venerdì 25 dicembre 2015

Una zebra a pois al Liceo Campanella




Non siamo mica qui a contare le strisce nere alle zebre.
Assemblea d'Istituto in due giorni al Liceo Campanella.                     L'adolescenza è vivere e non esistere e al canto straorzante di Mina con una canzone di Lelio Luttazzi cominciamo a parlare  con gli alunni.

Una zebra a pois 
è una grande novità 
assomiglia ad un sofà 
non a strisce ma a pois
Una zebra a pois 
Beh, che c'è!? 
A pois, a pois, a pois! 
1960, L.Luttazzi - M.Ciorciolini - D.Verde
La zebra del divertimento.
Il tema delle due giornate è l'adolescenza e siamo invitate io e Daniela, autrice di  Matilde, adolescente in itinere. Io mi porto Cenerentola ascolta i Joy Division di Vernazza, altro racconto sull'adolescente Elly e tutte insieme sotto Litweb- Marchio Depositato con Domenico Dara e le sue coincidenze andiamo al tavolo della concertazione con Michela Cimmino, docente di filosofia  e i rappresentanti degli studenti. 

Reuel, Maria Sole, Angela e Francesco sono accanto a noi. Evviva 
Iniziamo.
Iniziamo col dirci che non esiste l'adolescenza, invenzione dei nostri anni, invenzione per catalogare ogni anno, ogni periodo e generazione in una casella. Siamo tutti adolescenti e giovani, nel momento in cui siamo entusiasti e crediamo  in ciò che facciamo, siamo tutti adulti e maturi quando siamo consapevoli dei rischi e delle necessità.
Senza barriere seguiamo Matilde visitare paesi della Calabria seguendo il piacere di essere come si sente, libera e non costretta in una festa di compleanno stereotipata e conforme al diktat dei tempi.

Senza barriere ascoltiamo Michela, il suo amore verso la scuola, l'appartenenza a studi  che ci rendono forti, il suo voler sottolineare che la fragilità è comune a tutti, la solitudine a tutti, sentirsi belli o brutti, accettati o no è comune a tutti. Non è una tragedia anche se ci sono momenti che noi tutti la pensiamo tale, se solo ci lascia una persona amata. Se solo ci tradisce una amica, oppure saremo delusi. La delusione farà parte del nostro attraversare la vita.  Suonano intanto sul palco i ragazzi del Liceo Musicale  Campanella guidati dal maestro Apa e Augruso e noi riprendiamo a parlarci su quella bella sinergia fra insegnante e alunni, tema di un racconto di Cenerentola ascolta i Joy Division di Romeo Vernazza.


Anche in quel racconto una alunna prenderà il testimone dalla sua insegnante e sarà più ricca dei sogni e degli errori, perché noi siamo gli altri, disse Resnais in un bellissimo film Mon oncle d'Amerique, noi siamo per quel che ci portiamo in tasca, come Wilcock, poeta che scrisse versi stupendi ricordandoci chi incontreremo sempre.
Sempre noi incontreremo ma saremo un impasto di altri. Nelle coincidenze di Dara e nel mio Litweb Marchio Depositato, che portai il giorno dopo, si sono depositati gli occhi di tanti ragazzi attenti e innamorati, fiduciosi che stavano ascoltando non adulti andati da loro per far lezione ma persone che si stavano divertendo di poter partecipare ancora una volta ad una assemblea studentesca che, come ben ha detto il Dirigente scolastico,

Preside Martello, è stata una conquista degli anni settanta. 

Evviva Evviva. Nello scherzo genuino poi ci siamo premiate e felicemente usando due palle e un fiore, poggiati  sul tavolo, alla maniera degli antichi greci, Paride diede Mela rossa e Pomo d'oro, con fiore simbolo della primavera a me, Michela e Daniela, fra i sorrisi degli alunni che hanno capito come solo decontestualizzando ogni momento possiamo divertirci con ciò che impariamo. Liberi. 
Studio, serietà, responsabilità e luce sorrisi e gioia nelle due giornate al Liceo Campanella. Con un grazie ancora

giovedì 24 dicembre 2015

Gli occhi piccoli di mia madre

Un ergastolo a vita.
Forse il carcere, per quanto sia terribile, non riesce a riassumere con una immagine la sua vita.
Carcerata da carcerieri inconsapevoli e brutali, esigenti di affettuosità scontate e riconosciute, è stata ammanettata e messa ai ceppi.
Al timone di una nave senza nocchiero, ha navigato con tutte le sue forze per salvare i suoi cari dalle tempeste. 
Le metafore del carcere e dei ceppi sono poca cosa. 
Lei saltellava con le sue trecce ed era piena di vita e sorridente alle adunate dei figli della lupa. A quel tempo erano tutti lupacchiotti. 
Andava a scuola e le piaceva. 
Avrebbe voluto insegnare e ridere, scherzare, cantare con i suoi alunni. 
Oplà la vita è tutta qua
Saltando dall'infanzia con lei che accende il fuoco con la carbonella a lei che impara i segni per parlar con suo papà muto e paralizzato, Saltando anni e giorni lei diventa mamma di due gemelli, uno muore a dieci mesi, per una gastroenterite mal curata, e l'altro a quattro anni si ammala di meningite. Mal riconosciuta dai medici di famiglia. 
Lui, il gemello sopravvissuto, diventerà uno dei suoi carcerieri inconsapevole.
Saltando fra braciere da preparare, quanti bracieri avrà preparato nei lunghi inverni!, saltando sul pane caldo e sui taralli, le parmigiane e le camicie da stirare, saltando sul niente di un accudimento senza sole, senza svaghi e senza felicità, un sorriso lei lo ha sempre avuto. Anche per chi non le permise nulla, nemmeno mettersi un vestito a giro maniche oppure andare a messa.
La messa  fu una conquista degli anni della senescenza.
Oplà- saltiamo le offese, i tradimenti, le ingiurie, le umiliazioni.
Saltiamo anni, sempre uguali, senza vacanze, senza un giorno di cinema e teatro, senza una passeggiata. 
Saltiamo il terribile "scura oggi che viene domani" sempre uguale di un carceriere anche esso inconsapevole del suo vivere inutile, egoistico e una partita la domenica al campo, unico suo svago. 
I giornali sempre presenti, ed ora  la settimana enigmistica, per lenire il vuoto immenso delle relazioni.
Saltiamo via agli occhi di mia madre che, ieri mattina, si fecero piccoli piccoli e lei tentò di aprirli allo specchio ingrato della vita. 
Asciugandosi la prima lacrima che io le vedo in volto.
In novantadue anni mia mamma ha sempre sorriso, nel suo carcere, con pazienza e saggezza.
Saltiamo, oplà, oltre il giardino, con me che  vorrei dare un sorriso e non riesco, essendo anche io una sua carceriera.
Saltiamo sulla scuola che mai la vide in cattedra, se non  nei suoi sogni nella notte, saltiamo su un inferno che sta in terra, e saltiamo ancora nella cella della vita, con lei che mai un lamento e solo pace chiede.

martedì 22 dicembre 2015

Discorso di fine anno 2015- A Ciascuno il suo

A Ciascuno il suo
Un anno che completa una cinquina.
Adesso faremo tombola.
Dopo aver trascorso un quinquennio a scribacchiare, aver strappato tutto il pensiero precedente io avessi scritto su fogli, quaderni e diari, aver donato libri, enciclopedie, al sistema bibliotecario lametino, senza aver nemmeno una targhetta, tipo minuscola e con su impresso nome della donante, dopo insomma essermi liberata di cose inestimabili, per me, eccomi qui, all'alba di un nuovo quinquennio. 
Faremo tombola e vinceremo i tanti soldini sul tavolo, faremo tombola e a ciascuno il suo sarà dato.
Dal luogo dove mi trovo voi non potete vedermi, non potete neppure eguagliarmi, voi che siete fatti di carne, di sangue e materia, voi che siete fatti di vere relazioni, case editrici e fiere, stand e convegni, associazioni e cooperative, scuole e giornali.
Voi siete la realtà.
Dal luogo dove mi trovo io posso però vedervi, ammirarvi e leggervi, desiderare di essere come voi, sapendo però che è inutile.
Nessuna realtà ci sarà per me. 
Dal luogo dove mi trovo posso ricevere i vostri libri, i vostri file, le vostre mail, esultare del genio, e sostenere con tutto il mio entusiasmo chi io creda che valga.
Mi sembra un compito che possa alleviare lo sconforto di non possedere quella bellissima bacchetta magica per poter sistemare ogni cosa, raddrizzare i torti e punire i cattivi, eliminare le idiozie, e ghigliottinare il superfluo, la piaggeria. 
A Ciascuno il suo, nel regno della Litweb, gli applausi ai bravi, agli artisti, tanti di voi, che hanno preso premi che valgono, nel cinema, nel teatro, nella letteratura e nel giornalismo. 
A ciascuno il suo 
Ad altri, che non stanno nella Litweb, uno sberleffo per aver accettato premi ridicoli, premi di scambio, io premio te, tu poi premi me, oppure premi di accatto, ti compro con un premio e poi, servo eri, servo resterai. 
Nella disistima più totale verso i molteplici premi cosiffatti, la stima verso i premi vinti da chi è bravo davvero.
Nella Litweb abbiamo già fatto classifica dei libri, una classifica che appartiene al mio modo di stare al mondo. 
Più bella cosa non c’è
A ciascuno il suo

giovedì 17 dicembre 2015

Se tornasse Natale di Giacomo Cacciatore



L’assenza non è tempo né strada.
L’assenza è un ponte fra noi
più sottile di un capello
più affilato di una strada.

Nazim Hikmet, Poesie d’amore, Mosca 1961


Se tornasse Natale, Natale non tornerà.
"Scomparire" è il libro di Claudio Marinaccio,
"Se tornasse Natale" il libro di Giacomo Cacciatore sembra faccia dialogo con l'altro.
Scomparire
Il protagonista, Natale Lo Bianco, Bianco Natale ( lo hai fatto apposta?), scompare, o per meglio dire, viene dissolto. 
Sappiamo del suo destino attraverso l'attesa che suo figlio, di otto anni, consuma nell'auto paterna all'altezza del "corrimano di ferro dello scalone che lega via Roma, la strada grande, più in alto – dove si circola con le macchine – a quella del mercato della Vucciria,
più in basso – dove si vende, si compra e si cammina solo a piedi "
Bruno è lì, in macchina ad aspettare il suo papà, con in mano la torta al profumo dei pinoli abbrustoliti comprata per il suo compleanno. La storia poi prende due cavetti e si accende con Bruno. "Così, alla fine, il figlio di Natale Lo Bianco detto «u mago» stacca e collega i cavi come si deve. La scintilla scocca, il motore canta senza chiave. L’automobile rutta fumo nero verso la scalinata. Via Roma sembra infinita a uno piccolo come Bruno, dentro una macchina così grande, che colleziona sguardi curiosi, ma lesti a dimenticarsi di affari che non li riguardano"
Con lo stile del racconto orale onirico, Giacomo Cacciatore ci presenta i due personaggi dal dualismo perfetto di un divenire vitale per la città.
Bruno, il bimbo supereroe mancato, il mago che con la bacchetta magica di Silvan tenterà di modellare o meglio fare sparire quello che della realtà non piace, e Vicio Miraggio, cantante melodico guastato da un vivere falso ed ora in preda a quella falena che lo perderà per sempre, la donna che ama.
Un miraggio proprio. 
Ho letto con molto interesse il libro di Giacomo, quasi contendendomelo al suo primo apparire.
Quella sua copertina favolosa, quelli della Baldini & Castoldi hanno copertina ipnotizzanti, ricordo sempre" La forma minima della felicità" di Francesca Marzia Esposito, anch'essa stupefacente, però dopo la copertina ci stanno libri dal contenuto ugualmente ipnotici.
In una Palermo che mi sembra di conoscere dal film " Belluscone" di Franco Maresco, dove i cantanti neo melodici sembrano Vicio Miraggio, si aggira Tatti Sanguineti, critico cinematografico, alla ricerca del regista, sparito.
 Un documentario etno-musicologico, il film,  che alterna il ritratto in bianco e nero del più famoso impresario palermitano di cantanti neomelodici, Ciccio Mira, sostenitore  dei vecchi valori mafiosi, alle riprese di concerti di piazza degli idoli locali, Maresco vi  fa capolino con la sua voce stentorea, e ogni tanto entra in scena ed è nostalgia  vederlo in azione, adesso che è sparito. 
A me sembra di vedere Giacomo Cacciatore, al posto di Maresco, girare in bianco e nero un film romanzo che io ho visto scorrere davanti ai miei occhi già in pellicola, pronto ad aver distribuzione in tutte le sale del regno. 
Palermo amata e sciupata, la Palermo che io ho visto una sola volta e con una guida in lacrime che mi mostrava la conca d'oro che non c'era più, sparita, sotto l'assalto  dei costruttori, il sacco di Palermo, e la guida piangeva... dissolto l'oro della civiltà restava il marcio di una vita mala. 
Giacomo Cacciatore racconta e racconta, facendoci amare il piacere di leggere, facendoci amare la pagina scritta, come se, come Bruno, potesse anche lui  "Scuotendo la bacchetta davanti a sé, con furia fosse  convinto di poter tagliare a morte la tristezza.



Vi insegneranno solo a fare Ola

Fra le tante iniziative che nella mia città si vanno svolgendo in occasione delle festività natalizie, cominciate, alcune, con largo anticipo, già a novembre, ci sta il Villaggio di Babbo Natale.
Ne sentivo parlare favoleggiando di biglietto d'ingresso da pagare nel Chiostro di San Domenico, luogo dove studiò Tommaso Campanella e dove ho studiato anche io, al Liceo Classico Francesco Fiorentino.
Ne sentivo parlare e parlare, così, mossa a curiosità, ieri mattina sono entrata.
Le donne, al banco, non mi hanno chiesto biglietto ed io, entrata a sbafo, diremmo, ho potuto deliziarmi della vista.
Le bancarelle erano coperte da drappi e quindi non ho potuto fotografarvi la mercanzia.
Non ho voluto nemmeno fotografarvi quello che vedevo perché troppo irritata dalla deriva che prendono i nostri gesti.
C'erano nel chiostro, in visita, tre scolaresche degli istituti compresivi, sia del territorio che dalla periferia, e le loro maestre guidavano quei bimbetti fra giochi e fotografie. 
Le tre maestre che vidi nello spiazzo aperto erano intente a far video e foto ai bimbetti, immersi nel puro niente saltellante.
Restarono così per tutto il tempo che io impiegai a fare il periplo dell'edificio, mentre palloncini lunghi lunghi, a salsicciotti con palle finali, mi annebbiavano la vista.
Ma forse i palloncini li vidi ad altra manifestazione e si sovrapposero. 
Andai nelle stanze della cultura, e la cultura prese il sopravvento con ninnoli e renne, con immaginario comune al televisivo svolgersi degli eventi culturali che più culturali non si può. E d'altronde le maestre nulla potevano fare di più, nella cultura del nulla merce.
Chiedo scusa a chiunque abbia partecipato a questo scempio, alle bambine e bambini che hanno trascorso ore a guardare il nulla mentre appena sopra le loro testoline stavano i reperti della Terina che ci fondò.
Un degnissimo museo archeologico che avrebbe da dire tanto, anche sul tema del divertimento. 
Intanto che osserviamo stupefatti i nostri pargoli videati e fotografati dalle loro maestre solerti al comando del diktat imperante facciamo ola al bosco e alla foresta nera che avanza, nel letterario dei termini.

martedì 15 dicembre 2015

Natale in casa Cupiello. Luca De Filippo per noi


Per noi Luca De Filippo resta il giovane trentenne che alla domanda del papà, Luca Cupiello, interpretato da Eduardo De Filippo, suo padre anche nella vita,  te piace 'o presepe?, risponde sempre no, per tutto il tempo.
A niente valgono i tentativi  di circuirlo con regali di due cravatte, oppure facendo vedere le tecniche su come avrebbe fatto scendere l'acqua, niente, lui esaspera il padre finché nella rabbia lo caccia di casa. A parole.
Per noi il presepe è sempre la colla da scaldare, i pastori da comprare, sughero, muschio, corbezzoli e la carta argentata, per completare con fiumi e laghi, cielo e stelle il paesaggio su cui pregare.

Per noi presepe, nella commedia al secondo atto, resta  la vestizione dei re magi, quel presepe, quando tutto precipita nella lite e Luca, il capofamiglia e gli altri due, arrivano vestiti da Re Magi
Natale in casa Cupiello, in omaggio a Luca De Filippo che ci ha lasciato  il 27 novembre 2015 all'età di 67 anni, nella sua casa romana.
« Senza mio figlio forse io... scusate... me ne sarei andato all'altro mondo tanti anni fa. E io debbo a lui il resto della mia vita. Lui ha contraccambiato in pieno. Scusate se io faccio questo discorso e parlo di mio figlio. Non ne ho mai parlato! Si è presentato da sé. È venuto dalla gavetta, dal niente, sotto... il gelo delle mie abitudini teatrali. »
(Eduardo De Filippo, al XXX Convegno dell'Istituto del Dramma italiano a Taormina, 15 settembre 1984)
Natale in casa Cupiello 
Tre atti composti dal '31 al '34, via via arricchito di  episodi restando sempre integro l'asse portante del testo: La mistificazione e la rappresentazione. 
Siamo alla vigilia di Natale e una volta il presepe si faceva rispettando i tempi, quindi nell'approssimarsi della festa. 
Nella caparbietà dell'uomo che fa un presepe solo per sé, per divertirsi, così dice, all'inizio del secondo atto infatti Luca Cupiello  confessa  il suo pensiero a Raffaele, il portiere che si domanda fra sé e sè:"Vedete se è possibile che un uomo alla sua età si mette a fare il presepio. So' juta pe' le dicere:-Ma che 'o ffaie a fa'?-Sapete che mi ha risposto:-O faccio pe' me, ci voglio scherzare io!-"
la caparbietà si scontra con l'incomprensione del figlio che non vuole accontentarlo riconoscendo al papà quel divertimento, si scontra con la delusione della moglie di veder questo uomo perdersi in costruzioni futili. 
Nelle giornate, che tanti magari conosciamo, delle inevitabili liti oppure degli  equivoci, che costellano come stelle le riunioni familiari, la domanda sul presepe, se piace il presepe, vuole essere un riconoscimento degli affetti che avverrà solo in punto di morte, quando sembra che l'affetto e la vicinanza prevalga sui giochi egoistici di ciascuno dei componenti. 
Sul finale vediamo Luca Cupiello  (felice che sia riuscito a far fare la pace a Ninuccia e il marito, scambiando uno per un altro, ride soddisfatto) Hanno fatto pace, laggio fatto fa’ pace… Ha visto, Conce’? (a Ninuccia e Vittorio) Voi siete nati l’uno per l’altro. Vi dovete voler bene. Non fate prendere collera a Concetta che ha sofferto assai… (Ninuccia e Vittorio allentano la stretta della mano: ora Luca delirante farfuglia qualcosa di incomprensibile, agitando lentamente il braccio destro come per afferrare qualcosa in aria. E’ soddisfatto, vaga con lo sguardo intorno e chiede) Tommasi’, Tommasi’…
Tommasino (sprofondato nel suo dolore si avvicina al padre mormorando appena) Sto qua
Luca (mostra al figlio il braccio inerte, lo solleva con l’altra mano e lo fa cadere pesantemente come per dimostrare l’invalidità dell’arto. Poi chiede supplichevole) Tommasi’, te piace’ ‘o Presebbio?
Tommasino (superando il nodo di pianto che gli stringe la gola, riesce solamente a dire) Sì

Ottenuto il sospirato “si”, Luca disperde lo sguardo lontano, come per inseguire una visione incantevole: un Presepe grande come il mondo, sul quale scorge il brulichio festoso di uomini veri, ma piccoli piccoli, che si danno un dà fare incredibile per giungere in fretta alla capanna, dove un vero asinello e una vera mucca, piccoli anch'essi come gli uomini, stanno riscaldando con i loro fiati un Gesù bambino grande grande che palpita e piange, come piangerebbe un qualunque neonato piccolo piccolo…

Luca (perduto dietro quella visione, annuncia a se stesso il privilegio) Ma che bellu Presebbio! Quanto è bello!

Con un grande applauso a Luca De Filippo 



lunedì 14 dicembre 2015

Dio non gioca a scacchi e suona da Antonello Anzani

Orazio Garofalo parla del Verbo ed il Verbo è presso Dio. Nel sacro della serata ci stavano le vecchie e le nuove scritture. Litweb e Bibbia salutano i partecipanti.
Nelle vesti di Antonello Anzani, perfetto Dio Michelangiolesco della Cappella Sistina.
Una serata a Cosenza, dove io sono stata invitata per una incursione su un tema musicale, il ritmo del romanzo, dolce o crudele, amaro dovremmo dire, in antitesi al dolce ci sta solo l'amaro? 

La serata, condotta ed ideata da Gianfranco Labrosciano, presentava una artista che di secondo nome faceva Fiammetta e, come una fiamma intensa e appassionata, ci parlò dei suoi quadri in esposizione, dei duemila quadri lasciati dal suo papà, del suo amore per la pittura.
Mentre parlava tremava ed io pensai, ora è troppo, ci muore qui, ed invece con la presenza di Gianfranco che la rassicurava, finì suo dire e dipingere parole come se avesse fatto un quadro di visioni nell'aria.
Difficile tornare nella terraferma dopo di lei.
Viaggiammo infatti a ritroso, mia cronaca è proprio a ritroso, dalla fine verso l'inizio, viaggiando come Matilde, protagonista del libro di Daniela, viaggiando con lei, sui ponti del nostro immaginare.
Commistione fra quadri, musica e libri, al violino di Pasquale Allegretti con Capriccio numero 24 di Paganini, all'arpa di Rosalba,  e ritorno su Orazio,  Stefania e Giuseppe Perrone.

 Ritorno ad Antonello Anzani e il suono del vivere. La musica usata per sedare o per ribellarsi. 
Le frequenze
432 rilassarsi
440 nervosismo
rispondenza fisica alla musica, ed io direi a tutto, anche alle parole. Se leggo un libro senza ritmo io mi ammalo. Mi viene mal di stomaco.
Se sento un parlare vano mi viene mal di testa.
Se suoniamo, vibriamo, nell'elettricità, scambi di sinapsi e tutto torna. Anche il libro vibra, non di emozioni, avrei voluto io gridare ieri sera, no, di liberazione. Certo ci sta tutto il momento intenso, tutto, però se suoniamo, parliamo, cantiamo e scriviamo vogliamo liberare l'energia che possediamo. 
Evviva evviva questo spazio bianco che mi permetterà di dirvelo ancora. Evviva evviva Alberto Badolato, che ha reso possibile  il ponte fra me e voi stasera, evviva evviva la musica. 
Forse sarà la musica del mare... 
Ci salverà la musica...
E con tanta musica in testa, compresa quella dell'universo, del silenzio, del testo, del dolore e della gioia, chiudo con le parole di Antonello che ci riportano al testo che ha un ritmo, alle parole delle canzoni. 
Dal testo della serata uno stralcio di un giornale... perché poi, tornata a casa, ho studiato!
Dimenticai dirvi di  Riccardo che mi ha regalato bellissimo disegno sul mio quadernone verde. Lo ha intitolato: Lo SparaNemici



"Risulta estremamente difficile e triste pensare che la musica, che essenzialmente ci fa stare così bene, sia in realtà influenzata da fattori così negativi. L’intonazione a 440 Hz, alla quale siamo oramai assuefatti, è invece praticamente innaturale, crea disarmonie difficilmente percettibili dagli esseri umani, ha poche armoniche ed evidentemente non è stata scelta casualmente come intonazione standard. Scoperta dall'intelligenza militare tedesca e usata durante l’olocausto, anche per spronare al lavoro più arduo nei campi di concentramento. I tentativi di ritornare al La verdiano sono inevitabilmente falliti. La differenza tra le due frequenze si ritrova anche a livello fisico. Basta osservare le forme che si vengono a creare  comprendendo che 432 Hz esse sono decisamente più armoniche. Fortunatamente esistono ancora degli artisti (anche se veramente molto rari) che compongono la loro musica con un’intonazione a 432 Hz. Tra questi non possiamo non citare i Pink Floyd che, specialmente in The Dark Side Of The Moon, possono darci un esempio lampante della differenza tra le varie frequenze.

I 432 Hz compongono quella che viene chiamata Love frequency e che fa parte di ciò che si trova alla base della natura, dell’universo, della filosofia portata avanti da diversi studiosi (tra cui Platone). È collegata al chakra del cuore, quello del sentimento, mentre i 440 Hz vengono ricollegati al chakra che si occupa del… controllo del cervello."