UNITER-LAMEZIA TERME
Nerina per me
28 ottobre 2011
"E poi…
Snocciolerò
i miei giorni,Signore,
ad uno ad
uno come grani di rosario"
Quando lei
scrisse questa poesia si trovava in
ospedale, in un lettino ad attendere l’esito di un esame,così mi disse.
Era la
mattina del trenta maggio 2007 e lei, alzatasi dalla poltrona dove fino a quel
momento mi aveva intrattenuto sui figli, sul mare, sulla scomparsa improvvisa
del suo amato in un estate lontana,- un attimo e lui non vide più il sole-,andò
a rovistare un cassetto, prese questo libro e mi scrisse… Ad Ippolita…per
suggellare un’amicizia che nasce.
Lo racconto
solo per dire com’è possibile
attraversare una vita, degli anni, e ritrovarsi un’amica distante nel tempo,
nell’esperienza, nelle vicende.
Non ci
eravamo mai conosciute, io proprio non sapevo nulla di lei, lei lo stesso, ma
quando io, spinta dalla curiosità, per averla sentita parlare più volte al
nostro corso di filosofia, mi presentai alla sua porta con un foglio in mano, lei mi accettò, prese a parlare, ed ogni mattina quella stranezza divenne la
nostra consuetudine, quasi ogni mattina finché non partì per Falerna, sulla sua
terrazza protesa nel mare.
Poi sì, continuammo
a vederci, conobbi Angiolina Oliveti, una sua cara amica, conobbi più storie,e
fu allora che lei mi parlò dell’Uniter, di come fosse bella e libera questa associazione, di quanto fosse
speciale poter ancora continuare i suoi studi e poi farli ascoltare ad amiche ad amici ai soci tutti.
Aspettava
sorpresa che le dicessi il motivo per cui io andassi a
trovarla ed alla fine un bel giorno mi
disse:- Ho capito che cosa tu vuoi da me!Non vuoi proprio niente se non il piacere di parlare con me.-
E mentre diceva rideva perché sapeva che aveva scoperto la verità.
disse:- Ho capito che cosa tu vuoi da me!Non vuoi proprio niente se non il piacere di parlare con me.-
E mentre diceva rideva perché sapeva che aveva scoperto la verità.
Io lessi a
lei quel che allora scrivevo, lei li chiamò bozzetti, mi disse di non buttarli, ma io proprio non l’ascoltai e un giorno strappai tutto di quel che a lei era piaciuto.
Rimase il
ricordo di quella stima, che mi dà coraggio solo ora a non buttare, a
conservare, a leggere così per il piacere di farlo quel che
mi viene e si scrive da solo.
Ora chiamo
collage, frammenti, bozzetti, anche questo mio dire di lei, di lei che porto
nel cuore come una guida.
Se
posso se voglio che lei sia con noi ho bisogno veramente di poco – Una sua qualità, molto rara, direi, di sapere
ascoltare, di sapere accettare, di
essere pronta al nuovo, al diverso, di vedere nell’altro l’amico e di
tendere la mano, la sua attenzione, la
sua accoglienza, il farmi sentire a mio agio perfetto.
Il suo ritornare sempre sui suoi affetti, sui tanti nipoti, sui tanti ricordi.
Ho poi conosciuto le figlie, con una ho trascorso un’ora speciale, davvero, perché si parlava di lei , dei tanti paesi dove aveva insegnato, di quel crotonese a dorso di un mulo. Proprio come nel feudalesimo!
Il suo ritornare sempre sui suoi affetti, sui tanti nipoti, sui tanti ricordi.
Ho poi conosciuto le figlie, con una ho trascorso un’ora speciale, davvero, perché si parlava di lei , dei tanti paesi dove aveva insegnato, di quel crotonese a dorso di un mulo. Proprio come nel feudalesimo!
Di quella
statale famigerata, la 106, di Botricello, un paese, si fa per dire, con una
serie di case, come i filari di un vigneto.
...
Di quelle
giornate ho tutto presente, compreso il profumo del pranzo in cucina.
Un giorno
leggemmo insieme un racconto, premio Chatwin 2004, sezione narrativa: Il
ragazzo che non voleva viaggiare di
Leonardo Soresi.
In questo
racconto il protagonista si trova nel deserto, nel Sahara marocchino con la
guerba, l’otre in pelle per l’acqua con un piccolo foro.
Solo, senza acqua, pensa che morirà. Sicuramente. Ma questo pensiero non lo impaurisce, ha solo il rimpianto per tutto quello che non riuscirà a vedere.
Solo, senza acqua, pensa che morirà. Sicuramente. Ma questo pensiero non lo impaurisce, ha solo il rimpianto per tutto quello che non riuscirà a vedere.
Perché lui
ha imparato che vivere è un viaggio senza mappa e né bussola, in cui solo la
paura e la prudenza ti fanno smarrire.
Lui ha imparato che non bisogna diventare schiavi delle nostre abitudini, in case sicure in cui la vita ha cessato però di abitare.
Lui ha imparato che non bisogna diventare schiavi delle nostre abitudini, in case sicure in cui la vita ha cessato però di abitare.
Chi torna da
un lungo viaggio ha nei suoi occhi la scintilla dei vent’anni, della
curiosità, gli altri guidano macchine
sempre più grandi in orizzonti
sempre più ristretti lui si sposta a piedi, ma il mondo è diventato la sua casa.
Gli altri vogliono aggiungere anni alla vita, lui aggiunge vita agli anni che
gli sono stati dati. Mi sembra che sia il motto di questa
associazione-Aggiungere vita agli anni-
Questo ci
dicevamo noi due, al di là dell’età diversa, questo era il nostro pensiero, profondo, convinto che veramente fosse possibile attraversare questo nostro
mare con grande slancio, con estremo entusiasmo, non arroccandoci, non
invidiando, non facendo la lotta per avere di più. Ed io poi leggevo commossa
la sua poesia, la sapevo a memoria, come facevamo una volta,ed il mare, il
nostro mare con onde leggere andava e veniva, come fa ogni giorno il mare del
nostro vivere, il mare di tutti, il nostro respiro.
"Mare
E ti ritrovo
ancora
immenso immoto
intenso
intatto
insondabile
e vivo…
E mi ritrovi ancora
Sopravvissuta
silenziosa
Lieve
esausta
Sorpresa smarrita…
Ci
ritroviamo
Stanchi e antichi
A scandire
il ritmo della vita
Con lo
stupore di esserci ancora
Una vita
cominciata
In un remoto
mattino
Di creazione
E gemente
ancora
In un
tramonto d’estate che inonda di luce."
Erano a mare
Nerina e i suoi sei figli, il primo di diciannove anni e l’ultima di dieci anni
a Botricello, il marito segretario comunale ogni sette anni cambiava sede per
servizio, quell’anno, il 1975, lei torna da sola, lui era improvvisamente
scomparso, in un istante, lei era al suo fianco, lui non era più accanto a lei.
Quante volte, tante volte lei mi ha raccontato questo attimo che a me sembra di vederla nel suo sgomento.
Quante volte, tante volte lei mi ha raccontato questo attimo che a me sembra di vederla nel suo sgomento.
"Ti sento
vicino
Ci siamo
soltanto noi due
E il nostro
ricordo stasera:
io seduta a
sognare ai margini del mondo
a rinnovarti
promesse d’amore;
tu,il volto
chino sull’abisso della vita
ad ascoltare
con muta e dolente pazienza
il canto
della caducità
le pagine
scritte nella solitudine del cuore."
…
Ma lei
doveva essere forte per lei per i figli. Insegnò a San Pietro lametino, a
Lamezia, alla Pietro Ardito e poi dal 1980 all’istituto tecnico Valentino De Fazio, dove, nel suo ruolo di collaboratrice e vicepreside, smussò, mediò ogni possibile asperità fra
dirigenza e corpo docente con delicatezza e saggezza.
Spirito
libero, liberissimo, le piaceva avere
sempre il suo personalissimo punto di vista, per questo ogni gruppo, ogni
associazione le stava stretta, scemava il suo impegno quando si vedeva
catalogata,usata, quando non era consono al suo sentire, così mi diceva ed io
capivo benissimo, perché è il mio stesso sentire. Me lo ha confermato anche
Rosa, la figlia, con la quale ho parlato della sua mamma in quel caldo pomeriggio di fine estate. Un’ora piacevolissima e magica con le note di una
musica lontana, del papà di Nerina compositore, del figlio Massimo, che non
conosco, ma che suona con lo stesso
amore di suo nonno. Finimmo con una parola.
Sapienza, ecco cosa ha amato mia mamma- mi disse Rosa, nel salutarmi- la Sapienza.
Ed io non posso che fare mia la stessa asserzione, la sapienza che ci permette di essere umili e di riconoscere in noi e nell’altro le tante cose che abbiamo da dare, le tante altre che ancora dobbiamo capire, perché la sapienza, ci direbbe Nerina è un dono divino, la luce che il nostro intelletto accende per poter vedere chiaro dappertutto.
Concludo rassicurandovi che il ragazzo del racconto non morirà nel deserto perché dopo una duna troverà una pozza d’acqua, ed ho scoperto anch’’io infine -il motivo per il quale sono andata e riandata tanti giorni -avevo trovato in lei la mia acqua per abbeverarmi, perché era questo Nerina per me.
Sapienza, ecco cosa ha amato mia mamma- mi disse Rosa, nel salutarmi- la Sapienza.
Ed io non posso che fare mia la stessa asserzione, la sapienza che ci permette di essere umili e di riconoscere in noi e nell’altro le tante cose che abbiamo da dare, le tante altre che ancora dobbiamo capire, perché la sapienza, ci direbbe Nerina è un dono divino, la luce che il nostro intelletto accende per poter vedere chiaro dappertutto.
Concludo rassicurandovi che il ragazzo del racconto non morirà nel deserto perché dopo una duna troverà una pozza d’acqua, ed ho scoperto anch’’io infine -il motivo per il quale sono andata e riandata tanti giorni -avevo trovato in lei la mia acqua per abbeverarmi, perché era questo Nerina per me.
Ippolita a Nerina
UNITER -18
novembre 2011-
Ippolita Luzzo