sabato 23 gennaio 2016

Leonardo Caimi alla libreria Tavella


Stamattina libreria in musica.
Fortemente voluto da Tommaso Colloca, che presenterà, ci sta l'incontro con Leonardo Caimi, Tenore. 
Leonardo è di Lamezia Terme, suo papà era stato presidente dell'AVIS e, fra i suoi parenti, la mitica zia Vanna, professoressa di lettere presso la Scuola media Pitagora.
La zia, stamattina, è uscita proprio per lui, e tutti i suoi alunni vanno a salutarla con affetto.
Diventa quasi lei il personaggio della mattinata. 
Aspettiamo fra una folla affettuosa ed arriva lui. Un attore. Bello, bravo, elegante. Disponibile ed amabile. Ironico.
Laureato in filosofia col massimo dei voti si diploma in Clarinetto e in Canto al Conservatorio di Messina.
Poi per un problema al braccio sinistro non riesce a continuare a suonare e canta.
Nasce così, da una difficoltà, un grande tenore che è stato diretto da Riccardo Muti e da tanti altri grandi direttori. 
Tommaso Colloca inizia con un gioco di parole il saluto a Leonardo. "Lamezia deve cambiare tenore di vita, con un tenore nel senso nobile del termine, cominciando ad essere orgogliosa dei suoi concittadini, proponendosi di debellare l'invidia che l'attanaglia.
Riuscirà? si domanda il sindaco che crede in questo sogno oltre ogni politica.
Riuscirà Lamezia? Non si sa.
Sappiamo però che è riuscito Leonardo a mantenersi puro e sorridente, a scherzarci su anche lui, quando ci invita tutti in coro a dire "Invidia" la parola che dovremmo cancellare dal nostro animo. 
Riuscirà Leonardo, nel saper di filosofia, del distacco che bisogna aver per mantenersi in equilibrio. 
Riuscirà lui che ricorda le parole di  Riccardo Muti, meridionalista della Puglia,  "Noi abbiamo più talento degli altri però non abbiamo disciplina "
Riuscirà un giorno a fare l'Otello, così lo chiameranno il Moro di Lamezia, ci dice sorridendo, e nel profetizzare facile che, ai moltissimi teatri internazionali, manchi nel suo curriculum il Teatro Grandinetti di Lamezia, la mattina si avvia al termine con il gagliardetto, il libro e l'invito del maestro Colloca, direttore della banda, un cimelio conservato da Tommaso.
Intanto domani Leonardo Caimi sarà Cavaradossi nella “Tosca” di Giacomo Puccini al Teatro Rendano di Cosenza.
Evviva dalla Litweb

giovedì 21 gennaio 2016

Mario Maruca recita " La Coppia è"

Al teatro Antigone di Roma, il 25 ottobre 2015, Mario Maruca ha recitato questo monologo, scritto da me, divertendomi a giocarci un po'. 

Di nuovo interpretato da Mario Maruca al Parco Dossi Comuni di Lamezia Terme, è un testo in itinere... come tutte le coppie che vanno via. 




COPPIA, PAIO, DOPPIO E METÀ
I numeri nascosti nelle parole.
Fai sempre attenzione alle parole! Forse ti sarai già
accorto che alcune parole indicano un numero ben preciso.
Una coppia di colombi sono 2 colombi.
Una coppia di sposi sono 2 persone che si sposano.
Una coppia di poliziotti sono 2 poliziotti.
Un paio di scarpe sono 2 scarpe.Un paio di guanti sono 2 guanti. 
Un paio di caramelle sono due caramelle. coppia paio doppio e metà… tu sei la mia metà, siamo una coppia e abbiamo un paio di… ah i numeri!
La coppia, con articolo determinativo "la", è proprio quella e nessun’altra, quella che conosciamo noi, formata da due persone: Una che fa la donna e l’altra che fa l’uomo.
Non importa di quale forma e sesso i due siano, importa la funzione. 
Funzione femminile e funzione maschile: Basta che funzioni! Allen ci fece un film.
Nella diversità dei ruoli gli uomini provengono da Marte e le donne da Venere… Ah ecco
Diversi. Diversi, in corpo, Lo vediamo.
Diversi in suoni, lo sentiamo. Gli acuti femminili trapanano il cervello maschile e lo mandano in fusione… care donne pericolosissime state attente.

Diversi siamo e lo capiremo solo vivendo
Da Marte oppure da Venere poi sulla Terra dobbiamo noi vivere… insieme. Non troppo.
Un Poco.
Senza categorie precise, ormai non si può più.
Ormai regna la confusione dei ruoli.
Quanti uomini sono ordinati, si guardano allo specchio ogni mattina, si fanno fare le sopracciglia ad ali di gabbiano, lo giuro, il mio fornaio li ha.
Quanti uomini cucinano, si prendono cura delle pelle, con creme costose, hanno un beauty case da viaggio e quante donne invece sono disordinate, non cucinano e non sanno farlo, si trascurano e sono ossessionate da carriera, e… poi ora vanno di moda le selvagge. Uomini depilati e donne "nature"! Una completa inversione di ruoli.

In questa confusione spesso ci si domanda con Alberto Sordi nel suo famoso film sulle coppie: “ Chi ho sposato? Chi è questa sconosciuta/o che dorme accanto a me?” si chiedeva lui spaventandosi … tutti ce lo saremo chiesto dopo, solo dopo, subito dopo. 
Chi è Lei? Chi è Lui? Tardi ormai 
Coppia è  etimo da copulum … copulare ahah un composto da cum con e apere  attaccare, attaccare due elementi con lo scocth, il nastro adesivo delle convenienze sociali.
D'altronde una società civile sulla coppia si regge. 
Infatti non è civile.
La coppia è una idea… da Gaber  e una idea finché resta una idea è pur sempre una astrazione
Poi diventa partecipazione così: Buongiorno caro, buongiorno cara, sei bellissima cara, sei bellissimo caro, come mi sta questo maglione? Il pantalone, la maglietta? Io lo vedrei col celeste e con il bordò… ma no ma no… torni per pranzo, oggidì? Se non torni mi avvisi, avvisami, non ti scordare, poi si scorda, sicuro si scorda, e Perché non mi hai telefonato? Avresti potuto avvisare, che ti costava fare un messaggio e dirmelo?
allora  telefonate: Il telefono dell’utente è momentaneamente scollegato, primo mess, secondo mess, terzo visualizzato, e ti telefono,  tu mi telefoni e ti messaggio, tu mi messaggi, una coppia si messaggia e… WhatsApp
La tecnologia ha rovinato la coppia
visualizzo la coppia che si visualizza in un mare di messaggi, uno i messaggi dell’altro, Una spunta, due spunte, blu, bianche e nere. 
E diventa soltanto l’inizio della fine! Incubo
Routine di coppia: Domenica che si fa? Ci sarebbe da andare da Tizio, Caio, Sempronio, e mamma? Ci sarebbe da fare il giardino, le pulizie, oppure siamo ospiti, no, non lo siamo,  radersi  la barba e  depilarsi, farsi vedere da un altro in gesti piccoli, insignificanti per l’uno e per l’altro. 

TIPOLOGIA DI COPPIE
1) Coppia che vanno insieme a riunioni, a matrimoni, a battesimi,  le coppie francobollo, le chiama mia cugina. Lettera e francobollo, fanno tutto insieme

2) Le coppie che portano bene le corna: Prima Sciascia lo scrisse nel “Giorno della civetta” Sciascia docet: Un bosco di corna, l’umanità, più fitto del bosco della Ficuzza quand’era bosco davvero. E sai chi se la spassa, a passeggiare sulle corna? 
Primo, tienilo bene a mente: i preti. Secondo: i politici" e terzo... I rispettivi aggiungerei io 
 "Io sto sempre al mio posto!" dice lei che sa di esser moglie pluricornificata. Lei sta al suo posto, lui le regala viaggetto e gioiello.
 Ecco a voi la coppia con corna palesate. Coppia e corna cominciano uguali. 

Dopo la lezione su Saussure il suono co vuol dire coccodè
Dallo strutturalismo al surrealismo la coppia con la zeppetta, la zeppetta  è quella cosa che mantiene lo status quo di una coppia. 

La coppia è un mutuo soccorso. Forse muto soccorso. Si soccorre il coniuge in difetto per difendere in effetti un letto… lo diceva già Giasone nella Medea di Euripide… poi sappiamo come andò a finire
E ci sarà Parini?
3) E la coppia doppia, la coppia guercia e la coppia muta...
E' meglio zoppicare da soli o stentare sostenendosi in due?
L'amico d'appoggio essenziale. Da non confondere con l'amante
Il matrimonio specie in vecchiaia è un investimento sul mutuo soccorso.

4) Coppia che si organizza per non vedersi mai… impossibile- direte voi- e che coppia è? Eppure sono quelle che durano 
Partecipazione non vuol dire vedersi e guardarsi e ascoltarsi… chissà perché dopo tre mesi  uno si annoia ed all'altro viene la dipendenza. 
Meglio dunque "Ognuno a casa sua"! 

5) Coppia cannibale. Due cannibali insieme. Chi si mangia per primo?
Una idea di coppia dove uno dei due si ammala e scoppia
e andiamo via dalla coppia, pensa ognuno dei due, scoppiato, dal non poter esser sé stesso ma sempre una coppia. 

Andiamo sulla coppia generica. Coppia mia bella coppia chi è la più bella coppia del reame? Siamo la coppia più bella del mondo e ci dispiace per gli altri che sono tristi e sono tristi perché non sanno più cos'è l’amore  cantava Celentano e quindi per esser coppia più bella basta saper cos'è l’amore.
 Un’astrazione? o  un’attrazione di corpi e di mente, un profumo chimico  droga,  confusione e  malìa, il non poter vivere più senza te, che sei per me l’unico/a uomo o donna per me?
Amore e coppia, Eros e Thanatos, Eros che scappa dopo tre mesi e thanatos che occupa il territorio per anni, per troppi anni.

1) Coppia che conosco. Bellissima coppia di anziani. Quattro figli. Mano nella  mano. Poi lei mi confessa di non aver mai amato il marito. Ha sempre amato il suo primo ragazzo che i suoi familiari le fecero lasciare… e non c’è stata una sola sera in cui lei sia andata a dormire senza pensare a lui, all'altro, mica a quello accanto. 

2) Coppia che conosco: Lui chatta con una lei e la moglie chatta con un lui da due angoli della stessa stanza …e magari si sorridono pure. In quattro. Un quadrato, altro che coppia!

3) Coppia che conosco: Lui parla, gli sfugge un errore, lei corregge, lui riparla, e rifà errore dialettale, lei ricorregge. Chi corregge ama di più?
Chissà chi ama chi! Una coppia affollata da troppe presenze,  dopo poco, pochissimo, resta la coppia senza i due personaggi principali,  andati a recitare su un  altro palcoscenico la loro pulsione vitale.

Quindi se siete coppie felici, se non vi annoiate insieme, se riuscite a guardarvi con stima, consideratelo un miracolo, un dono. Siete fortunati.

Una coppia con  un nido, una stanza, una casa, una villa,  già siamo oltre e una coppia con  amici, beati loro, con cui incontrarsi, un gruppo, una comitiva, una coppia, la coppia  è!!
 Alla maniera di canta che ti passa… Coppia che  passa, che passa la paura di esser sola/o 
Dove vai se la coppia non ce l’hai?
Demenziali pensieri su un lemma, un sostantivo  coppia,  che  non esiste, come non esiste la  pipa surrealista che dipinse Renè Magritte, aggiungendo: "però si può riempire"
Senza mai guardare il cellulare dell’altro, mi raccomando 
                                                                                           Ippolita Luzzo




                                                                  


martedì 19 gennaio 2016

Cade la terra Carmen Pellegrino

Cade la terra: l'abbandono che sta in noi.
Ringrazio Carmen Pellegrino per aver scritto "Chiamateci per cambiarci i destini" di uno, di tanti. Dal luogo, Alento, un luogo lento, che lentamente si sfa.
Nei nostri paese. Nel mio paese.
Dal mio abbandono quotidiano vedo il palazzo del marchese D'Ippolito, tradito da nuove aperture e calcinacci, il barocco infestato da erbacce, il cornicione pericolante sopra l'ala del palazzo che toccò a mia nonna, figlia di marchese anch'essa. 
Una nobiltà, che aveva già sciupato quel che c'era da sciupare, ha poi vissuto con l'abbandono del tempo, della vita e dello scorrere degli eventi. Abbandonati.
Se i nostri paesi hanno subito l'affronto del cemento, prima avevano vissuto la sciatteria dell'aristocrazia che non sempre fu così, visto che avevano pur creato questi palazzi  ora  sbriciolanti ogni dì.
Scrivere di tutto questo sembra anacronistico, eppure ci servirà leggere questa storia romanzata per aggirare il fastidio di studiare i tanti saggi di antropologi. 
Studi interessanti come  "Il Senso dei luoghi" di Vito Teti:Contro ogni apparenza, i luoghi abbandonati non muoiono mai.  
"Maledetto sud" scrisse Teti,  ma dappertutto incombe questa fine e questa poca attenzione a quel che poi ci portiamo dentro.
Le cellule della nostra combinazione.
Siamo tutti con Estella, al suo tavolo imbandito.
Guardiamo i piatti, preparati dal destino.
Siamo tutti con Marcello, nel suo rifiuto a crescere, a mangiare ed a vestirsi.
Il rifiuto ad amare e ad impegnarsi.
A scappare per salvarsi nel paese che non c'è.
Cade la terra, mi ricorda i giochi che non ho mai fatto, il nascondino ed il girotondo.
Chiama i morti, se vorrai, tanto i vivi non ci sono.
Poi sul foglio potrai vivere la più bella fantasia.
Come Estella, con Marcello e con Libera, ci diciamo tutti insieme che per tutti, lo sappiamo, un'altra pagina è possibile.
Basta girare il foglio, del destino.




Cade la  terra. Stralci di lettura da cui non voglio allontanarmi.
In volo.

«Chiamateci per farci indossare abiti di vento» ha detto poco fa Consiglio Parisi. «Chiamateci per cambiarci i destini.»

“Subito mi chiedo quale sia la storia che raccontiamo. Una storia di esclusione, senza dubbio, ma anche di vite dissipate, trascorse senza gridi, senza gesti. La storia di una chioccia che dorme per anni sulla cova e trova i figli tutti morti. Essi ne parlano come di una storia di penitenza, a cui però non segue alcun pentimento.”

“Quando cominciai a scrivere questo romanzo volevo raccontare la storia di Roscigno Vecchia e della sua ultima abitante – e in parte ho attinto a fonti specifiche, a una specifica geografia – ma poi ho preferito che Alento rappresentasse non soltanto un determinato borgo abbandonato, che racchiudesse più di una storia di solitudine. Le case che marciscono in silenzio sono per me una dimora provvisoria, un posto in cui stare, anche solo per poco. Sono nata in uno di quei luoghi scampati dove il passato e il presente si toccano, è infatti sufficiente attraversare una strada per ritrovarsi davanti a un casolare diroccato. Io stessa ho vissuto in una grande casa che mi dirupava addosso, negli anni informi in cui si hanno tutte le possibilità davanti, oppure non se ne ha nessuna. Immersa com'ero nel silenzio, varcavo spesso la soglia di una casa abbandonata e immaginavo il ritorno di quelli che l’avevano abitata. Quasi sempre cambiavo loro i destini.”

Tremeranno guardandosi gli ospiti seduti al desco

 " Ogni povera cosa a un certo punto ha cominciato a parlarmi, a fare clamore dentro il gioco della memoria, perché non è mai bastata a nessuno la sola volontà. Così, risuscito a uno a uno i gesti e i volti, e mi compiaccio ogni volta nel ritrovarli tanto carini e educati. Occorre tempo e una specie di distacco per decidere quali risuscitare e quali no. Certo quelli che mi son venuti in sogno, quelli sì. Per gli altri si vedrà. E non vale se si sono nascosti dietro una porta o nei cretti di un muro maestro, con quei piccoli furbi gridi «C’ero e non mi hai visto». Onestà, cari morti, onestà, o perlomeno un po’ di riguardo per noi solo abbastanza morti”

Andando in un’aria di vetro

"Il funerale fu bello, pieno di presentimento d’eternità mescolato ai fiori. Sulla bara fu adagiato un berretto con un bellissimo gallone d’oro sul davanti, e tutti notarono come il giallo del gallone si sposasse bene con il legno di pino."

Zona di guerra, 18 ottobre 1918
Caro padre,
qui siamo in pieno inverno, piove e nevica, freddo a tutta forza, ma credo che si stia meglio qua che da voi, data l’epidemia che corre e i pericoli della frana. Dite che è crollato un negozio. Pazienza. Sempre allegro e mai sgomento, siate più tranquillo: si è diventati gagliardi guerrieri, da dirlo a fronte alta, non più imboscati. 
Antonio

“Parlavano di noi ma con parole che ci tolgono ogni riposo» interviene Libera Forti, mentre si scuote leggermente come percorsa da un freddo, per cui si avvolge nello scialle di lana. «Questi loro ricordi non ci concedono tregua, ci spossano. Ma guardate cosa faccio con la boccetta che ho qui davanti» e unendo il pollice e l’indice in una specie di cerchio avvicina la mano al vetro, poi schiocca il colpo con l’indice: l’ampollina schizza lontano come una biglia, frantumandosi in volo.”

domenica 17 gennaio 2016

L'allegria di esserci. Giorgio Lupattelli al Marca

L'allegria di esserci ancora, malgrado i fastidi di un corpo che danza con le tante molecole colorate dei farmaci. L'allegria dell'arte che ci colora attimi, giorni e secoli, nel continente uomo.
Dai collage ai plastici e ai  murales, alle linee di una Guernica che abbaglia, al dinosauro che ci accoglie dal dì che storia divenne il nostro apparir sulla terra, andiamo.
Siamo al Marca di Catanzaro per Giorgio Lupattelli. Conferenza esplicativa super affollata, ed io non riesco ad entrare.
Pubblico sciamante intorno a Giorgio su, nelle sale, e raccolgo da lui   solo la storia dell'elefante che si piega lentamente addormentandosi, da una canzone che mi avrà detto, alla storia di Mac, il suo cane, raccontata in un video. Il cane, lentamente si addormenta. Potrebbe morire, o almeno, il morire potrebbe essere con lo stesso, lento, abbandono del corpo, del movimento.
Questo mi dice Giorgio, allontanandosi per accontentare una signora con una foto insieme.
La morte ed il sonno sono simili, penso io. anche il silenzio. Morire è il silenzio. La sfida al silenzio è un duello continuo. L'arte è la spada, continuo a pensarlo. Questa la forbice con cui si tagliò il nastro. Mac sorveglia.

Quello che però ho ricostruito nella mia testa sta tutto nelle canzoni di Lucio Dalla, Piazza Grande, Quale allegria, negli infusi del port, quella vena succlavia che beve e beve una pozione magica, in Spiderman, in Rita Levi Montalcini, L'asso nella manica a brandelli. La vecchiaia è complicata, dice mia mamma al telefono.
Vivere è complesso, ridendo le rispondo. Poi chiedo" E Il piede?" e lei, pur rallegrata di averlo il piede, mi risponde che non l'ha neppur guardato.
Tutti i colori di Giorgio Lupattelli al Marca sono un grande saluto a noi, al mondo che ci piace, tanto, tantissimo, ancora di più, se percepiamo la caducità, del  cane, del dinosauro, della mente.
Una sensibiltà che potrebbe implodere, dice con me Vittorio Pio, oppure esplodere.
Meglio sarebbe lasciarla andare su tela, pannelli, su braille in ceramica e riderne ancora una volta di più.
Dovrò venire a fine mostra per vedere il ponte che lui costruirà con i mattoncini lego, quel ponte sull'acqua, quel ponte tra noi, che si chiama amicizia. Partendo tutti insieme dall'altra parte della luna con lo sputnik della fantasia. 

giovedì 14 gennaio 2016

Gli Occhi Magri. Walter Sabbatini. Miracolosa medicina

Nella quarta di copertina leggo" Nel tentativo di ritrovare la partitura che la sua mente ora salmodiava con ingannevole eleganza" si sarebbe impegnato alla ricerca di quella voce.

 "La Voce Del Silenzio" 
Volevo stare un pò da sola 
per pensare e tu lo sai 
ed ho sentito nel silenzio 
una voce dentro me 
e tornan vive troppe cose 
che credevo morte ormai 
e chi ho tanto amato 
dal mare del silenzio 
ritorna come un'onda nei miei occhi 
e quello che mi manca 
nel mare del silenzio 
mi manca sai, molto di più. 

Mentre le voci dei tanti cantanti, dopo Mina, si susseguono nella mia stanza, resto con il libro di Walter in mano, che sta cantando insieme. 
quella voce che lui ci confessa di  cercare con fatica, setacciando riga per riga, pagina per pagina," come se gli mancasse proprio quella musica lì, il totem di ogni miracolosa medicina, la musica che gli mancava." Lui lo dice, io non mi sono accorta della fatica, ho apprezzato la facilità del suo scrivere suggestionante,  e noi sappiamo che, se un esercizio difficilissimo sembra facilissimo, e perché atleta bravissimo è.

Ci sono cose in un silenzio 
che non m'aspettavo mai, 
vorrei una voce 
ed improvvisamente 
ti accorgi che il silenzio 
ha il volto delle cose che hai perduto 
ed io ti sento amore, 
ti sento nel mio cuore 
stai riprendendo il posto che 
tu non avevi perso mai

Sono sicura che lo scrittore abbia invece perfettamente la sua musica, l'abbia suonata nelle pagine e pagine del suo racconto, che oltrepassando le parole suonava una melodia. 
Nel libro di Walter "Sono la loro solitudine" Dice Amalia. I calabroni ronzano e la trama ha il ronzio, e poi gli spiriti delle foglie gialle che al primo segno di invecchiamento delle foglie andavano via, senza spiegazioni, senza salutare.
 Ho fatto moltissime orecchiette a questo libro, ed a pag 263 ho capito perché.
Quel diventare poema il non essere al mondo. Il restarsene come un pezzo di legno. Come Bart " Stare senza il mondo". Il non voler far nulla. 
Troveremo quella chitarra anche noi nel fiume della vita, Walter, così  come la trova Franco, troveremo la musica per suonare la vita. 
Lo dico dal nulla da dove abito.
oggi leggendo Gian Paolo Serino scriveva proprio che ogni lettore mentre parla del libro debba dire come sta, dov'è.
La Trattoria di Amalia mi sarebbe piaciuta,  col profumo di cibi che ora mi arrivano dalla mia cucina. Le "pastille" di castagna bollite, il cavolo verza a stufare con il suo odore dolce, ed il canto della campagna. Rabelais e la letteratura ringraziano Walter Sabbatini per il suo omaggio. Sono sicura che cibo e musica profumeranno librerie e cucine, sono sicura che Walter ha già trovato in sé la miracolosa medicina chiamata fiducia. Fiducia nel potere della letteratura che ci renderà vivi

ci sono cose in un silenzio 
che non m'aspettavo mai, 
vorrei una voce 
e improvvisamente 
ti accorgi che il silenzio 
ha il volto delle cose che hai perduto

Ma non si perde nulla nel libro Gli Occhi Magri di Walter perchè  

stai riprendendo il posto che 
tu non avevi perso mai 

martedì 12 gennaio 2016

"Strade Perdute" col Patrocinio del Comune portano il cinema a scuola.


Evviva...
Da molto tempo questa stanza 
Ha le persiane chiuse. 
Non entra più luce qui dentro 
Il sole è uno straniero. 
L'orologio della piazza 
Ha battuto la sua ora. 
E' tempo di aspettarti, 
E' tempo che ritorni, 
Lo sento sei vicina, 
E' l'ora del cinema...


Sono invitata alla conferenza stampa che Gian Lorenzo Franzì, presidente dell'associazione" Strade Perdute" tiene oggi con i rappresentanti politici, Sindaco, assessore ed addetto stampa del Comune cittadino, per informare la cittadinanza,  gli organi di stampa e televisivi, della sua iniziativa patrocinata dal Comune.
Vado in anticipo e mi rallegro degli arrivi, dei saluti, con Luisa Vaccaro, Luca Scaramuzzino e con Giuseppe Maviglia, giornalista della Gazzetta del sud, che arriva, come me, puntualissimo. 
Intanto che mi saluto e mi complimento con Gian Lorenzo Franzì, collaboratore di più magazine di cinema nazionali e presidente questo anno al Festival di Venezia per Fipresci, arrivano la televisione, City One, ed i fotografi Strangis e Rochira. Evviva, Intanto la Stampa si posiziona sul tavolo rosso ed io vado nelle prime file destinate al pubblico. Posto centrale. 
Un abbonato ha sempre diritto alla prima fila, era una pubblicità di un tempo. 
Intanto i dettagli. La lunga e bella amicizia fra Gian Lorenzo ed il sindaco, che ricorda un ragazzino di cinque anni, portato in trasferta a Sorrento per una partita, quando già il suddetto bimbo amava il cinema.
Da qui riparte Gian Lorenzo per dire che bisogna iniziare a far amare il cinema da piccoli ai piccoli, quindi far andare al cinema gli alunni di ogni ordine e grado. 
Saranno informati i responsabili degli istituti, i docenti, le famiglie e il progetto inizierà a primavera, solcando come l'albatros, il nostro immaginario di cinefili. 
Nel mentre che "L'armata Brancaleone", con Branca Branca Branca Leon Leon Leon,  appena evocata da Gian Lorenzo come film che lui spiegherà ai ragazzi, si srotola nella mia mente e la pellicola, rimasta impressa da allora, riprende a vivere, io auguro a "L'ora di cinema", sotto la direzione artistica di Gian Lorenzo, molte ore così
E' tempo che ritorni, 
Lo sento sei vicina, 
E' l'ora di cinema. 

Il vuoto della vita 
E' grande come il mare. 
Da quando se n'è andata 
Io non l'ho vista più. 

E' lei che mi manca 
E' lei che non c'è più. 

L'orologio della piazza 
Ha perso la speranza. 

Io no che non l'ho persa, 
io aspetto che ritorni, 
ti sento sei vicina, 
è l'ora del cinema




Beppe Calabretta Il mastro Il sigaro e la sedia

Giuseppe Calabretta.

Una punteggiatura così non la leggevo da tempo. Così curata, voglio dire, così attenta.  Credo che la cura emerga da tutto il romanzo. Cura e attenzione dell’editore, Andrea Giannasi, che conosco, so con quanto amore e dedizione si dedichi ai libri, alla rivista, alle tante iniziative che porta per la penisola: I festival letterari, i premi.
La stessa cura che si percepisce negli autori che lui sceglie. Autori attenti, innamorati della parola, del gesto dello scrivere e rispettosi del racconto.
Così nel leggere il romanzo calabrese di Giuseppe Calabretta “ Il Mastro il sigaro e la sedia” apprezzo questa cura formale del bel dire, del raccontare con una punteggiatura che, nonostante elimini i segni di interpunzione per il discorso diretto, proprio per questo diventa personaggio.
Perché manca.
I dialoghi si susseguono, senza scansione, fra parlante e narratore con il dialogo continuo che l’autore fa con noi, e sulla scena del romanzo fanno i personaggi. Doppio dialogo. 
Noi con lui. Il lui che  narra di Andrea e di Vincenzo. 
Narra di un paese immaginario, il paese del suo ricordo, narra un pezzo di storia che arriva al 2012, quando il 14 luglio, seduto sulla sua sedia, il sigaro si spegne. Ha cento anni.
Narra la storia Vincenzo, il ragazzo che, a nove  anni, va a lavorare nella bottega di Mastro Andrea, imparando, attraverso lui, il sigaro, la sedia e la storia.
“Il maestro falegname non era ignorante. Il padre, unico bigotto del paese, aveva una concezione estrema dei principi religiosi." 
Quindi questo padre decise di far andare il suo ultimogenito, Andrea, a scuola dai Padri caritatevoli, per diventare prete.
Ma  il terremoto del 1908 trasformerà la vita di Andrea, facendo perire padre e fratello  e lui diventerà Il Mastro, dove Vincenzo, a sua volta, imparerà.

Un passaggio di storia da uno all'altro, seguendo una storia verticale che diventa orizzontale, ed è questo, suppongo, l’anello di congiunzione con Patres di Saverio Tavano.  I due libri si cercarono, quasi a voler chiedere uno all'altro qualcosa.
Nel libro teatro di Saverio un padre si allontana da un figlio cieco, ritorna per trasmettere un nulla urlato, qui nel libro di Calabretta, il racconto si snoda lento, silenzioso, i personaggi sembrano immobili nel momento della narrazione e rimangono ad ascoltare il fiume degli eventi, nel silenzio di un sud  che si chiama Vela. Alza le tue vele, era la canzone di Bertoli, una canzone che presuppone il vento.
 Il vento che debba fischiare e fischiare ancora in un sud  visto nel film di Fabio Mollo” Il sud è niente” Senza lasciare traccia… dice l’autore nella sua nota.
La seconda metà dello stesso secolo, ed i primi anni di quello presente, scivolati via quasi senza lasciar traccia.
Nel sud del silenzio posso percepire quello che  mi sembra una mancanza nel ritmo del libro. Forse voluta. Un registro narrativo su un tono sempre uguale, un  tempo lento. Del villaggio. 
Ippolita Luzzo