mercoledì 26 ottobre 2016

Faceboom: La solitudine fa boom

Leggo le 18 storie di vite incatenate al tempo del nulla e rimango
una volta di più a chiedermi il perché. Fiat... Voluntas Dei mi viene da aggiungere a quel Fiat iniziale della prima storia che rimanda alla nota fabbrica automobilistica dove il protagonista, Totò da Messina, era andato a lavorare alla catena di montaggio.
"Tranquillamente erano trascorsi sessanta anni " Si era sposato con Anna e ora si trovava in ospedale ad aspettare un referto. Una notizia. Risposta non c'è. A nessuno. Nemmeno alla moglie Anna, brava sarta della Torino bene,  protagonista di "Forbici" e straziata, presa a forbiciate, da sua nipote, da Lucia, che rifiuta l'abito da sposa da lei confezionato.
Risposta non c'è se non l'urlo di disperazione e seguiamo in "Conchiglie" Raffaele, il fratello autistico di Lucia, raccogliere sassolini, tanti sassolini da lanciare contro il vetro della finestra, contro lo specchio, per mandare in frantumi ogni cosa.
Si frantuma in questo libro ogni cosa, esistenze e significati, si frantuma un lessico che mette ansia e disperazione, un lessico amaro senza indulgenza. 
Boom, tutto esplode o implode, tutto non ha significato, sia che esista o non esista un social che sta da sfondo, come momento ludico o almeno dovrebbe esserlo ed invece appare come altra gabbia. 
Faceboom è la storia numero 18 del libro e lei, la donna, sta lì a caricare e scaricare fotografie da mettere come profilo, per vantarsi di essere una organizzatrice di eventi, una che conosce il mondo dei VIP.
Nella solitudine amara, amarissima, di un mondo grigio di una caligine senza affetti, senza un atto di altruismo, sembra che guardare la propria immagine, il proprio ombelico del mondo, cantava Jovanotti, possa essere l'atteggiamento compulsivo di malati di aridità, di disperazione. 
Paola Bottero, autrice di Faceboom, mi dice quanti di questi personaggi, che vivono fra le pagine, esistano, quanto siano reali ed io non ho dubbi, così come non ho dubbi sul fatto che possano essere trasposti su uno schermo televisivo come una serie. 
Ma è questo quel mondo? alla maniera di Leopardi me lo domando . Mi domando, dalle mie giornate minimali fatte di letture e di visite giornaliere ai miei familiari, se il mondo abbia fatto boom. Abbia intercettato la via della dissoluzione dell'affetto e della ricordanza e si sia avviato verso il baratro del non salutarsi, del non cercarsi, del vanificare ogni giorno, ogni anno che passa. 
Mi richiama, in questi giorni una amica che non mi ha parlato un intero anno e in questo anno si è tolta dal mio regno, mi ha tolto dal suo profilo e a chi le domandava il motivo adduceva una mia supposta, da lei, gelosia. 
Ora mi richiama ed io rispondo educata e felice che le sue nubi si siano dissolte, che veda chiaro dove prima vedeva caligine e che, social o non social, gli esseri umani esistono, malgrado i tempi difficili. Sono sempre felice delle lucciole della comprensione e per questo Faceboom non mi avrà, chiudo io augurante questa mia lettura su un libro che propone spunti amarissimi di riflessione. 
Facciamo esplodere in mille frantumi la solitudine e aspettiamo l'anno che verrà...
Finisce così il libro con una mezzanotte di capodanno. Fiat voluntas mea...      

Non finisce... da un mio post





Non finisce.

Scrissi proprio così nei lontanissimi e vicinissimi sul bigliettino di auguri per i suoi diciotto anni.

Non finisce.

Le avevamo regalato un orologio, tutti i compagni di classe, lei andava via e io dovevo scrivere una frase per tutti.

Non finisce. Scrissi.

Non finisce proprio che tu te ne vada, che tu non faccia più parte della mia vita. Non finisce proprio il nostro studiare, Fortini e Sereni, non finisce il leggere passeggiare e discutere su quel film, su un comizio, su un giornale. Non finisce il credere possibile il sogno di un mondo giusto, pulito, affettuoso, senza menzogna, senza ossessioni.

Non finisce. Perché se finisse sarebbe una morte, quella terribile del vivere senza avere un motivo. L'intransigenza dei diciotto anni. La grande illusione che ci siano il bene e il male e che si possa e si debba scegliere su quale binario mettere il treno della nostra stupida vita.

Abbiamo tutti rimproverato ai nostri genitori quello che loro hanno accettato, compromessi, silenzi, rassegnazione. Noi avremmo fatto diverso. Mi sembra che abbiamo fatto di peggio. Ed ora do veramente ragione a tanti ragazzi che continuano a volere un mondo scevro da intrallazzi e menzogne. Un mondo pulito...

Vero Martina?  Alle tante Martina che noi siamo state.

Ippolita Luzzo 


Libriamoci al Liceo Campanella

 Grandi momenti in Libriamoci: Ieri oggi e domani 

Ieri con Antonio Saffioti e la sua testimonianza "Chi ci capisce è bravo", accludo in fondo link dove ne scrivo, oggi Tiziana Calabrò, dal suo blog al mondo dei libri con "La Medaglia del Rovescio" e domani i pezzi della Litweb Marchio Depositato
"Abbiamo fatto 250 foto" dicono le allieve alla prof al termine della giornata e lei molto professionale commenta "Beh, sceglietene una decina"
Una giornata lunghissima che si è protratta oltre le 13,00 con gli alunni attenti e partecipi. 
Nel presentare Tiziana Calabrò, Michela Cimmino ha parlato di una donna innamorata della scrittura e del volo, ed insieme a lei si è ritrovata nei momenti della sua infanzia quando volava nel cielo infinito, come Modugno. Ho quasi sentito Modugno cantare Volare nell'Auditorium.
Voliamo, dunque con "la contentezza adolescenziale" di Tiziana, Voliamo per acquisire una visione della vita
Voliamo per un bisogno di comunicazione. 
Nel mentre voliamo sceglieremo i nostri punti di riferimento, sta dicendo Tiziana agli adolescenti, sceglieremo i maestri, che ci aiuteranno a riconoscere la bellezza della vita e ci aiuteranno anche a trovare da noi una visione della vita, della nostra vita. 
La Medaglia del Rovescio nasce 4 anni fa, nasce come blog, come momenti che diventano energia. 
Le nonne, Nonna Ines e Nonna Bianca che la chiama con un nome unico solo per lei, Tizianedda, e nel dare un nome unico compie un atto d'amore. 
Le nonne diventano il fulcro degli interventi.
Nadia ci racconta che non ha mai conosciuto le nonne, e sull'affettività e sulle connessioni il racconto ci emoziona con Carmen che chiede, prima di leggere un brano sulle ultime volontà di una nonna, tre minuti di silenzio, di raccoglimento, non che fossimo distratti in realtà, lei lo chiede solo per condurci in un momento sacrale dell'attenzione alla vita. 
Le domande di Martina, Francesca, Roberta, la richiesta di Federica, di rispettare la domenica il pranzo domenicale con la famiglia, di chiedere a gran voce che si chiudano gli esercizi commerciali e che ci sia un giorno dedicato agli affetti, vengono conservati nel mio foglio.
Ed il pudore degli affetti, della sfera intima, del rispetto e della consapevolezza di essere persone innamorate della vita, della bellezza, si ferma sul diario di tanti. 
Nel mentre la conversazione spazia e raggiunge il canto nella canzone di Battiato "Caliti junku" canzone che in classe stanno studiando. 
Che farò senza Euridice, dove andrò senza il mio bene...
che farò, dove andrò, che farò senza il mio bene.
Per aspera ad Astra, 
le asperità conducono alle Stelle.
Un antico detto, cinese o tibetano, forse arabo-siciliano, dice così:
Caliti junku 'ca passa la China, 
caliti junku, da sira 'a matina  
Michela canta e spiega ai ragazzi che dopo la piena la canna si rialza e così sarà sempre se ognuno di noi saprà rialzarsi con l'ironia e la bellezza che ci appartiene. Grandi Momenti al Liceo Campanella.   

ps http://trollipp.blogspot.it/2016/08/antonio-saffioti-chi-ci-capisce-e-bravo.html

La ballata Dei Giorni Della Pioggia di Maria Caterina Prezioso

La farfalla, i Gormiti, Angelo, Sara e Marlene Dietrich, gli ebrei e la guerra, la scomparsa dei genitori. 
Due i personaggi nel libro. Uno si rivolge all'altra con: fa’ attenzione ai particolari, anche ai più insignificanti.
I due personaggi si incontrano su un autobus complice una farfalla e la storia si forma man mano che scorre nel dualismo di esistenze che si pensano con stima." Gentile mi ha insegnato a giocare delle buone partite. Questo non significa vincere sempre. Anzi, un buon giocatore sa che occorre a volte lasciare il tavolo da gioco a tasche vuote. Non aver nulla da perdere fa, di un buon giocatore, a suo modo un vincente. Mi sarà difficile fare a meno di lui"
Maria Caterina Prezioso fa dire alla protagonista del suo ultimo romanzo: "Mi è stata diagnosticata una malattia rarissima, non la mancanza di fedeltà, non il desiderio di vendetta rivoluzionaria, ma un coerente, spasmodico desiderio di legalità." Lei è appena entrata nella Pubblica Amministrazione.
"Un desiderio allo stadio terminale della malattia. Una legalità giustizionalista che toglie il sonno non al malato, ma a chi lo ha in cura."
Sperlonga, 8 settembre 2012, scontri e contusi... leggiamo  articoli di giornali, e intanto la storia ci riporta la Torah "Alla fine di ogni sette anni celebrerete l’anno di remissione."  

"Diventare grandi non significa rinunciare ai propri sogni.
Diventare grandi non significa neppure tramutare i propri sogni
in realtà, non sempre ci si riesce. Diventare grandi significa
forse insegnare agli altri a credere nei propri sogni, significa
forse dare una mano agli altri a scoprire quanti sogni hanno
sepolto sotto un albero del giardino incantato. Significa forse
scrivere storie.
La verità non è sempre così dolorosa come ci sembra. La
verità non è sempre così immodificabile come ci appare. Presto
apriremo una nuova stagione e sarà diversa da tutte le altre
che l’hanno preceduta. Sarà una stagione dove avverranno
strani prodigi e il sorriso tornerà a brillare sulle labbra. Sarà
una stagione particolarmente bella dove le parole si intrecceranno per raccontare storie nuove ad altri che verranno."

Due i personaggi del libro, un uomo e una donna: L'uomo si chiama Gentile, il magistrato che ha a cuore quella che è la giustizia incoerente, affermando "l’esistenza di un d’altra parte, di un ciononostante che reclamava, se pure ombra, visibilità e gratitudine dalla presunta assunzione di verità."
Gentile e poi lei, la donna, che si rende ben presto conto di esser di troppo in quell'ufficio "Ho una settimana di tempo per levarmi dai piedi, trovare un altro posto, sparire dalla loro visuale perché quadrata e perché non possiedo lo spirito di gruppo.
– Quale gruppo? Non mi è stata data risposta alcuna. Allora ho pensato velocemente. All'improvviso mi è venuto in mente Gentile. Non quello che  avrebbe fatto Gentile in questo caso. No mi è venuto in mente semplicemente Gentile, e basta."
Nel libro scritto con tensione passa la storia ultima di questi anni, la storia della dottoressa alle prese con i Gormiti, i nuovi Capi, passa la storia che si  sovrappone alla storia dell'altro, una storia dove lo studio diventa il riscatto e la  giustizia.  
Il libro esce oggi in libreria.

martedì 25 ottobre 2016

Briciole dai piccioni di Alessandro Turati

La Posta mi sorprende e mi viene consegnata durante Libriamoci,
manifestazione al Liceo Campanella, dove questo anno partecipo con Litweb Marchio Depositato.
Scollo il piego libro e strappo il secondo involucro di carta con impazienza.
Lo guardo incuriosita e appena a casa mi metto a leggere: Briciole dai Piccioni.
"Mi chiamo Alessio Valentino e ho trentaquattro anni e nella mia vita non ho mai consegnato il cappotto a un guardarobiere: sono povero e me lo tengo al braccio." 
"Non ho un lavoro ma ho ancora 900 euro dall'ultima liquidazione e quindi guardo la TV quanto mi pare."
"Con il perpetuarsi della crisi, arriverà il giorno in cui saranno i piccioni a darci le briciole."
"Ogni tanto leggo ancora un libro"
Mi sembra di risentire un mio amico geniale, che ragionava come il personaggio, e mi piace molto averlo incontrato nelle pagine del libro, dopo tanto tempo che non ho più sue notizie.
"Forse sono depresso"
"Dici?" 
"è una ipotesi"
"Sai cosa ti farebbe stare meglio? Fare volontariato, aiutare il prossimo. Occuparsi degli altri fa stare bene"
"Io li odio, gli altri"
"Perché?"
"Non lo so"
Sembrano i miei dialoghi con un lui, di qualche anno più grande del protagonista, e mi ritrovo a sorridere, a ridere di noi, del nostro essere così.
Leggo questo libro di Alessandro Turati al sole caldo di ottobre.
Mi lascio condurre nella storia scritta con ritmo. Frasi a volte corte, spiazzanti. Mi ritrovo a pensare che il protagonista sia affetto da problemi di percezione e mi insospettisco sul suo malessere. 
Cerco di trovare le prove. 
Vi interesserà leggerlo, io credo, e continuo la lettura al sole. 
Mi piace molto fare la madrina di esordi che arrivano in libreria e passano prima  da casa mia per aver un mio abbraccio, un augurio amicale. Mi piace quando posso scrivere che rileggerò ancora questa bella storia, scritta senza avverbi, evviva, senza frasi fatte, senza tortuosità, scritta in modo pulito, in un modo di cui vi innamorerete.
"Ho una coccinella sulla punta del naso. Incrocio gli occhi e mi sembra di vederla con il destro. Per vederla con l'occhio sinistro devo chiudere il destro. Il destro è l'occhio che comanda mentre il sinistro è di supporto. Detto questo, detto niente"
Io sono astigmatica da poco, ed essendo miope da sempre ora leggo alternando un occhio chiuso e l'altro aperto, però mi sento tanto quella coccinella che vuole leggere e non importa come, pur di leggere bei libri.
E vi innamorerete di questo racconto come io mi sono innamorata del ragazzo che, ricevuto per Natale in regalo il veliero, vorrebbe provarlo nel bagno, o almeno nella vasca da bagno e per tutta risposta vedrà il veliero chiuso in una teca. Il veliero diventerà intoccabile, come intoccabile sembra sia destinata ad essere ogni felicità.
Dall'egoismo smisurato degli adulti alla grande generosità dell'immaginazione che auguro sempre così scoppiettante all'autore di questo delizioso romanzo.  
Ippolita Luzzo
  



venerdì 21 ottobre 2016

Non ti parlo. Non mi parla. Sappiate che non mi interessa più

Indietro tutta.
Come scrivevo prima dell'avvento del regno della Litweb

13 Marzo 2010

Professoressa, non mi parla. 
No, è lui che non mi parla 
Ribatteva il compagno di banco.
Non mi parla ed io non lo parlo.
Si susseguono così le ore di lezione nel mio primo anno di ruolo nella scuola media.
Io, ignara o dimentica di dinamiche, non prendevo posizione, incerta e confusa agivo, secondo me, con buon senso, cercando malamente di  arginare le urla, il vociare, i dispetti che i miei piccoli alunni si facevano l’un l’altro.
A volte, stanca di tutto quel baccano, demoralizzata, alzavo la voce ed era la fine della lezione, gli alunni, invece di calmarsi riprendevano con più veemenza protestando le loro  rivendicazioni. Chiedevo consigli ai colleghi più esperti.
-Non si parlano- dicevo.
I maschi risolvevano con l’autorità, con il potere, con il timore, le donne, materne, con la comprensione, con le favole, mi consigliavano di cercare di distrarre quei piccoli esseri portandoli verso il regno della fantasia e dell’immaginazione.
Seguii quel consiglio e restai nel mondo dell’immaginazione dove tutto si placa, dove i conflitti ci sono, terribili, ma trasfigurati e combattuti da creature angeliche, da guerrieri della luce, da fate dai capelli turchini, dove il bene trionfa sul male e i sentimenti sono il valore della vita.
Che mondo fantastico, finché ci sono rimasta!
 Perché ora punirmi e catapultarmi di nuovo in questa triste dimensione dove – Non ti parlo – Non mi parla – dove nessuno parla più con l’altro, dove anche gli adulti peggio dei mie piccoli alunni non si parlano più, per dispetto, per ripicca, per vendetta, per creare disagio e tormento?
Amici carissimi che all'improvviso non si parlano più, colleghi di lavoro che non si rivolgono un saluto, vicini di casa che non osano fare nemmeno una domanda per paura di invadere, di essere di fastidio, vicini di casa a volte suscettibili, permalosi, a volte impauriti, diffidenti, perché non ci si parla più, anche se si vive gomito a gomito.
Sconosciuti.
Non ci parliamo più.
Cosa avrà fatto di male questa parola per essere trasformata, come arma di offesa, maneggiata come una bomba ad orologeria pronta ad essere lanciata?
Le parole usate solo come dardi, lance infuocate eppure tenute ben strette, non usate, perché il silenzio sia la giusta punizione verso chi non ci merita.
Che cosa triste e com'era bello il mondo delle parole nel paese della immaginazione!
 Voglio ritornare laggiù.
Il mio paese però non è quello di Alice, un po’ catastrofico, anche se rutilante di colori, il mio paese non è quello di Avatar, è il paese dove i classici della letteratura si parlano, il paese dove i libri si parlano fra di loro, visto che le persone hanno cessato di farlo.
I libri, io credo, si faranno tante risate, vedendoci litigare come le rane nello stagno.
-Mia figlia non mi parla, mi racconta al telefono una cara donna che ha vissuto per questa figlia e per un figlio, ha lavorato e messo da parte risparmi per darli poi a loro,- mai un cinema, una passeggiata, una pizza, una gita, sempre ho messo da parte per loro  e quando poi hanno avuto bisogno io ho pulito, cucinato, lavato, rassettato, per amore, felice di farlo ora, ed ora il nipotino, la nipotina… ed ora non mi parlano più 
Sono diventata di troppo, sono invadente, mi dicono, mi impiccio, ho idea diverse mi devo togliere dai piedi.
Così  il suo sfogo!
Beati i tempi in cui ci si rivolgeva ai nostri genitori chiamandoli signora mamma, signore babbo.
Beati i tempi in cui il timore diventava rispetto, il pudore tratteneva gli istinti, il denaro non veniva agitato come unico lasciapassare per entrare! Ma quali tempi?
Ma dove? dico io
Nel vuoto del mondo senza immaginazione viviamo di suoni, di figure, di sollecitazioni, di consumi, di appuntamenti, di spostamenti, di acquisti. Nel vuoto le nostre parole vuote, i nostri sguardi vuoti, le nostre mani vuote, il nostro portafoglio pieno di carte.
Ma, per favore!
Riprendiamoci la fantasia e ridiamo di noi stessi, che siamo rimasti sempre come i miei piccoli alunni di scuola media



giovedì 20 ottobre 2016

Il passo e l'incanto. Sasà Calabrese

GianMaria Testa: Dentro la tasca ti porteremo. 

Neri Marcorè un giorno al teatro Grandinetti ci raccontò cosa fosse la ricchezza, il portare nella tasca quella frase, quel verso, quella canzone facendola sua. Ed io mi portai a casa Neri Marcorè, quella poesia che recitò. 
Anche stasera mi porto nella tasca la mia famiglia ideale: Nunzio Belcaro che legge la prefazione di Erri De Luca al libro di Gianmaria Testa " Da questa parte del mare", Elena Bitonte, conosciuta tramite parole scritte e abbracciata nel canto e nell'arte, Nicola Fiorita e le calabrotte, il cantante Sasà che non conoscevo e le canzoni di Gianmaria Testa.
Nunzio legge. Ci siamo conosciuti così, leggendo. Leggendo abbiamo fatto amicizia. Leggendo, scrive anche Erri De Luca, abbiamo forgiato la nostra vita che è la vita degli altri.
Siamo nelle tasche degli altri e gli altri sono nelle nostre tasche. Nessuno si salva da solo, sta scritto in Ti ho vista che ridevi, il libro del collettivo dei Lou Palanca, vero Nicola? e nessuno vive se non fa spazio agli altri nelle sue tasche. 
Si parla stasera di modi. Elena, sta dicendo Sasà, nel ringraziare Elena Bitonte, l'organizzatrice della serata, è una donna a modo, una persona in grande imbarazzo lei, appena sente un elogio alla sua persona, un elogio sulla misura, che è suo carattere. Est modus in rebus. C'è una misura che si chiama attenzione e sensibilità. 
Intanto guardo i piedi nudi di Sasà Calabrese camminare sul legno della Biblioteca Nobili, camminare e muoversi come altre due entità, in sintonia con la musica ed il testo che lui fa suo. 
Sasà ci dice che sente tanto vicino Gianmaria, è come se ormai fossero sue quelle parole.
Ora canta" Al Mercato di Porta Palazzo"canzone  ambientata al mercato di Torino, una canzone sul riconoscimento dello ius soli. Ognuno che nasce ha diritto ad una cittadinanza nel luogo dove nasce. Sembra semplice, vero? Eppure sembra terribilmente difficile e nel mercato di Porta Palazzo si dovrà difendere quel bambino dai gendarmi. La nascita di questa canzone porta nella tasca la composizione  "Solo andata" di Erri De Luca, e quel mare che pullula di corpi cacciati dalle lore terre,  un capitalismo bieco uccide ogni diritto, quello di appartenere alla propria terra, e la voglia di dirlo ancora. Dire ancora che gesti e passi abbiano dignità, e qui Sasà ci ricorda altra canzone, quella sui Seminatori di grano, che con gesto largo incedevano come se pregassero, una preghiera sul sacro che è in ognuno di noi, nel gesto e nel passo. Il passo e l'incanto a piedi nudi.