mercoledì 14 aprile 2021

Fila dritto, gira in tondo Emmanuel Venet


 Dobbiamo avere il coraggio di considerare quello che chiamiamo il “nostro mondo” come un costrutto culturale, scrive Umberto Eco e viene riportato sulla prima pagina di Fila dritto, gira in tondo, il racconto di Emmanuel Venet per Prehistorica Editore.

Tradotto in modo gustoso, si sente proprio il piacere del gusto, la lingua che assapora le parole e si lecca le labbra, da Giuseppe Girimonti Greco e Lorenza Di Lella, questo libro vi piacerà moltissimo

 Alla scrittura chiediamo tanto, vorremmo che fosse un atto di giustizia, la testimonianza di una vita, un momento di verità e chiarezza. Chiediamo scrivendo quella linearità che non esiste nei rapporti con gli altri e neppure con noi stessi.

Fila dritto, gira in tondo è in fondo la parola di questa impossibilità a meno che non si stia completamente scollegati dal consesso umano. Fila dritto, gira in tondo è un libro interessantissimo, un libro che ricorda Freud e il suo dire che la scrittura è un atto da nevrotici, almeno questo tipo di scrittura che si interroga e vuole darsi una ragione del perché e del per come le cose stanno come stanno. 

Il protagonista è affetto da un disturbo psicologico ma quanti come lui si fissano di avere una interpretazione della realtà che per loro è la giusta e la vera? Quanti si sono sentiti abbandonati o delusi dai loro genitori, quanti non capiscono perché la zia non abbia lasciato lo zio, la mamma non abbia lasciato il padre e quanti non abbiano capito nemmeno perché non si sia riusciti a indirizzare in un modo invece che in un altro la vita? 

Come si costruisce una vita? mi sembra sia questa la domanda che, chiuso il libro, dopo la lettura che ameremo moltissimo, noi tutti ci faremo. Come saremo raccontati?

 Ai funerali io da bambina ho sempre riso, chissà perché, ed anche ora adulta, che non vado più ai funerali, mi ritrovo a ridere in modo stridente davanti a situazioni di una tristezza abissale. Sarà la risata del saggio o del diverso? sarà un sintomo di un disagio profondo che qui si chiama "stereotipia ideativo-comportamentale" uno dei sintomi più comuni della sindrome di Asperger, avere comportamenti ripetuti, che stridono con i comportamenti comuni della gente normale?

 Ma chi è normale? Nella famiglia descritta dal protagonista ben pochi lo sarebbero, non certo sarà normale la zia Solange che frequenta maniaci e mentecatti, non certo la cugina Marie, esempio di vera dissimulatrice, capace di parlare malissimo di qualcuno in sua assenza e mostrarsi cordialissima con lui quando è presente. 

Ho messo tante orecchiette alle pagine del libro, è diventato un libro di orecchiette, in ogni pagina mi sono ritrovata, mi sono ritrovata nella difficile arte di vivere con la parentela, con la famiglia più vicina, con un figlio, nella impossibilità di conoscerci e riconoscerci. Mia madre ha 97 anni, quasi come la centenaria nonna del protagonista e mi racconta la vita con pochi episodi, sempre quelli, tacendo per sempre sulle terribili prove che lei ha subito e che io credo di conoscere ma che non le domanderò 

Fila dritto, gira in tondo ci chiede di farlo questo giro in tondo al proprio tavolo degli affetti, finché è possibile, finché rimane quel desiderio insopprimibile di volersi bene malgrado i difetti, malgrado le nostre deficienze.

Io trovo questo libro delizioso, e abbraccio, ( ma vorrebbe essere abbracciato? non credo) il protagonista del racconto, convinto che il mondo delle relazioni e dei sentimenti debba avere una logica, un senso. Lo credo anch'io! ed è per questo che mi sono rifugiata nel Regno della Litweb dove mi giungono libri bellissimi dal "nostro mondo".

Ippolita Luzzo  

martedì 13 aprile 2021

Ezio Sinigaglia Fifty-Fifty

 


Pubblicato da TerraRossa Edizioni arriva in libreria dal 15 Aprile il libro di Ezio Sinigaglia, scrittore per lettori stravaganti, come siamo noi, sudditi del Regno della Litweb. 

Nel risvolto di copertina la casa editrice traccia una descrizione del lettore ideale per questo libro: "chi rinnega ogni pregiudizio, chi ha un'indole romantica o beffarda, chi non ha paura di ridere da solo mentre legge" dice anche altro di questo lettore ideale, nostalgico dei grandi affreschi narrativi del Novecento, ed in questa descrizione moltissimi di noi si ritroveranno. 

Ascoltare Ezio Sinigaglia nel raccontare le sue traversie per pubblicare e distribuire più di trent'anni fa Il Pantarei è già una goduria che vorremmo vedere romanzata, ora dal cassetto di Ezio spunta questo giocoso atto teatrale, questa commedia che riporterebbe alle commedie antiche, alla Mandragola, sul licenzioso divertito degli inganni, con spunti di Terenzio, con rimandi plautini. Tutto un ricordo di antichi giochi letterari, fifty-fifty, appunto. 

Già il significato del titolo ci dice su quale registro ci troviamo, non certo quello scolastico! Il soprannome che viene dato a Fifì, uomo amato dalla voce narrante,  significa  colui che per metà si concede e per metà si nega, ed è in questo gioco che vengono a svolgersi i fili delle azioni, i legami degli avvenimenti in una villa in Versilia, insieme ad altri personaggi "pittoreschi" 

I personaggi principali con i loro nomi e soprannomi vengono presentati nelle prime pagine del romanzo, a parte, proprio come se ci fosse un maggiordomo alla porta del palazzo, o del romanzo, ed elencasse a voce alta gli invitati alla festa. Una festa danzante. Gli invitati hanno ognuno un particolare, una loro unicità, una stranezza.

Anche i capitoli in cui è suddiviso il libro, il testo teatrale, hanno titoli di una piacevolezza irridente, ed io me li ripeto e ve li ripeto per giocare con voi: L'eresia monofifita, L'idea Conerotica e il secondo genio in casa Freud, Sonatina facile, Sciadè Sulapì, Verboten.

Sciadè Sulapì è il vero e proprio motivo musicale del romanzo. Lo suona al pianoforte la madre del narratore. Logicamente io non ho idea di chi sia ma mi accorgo che è la musica della vita. "C'erano ospiti, quella sera. Accadeva di rado. Mia madre era molto socievole, mio padre assai poco. Gli ospiti rappresentavano il prevalere, raro, sporadico, della volontà materna su quella paterna. Perciò, quando c'erano ospiti, c'era musica."

"Entrò, liquida più che mai. Una musica d'acqua. Lieve, scrosciante, terribile. Mi trascinò via con sé. Subito. Senza respiro" e qui non posso ricopiare tutte le pagine da pagina 164 a pagina 169 per farvi sentire la musica, perché il libro riesce in varie magie, oltre a divertire vi farà sentire il pianoforte suonare, vi farà sentire la musica della meravigliosa esecuzione milanese di Sciadè Sulapì. "Suonò meravigliosamente, quella notte. Per me, per Fifì, per Calimero. Trascinò via ogni cosa. Fino alla foce. Sono risciacqui che a volte si rendono necessari. Eliminano le scorie, dissolvono i miraggi. Morriamo tutti, è opportuno ricordarlo. Morriamo tutti, e ben più di tre volte: a poco a poco, diventa un'abitudine" 

Sciadè Sulapì suona per tutti noi, noi lettori del Regno della Litweb, suona per chi ancora sente suonare una musica nel romanzo in lettura.  

Ippolita Luzzo

domenica 11 aprile 2021

La Carne di Cristò

 Ospite eccezionale nel Regno della Litweb Francesco Calimeri che ci parla del romanzo di Cristò La Carne. Noi abbiamo già avuto modo di apprezzare il talento di Cristò Chiapparino nel La meravigliosa lampada di Paolo Lunare,  TerraRossa  edizioni, ed ora ritroviamo Cristò per la Neo Edizione. Un grande scrittore, parola di Litweb, dal Regno della Litweb. Vi lascio con la bella lettura di Francesco Calimeri.


La carne - Cristò

"La Carne" 

Questo lavoro di Cristò è stato pubblicato per la prima volta nel 2015; rileggendolo riedito nel 2021, in piena pandemia, non è per niente facile ignorare il fatto che il suo contenuto, che fa riferimento ad una malattia che sconvolge l'umanità, appare oggi sorprendentemente profetico. Tuttavia, "La Carne" va ben oltre; proviamo a seguirlo.

Il testo (romanzo?) è decisamente originale. Diverse sono le sue caratteristiche distintive, ma probabilmente quella più evidente è la difficoltà nel definirlo o inquadrarlo in un genere; e questo vale tanto per il lettore che lo assaggia per caso, quanto per quello che intende usarlo per preparare con cura un pasto.

Come anche ne "La meravigliosa lampada di Paolo Lunare", l'autore parte da una idea relativamente semplice; lascia poi che il testo si sviluppi attorno ad essa attraverso molti dei temi chiave della letteratura e dell'umanità. In questo lavoro, tuttavia, l'idea non è un oggetto, per quanto straordinario; si tratta invece di una cesura nel tempo, un momento a partire dal quale tutto cambia definitivamente. E, paradossalmente, il più grande cambiamento della storia consiste nell'entrare in un'era in cui niente più cambia: tutto resta sempre, immutabilmente, identico a com'era nel momento in cui l'incredibile cambiamento è avvenuto. 

Caratteristica del nuovo mondo è la separazione dell'umanità in due categorie: gli esseri umani "normali" e quelli che, per colpa di qualche forma di malattia ignota e incomprensibile, diventano "zombi". Questi ultimi, tuttavia, sono completamente diversi da come l'immaginario collettivo (nutrito da cinema, letteratura, fumetti) è stato abituato a raffigurarli. Infatti, nel mondo descritto da Cristò essi non sono aggressivi, non attaccano gli umani; appaiono semplicemente stanchi, sembrano muoversi solo per inerzia, e l'unica cosa di cui hanno bisogno è il cibo. Già, ma che cibo!: carne, distribuita loro dagli esseri umani ancora "sani" in appositi macelli, presso i quali si creano interminabili file di zombi in attesa della propria razione.

Al tempo del racconto, sono passate molte decine di anni dall'inizio del cambiamento; formalmente, il protagonista è un uomo anziano, rimasto terribilmente mutilato da bambino, che racconta in modo surrealmente apatico cosa gli accade attorno, intrecciandolo coi ricordi di quando il mondo era bello, pieno di vita e, soprattutto, mutevole. Il tutto si mescola con le vicende di un medico, testimone del disfacimento della realtà attraverso pazienti che scrivono strani "pizzini" senza averne memoria e la propria moglie che diventa sempre più strana. Il lettore resta straniato tra piani temporali e spaziali instabili, affrescati di strani sogni, badanti, vagabondi, gatti, filosofi del passato, profezie, cinema porno, giochi acquatici, pitoni, ronde notturne di umani "sani" che massacrano zombi inermi, e una lenta, torturante, straziante presa di consapevolezza riguardo a cose inimmaginabili eppure, in fondo, perfettamente normali.

Il testo è pregno di tante allegorie; si potrebbe cedere alla tentazione di individuarle, interpretarle, commentarle; il rischio, come sempre in questi casi, è quello di andare ben lontano da dove intendesse portarci l'autore. Tuttavia, come capita di fronte a molte delle opere più riuscite, forse è proprio questa la cosa più naturale: il lettore "vede" il proprio libro, l'opera interagisce con il fruitore per divenire qualcosa di nuovo e diverso, in questo caso quasi a esorcizzare l'immutabilità dell'universo in essa raccontato. 

Citiamo quanto scrive Paolo Zardi nella postfazione al romanzo: <<Ogni libro cerca i suoi lettori, non esistono libri che vanno bene per chiunque. La Carne, come spesso accade ai romanzi coraggiosi (o audaci, com'è questo romanzo), potrebbe disturbare qualche lettore, perché non fornisce punti di riferimento noti, approdi sicuri>>. Il libro non è sempre "facile" da leggere, e a tratti è davvero disturbante; e forse era inevitabile, tenuto conto dei contenuti. Tuttavia, la sensazione è che Cristò non si limiti a scrivere libri, ma provi a fare letteratura; e sembra cavarsela niente male. Non è poco: il tempo ci dirà se ci è riuscito. Intanto, complimenti.


venerdì 9 aprile 2021

Amore e Psiche di Apuleio





Prefazione-23 luglio 2011-07-23

Amore e Psiche

Il libro l’amore al tempo del cellulare di Reds- la favola di Apuleio Amore e Psiche-  uno speculare dell’altra.

Che estate bellissima! Io pensavo di essere nel 2011 ed invece ero ancora nella classicità- nel primo secolo dopo Cristo- sono una contemporanea di Apuleio- sono nella favola di Amore e Psiche- sono al tempo del cellulare- sono al tempo dei rapporti virtuali. Non ci conosciamo e niente facciamo. Beh! Apuleio qualcosa faceva pur fare! La notte, però! Amore arrivava, ma non doveva essere visto, e intanto Psiche doveva restare tutto il giorno da sola, in un palazzo magnificente servita e riverita da voci invisibili. Mi sa che Psiche non era proprio messa bene nemmeno lei, come tutte noi d’altronde! Quando prese dalla malia stiamo a ciondolare in attesa della voce dell’amato e non vediamo nulla intorno a noi. Ma poi arriva il dio Amore e che felicità! Questo nella Metamorfosi di Apuleio. 

Al tempo del cellulare e del virtuale, tutto deve restare solo una voce, dolce, carezzevole, affettuosa ma solo una voce. Ci sarà un essere umano dall’altra parte? Mah! Quando Psiche, spinta dalle sorelle, che erano riuscite a trovarla, va a vedere chi ha al fianco, lui scompare. La lascia sola, in attesa di un bimbo, nella disperazione più totale. Lei si aggrappa a lui e lui continua a volare finché lei esausta sfinita cade in un prato. 

Non è mai cambiato nulla, sembra solo realtà! 

Questi rischi non si corrono al tempo del cellulare. 

I protagonisti non si conoscono, non si conoscerebbero mai, se la donna non insistesse tanto, perché è la donna che insiste, che vuole. Gli uomini, ormai, vogliono solo testare la loro bravura, vogliono solo vedere se sono capaci di sedurre, di indurre la donna a chiedere. Perché l’uomo non deve chiedere mai! Deve negarsi. È il primo comandamento dell’ars seduttiva. Ma quando la donna chiede lui si è già annoiato e sparisce. L’ha trasfigurata, l’ha resa angelicata, e lei non ha retto alla trasformazione divina ma terrenamente gli ha chiesto altro: attenzioni, presenza, una carezza e una soddisfazione del desiderio. Troppo normale per l’uomo. Troppo banale per l’uomo di tutti i tempi dal dolce stil novo ai decadentisti dall’uomo di potere agli omettini che incontriamo per la strada. La donna è sempre il pericolo numero uno, anche al tempo del cellulare. Esigente, un po’ zoccola, ma cosa vuole? 

Psiche comincia a cercare lo sposo sparito e lui è già andato dalla mamma per farsi curare la bruciatura alla spalla causatagli da una goccia di olio bollente caduta dalla lucerna in mano a lei. Poverino! Dalla mamma, pure lui! Mamma che odia la nuora. Pure lei! Sempre le donne una contro l’altra, mai a fianco. Anche ora. Ci scrutiamo, ci spiamo l’un l’altra, ed invidiamo nell’altra quel che pensiamo lei abbia e noi non più, critichiamo, soppesiamo vizi e virtù, senza pudore, senza disciplina. Non è un bel vedere nemmeno fra donne.

 Anche Psiche non trova aiuto. Le dee non vogliono inimicarsi Venere. Hanno paura. Hanno paura anche le donne e diventano cattive, acide, invidiose, pettegole. Non è proprio un bel sentire! Se lo fanno anche le dee! Non c’è speranza di rapporti leggeri –leggeri. Ah Calvino col tuo elogio alla leggerezza! Com’è pesante quaggiù!

 Anche al tempo del cellulare! Anche fra brave persone! Ma quale amore, ma cosa amore, ma dove amore, se l’amore non conosce me… Eccomi… Così cantava Mina qualche tempo fa. Cara Mina tu ce l’hai cantata e non abbiamo capito, meno male che ci sono gli scrittori che cela raccontano tutta, vero, Reds? L’incomunicabilità? Ma no! L’impossibilità di poter usufruire in maniera agevole e senza sovrastrutture uno dell’altro. Uno scambio d’uso. Dignitoso uno dell’alterità dell’altro. Altrimenti che squallore! Che miseria!

 Psiche riesce a ricongiungersi col suo amato nell’Olimpo, diventerà una dea, darà alla luce Voluttà- il piacere- Da Amore e Psiche- ovviamente- ma prima dovrà superare molte prove .Dovrà subire i maltrattamenti di Venere, le percosse, le ingiurie, le fatiche. Zitta, dovrà svolgere qualsiasi umiliante compito. Riuscirà perché verrà aiutata dalle creature più piccole, le formiche faranno la cernita per lei del frumento dell’orzo del miglio, dei semi di papavero, delle lenticchie, delle fave. Ma a noi chi aiuterà a selezionare? Lei riuscirà perché anche una canna flessibile le consiglierà come prendere il vello d’oro delle pecore. Dovrà aspettare la sera, solo al tramonto avrebbe potuto raccogliere il vello che era rimasto impigliato tra i rami e che di giorno era difeso da pecore ferocissime. Facile! Basta aspettare. L’ultima impresa sarà la più difficile, dovrà andare da Proserpina e chiedere di mettere nella scatola un briciolo di bellezza per portarla a Venere. Psiche riesce ad andare negli inferi, a tornare tra i vivi con la scatola in mano. Ma la vanità è donna e lei non può resistere... un po’ di bellezza… poco… pure per lei. Apre la scatola e il grande sonno l’avvolge, l’avviluppa. Il grande sonno che prende tutte noi per un briciolo di –Come sei bella!-il grande sonno della seduzione.

Reds mi invita a pensarla vivificante questa seduzione fatta di chiacchiere, fatta di niente, fatta di trasfigurazioni. Io non riesco a vederla così. Non riesco a capire come i rapporti umani si siano involuti in una separazione senza fine, in un virtuale senza sguardi, senza carezze. Non riesco a capire l’umiliazione di corpi lasciati senza calore, senza scambi di fremiti. Non riuscirò a capire questa castrazione generale e dall’altra parte questa impudicizia, questo mostrare i corpi al migliore offerente come merce di scambio. Una tristezza senza fine. Servono i libri, servono questi scritti per farci riflettere su quanto siamo sciocchi, sul vanesio e sulla vanità del tutto. Ah! vanità delle vanità! Tutto è vanità. Lo diceva anche Qoelet.

Ma in fondo hai ragione tu, Reds, quante riflessioni, quanti studi, quante emozioni nell’estate del virtuale!

Solo che poi le ragioni devono uscire, non restare nell’etere anestetizzante e camminare decisi nel mondo reale altrimenti è la paura che vince il match! Una paura atavica. La paura di essere scoperti nella nostra fragilità, nelle nostre debolezze, nella nostra inconsistenza da un altro altrettanto fragile e altrettanto insicuro.

Parole non sono altro che parole

Fidati di me –io mi fido di te-fidiamoci tutti- La fiducia impegna (da Gianna Manzini)

Non di solo pane vive l’uomo-non di solo parole! Ma di sguardi, di odori, di sapori, di carezze.

Abbiamo cinque sensi, non dimentichiamolo-non siamo soggetti virtuali.

 Abitiamo il nostro corpo, dove abita la nostra mente. Un unicum, appunto.

Ps   alice(internet)non abita più qui  

Ippolita Luzzo             

https://www.rossovenexiano.com/blog/lamore-al-tempo-del-cellulare-volume-primo?fbclid=IwAR0zxNTvd5UuUadKJO1n4WijjeziE4kWIqcIOs6mmKVVT_UsZCnUtDwgPpY  

mercoledì 7 aprile 2021

Daniele Petruccioli La Casa delle madri

 


Finalista al Premio Strega 2021 La casa delle madri di Daniele Petruccioli arriva oggi e ho cominciato a leggerlo nella casa di mia madre. 
Nella stessa casa quindi del romanzo. Leggendolo mi viene in mente Dora Bruder di Patrick Modiano 

“Ci vuole tempo per riportare alla luce ciò che è stato cancellato. Sussistono tracce in alcuni registri e si ignora dove siano nascosti, quali custodi veglino su di essi e se quei custodi accetteranno di mostrarli. Può anche darsi che ne abbiano semplicemente dimenticato l’esistenza."

Si dice che i luoghi serbano una lieve impronta delle persone che li hanno abitati. Impronta, segno incavato o in rilievo. 

Per Dora Bruder e genitori, Modiano dice: incavato.

Mi è sembrato di risentire l’eco di Modiano, anche lui parla di impronta, ciò che lasciamo nelle case e nei luoghi dove abitiamo. Una sopravvivenza che in effetti io credo sia una elaborazione di energie ancora da scoprire. Il fatto di essere io molto vicina alla tematica del libro me lo fa ancora più caro, fin dal fratello gemello con gravi difficoltà alla casa che viene poi svuotata. Le grandi case di famiglie patriarcali ormai scomparse non hanno più ragione di esistere ora che le famiglie sono composte da due o al massimo tre componenti ed intanto avanzano le famiglie mononucleari, un solo individuo in famiglia con sé stesso.

Leggo a mia madre di 97 anni l'incipit del libro e mi fermo "La casa è vuota. Le camere spoglie, le porte aperte, le finestre spalancate. I mobili non ci sono più, sono stati portati via da tempo. "

"Le ombre cominciano a risvegliarsi nei minuti di chiarore incerto che precedono l'alba prima dell'arrivo degli operai: si allungano, si rincorrono sui pavimenti grigi e polverosi che si susseguono identici di stanza in stanza" mi fermo su  "Il senso di sventramento generale"

Restiamo così quando ve ne andate, mi ritorna in testa, e poi ricordo che questo è il titolo di un altro libro bellissimo di TerraRossa Edizione, il libro di Cristò, che mi ritorna in testa, come se le ombre della casa delle madri ormai parlassero e ci dicessero questa frase. 

Tutto cambia, la grande casa viene frazionata, "in questo modo la schiera di spiriti da cui la casa era abitata si è ritrovata frazionata anch'essa"

"Poi tutto verrà tutto verrà buttato" e mi accorgo che copierei interi passi ricordando qui allo status delle rovine anche Lucrezio nel "De rerum natura"

Il ritmo del romanzo è poetico, sembrano versi i periodi, sembra che la casa sia la storia di tutti che, incessante, dice che tutto cambia, e "qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure" mi risento in testa cantare Rimmel di De Gregori. 

In un crescendo che si amplifica, Daniele Petruccioli, partendo dalla grande casa del notaio, racconta la storia degli ultimi cinquanta anni, l'Italia ancora paesana, il grande assetto feudale quasi, e il logorio del tempo che consuma e spoglia le case, le persone, e l'arrivo del tempo globale e senza identità, un fuori dal tempo. 

Fuori dal tempo ma non dallo spazio, ombre e corpi si incontrano "Ascoltano i vivi e i morti senza capire le parole di nessuno ma assimilando la voce di tutti"

Un libro prezioso che ci riconcilia con la letteratura, con la storia, con noi stessi alle prese con le nostre ristrutturazioni.

Un pezzo augurale affinché il libro possa essere moltissimo letto, a prescindere se rientrerà nella cinquina al Premio Strega, cosa che io mi auguro tanto nel Regno della Litweb

Ippolita Luzzo 

mercoledì 24 marzo 2021

I Famelici di Davide D'Urso

 


Ringrazio la bellissima opportunità della stima reciproca fra lettori e autori e sono felice di poter parlare di un libro che è un avvincente ritratto di anni appena trascorsi eppure ormai tramontati per sempre: Gli anni dei famelici.

Il libro di Davide D'Urso mi chiarisce in maniera inequivocabile del perché io, nauseata dalla trasformazione epocale che vedevo durante gli anni ottanta, mi sia ritirata, chiudendo televisioni e giornali.  La storia che viviamo è un soffio, la nostra personale dura poco, eppure la generazione dei settantenni e più ha vissuto fra il nuovo e il vecchio, con la pervicacia di distruggere il passato.

 I famelici di Davide D'Urso: Libro bellissimo. I famelici sono la generazione che ora ha settanta anni e più. Una volta vecchiaia ora non più. I famelici hanno divorato, senza per questo esserne felici, il piccolo, il dimesso, la morigeratezza di costumi ed hanno sostituito case grandi a case piccole, macchine grandi a macchine piccole, centri commerciali a negozi piccoli. "Ce ne ricorderemo di questo pianeta", diremo con Sciascia.

Una vera guerra ai valori, alle consuetudini, ai riti, alla morigeratezza. Gli individui sono stati interpreti di una finta rivoluzione e di un edonismo senza confronti, in un momento storico in cui tutto è sembrato possibile. Tutto è possibile, era il diktat, se vuoi comprare puoi fare un assegno postdatato, pagherò, se vuoi viaggiare ci sono mille opportunità a basso costo, crociere con navi da tremila passeggeri, se vuoi distrarti ci sono le televisioni private con svolazzanti femmine nude o scarsamente vestite, ci sono mille programmi televisivi sul nulla catartico dell'offerta riflessiva. 

Nel libro c'è lo sguardo rispettoso verso i personaggi, intrappolati nel corso degli eventi, ed è giusto così, lo sguardo di un quarantenne che di tutto quello sciupio vede ora la precarietà, vede un futuro fosco, un mondo imbruttito e sporcato, inquinato e difficile, vede schiavi e violenze, vede proprio un non futuro. In tutto questo gli "intellettuali" hanno giocato ai festival, ai premi, ai convegni, e insieme ai politici hanno fatto finta di autoflagellarsi

"Non so se è sempre stato così, ma oggi nei paesi di provincia la cultura è diventata lo strumento di gratificazione personale del professore di turno. Il quale, con l’autoreferenzialità tipica di queste terre, non fa altro che passare il tempo a rievocare modesti avvenimenti verificatisi in paese; rivolgendosi a un pubblico di attempati professori altrettanto esperti e fanatici della materia che, in seguito, lo inviteranno a presenziare ai loro dibattiti circa l’ennesimo, microscopico episodio storico che va assolutamente raccontato perché, dicono, bisogna valorizzare il territorio. Alla fine, gli interlocutori sono sempre gli stessi, il territorio non si valorizza mai e a ricevere qualche beneficio – un rimborso spese o, più spesso, la soddisfazione di un applauso e qualche ammirata stretta di mano sono gli stessi che li pongono in essere, e tutto finisce nel dimenticatoio dopo qualche giorno." 

I famelici di Davide D'Urso non sono da condannare ma da studiare, sono coloro che hanno avuto entusiasmo ed hanno creduto nelle "magnifiche sorti e progressive"

 Conosco il periodo storico  esplorato dall’interno con gli occhi, primo di un bambino e poi da adolescente e infine uomo. Conosco i famelici, intendendo una generazione che si è lasciata convincere a vendere i mobili antichi ereditati per una cucina in formica, a lasciare le loro scomode case senza riscaldamenti per orridi appartamenti senza luce. La storia di uno sciupio che è sembrato ai più abbondanza. Lo sguardo con cui l'autore guarda gli anni è affettuoso, attento a non far male, a rispettare ciò che ancora è da rispettare: il senso del sacro nei rapporti, le amicizie che stanno ferme tutta una vita, che saranno la vita per ognuno. A Serafino, l'amico sfortunato del padre del narratore, mi ritrovo a dedicare anche io una lettura appena terminata dei Famelici, Serafino che viene stritolato dalla famiglia che si sfalda, dalle vernici che lo intossicano, dal finto benessere che inquina tutti, chi più chi meno. 

Anche i vincenti, anche coloro che sembrano aver conquistato tutto, in effetti guarderanno le conquiste con il senso della vacuità di quel possesso.  

Il libro cerca di rispondere a domande che vedono la risposta negli occhi di una generazione di giovani, di quaranta o trenta anni, che ci guardano muti. Mi metto anch'io insieme ai famelici, anche se sono stata una digiunatrice, diciamo così, essendo impegnata in ossessioni simili a quelle dell'autore. L'ossessione di capire mio padre, mia madre, la mia famiglia patriarcale con le sue orribilità. 

Ed insieme all'autore ho trovato che la storia degli individui e delle famiglie si possa raccontare travasandola in letteratura, decantandola e purificandola per capirla e per perdonarla. 

Un atto di sublimazione al posto degli sputi, della rabbia, della contestazione che ora non si sa neppure contro chi dirigerla. 

Un libro da leggere, un libro nel Regno della Litweb, nella letteratura incontrata sul web, ma presente in libreria, un libro che porteremo nelle piazze di un regno che nacque proprio per abolire gli assegni, postdatati e non. 

Un libro di un autore che ama i libri, che ama viverci dentro con l'immaginazione della letteratura

Ippolita Luzzo 

lunedì 15 marzo 2021

Il calendario



10) Il calendario

Il calendario appeso in cucina

 è sottile oramai.

 Solo tre fogli.

 Il vento leggero dal balcone entra

 e fa cadere

 ogni giorno

 il calendario a terra.


 Ogni giorno raccolgo

 quel che resta dell’anno

 e lo riappendo

 al chiodo fisso della buona sorte 

(Ippolita Luzzo)