isola fu acquistata da Joseph Whitaker, archeologo, erede di una famiglia inglese arricchitasi con la produzione e la vendita del  Marsala e dal 1971 l’isola è stata donata dalla figlia Delia alla fondazione che porta il nome del papà. Nella loro casa vi è ora il museo dell’isola ed in una stanza  abita lui, da solo. L’efebo, la statua ritrovata nel 1970 coperta da detriti nella zona kappa, giaceva in quel luogo probabilmente dal momento in cui l’intolleranza religiosa decapitò teste vere e simboli di altre religioni. Non so chi sia, se il dio punico Melquart oppure Nikomachos, uno splendido atleta, un auriga alla guida del suo cocchio direttamente Apollo, o soltanto un bellissimo ragazzo molto amato dallo scultore, chissà. L’emozione di aver ritrovato l’efebo, nel suo peplo plissettato, nel suo nuovo e integro corpo, ricomposto, malgrado la decapitazione, malgrado il seppellimento, malgrado l’incuria degli uomini, era fortissima. L’efebo ora era davanti a me, aveva attraversato i secoli, sempre bellissimo, elegante, divino, è diventato il simbolo dei giochi olimpici della città di Atene ,dei giochi invernali di Torino. Ha sorvolato cieli, continenti, mari, dopo aver trascorso millenni senza testa sotto una spessa coltre di terra in un tempio, forse dedicato a lui, ormai devastato dalla furia degli eventi umani, naturali. L’efebo era lì a rammentarmi che la bellezza resiste, non ha paura, che la bellezza classica conforta e concilia un’armonia vera fra uomo e uomo, uomo e natura, uomo e divino. La sua postura leggermente sensuale stordiva un po', il movimento del  suo braccio, ripiegato indietro, sulla spalla, come se reggesse un’elsa, increspava le pieghe del peplo, l’altra mano, poggiata sul fianco, spostava leggermente il suo baricentro. Sinuoso, ma fermo, ci aspettava, si offriva al nostro sguardo con l’atteggiamento distaccato di chi ne ha viste e non ne ha viste tante da ritenerle tutte importanti ma superflue. La storia fenicia, la porpora, gli elimi, popoli appena precedenti la classicità greca, regalavano serenità  e consolazione a viaggiatori presenti nel maggio 2011.
Ippolita Luzzo