Un amico, su facebook, mi chiese di leggere e di parlare di questo libro molto tempo fa. Il 2015, anno della data di nascita, poi la seconda ristampa ed è quella che ho comprato io, ho letto il libro sottolineandolo, lasciandolo per casa e riaprendolo molte volte, ma sentendomi inadeguata a scriverne.
Il libro ci parla della discrezione, quella sospensione del tempo che ha valore in quanto sospensione, a condizione di non prolungare oltre un certo limite il nostro stare nascosto.
"Non è davvero sopportabile scomparire troppo a lungo, se non vogliamo che questi piaceri furtivi si trasformino in rinuncia e perversione. la prima specificità della discrezione è nell'esperienza di un tempo modesto, capace di badare a se stesso"
Viviamo fra il desiderio di essere riconosciuti e quello di essere anonimi e "la discrezione sottrae tutto l'essere alle apparenze solo per restituirglielo per intero"
Farsi discreti è nello stesso tempo uscire dal gioco delle apparenze e prestare attenzione al mondo. Ritirarsi dal mondo per lasciarlo esistere, scrive Zaoui analizzando l'aspetto politico e sociale delle pulsioni ad apparire e scomparire, durante i secoli, in filosofia e in letteratura, nelle tragedie greche e negli scritti di Machiavelli, in Proust, in Freud e Kafka.
"Nel suo significato etimologico discrezione viene dal latino discretio, discernimento, separazione, distinzione, e nell'inglese discretion, il significato matematico di discontinuo."
Non si può essere discreti a vita pena impazzire!
L'arte di scomparire è l'arte della discrezione, cercando di non farla diventare una ossessione, una patologia. Importante sapere quando uscire in anticipo da un gioco, da una eccessiva rincorsa al protagonismo, e importante non pensare che la salvezza possa stare esclusivamente nella tana.
Ritrovo in questo libro i filosofi studiati, da Rousseau a Foucault, a Lèvi-Strauss, il pudore e la prudenza, da Aristotele alla parresìa, "al coraggio della verità" il coraggio di non nascondere nulla, di mettere tutto a nudo. Parlare o non parlare, quanto parlare, desiderare di fare parte di un consesso amicale di simili, aver voglia di stare distanti, produrre arte per desiderio di comunicare e nello stesso tempo sparire per aver quella distanza che permetta l'osservazione.
Vedo per le strade cittadine molti "discreti", anche io qualche volta sono "discreta", però quel che distingue la mia discrezione da quella di molti altri è il mio insopprimibile bisogno di socialità, di dire al mondo intero quanto sii felice di vederlo, di guardalo, che è diverso, di parteciparlo, sempre da discreta che non ha paura.
Si può essere indiscreti anche essendo discreti.
" Ci sono tanti modi indiscreti di essere discreti: per paura dell'opinione pubblica. per sottomissione servile alle regole comuni delle buona educazione, per prudenza, per astuzia e calcolo; per ravvivare la propria immagine sociale, darle quel tocco di eleganza e di cortesia che le mancava"...come seduzione e narcisismo. Una discrezione snaturata.
Noi stiamo con le parole di Lèvi-Strauss e con il gheriglio di noce di Kafka, dai Diari, nel rabbi Meir: "Mettere il mondo prima della vita e la vita prima dell'uomo" Se non ci sono le anime che si accorgono di stare al mondo nel momento che esiste il mondo, che si accorgono della grande meraviglia di esserci per il mondo e non per una propria affermazione, non ci sarebbe più nulla di filosofia e conoscenza, sarebbe tutto uno specchio vuoto. Mi sembra di stare con Zaoui per quel che io possa stare, mi sembra di stringere con lui un patto di resistenza amicale e di chiamare quell'amico di allora alla passeggiata sui profili facebook
Ippolita Luzzo
domenica 21 ottobre 2018
venerdì 19 ottobre 2018
Il teatro è una cosa fisica. Angelo Colosimo in Bestie Rare
"In tempi bui come questi, in cui qualcuno vorrebbe delimitare un confine, entro il quale sarebbe preferibile non andare, l'associazione Confine incerto, crea una Zona Transitoriamente Libera."
Giorgia Boccuzzi, in un incipit Brechtiano, si rivolge al pubblico in sala, prima dello spettacolo "Bestie Rare" di Angelo Colosimo.
"ZTL, Zona Transitoriamente libera", il collettivo composto da Giorgia Boccuzzi, Emi Bianchi, Luigi Lacquaniti e Teresa Zumaglini, un progetto costola dell'associazione Confine incerto, organizza e promuove, per il secondo anno, al Supercinema di Catanzaro, una rassegna teatrale in itinere.
Organizzazione comunitaria, leggo qui sulla pagina facebook, nel cercare notizie del collettivo, composto a sua volta, da artisti, più volte applauditi.
Ricordiamo "La Magara" di Emilio Suraci ed Emi Bianchi, la storia di Cecilia Faragò, donna incolpata di stregoneria a Catanzaro nel 1769 in una splendida interpretazione di Emi Bianchi che, stasera, luminosa e scintillante di felicità, ci accoglie insieme agli altri del collettivo sul portone del teatro.
Buio e luce, oltre il buio la luce del teatro, sono queste le parole di Giorgia, mentre presenta al pubblico, nel tutto esaurito dei posti, la gioia di essere riusciti a trovare i mezzi, a trovare i sostenitori e a far vivere il teatro.
ZTL ha piantato la sua prima bandierina, leggo in un post del novembre 2017 e, a un anno di distanza, si plaude alla scelta di far vivere il Supercinema, di far vivere, passando e ammirando, la Chiesa del Monte dei Morti e della Misericordia in via Educandato e la storia che ci accompagna.
Il teatro è una cosa fisica, ho scritto in testa, dal primo momento in cui Angelo Colosimo mi passa accanto zoppicando, sale sul palcoscenico e prende una grande accetta, la poggia sul collo e diventa un bambino, trattenuto da un certo Micu, uomo adulto e rancoroso, che vuole punirlo per aver buttato una grossa pietra nel suo camino.
Il bambino si dimena e si impaurisce, non vuole accusare i compagni dell'azione, protesta la sua innocenza, e mentre racconta e mentre implora Micu di lasciarlo andare, sudore copioso scende dalla sua fronte, tremito diffuso in ogni centimetro della sua pelle, la paura fisica si vede proprio nella pelle.
"Se m'ammazzi, ammazzi un innocente", prova il bimbo a far riflettere il suo persecutore.
Il teatro su un mondo arcaico e scomparso per sempre, il vico, i vicini di casa, come una processione del venerdì santo, la zia Lisa, chiamata per essere salvato.
Zia Lisa, donna della ruga e da tutta rispettata, i cummari, a me sovviene il vico Blaschi, della mia infanzia, dove i vicini stavano seduti davanti le porte.
"E le vecchie si fecero dare le sedie" racconta Angelo Colosimo. Nel momento della spettacolarizzazione della pena, "Zia Lisa mi lassa" il bimbo viene preso schiaffi, calci, sputi, "chi cu li mani, chi cu li piadi" mentre il sangue scende arriva il prete.
Siamo oltre la metà del monologo, siamo quasi alla fine della tragedia, e arriva il deus ex machina, l'uomo che risolve, sembra sgridare il vicinato, la turba che volto non ha, i cattivi.
Arriva lui e il bambino ha ancora più paura.
Se fino a quel momento abbiamo sorriso, pur nello sproporzione della pena inflitta da Micu al bimbo, ora non ridiamo più e attendiamo che quella violenza si sciolga nell'abbraccio della mamma del bimbo, intervenuta, lei sì, a salvarlo davvero "U beni da mamma è tuttu u cori, ca chillu da genti su parole"
La lingua del testo è una mescolanza di dialetto e italiano, è una mescolanza di detti antichi, ben conosciuti, "Chi pecuri fa u lupu sa mangia", la trama si poggia su due elementi, la vendetta e l'offesa, in modo volutamente squilibrati. Tanto, tantissimo spazio, viene dato al momento della punizione di un gesto, poco, pochissimo viene dato all'offesa subita dai ragazzi.
Nel ritorno a casa mi sono ritornati in mente Il Caso Spotlight, il silenzio con cui si copre la violenza fatta sui bimbi dai prelati della Chiesa, i chierichetti usati, impauriti, ed il silenzio, il silenzio di sudore, il silenzio di tremore, il silenzio della mamma, come vergogna, come colpa, di aver subito l'offesa.
Ed il silenzio si scioglie nell'applauso del pubblico e degli amici ad Angelo Colosimo, con le foto di Angelo Maggio, nel regno della Litweb, ZTL per noi luce sia nei tempi bui, dedicando a Giorgia
" A coloro che verranno" Bertold Brecht Tradotto da Franco Fortini:
Davvero, vivo in tempi bui!
La parola innocente è stolta. Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride,
la notizia atroce
non l’ha ancora ricevuta.
Quali tempi sono questi, quando
discorrere d’alberi è quasi un delitto,
perché su troppe stragi comporta silenzio!
E l’uomo che ora traversa tranquillo la via
mai più potranno raggiungerlo dunque gli amici
che sono nell'angoscia?
Ippolita Luzzo
Giorgia Boccuzzi, in un incipit Brechtiano, si rivolge al pubblico in sala, prima dello spettacolo "Bestie Rare" di Angelo Colosimo.
"ZTL, Zona Transitoriamente libera", il collettivo composto da Giorgia Boccuzzi, Emi Bianchi, Luigi Lacquaniti e Teresa Zumaglini, un progetto costola dell'associazione Confine incerto, organizza e promuove, per il secondo anno, al Supercinema di Catanzaro, una rassegna teatrale in itinere.
Organizzazione comunitaria, leggo qui sulla pagina facebook, nel cercare notizie del collettivo, composto a sua volta, da artisti, più volte applauditi.
Ricordiamo "La Magara" di Emilio Suraci ed Emi Bianchi, la storia di Cecilia Faragò, donna incolpata di stregoneria a Catanzaro nel 1769 in una splendida interpretazione di Emi Bianchi che, stasera, luminosa e scintillante di felicità, ci accoglie insieme agli altri del collettivo sul portone del teatro.
Buio e luce, oltre il buio la luce del teatro, sono queste le parole di Giorgia, mentre presenta al pubblico, nel tutto esaurito dei posti, la gioia di essere riusciti a trovare i mezzi, a trovare i sostenitori e a far vivere il teatro.
ZTL ha piantato la sua prima bandierina, leggo in un post del novembre 2017 e, a un anno di distanza, si plaude alla scelta di far vivere il Supercinema, di far vivere, passando e ammirando, la Chiesa del Monte dei Morti e della Misericordia in via Educandato e la storia che ci accompagna.
Il teatro è una cosa fisica, ho scritto in testa, dal primo momento in cui Angelo Colosimo mi passa accanto zoppicando, sale sul palcoscenico e prende una grande accetta, la poggia sul collo e diventa un bambino, trattenuto da un certo Micu, uomo adulto e rancoroso, che vuole punirlo per aver buttato una grossa pietra nel suo camino.
Il bambino si dimena e si impaurisce, non vuole accusare i compagni dell'azione, protesta la sua innocenza, e mentre racconta e mentre implora Micu di lasciarlo andare, sudore copioso scende dalla sua fronte, tremito diffuso in ogni centimetro della sua pelle, la paura fisica si vede proprio nella pelle.
"Se m'ammazzi, ammazzi un innocente", prova il bimbo a far riflettere il suo persecutore.
Il teatro su un mondo arcaico e scomparso per sempre, il vico, i vicini di casa, come una processione del venerdì santo, la zia Lisa, chiamata per essere salvato.
Zia Lisa, donna della ruga e da tutta rispettata, i cummari, a me sovviene il vico Blaschi, della mia infanzia, dove i vicini stavano seduti davanti le porte.
"E le vecchie si fecero dare le sedie" racconta Angelo Colosimo. Nel momento della spettacolarizzazione della pena, "Zia Lisa mi lassa" il bimbo viene preso schiaffi, calci, sputi, "chi cu li mani, chi cu li piadi" mentre il sangue scende arriva il prete.
Siamo oltre la metà del monologo, siamo quasi alla fine della tragedia, e arriva il deus ex machina, l'uomo che risolve, sembra sgridare il vicinato, la turba che volto non ha, i cattivi.
Arriva lui e il bambino ha ancora più paura.
Se fino a quel momento abbiamo sorriso, pur nello sproporzione della pena inflitta da Micu al bimbo, ora non ridiamo più e attendiamo che quella violenza si sciolga nell'abbraccio della mamma del bimbo, intervenuta, lei sì, a salvarlo davvero "U beni da mamma è tuttu u cori, ca chillu da genti su parole"
La lingua del testo è una mescolanza di dialetto e italiano, è una mescolanza di detti antichi, ben conosciuti, "Chi pecuri fa u lupu sa mangia", la trama si poggia su due elementi, la vendetta e l'offesa, in modo volutamente squilibrati. Tanto, tantissimo spazio, viene dato al momento della punizione di un gesto, poco, pochissimo viene dato all'offesa subita dai ragazzi.
Nel ritorno a casa mi sono ritornati in mente Il Caso Spotlight, il silenzio con cui si copre la violenza fatta sui bimbi dai prelati della Chiesa, i chierichetti usati, impauriti, ed il silenzio, il silenzio di sudore, il silenzio di tremore, il silenzio della mamma, come vergogna, come colpa, di aver subito l'offesa.
Ed il silenzio si scioglie nell'applauso del pubblico e degli amici ad Angelo Colosimo, con le foto di Angelo Maggio, nel regno della Litweb, ZTL per noi luce sia nei tempi bui, dedicando a Giorgia
" A coloro che verranno" Bertold Brecht Tradotto da Franco Fortini:
Davvero, vivo in tempi bui!
La parola innocente è stolta. Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride,
la notizia atroce
non l’ha ancora ricevuta.
Quali tempi sono questi, quando
discorrere d’alberi è quasi un delitto,
perché su troppe stragi comporta silenzio!
E l’uomo che ora traversa tranquillo la via
mai più potranno raggiungerlo dunque gli amici
che sono nell'angoscia?
Ippolita Luzzo
martedì 16 ottobre 2018
La fortuna in Litweb
La Fortuna Ben Data
Scrivevo il 16 ottobre 2016 su un post Facebook: Fino ad un minuto prima sei una nullità, uno sconosciuto, le tue opere non valgano un euro, nessuno le vuole, i tuoi scritti non vengono considerati, le tue canzoni meno che meno.
Poi passa lei, la fortuna bendata.
Ti sfiora e le tue opere raggiungono quotazioni altissime, ciò che hai scritto va sul Sole 24 Ore e le canzoni vengono cantate in eurovisione. Se passa lei tu vincerai, Litweb vincerà.
Lo trascrivo come mantra augurale, credendo nel potere delle parole, nel momento in cui: Se lo immagini Esiste.
Esiste un momento per tutti, basta riconoscere quale sia.
Ieri era il Premio Comisso 15 righe, domani chissà.
Piccoli segni, piccoli sassolini che servono per ritornare a casa, nella casa letteraria del nostro immaginario.
Non aspettare nulla al di là del tanto già immaginato, al di là della sfida vinta contro la disperazione di un quotidiano brutale nel suo continuo essere sempre uguale e ripetuto, un quotidiano indifferente, eppure così ricco di opportunità. Se non ci fossero stati questi tasti neri, se non ci fosse stato il web, i siti, i libri, gli autori, gli editori, le fiere, Più libri più liberi a Roma, Il salone del libro di Torino, il Premio Brancati a Zafferana Etnea, Radiolibri, i blog, se tutto questo non ci fosse stato...
Se non ci fosse stata l'opportunità di vivere e scrivere su Messenger: "Non ho il passaggio per venire al Marca, al Festival Delle Parole Erranti, dove tu leggerai passi del tuo nuovo romanzo" ed avere in risposta: "Ti trovo il passaggio. Viene un mio amico, glielo dico subito. Passa a prenderti" se non ci fosse stato tutto questo, non oso pensare come sarebbe potuto essere diversamente, se non annegare giorno dopo giorno nell'abiezione di tutti gli altri giorni cancellati.
Gli angeli.
Gli angeli con cui andai al Premio Berto a Capo Vaticano.
Gli angeli e la fortuna. La fortuna di vivere con un grande amore dentro: Il piacere di leggere una vita, le tante vite degli altri, a me precluse.
Si può vivere anche così, di un momento fortunato.
La Fortuna in Litweb è solo un attimo, tanti attimi, moltissimi attimi, per tutti noi.
Post di ringraziamento agli angeli che ho incontrato.
Ippolita Luzzo
Opere artistiche di Massimiliano Lo Russo da me intitolate: La Fortuna Ben Data
lunedì 15 ottobre 2018
Zeig Martino Ciano
Zeig "Invochi la morte, ma in fondo vuoi esistere ancora per un po' e, mentre la luce del giorno è ancora forte, tu già sai che la morte porterà scompiglio. Che farai?"
"Che fare?" fu scritto da Lenin all'inizio del secolo scorso, trattava i temi della politica, dell'economia, del lavoro, della sottomissione.
Lo avrò studiato per un esame universitario, insieme a Stato e rivoluzione. Erano questi i testi universitari degli anni settanta. Una analisi scientifica della trasformazione dei movimenti storici. La forza lavoro, disumanizzata e usata, dai campi alle fabbriche ed ora ai call center, alle serre, nei barconi, come merce di scambio. La fabbrica, la grande fabbrica, vista come la soluzione, vista come la fata che il futuro radioso porterà.
Azzurro futuro avvelenato, in un avvelenamento di pensieri, di aria, di cibo, di terra, di rapporti.
" Si partiva, cercando il senso quotidiano verso la fabbrica. Senso... che forse stagnava come il sudore."
Ed è un senso che non è.
Nella storia raccontata da Martino Ciano il protagonista brinda all'assunzione e al primo stipendio, lui pensava che il lavoro in fabbrica lo avrebbe sottratto alla povertà. Marselo era stato assunto come addetto al reparto pasta. "La campanella gracchiava. Era finito il turno."
"In vita non si è né eroe, né padrone" sembra una cronaca, un vero reportage sullo stato del lavoro in questi giorni, il romanzo di Martino, se lui non avesse premesso che no, non è così, bensì una sua immaginazione.
Noi però non possiamo più immaginare, la realtà supera qualsiasi distopia immaginata, così ci troviamo a leggere quello che ci passa davanti nella tristezza di un quotidiano ridotto e desertico.
C'è una cosa desolante a cui sembra nessuno riuscirà a trovare soluzione, in questo andirivieni storico ed è proprio la mancanza di relazioni, ed è il potere di riunire e di raccogliere sotto una idea per cui lottare "d'un volgo disperso che voce non ha"
Colpaca esiste nelle nostre città.
Zeig di Martino Ciano
Ippolita Luzzo
Martino Ciano lavora presso l’emittente televisiva Rete3Digiesse, scrive racconti e collabora con Satisfiction, Gli amanti dei libri, la rivista letteraria Euterpe e il blog Zona di disagio
"Che fare?" fu scritto da Lenin all'inizio del secolo scorso, trattava i temi della politica, dell'economia, del lavoro, della sottomissione.
Lo avrò studiato per un esame universitario, insieme a Stato e rivoluzione. Erano questi i testi universitari degli anni settanta. Una analisi scientifica della trasformazione dei movimenti storici. La forza lavoro, disumanizzata e usata, dai campi alle fabbriche ed ora ai call center, alle serre, nei barconi, come merce di scambio. La fabbrica, la grande fabbrica, vista come la soluzione, vista come la fata che il futuro radioso porterà.
Azzurro futuro avvelenato, in un avvelenamento di pensieri, di aria, di cibo, di terra, di rapporti.
" Si partiva, cercando il senso quotidiano verso la fabbrica. Senso... che forse stagnava come il sudore."
Ed è un senso che non è.
Nella storia raccontata da Martino Ciano il protagonista brinda all'assunzione e al primo stipendio, lui pensava che il lavoro in fabbrica lo avrebbe sottratto alla povertà. Marselo era stato assunto come addetto al reparto pasta. "La campanella gracchiava. Era finito il turno."
"In vita non si è né eroe, né padrone" sembra una cronaca, un vero reportage sullo stato del lavoro in questi giorni, il romanzo di Martino, se lui non avesse premesso che no, non è così, bensì una sua immaginazione.
Noi però non possiamo più immaginare, la realtà supera qualsiasi distopia immaginata, così ci troviamo a leggere quello che ci passa davanti nella tristezza di un quotidiano ridotto e desertico.
C'è una cosa desolante a cui sembra nessuno riuscirà a trovare soluzione, in questo andirivieni storico ed è proprio la mancanza di relazioni, ed è il potere di riunire e di raccogliere sotto una idea per cui lottare "d'un volgo disperso che voce non ha"
Colpaca esiste nelle nostre città.
Zeig di Martino Ciano
Ippolita Luzzo
Martino Ciano lavora presso l’emittente televisiva Rete3Digiesse, scrive racconti e collabora con Satisfiction, Gli amanti dei libri, la rivista letteraria Euterpe e il blog Zona di disagio
domenica 14 ottobre 2018
Da Malatimpa a Timpamara: Il piacere del testo
Se lo immagino esiste.
Siamo in ascolto della genesi del nuovo romanzo di Domenico Dara, questa mattina al Marca, durante il Festival delle parole erranti, organizzato dalla Masnada per la prima volta a Catanzaro.
Più che genesi è gestazione, siamo a metà dell'opera, ci dice Domenico, mentre racconta come sia nata e come sia cresciuta in lui l'idea del racconto in fieri.
A Pietrasanta c'è un Festival dove si parla di libri in uscita, quali saranno i prossimi libri, e si invitano gli autori a raccontare "in corso d'opera" come nascono i libri.
Ciò che prova a fare Domenico stamani, mentre il libro è in crescita, ed è una cosa curiosa ed un po' impudica per noi spettatori impicciarsi quasi di un momento creativo.
Appare sul PC intanto il primo titolo del libro "Il teorema di Malinverno"e il primo probabile incipit "Che passino i filosofi la vita a spremersi cervedda e cervedduzzu..." il vero mistero è la vita e non la morte.
La morte è solo il pretesto per parlare della vita, del filo sottile e fragile che può essere interrotto con un refolo di vento, con una alluvione di poche ore.
"Girifalco era delimitato a nord dal manicomio e a sud dal cimitero" Girifalco il luogo delle possibilità, ci aveva detto già Domenico, prima di invitarci in questa nuova costruzione abitativa dove vive un bibliotecario che di mattina svolge la mansione di guardiano del cimitero.
Un bibliotecario addirittura esistente, esistenza scoperta dopo la sua nascita come personaggio, un vero guardiano di un cimitero lucano.
Nel nuovo luogo, chiamato da Malatimpa a Timpamara, vivono ossessioni, ognuno ha la sua ossessione, e tutte le ossessioni, a loro volta, girano intorno ad una, un unicum, che avvolge lo scrittore, gli scrittori, il personaggio, i personaggi.
Ogni storia ha la sua ossessione e il suo linguaggio, sembra dirci Astolfo Malamura, il bibliotecario e guardiano del luogo, l'io narrante, il tramite, il messaggero, fra noi e il testo.
Astolfo cerca ciò che si è perso sulla terra, da Ariosto, Astolfo è un visionario e un uomo che resta indietro. Come lui tutti gli abitanti sono, o hanno, nomi dei personaggi letterari. Dalla nascita.
Si scopre, anche qui dopo averlo immaginato, che esiste un paese a Macerata, Piòraco, in cui gli abitanti hanno nomi stravaganti, nomi dalla letteratura e dalle arti, come Mercedes, da Dumas, nel Conte di Montecristo.
In questo luogo, inventato da Domenico, la commistione fra vero e immaginato si invera, nel macero immenso dove scompaiono libri e volano sciami, stormi, sui secchi di spazzatura, sulle riviste, sull'immenso cartaceo intorno. Sparisce tutto e allora si prova ad imparare fogli a memoria, io prendo appunti, ringrazio Piero, l'amico di Domenico, che porgendogli un foglio di giornale, con un articolo, ha fatto virare la storia, vissuta in una città letteraria. Nel mondo della letteratura la concezione animistica vive e si incontra, i libri hanno vita, i personaggi si innamorano tra di loro come succederà a Don Chisciotte ed Emma Bovary, e intanto scopriamo che non si nasce quando ci tagliano il cordone ma quando intuiamo di vivere.
"Quando io nacqui avevo 12 anni, cinque mesi e centosessantaquattro ore" nel passaggio dalla terza alla prima persona del nuovo incipit del romanzo noi tendiamo una mano a Roland Barthes "Lui scrisse un piccolo libro che potrebbe essere l’insegna di tutta l'opera: Le plaisir du texte, Il piacere del testo.
"Il testo che tu scrivi deve fornirmi la prova che mi desidera. Questa prova esiste: è la scrittura. La scrittura è questo: la scienza dei godimenti del linguaggio, il suo kamasutra." Era il 1972. Nei Nuovi saggi critici, Roland Barthes scrive un libro su se stesso, è dedicato alla «scienza dell’agio dei godimenti del linguaggio». Il segreto dell’inaudita libertà di cui sembra godere, è tutto qui."
Nella libertà di scrittura e lettura di poter spaziare nel grande paese della letteratura dove "non esiste la morte", citazione mia, dal regno della Litweb: Se lo immagino esiste.
Ippolita Luzzo
Siamo in ascolto della genesi del nuovo romanzo di Domenico Dara, questa mattina al Marca, durante il Festival delle parole erranti, organizzato dalla Masnada per la prima volta a Catanzaro.
Più che genesi è gestazione, siamo a metà dell'opera, ci dice Domenico, mentre racconta come sia nata e come sia cresciuta in lui l'idea del racconto in fieri.
A Pietrasanta c'è un Festival dove si parla di libri in uscita, quali saranno i prossimi libri, e si invitano gli autori a raccontare "in corso d'opera" come nascono i libri.
Ciò che prova a fare Domenico stamani, mentre il libro è in crescita, ed è una cosa curiosa ed un po' impudica per noi spettatori impicciarsi quasi di un momento creativo.
Appare sul PC intanto il primo titolo del libro "Il teorema di Malinverno"e il primo probabile incipit "Che passino i filosofi la vita a spremersi cervedda e cervedduzzu..." il vero mistero è la vita e non la morte.
La morte è solo il pretesto per parlare della vita, del filo sottile e fragile che può essere interrotto con un refolo di vento, con una alluvione di poche ore.
"Girifalco era delimitato a nord dal manicomio e a sud dal cimitero" Girifalco il luogo delle possibilità, ci aveva detto già Domenico, prima di invitarci in questa nuova costruzione abitativa dove vive un bibliotecario che di mattina svolge la mansione di guardiano del cimitero.
Un bibliotecario addirittura esistente, esistenza scoperta dopo la sua nascita come personaggio, un vero guardiano di un cimitero lucano.
Nel nuovo luogo, chiamato da Malatimpa a Timpamara, vivono ossessioni, ognuno ha la sua ossessione, e tutte le ossessioni, a loro volta, girano intorno ad una, un unicum, che avvolge lo scrittore, gli scrittori, il personaggio, i personaggi.
Ogni storia ha la sua ossessione e il suo linguaggio, sembra dirci Astolfo Malamura, il bibliotecario e guardiano del luogo, l'io narrante, il tramite, il messaggero, fra noi e il testo.
Astolfo cerca ciò che si è perso sulla terra, da Ariosto, Astolfo è un visionario e un uomo che resta indietro. Come lui tutti gli abitanti sono, o hanno, nomi dei personaggi letterari. Dalla nascita.
Si scopre, anche qui dopo averlo immaginato, che esiste un paese a Macerata, Piòraco, in cui gli abitanti hanno nomi stravaganti, nomi dalla letteratura e dalle arti, come Mercedes, da Dumas, nel Conte di Montecristo.
In questo luogo, inventato da Domenico, la commistione fra vero e immaginato si invera, nel macero immenso dove scompaiono libri e volano sciami, stormi, sui secchi di spazzatura, sulle riviste, sull'immenso cartaceo intorno. Sparisce tutto e allora si prova ad imparare fogli a memoria, io prendo appunti, ringrazio Piero, l'amico di Domenico, che porgendogli un foglio di giornale, con un articolo, ha fatto virare la storia, vissuta in una città letteraria. Nel mondo della letteratura la concezione animistica vive e si incontra, i libri hanno vita, i personaggi si innamorano tra di loro come succederà a Don Chisciotte ed Emma Bovary, e intanto scopriamo che non si nasce quando ci tagliano il cordone ma quando intuiamo di vivere.
"Quando io nacqui avevo 12 anni, cinque mesi e centosessantaquattro ore" nel passaggio dalla terza alla prima persona del nuovo incipit del romanzo noi tendiamo una mano a Roland Barthes "Lui scrisse un piccolo libro che potrebbe essere l’insegna di tutta l'opera: Le plaisir du texte, Il piacere del testo.
"Il testo che tu scrivi deve fornirmi la prova che mi desidera. Questa prova esiste: è la scrittura. La scrittura è questo: la scienza dei godimenti del linguaggio, il suo kamasutra." Era il 1972. Nei Nuovi saggi critici, Roland Barthes scrive un libro su se stesso, è dedicato alla «scienza dell’agio dei godimenti del linguaggio». Il segreto dell’inaudita libertà di cui sembra godere, è tutto qui."
Nella libertà di scrittura e lettura di poter spaziare nel grande paese della letteratura dove "non esiste la morte", citazione mia, dal regno della Litweb: Se lo immagino esiste.
Ippolita Luzzo
venerdì 12 ottobre 2018
Emanuela Cocco Tu che eri ogni ragazza
"Noi che rimaniamo,noi che veniamo dopo, dobbiamo fare i conti anche con questo. Gli oggetti ci sopravvivono e ci tradiscono, vivono con noi relazioni promiscue, mercenarie, abbiamo la sensazione che ci appartengano, costruiamo per loro una vita segreta che ci riguarda, ci proiettiamo insieme a loro in altri spazi, in altri momenti, siamo loro inutilmente fedeli, a volte crediamo di essere visti e riconosciuti da loro , figuriamo la loro permanenza oltre noi come una testimonianza di quello che siamo stati.
Non è così:le cose ci ignorano"
Quanto è grande questo fuori-
"Nella grande libreria di fronte si sfogliano libri, si portano avanti e indietro i bagagli tra un corridoio e l'altro.Qualcuno esce con i sacchetti d carta rigida piena di volumi. Molti si allontanano senza aver comprato nulla. Tutto mi passa dentro e se ne va, non è importante. A parte le tue scarpe. le guardo senza disperazione e senza scopo. Sono dentro i miei occhi... la sola cosa immobile stamattina alla stazione"
Un uomo in stazione vede passare le scarpe della figlia ai piedi di un'altra ragazza. La figlia è stata uccisa e lui sa che nessuno verrà risparmiato. Nella grande scoperta che comunica alla moglie c'è questa terribile consapevolezza. Nessuno di noi verrà risparmiato e finché non si prova il dolore noi siamo ciechi al dolore altrui, pensiamo che non esista. Il dolore che capiamo solo quando ci appartiene.
"Riguarda anche noi. Questa è la grande scoperta"
"Votate pietà" Scrive Emanuela Cocco alla fine di alcuni dialoghi presenti nel libro come quadri scenici a sé stanti, in una immaginaria rappresentazione teatrale. Ed applausi noi facciamo chiudendo il libro, dopo aver messo tante orecchiette, e dopo aver deciso che non potevo ricopiarvi qui tutto ciò che mi sembrava da riportare.
Vi avrei quasi ricopiato moltissimo del libro!
Invece vorrei che leggeste questo racconto con l'attenzione e la cura che l'autrice ha messo nel delineare le situazioni, nel tratteggiare violenza e pietà, i due moti dell'animo su cui ondeggia confusa la nostra società odierna insieme ai nostri comportamenti contraddittori.
"C'erano solo i fatti, nessuna storia"
Dopo calci, pugni e offese, sembra che si debba, dovere imperativo, capire che "Dentro è diventato fuori" e che bisogna, come bisogno primario, votare pietà.
Leggere questo libro nelle classi degli istituti superiori, leggerlo dappertutto, significherà dare un vero momento di consapevolezza, mi piace ripetere la parola, significherà riconoscere ancora alla lettura quel grande compito di essere la coscienza militante di un'epoca.
Viviamo, come sempre nella storia degli uomini, una grande fluidità di situazioni, alcune che sembrano comodissime, come i supermercati, e poi si rivelano mostruosità.
Viviamo dunque fra mostruosità e causiamo sofferenza e la subiamo, con un ritmo discontinuo.
Ed è questo ritmo discontinuo che viene intercettato da Emanuela, quel chiedere di "Prendete in considerazione il mio dolore, se non altro perché questo dolore che mi è piombato addosso, questo qui, è migliore del vostro, perché è mio."
Nel regno della Litweb noi questo facciamo, ringraziando Emanuela e il suo lavoro:"Noi che rimaniamo, noi che veniamo dopo, dobbiamo fare i conti anche con questo"
Ippolita Luzzo
Non è così:le cose ci ignorano"
Quanto è grande questo fuori-
"Nella grande libreria di fronte si sfogliano libri, si portano avanti e indietro i bagagli tra un corridoio e l'altro.Qualcuno esce con i sacchetti d carta rigida piena di volumi. Molti si allontanano senza aver comprato nulla. Tutto mi passa dentro e se ne va, non è importante. A parte le tue scarpe. le guardo senza disperazione e senza scopo. Sono dentro i miei occhi... la sola cosa immobile stamattina alla stazione"
Un uomo in stazione vede passare le scarpe della figlia ai piedi di un'altra ragazza. La figlia è stata uccisa e lui sa che nessuno verrà risparmiato. Nella grande scoperta che comunica alla moglie c'è questa terribile consapevolezza. Nessuno di noi verrà risparmiato e finché non si prova il dolore noi siamo ciechi al dolore altrui, pensiamo che non esista. Il dolore che capiamo solo quando ci appartiene.
"Riguarda anche noi. Questa è la grande scoperta"
"Votate pietà" Scrive Emanuela Cocco alla fine di alcuni dialoghi presenti nel libro come quadri scenici a sé stanti, in una immaginaria rappresentazione teatrale. Ed applausi noi facciamo chiudendo il libro, dopo aver messo tante orecchiette, e dopo aver deciso che non potevo ricopiarvi qui tutto ciò che mi sembrava da riportare.
Vi avrei quasi ricopiato moltissimo del libro!
Invece vorrei che leggeste questo racconto con l'attenzione e la cura che l'autrice ha messo nel delineare le situazioni, nel tratteggiare violenza e pietà, i due moti dell'animo su cui ondeggia confusa la nostra società odierna insieme ai nostri comportamenti contraddittori.
"C'erano solo i fatti, nessuna storia"
Dopo calci, pugni e offese, sembra che si debba, dovere imperativo, capire che "Dentro è diventato fuori" e che bisogna, come bisogno primario, votare pietà.
Leggere questo libro nelle classi degli istituti superiori, leggerlo dappertutto, significherà dare un vero momento di consapevolezza, mi piace ripetere la parola, significherà riconoscere ancora alla lettura quel grande compito di essere la coscienza militante di un'epoca.
Viviamo, come sempre nella storia degli uomini, una grande fluidità di situazioni, alcune che sembrano comodissime, come i supermercati, e poi si rivelano mostruosità.
Viviamo dunque fra mostruosità e causiamo sofferenza e la subiamo, con un ritmo discontinuo.
Ed è questo ritmo discontinuo che viene intercettato da Emanuela, quel chiedere di "Prendete in considerazione il mio dolore, se non altro perché questo dolore che mi è piombato addosso, questo qui, è migliore del vostro, perché è mio."
Nel regno della Litweb noi questo facciamo, ringraziando Emanuela e il suo lavoro:"Noi che rimaniamo, noi che veniamo dopo, dobbiamo fare i conti anche con questo"
Ippolita Luzzo
giovedì 11 ottobre 2018
Dove si guarda è quello che siamo - Giovanna Casadio
"... Non finisce", scrissi nell'estate degli anni settanta, come impegno e come augurio, su quel biglietto a Giovanna ai suoi diciotto anni, e "... non finisce" mi riscrive lei nella nostra scommessa vinta all'alba dell'autunno del 2018.
Mi sembra già questa una trama bellissima per amare e accompagnare il viaggio di Giovanna a Trapani "Dove si guarda è quello che siamo"
Mi arriva come regalo di compleanno, almeno a me piace pensarlo così, mi arriva con una riflessione sul numero 13, da noi considerato un numero fortunato, mentre sembra non sia così nel resto d'Italia.
"Le regole del luogo" A pagina 13 Giovanna ci scrive del numero tredici. Un numero che ci unisce, facciamo entrambe il compleanno il giorno tredici. Abbiamo o avevamo medaglietta con il numero 13, come a Trapani, e ci sentiamo molto protette dal tredici, come viaggio e ritorno nella stessa direzione.
La collana della EDT che pubblica questo libro si chiama Allacarta, una collana di scrittori che raccontano un luogo come se fosse cibo, con un cibo. Vi trovo un amico, Alessio Romano, di cui ho scritto su "D'amore e baccalà" dedicato a Lisbona.
Da Lisbona a Trapani.
A Trapani: La condizione umana di vivere in luoghi bellissimi, fatti di trine, di saline, di coralli, di gelsomini, e dover convivere con la mafia, con la falsità e la prepotenza, con la manomissione delle parole.
" E davvero bisogna ritornare sui passi già dati. Bisogna vedere di notte quello che hai osservato di giorno, d'autunno quanto hai trascurato in estate" ritorno su queste frasi di Giovanna e su quell'estate del nostro liceo, dei nostri studi, della grande illusione che ci sorregge in autunno. "D'autunno, improvviso e sorprendente, il vento di tramontana s'intrufola sotto le vesti, fischia nelle orecchie e ingrossa il mare soprattutto là dove le mura spagnole , le mura di tramontana, fanno scudo"
Mi sembra di vederle queste mura, e mi sembra di vederli i venti: il maestrale, il grecale, le raffiche di libeccio, la tramontana, mi sembra di sentirli soffiare anche ora.
Come in "Soffia il vento, infuria la bufera" il canto dei popoli oppressi verso l'avvenire di giustizia sociale.
Nella Trapani delle mura spagnole, nella Trapani del barocco, i frutti finti regalati nel giorno dei morti. Frutti fatti di pasta di mandorla, dolcissima sensazione, nel "Carnevale della vita. Mascariari l'assenza."
Leggendo Giovanna imparo che "cosca è semplicemente la corona di foglie di carciofo, come diceva Leonardo Sciascia."
Seguendo le contaminazioni fra cibo e politica, fra cibo e modo di essere, quando la fame era fame, nei catoi del Casalicchio, si racconta che vivesse la madre di San Pietro, donna perfida. Da una minestra di cavolofiore capiamo tante cose.. Donna condannata alle pene infernali dopo morta, leggendo noi plaudiamo quasi alla punizione verso la cattiveria e l'avarizia quando la foglia del cavolo si slabbra nella risalita verso il Purgatorio, e fa precipitare la madre di San Pietro di nuovo nell'inferno. Se ci si salva ci si salva insieme, sembra la morale della storia.
I gelsi, la ventresca e la bottarga, il cùs cus, l'odore e il sapore della vita intensa, fatta da una "tramontana che entra sotto i vestiti alle mura"
Conosco ogni frase scritta in queste pagine, sono state le frasi del nostro quotidiano esserci, e riesco ad andare a memoria su una Trapani che conoscerete ora dalle pagine di un delizioso atto d'amore, un luogo dell'anima, di ciò che ognuno pensa e vorrebbe dire del suo paese.
Nella dolce cura dei termini, nella limpidezza della narrazione, stanno le mura di difesa ai venti crudeli che sembra soffino impetuosi, dall'estate all'autunno del 2018.
Continuando... non finisce
Ippolita Luzzo
Mi sembra già questa una trama bellissima per amare e accompagnare il viaggio di Giovanna a Trapani "Dove si guarda è quello che siamo"
Mi arriva come regalo di compleanno, almeno a me piace pensarlo così, mi arriva con una riflessione sul numero 13, da noi considerato un numero fortunato, mentre sembra non sia così nel resto d'Italia.
"Le regole del luogo" A pagina 13 Giovanna ci scrive del numero tredici. Un numero che ci unisce, facciamo entrambe il compleanno il giorno tredici. Abbiamo o avevamo medaglietta con il numero 13, come a Trapani, e ci sentiamo molto protette dal tredici, come viaggio e ritorno nella stessa direzione.
La collana della EDT che pubblica questo libro si chiama Allacarta, una collana di scrittori che raccontano un luogo come se fosse cibo, con un cibo. Vi trovo un amico, Alessio Romano, di cui ho scritto su "D'amore e baccalà" dedicato a Lisbona.
Da Lisbona a Trapani.
A Trapani: La condizione umana di vivere in luoghi bellissimi, fatti di trine, di saline, di coralli, di gelsomini, e dover convivere con la mafia, con la falsità e la prepotenza, con la manomissione delle parole.
" E davvero bisogna ritornare sui passi già dati. Bisogna vedere di notte quello che hai osservato di giorno, d'autunno quanto hai trascurato in estate" ritorno su queste frasi di Giovanna e su quell'estate del nostro liceo, dei nostri studi, della grande illusione che ci sorregge in autunno. "D'autunno, improvviso e sorprendente, il vento di tramontana s'intrufola sotto le vesti, fischia nelle orecchie e ingrossa il mare soprattutto là dove le mura spagnole , le mura di tramontana, fanno scudo"
Mi sembra di vederle queste mura, e mi sembra di vederli i venti: il maestrale, il grecale, le raffiche di libeccio, la tramontana, mi sembra di sentirli soffiare anche ora.
Come in "Soffia il vento, infuria la bufera" il canto dei popoli oppressi verso l'avvenire di giustizia sociale.
Nella Trapani delle mura spagnole, nella Trapani del barocco, i frutti finti regalati nel giorno dei morti. Frutti fatti di pasta di mandorla, dolcissima sensazione, nel "Carnevale della vita. Mascariari l'assenza."
Leggendo Giovanna imparo che "cosca è semplicemente la corona di foglie di carciofo, come diceva Leonardo Sciascia."
Seguendo le contaminazioni fra cibo e politica, fra cibo e modo di essere, quando la fame era fame, nei catoi del Casalicchio, si racconta che vivesse la madre di San Pietro, donna perfida. Da una minestra di cavolofiore capiamo tante cose.. Donna condannata alle pene infernali dopo morta, leggendo noi plaudiamo quasi alla punizione verso la cattiveria e l'avarizia quando la foglia del cavolo si slabbra nella risalita verso il Purgatorio, e fa precipitare la madre di San Pietro di nuovo nell'inferno. Se ci si salva ci si salva insieme, sembra la morale della storia.
I gelsi, la ventresca e la bottarga, il cùs cus, l'odore e il sapore della vita intensa, fatta da una "tramontana che entra sotto i vestiti alle mura"
Conosco ogni frase scritta in queste pagine, sono state le frasi del nostro quotidiano esserci, e riesco ad andare a memoria su una Trapani che conoscerete ora dalle pagine di un delizioso atto d'amore, un luogo dell'anima, di ciò che ognuno pensa e vorrebbe dire del suo paese.
Nella dolce cura dei termini, nella limpidezza della narrazione, stanno le mura di difesa ai venti crudeli che sembra soffino impetuosi, dall'estate all'autunno del 2018.
Continuando... non finisce
Ippolita Luzzo
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