mercoledì 4 maggio 2016

Franz Krauspenhaar Grandi Momenti

Grandi Momenti: "Abiura oblio aberrazione"
"La mia vita di parole la sento passare e leggermente trafiggermi."
Questo è lo scrittore, personaggio del libro che Franz fa vivere nel suo romanzo appena uscito nelle librerie con la NEO edizioni.
"Un economo dell’umore."
Lo conosciamo in day hospital mentre fa gli esami di routine per i post infartuati.
 Leggendo di Franco, il personaggio che narra in prima persona, partecipiamo ai suoi esercizi, agli incontri con altri infartuati e alle sue passioni, le automobili. Dalla Jaguar alla Porsche, passando per l'Alfa.
Ci mettiamo dalla sua parte forse per empatia fra ammalati e però, man mano, ci allontaniamo vedendo sempre di più quanto sia un individuo moralmente vuoto e nichilista, malgrado le sue tirate anarchiche.
Nei suoi momenti migliori, quelli che a me sono piaciuti di più, dialoga con le sue automobili, come nei Monologhi Automobilistici, che Francesco Stella aveva immaginato anni or sono, dialoga con la lepre che corre e che lui vorrebbe finalmente raggiungere e uccidere, nel tentativo di liberarsi dall'immaginario paterno andato via anni prima. 
Tenta il dialogo, o almeno una certa affettuosità con il fratello, pittore che "ha dipinto un cervello stilizzato e dentro, con poche
pennellate di colore scuro, ha creato come una cella, o un sentiero
che si perde dentro se stesso" per chiudere l'immenso nel piccolo.
Tenta anche una scrittura che non lo emancipa, anzi si fa beffa di lui, non è riconosciuto per i suo romanzi, ma giunge al successo con uno pseudonimo e per gialli, polizieschi che scrive senza prenderci gusto.
In effetti sembra che non prenda gusto a nulla, e il mondo letterario viene mostrato opaco, in questo atomo opaco del male, come nel 
X agosto di Pascoli. Forse la parte più fragile del libro è nel livore o nel caratterizzare così un luogo che ha a che fare con la scrittura. Critici contrari  e editore che consiglia una bella passata di botte pronta per l'uso. 
"Sento delle fitte al petto. Mi spavento, naturalmente,
però con una certa classe." ed è la classe quella che lui cerca, lo stile che, a volte, felicissimo, mi fa sorridere, malgrado la tentazione di prendere a schiaffi il personaggio, specie quando argomenta di donne, che non ci sono, se non in veste di pelo.
Pelo da raggiungere.
Lo stile comunque mi fa superare la rabbia e leggo il racconto come se l'autore abbia voluto fare un personaggio all'incontrario, senza un messaggio che non sia una riflessione sui tempi senza tempo, nel tempo che è una convenzione, concetto da me sempre molto ripetuto, sulla vita che si arrotola su sé stessa e si incontra nei periodi di infanzia e maturità lasciando un cratere al centro.

"La cosa che più mi sconcerta è che,
pur ripassando le fasi salienti della mia vita dal 1984 ad oggi,
come nel cortometraggio che i moribondi vedono in chiusura
 dei conti, io non trovo nulla di veramente importante. Nonostante
i lutti, le umiliazioni, gli insuccessi e anche i successi,
io non vedo, in fondo, nient’altro che un cratere. Nemmeno
grande: un cratere seminascosto in mezzo alla campagna"
Sulle note della canzone di Gaber, che amiamo entrambi, cantiamo uguale.
 "Da solo
lungo l’autostrada
alle prime luci del mattino.
Giorgio Gaber. L’illogica allegria.
Vorrei che parlasse di me.
Lo vorrei tanto. Vorrei essere felice come in questa canzone, ma
è impossibile."

"Finché, verso i quaranta, come un pazzo esagitato in fuga
dal manicomio, ho abbracciato la letteratura e i suoi meccanismi
insensati. Allora ho capito esattamente che il successo è
un otre vuoto, anzi svuotato"

e per dirla con lui, morte e vita  "Ma tutto mi dice che fuori da questo schifo non esiste altro, che la natura è limitata È come quando vieni addosso a una donna, sei alla fine degli spasmi violenti, dell’invasione, e riprendi a pensare con un certo ordine: ecco che metti a fuoco i fiotti di sperma sulla sua pelle bianca, rilassata, come una specie di pioggia spaziale, esoterica. È la sostanza vitale che s’è spersa nel cosmo. Tutto vive e tutto muore, in quel momento. Un momento dolce e brutale al contempo"

Un applauso a Franz Krauspenhaar che con stile andrà in giro, guidando una Porsche!


  

    

Con chi parliamo quando parliamo di libri

Dovremmo domandarcelo tutti noi che scriviamo e parliamo di libri da blog, da siti, col microfono in mano, in libreria, in biblioteca, a scuola, dal salumaio. 
Intanto noi stessi diventiamo personaggi di libri, dovremmo dire a chi abbiamo in ascolto, e spiegare il perché di Una Lettrice Rampante, di Giramenti, di Billy il vizio di leggere, di un regno della Litweb. 
E già nel fare questa prima operazione guardiamo negli occhi il dubbio e l'incertezza di chi non crede alle nostre parole, di chi, lontano da questo teatro, vorrebbe un consiglio su una lettura.
Un consiglio semplice, sempre diverso nel suo lessicale, a secondo che sia dato ad alunni, a docenti, a carcerati o ammalati.
Un consiglio uguale e comprensibile, dovrebbe essere, ma non è così.
Noi personaggi del letterario, parliamo del libro con interpretazione, con una cultura che rimanda il lettore a tante altre letture, al panorama europeo ed americano, ai mondi reali e alle storie infinite, facendo un bellissimo altro libro da leggere lontano dal libro vero.
Io stessa mi leggo, gustando molto, tutto un fiorire di recensioni che acquistano vita, una vita propria, anche se non conosco il libro.
In ogni presentazione si finisca a parlare di altro, anche perché quando si parla del libro si finisce solo per annoiare, per raccontarlo per filo e per segno, per ammazzare una suspense, per dimostrare di essere colti in un giardino ancora fiorente. 
E gli ascoltatori? per educazione stanno seduti, in silenzio, pensano sicuro ai fatti loro, si guardano in giro e hanno ragione. 
Non credo proprio che si possa parlare di libri, di quel libro, in particolare, che giace lì, per essere sezionato e da un chirurgo, a volte, operato.
L'operazione riuscirà? Dipende da chi opererà.
In entrambi i casi, sia da personaggi letterari, sia da chirurghi, ci domandiamo:" con chi parliamo quando parliamo di libri"?
La risposta soffia nel vento



martedì 3 maggio 2016

Maggio dei libri 2016 Litweb Marchio depositato letto da Giovanna Villella

Costanza Falvo D'Urso, nel presentare il mio Litweb Marchio Depositato, parla di elzeviri ed io salto felice accanto a lei, perché mi sento  capita, io proprio elzeviri faccio, piccoli pezzi, annotazioni, frammenti, bozzetti.

Giovanna Villella, costruisce, come mi dice Costanza al telefono stamattina, un romanzo di immagini e di riferimenti, un "se fosse" da gustare e riportare per intero, per leggere, al di là del ritratto della mia persona.

Giovanna inizia con un mio pezzo

Libero scrivere in libero regno

e poi legge il suo 
                                    Libri e Libertà
Libri e libertà. In latino hanno la stessa radice “liber”. Perché il piacere di raccontare implica un giocare con ciò che si narra, e questo giocare implica, a sua volta, una certa libertà riguardo alla materia. 
Libertà di pensiero e libertà di penna ma con l’intelligenza, e il buon gusto di tacere - a volte - per non dire troppo male.
Perché libertà fa rima con sincerità e con onestà… intellettuale.
E scrivere, per lei, gioco serissimo è.
Fantasiosa, visionaria e irriverente quanto basta, se dovessi paragonarla ad un artista di teatro, sarebbe una Paolo Poli in gonnella senza le metafore erotico-verbali che Poli - tuttavia - sapeva porgere con tanto candore.
Se fosse un quadro sarebbe La donna che legge di Van Gogh. 
Se  fosse un libro sarebbe il suo, ovvero un non libro.
Se fosse una fiaba Alice nel Paese delle Meraviglie ex-aequo con la moderna Cenerentola di Romeo Vernazza che ascolta i Joy Division.
Se dovesse scegliere un mestiere farebbe la “donna di lettere” nel senso della postina però, con gli stessi poteri del postino di Domenico Dara.
Ma Ippolita è Lei. Regina senza corona di un regno che non c’è, come l’isola di Peter Pan e di Peter Pan ha mantenuto quella euforia, quello stupore, quello spirito fanciullino che le fa battere le mani esclamando “Evviva” quando una cosa le piace, la fa felice. E a proposito di felicità, le basta davvero poco. Piccole felicità… per dirla con libro che entrambe abbiamo amato e raccontato.
Un regno doppiamente virtuale il suo, perché non è di questa terra ma neanche di lassù. Appartiene a quella vita parallela, quella second life, magistralmente raccontata nella favola della gabbietta. Un walled garden, un giardino recintato dove tutti siamo più o meno rinchiusi e dove lei, dopo essere stata bannata, segnalata ed espulsa, perché considerata un troll che, nel gergo di internet, è “soggetto che interagisce con gli altri tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso, con l'obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi”, si è ritagliata il suo spazio social a cui affida le proprie riflessioni personali e metaletterarie. Così, in poco tempo, viene seguita, corteggiata, ricercata, invitata come un vero e proprio guru della letteratura soprattutto per la sua capacità di scouting nello scovare giovani talenti. Da bannata a blandita… ma non a tutti è concesso di entrare a far parte del suo regno…
I suoi scritti sono, a prima vista deliranti, non certo nell'accezione psicopatologica di disturbo caratterizzato da un’alterata interpretazione della realtà, ma in senso etimologico. Dal latino lira, "solco", per cui delirare significa etimologicamente "uscire dal solco", ovvero dalla dritta via della ragione – del conformismo dire io.
I sui testi, spesso, non hanno un filo conduttore visibile, ma hanno un andamento irregolare, random quasi. Zeppi di richiami e di rimandi incrociati… Si passa dalle canzoni alla filosofia, dalla nutella a Dio, dalle filastrocche alla fisica quantistica… e con la leggerezza ludica di un prestigiatore, smascherano il banale e rifuggono dalla mediocrità. 
Testi apparentemente privi di senso eppure totalmente pieni di senso, di doppi sensi, a volte. Perché ogni frase, spesso ogni parola, è una intuizione, una battuta, un lampo di intelligenza, una risata.
Eretica della scrittura non ama compiacere. Ella trascende il reale, disvelandolo.
Osservatrice attenta, ha lo spirito del detective, una sorta di Tenente Colombo. Pronta a cogliere e fotografare, con il suo smart phone, ogni minimo particolare: un cellulare con una cover a pois, gli abiti improponibili di signore invitate a un matrimonio, un tacco 12 che fa bella mostra di sé in prima fila a teatro, una dama dell’alta società lametina, ignara bagnante, acconciata come l’Ape Maia, l’orecchio a punta di un occasionale interlocutore che ricorda quello del mitico capitano Spock di Star Trek. Ma anche un fiore che nasce, una lucertola che si crogiola al sole, un ragnetto innocuo che tesse la sua tela…
Piccole cose, minimi gesti di ordinaria quotidianità e poi click, post, tag, like…
Perché lei è così, pensa per immagini.
I libri, i suoi libri, sono oggetti animati, abitano la sua casa, non sono mere suppellettili. Camminano, si nascondono, parlano con lei, pranzano e cenano alla sua tavola. Quando non riesce a trovarne uno, lo chiama come se fosse il gatto di casa. 
Questo determina una visione personalissima delle storie che legge e che restituisce, a noi lettori, secondo un percorso che non segue un strada retta e lineare ma va avanti attraverso una successione dinamica di salti e fratture…
… con una partecipazione emotiva sottolineata spesso da caotici/teneri/dolorosi/ironici ricordi privati, un po’ come la madelaine di proustiana memoria.
Il libro di oggi, Litweb – Marchio Depositato, è una mise en abîme, un fenomeno di “libri in un non-libro” o meglio di tanti frammenti di libri letti, raccolti e disposti in una serie di sequenze intervallate da spazi in cui irrompe una forte componente personale unitamente a rimandi e citazioni che appartengono ad altri libri – che non sono i protagonisti – ma vengono usati in funzione di supporto concettuale.
Un format originale che già nel titolo richiama l’iter seguito dai brevetti per essere tutelati.
L’aspetto composito del tessuto narrativo non si risolve affatto nella creazione di un sistema di relazioni logiche e formali ma ha una struttura reticolare che mette continuamente in abisso il presente e il remoto, il quotidiano e lo straordinario… legando, nello stesso nodo scorsoio,  con postille/note/notizie folgoranti o distese, i più trascurabili dettagli dell’esistenza, la cronaca, e gli eventi ufficiali della Storia.
Una sorta di reazione a catena, che potrebbe continuare all'infinito, se la Nostra non avesse il meraviglioso dono della sintesi e non fosse maestra nel gioco dell’alterità, del cambio di passo, dello spaesamento repentino.
Il risultato è una scrittura assolutamente rara, quasi impraticabile in questi anni di stupido cicaleccio sentimentale e di scribacchini innalzati al ruolo di scrittori. 
E lo stile è uno stile epigrafico/ straniante/ non compiacente né  accomodante… unico come Lei, Ippolita, Regina della Litweb.


Giovanna Villella al pianoforte 



Salvatore D'Elia ai comunicati

Antonio Raffaele Blogger  Moda

                            Italo Leone Presidente dell'Uniter

Alberto Badolato La ragione dell'informale

                     Gian Lorenzo Franzì critico cinematografico


ph Enzo Caroleo

lunedì 2 maggio 2016

A trenta anni dal web e a quattro anni dal blog La regina della Litweb

Internet compie trenta anni. Ha trasformato in maniera epocale abitudini, corrispondenze, conoscenze e letteratura. Ha facilitato contatti e permesso la creazione di un villaggio globale in continue connessioni.
Vedremo il sorgere del mondo nuovo noi che stiamo vivendo il finire di ciò che credevamo utile e necessario fino a trenta anni fa? Questo non so. Ho però chiaro che bisognerà adattare gli studi fatti e usarli come zattera anche nel mare di internet, che sembra titolata a dare tutto il conoscibile e può regalarci bufale assolute.
Internet, la rete delle opportunità e degli inganni.
Sto sui tasti da pochi anni, da sei o sette anni, ho fatto mail e guardato il mondo da uno schermo, e da quello schermo, dal web, continuo a guardare il mondo come va.
Gli studi classici e di filosofia mi hanno dato quella autonomia di pensiero per cui è difficile che mi lasci cooptare da ciò che non mi interessa e sono sempre rimasta con l'occhio attento su letture e letture. 
Sul web nasceva un nuovo modo di scrivere. Una interazione fra lo scritto e il lettore, un teatro vivente di battute e rimpianti, di liti e riappacificazioni.
 Nasceva tutto ciò sui siti letterari, sui social, Facebook e Twitter, Google + e altre piattaforme varie.
Una vita squadernata su una finestra bianca.
La stampa ha la sua finestra online, i libri passano online, le merci, la musica, l'arte, il cinema, la politica, la guerra. 
Alcuni movimenti politici diventano forze parlamentari grazie alla rete. 
A me è stato regalato un regno.
Dal giugno del 2012 scrivo su Litweb pezzi corti, il mio sguardo dal web sul web ed, incredibile ma vero, il web risponde. 
Meglio che ad Emily Dickinson
Mi sono così letta libri su libri, ho visto film e dipinti, sempre con quella autonomia di pensiero che è frutto di una formazione classica alla quale non si può rinunciare se si vorrà essere liberi di avere un metodo e dei criteri su quali basare un giudizio.
Un giudizio libero da compiacente rassegnazione all'andazzo dei tempi. Tempi di spietati e lecchini, tempi di conformismo storico ed individuale, che una scarsa preparazione in moltissimi, rende tutti dubbiosi e pronti a scartare chi è bravo davvero ed omaggiare chi possa poi esser utile.
Disdegnando un mondo siffatto faccio i miei auguri alla maturità di Internet, trenta anni vuol dire età adulta, augurando che dallo schermo  nuovi regni liberi si costituiscano. Con la  parola libertà che vuol dire relazione individuale. 
  

domenica 1 maggio 2016

Libero scrivere in libero regno

Rispondo così ad amico che mi sollecita un pensiero sui tanti e tanti che pubblicano e pubblicano in una bella frenesia chiamata libro. Anche io farei uguale  se sapessi scrivere ma non so scrivere.
Ho strappato tutto quello che ho scritto fino al 2009, tutto.
Fogli, diario, lettere ricevute e qualsiasi cartaceo mi riguardasse.
Ho regalato tutti i libri posseduti al Sistema Bibliotecario di Lamezia, alle scuole, alle colleghe, senza nemmeno chiedere una targhetta.
Ho riscritto da allora su blog, siti letterari, in mail, su Tiscali, su portali, scrivendo scrivendo.
"Ma non so scrivere. Lo vedi anche tu" dico al mio amico. 
Scrivo come parlo, come penso, senza disciplina, senza una grammatica.
Riconosco i limiti e già mi sembra di essere molto avanti.
Lo affermo senza nessuna umiltà. Seriamente.
Penso che oggi il libro faccia status, più di un tempo, anche se a scorrer le doglianze, Leopardi si lagnava che al suo tempo fosse uguale. 
Tutti sono presi da questo bel desiderio di vedere il nome proprio stampato su una bella copertina, sentirsi autori o autrici, trovare il critico o il docente compiacente che li faccia  sentire Tasso e far  inchiostrare pagine e pagine di stampa locale inneggiante l'opera. Mi sembra di essere a teatro. magari un teatro dilettante, di amatori che fanno le prove a reggere il confronto con il mondo delle lettere, a volte a loro  sconosciuto.  
 Sono però fautrice del libero scrivere in libero regno, basti che ognuno non si senta Dante. Comunque anche se si sentisse Dante ne sarei felice lo stesso. 
 Su me penso di essere una che usa la lettura per vivere e la scrittura come relazione. Mi sembra di essere riuscita a far l'uno e l'altro, mi occupo il tempo leggendo e faccio della scrittura un mio divertimento.
Che abbia chi mi legga mi sorprende e mi rallegra tanto quanto io sia contenta nel legger tutti coloro che scrivono davvero.  

mercoledì 27 aprile 2016

Mario Borghi Le Cose dell'Orologio

Ed eccomi. Ringrazio l'autore che mi permette di leggere questo scritto quasi "demenziale" e "delirante" in senso cinematografico.
Uno scritto disarticolato e mescolato con tanti suggestioni.
Siamo in un poliziesco, in un noir, in un giallo, in un saggio filosofico o in un racconto scritto per divertimento?
Non sciogliamo quasi mai la domanda.
Ci sono alcuni passaggi in cui ti chiedi se l'autore scrivendo abbia proprio detto:"valutate bene se e come fidarvi delle apparenze, anche se tutto questo potrebbe essere, più o meno, successo. Più più che meno" ed ancora 
"Gli errori/riemergono sempre/minacciosi ed imponenti/come iceberg di cobalto/dall'oceano del passato/pericolosi se scaldati dal sole vagano/cozzano quando meno ci si aspetta/contro i vascelli
ove viaggiamo ingenui/credendoci al sicuro/in un attimo possono rovinarti/o salvarti la vita."
La scomparsa dell'orologio dalla stazione centrale, rubato per essere portato in un loft, la mansarda dello strano ladro di oggetti ormai dismessi e già considerati inutili, sta sullo sfondo di un racconto con le lancette anch'esse all'incontrario. Troppi generi si avvicendano ed anche se io prendo il filo e lo conservo, mi ritrovo lo stesso un po' disorientata. “Gli artigiani d’un tempo erano degli artisti”
 Amerigo Erthel, orologiaio per sempre, ed infatti  ritrovo il filo ed:eccoti- faccio soddisfatta, leggendo la poesia nel racconto. 
“Allo scoccar dell’imprevista ora
le parole diventan giuste,
l’idea divien superiora
e il fato adopra le fruste

ché gli oggetti decidan detentori
e non viceversa accada
a nulla servan né forza da tori
né intelligenza di sciarada.

“Tutti guardavano smarriti e attoniti la staffa sulla quale fino a poco tempo prima c’era l’orologio. Anch'essa rischiava la rimozione, perché – si vociferava – quello nuovo avrebbe necessitato di altri sostegni. Ma nessuno lo voleva, quello nuovo. La gente rivoleva quello di prima, quello che aveva segnato gran parte dei momenti della loro vita: ritardi e anticipi, arrivi e partenze, corse e pianti.

L'idea senz'altro originale e simpatica che dovrebbe essere rimontata, dopo essere stata fatta a pezzi come l'orologio, da un attento e certosino lavoro che riesca a mettere a posto la lancetta che va indietro, nei rimandi letterari che piacquero all'autore. Quella stazione si può riprendere con ben altri esiti, e riportare l'orologio funzionante al tempo che fu
 "La stazione, il mondo, tutte le situazioni e tutte le circostanze rimasero in sospeso davanti a loro, prima dell’accelerazione naturale del compimento. Nell'esatto punto in cui la radice diventa tronco e il tronco diventa ramo"

Ed è questo l'augurio che faccio all'autore, che sappia collegare gli ingranaggi come l'orologio fa andare i treni nella stazione delle nostre letture. Con il saluto della Litweb 


lunedì 25 aprile 2016

Conforme alla gloria:l'atto di dolore di Demetrio Paolin

Il male come infezione. La propagazione, come una piaga purulenta, negli individui e nell'organizzazione statale.La storia come summa di malvagità. Il peccato storico in questa valle di lacrime. Dalla Bibbia ai nostri giorni: Umiliati e offesi. E dalle offese e dalle umiliazioni il risentimento ed il rancore da sfogare, non potendo verso chi lo infligge, verso un altro ancora, in una concatenazione di avvenimenti che non finisce mai. Dal tempo dei tempi.
Conforme alla gloria, la pelle tatuata del nostro male, nasce in un campo di concentramento, si diffonde poi per le strade dei nostri anni, generando altro male, disfacendo la famiglia del protagonista, Rudolf, che, nell'ossessione di liberarsi dell'eredità paterna, il padre un ufficiale nazista, responsabile dei campi, vede dissolvere il suo mondo di affetti. 
Conforme alla gloria senza redenzione, se non la scrittura che sia una testimonianza, una cura da bere e sentirne l'amaro,oppureuna lettura che brucia come bruciano  i farmaci che cercano di disinfettare 
Una storia che non è mai finita, ieri corpi su corpi, ammassati nella Germania nazista, ed oggi corpi su corpi, annegati nel mare Mediterraneo. In una incoerenza che genera sofferenza. 
Conforme alla gloria: dopo settanta anni stiamo ancora lì a contare i morti. Sul corpo tatuato di Ana, su "Salvati e sommersi" di Primo Levi, e nelLa Tregua, nell'offesa che diventa a sua volta male.
Dalla Tregua di Primo Levi, scrittore presente nel libro, e più vivo che mai:" l’offesa ricevuta – in questo caso, ma ciò vale anche per l’offesa immaginata o ritenuta tale – diventi una fonte inesauribile di male.  Spezza il corpo e l’anima dei sommersi, li spegne e li rende abietti; risale come infamia sugli oppressori, si perpetua come odio nei superstiti, e pullula in mille modi, contro la stessa volontà di tutti, come sete di vendetta, come cedimento morale, come negazione, come stanchezza, come rinuncia”. Come non leggere in questa descrizione quello che è accaduto e accade anche in tanti conflitti in giro per il mondo, tra popoli e religioni diverse? Nessuno ne è esente. Il risentimento e il rancore non necessariamente, ci avverte Levi, hanno un’origine non motivata. Ma quando ce l’hanno, l’effetto è il medesimo: cedimento morale, vendetta, stanchezza, rinuncia. Non esiste una giustizia umana che estingua l’offesa.