giovedì 21 novembre 2013

Un romanzo vero: Carta Vetrata di Paola Bottero



Paola Bottero- Carta Vetrata

Chi sono io per scrivere di te? Secondo il mio libraio io sono una fruitrice culturale, secondo me sono una innamorata.
Laureata in filosofia, ho insegnato lettere. Ho letto di tutto e sbirciato tutti quelli che leggevano, per carpire il titolo, la trama.
 Ho solo letto, nella mia vita insignificante.
Questa estate ho vinto il Festivaletteratura Parole Erranti a Cropani e ho conosciuto Andrea Giannasi, Gianluca Pitari, Nunzio Belcaro, Prospektiva, La Masnada e soprattutto la libreria Ubik, il cioccolato Ubik.
Seguendo le attività della Ubik ti ho vista ed è stato amore a prima vista.
Corrispondenza mentale, nessun equivoco, condivisione fra quello che dicevi e scrivevi e il mio sentire.
Ho chiesto il tuo contatto, ho comprato Carta Vetrata e ho seguito i tuoi granelli di Sabbia rossa, rotolandomi felice nelle sue dune.
Carta Vetrata- dove l’unica verità è la finzione
 Questa la prima frase che io sottolineo, leggendola nel risvolto di copertina.
Con questa asserzione io mi sono immersa nella lettura.
Sabato pomeriggio presto, non erano nemmeno le tredici e trenta, mi sono detta leggo un po’,poi vado al cinema e stasera esco.
Invece mia sorella é passata verso le sedici e mi avrà invitato ad una passeggiata sentendosi rispondere che io stavo leggendo Carta Vetrata.
Ho continuato a leggere senza andare a vedere L’ultima ruota del carro, il delizioso film di Veronesi che ho visto lunedì, ho continuato, senza andare da nessuna parte, perché non potevo lasciare Carta Vetrata.
 E una volta finito di leggere  non potevo lasciare la storia ferma nella mia testa.
Una storia del nostro momento finto, delle tante mistificazioni che manomettono il tessuto del convivere civile, sociale, individuale.
Terribile
Ho capito quanto vero fosse il mondo descritto, le relazioni, le pulsioni, quanto fosse opaco questo nostro mondo, quanto fossero tutti nel mondo delle ombre convinti di giocare il proprio gioco.
Fate il vostro gioco, Signori, ognuna gioca come sa, la fortuna è cieca ma si può indirizzare, prendere tutto ora o mai più, signori, oggi a me domani chi lo sa, meglio stare al gioco perché il santo passa una volta sola e cambia tutto cambia se sai stare al gioco.
Terribile
Vero, Paola, terribilmente vero, il tuo romanzo. Mi accorgo che sono quasi le sei e che ho saltato una sessantina di pagine fra pagina duecento e duecento sessanta. Incalzante e spietato, denuncia un vivere sempre piccolo e utilitaristico, senza retorica. Scrosta impietoso il giorno per giorno di un protagonista senza luce, opaco di slanci, in un televisivo anch'esso terribilmente vacuo. Rileggerò questa scrittura, testimone di dialoghi messaggi anti watsappati e cadenzati su un canovaccio da tragedia insignificante. Un libro sull'insignificanza, direbbe Kundera, dei nostri tempi senza eroi. Questo libro dovrebbe andare nelle scuole, non il polpettone scritto e insaporito di amore finto della Avallone. Il libro di Silvia è una finzione mistificante, questo libro certo inventa una storia ma non mistifica. Rileggerò e leggerò gli altri tuoi libri, Bianca come la vaniglia, un romanzo che cercherò.
Il romanzo di una donna che da Torino scende giù  e si innamora della Calabria. Insieme.
Sabbia Rossa è la sua casa editrice, la sabbia del deserto, del silenzio del deserto, Voce di Colui che parla nel deserto, perché questo sembra vivere qui, parlare senza suono, con una voce che non si propaga perché manca elettricità. Mancano gli scambi sinaptici.
Nel deserto che noi tutti viviamo però incontriamo moltissime belle persone, libri, testimonianze, occhi, simili con simili, entusiasti e attenti che porgendoci attenzione ci chiedono di camminare insieme.
Questa condivisione, lo dico sempre, questa dignità, il pudore di essere non propriamente massa e di sentirsi individui, donerà il coraggio di parlare, di scrivere e di leggere storie vere sulla finzione che Carta vetrata sgrossa con mano decisa.
Ippolita Luzzo 

martedì 19 novembre 2013

Il termovalorizzatore di Lamezia Terme




Il termovalorizzatore di Lamezia Terme
modesta proposta per prevenire il colera...
Da tempo ormai è in uso un efficace modo di smaltire pneumatici, gentilmente offerti dai gommisti, presso  il  termovalorizzatore nostrano.
Moltissimi anni fecondi hanno incenerito il nostro cielo di grigio, creando benessere e incrementando popolazione di nomadi pronti e solleciti al fuoco.
La pira arde senza possibilità di incorrere in divieti e regole, sanzioni e chiusure.
Quindi oggidì visto che abbiamo una emergenza sanitaria, visto che il puzzo tracima nelle case, perché non dare ai nostri beneamati popoli, senza fissa dimora, il compito di ardere la spazzatura al cielo azzurro della nostra piana verdeggiante?
Sarebbe una scommessa vinta, un atto di coraggio, una vera ventata di aria pura, una vittoria etnica e trasversale, con voti distribuiti a pioggia sull’asciutto e sul bagnato.
 Tanti anni fa, quando io, incosciente, mi accorsi del fumo nero, saranno almeno 15 anni fa, telefonai ai pompieri, vigli del fuoco, e li pregai di intervenire.
Per tutta risposta ebbi che loro si sarebbero mossi solo se scortati dalla polizia, perché avevano appena ritirato il loro mezzo dalla carrozzeria e non volevano rischiare di rimanere sotto una grandinata di sassate.
Interpellai la polizia che mi rimandò ai carabinieri o viceversa, poi mi consigliarono di fare denuncia alla magistratura, in quel caso, loro, con una ordinanza del giudice avrebbero accompagnato i vigili del fuoco.
Così mi avviai a fare denuncia, l’impiegato mi mostrò quante altre denunce giacessero su quel tavolo con lo stesso argomento e rincuorante mi incoraggiò a scrivere la mia.
Ma io, ormai sfiduciata, andai via.
Ora però quello che era un tormento potrebbe essere la salvezza, affidare al nostro campo il compito di ardere la spazzatura sarebbe un balsamo e una operazione che potrebbero fare solo i nostri zingari, senza regole, senza controlli, senza ispezioni.

Ippolita Luzzo



lunedì 18 novembre 2013

la cucina Rizzoli



Il polpettone che molti mangiano e io no

De gustibus non est disputandum
La casa editrice Rizzoli non è slow food
Nel corso della mia insignificante vita sono sempre stata bastian contraria. Quindi, da ragazza, non mi piaceva il ragù, pezzi di carne fatti bollire per ore in una salsa rossa di pomodoro con una cipolla, che veniva usato per condire bucatini, altro orrore, e perciatelli.
Non mi piaceva la parmigiana di melanzane e quella di zucchine, nemmeno il polpettone, una grande fetta di fesa di vitello, arrotolata e farcita con mollica di pane, aglio tritato uovo bollito sminuzzato, prezzemolo e salsiccia. Da grande i gusti si sono ancora più assottigliati, non mi piacciono  pasta, fagioli,  patate, dolci.
Questi comunque sono affari miei.
Adoro invece il riso, la zucca, gli arrosti al sangue, il pesce all'arancia.
Riconosco che anche i cibi che non piacciono a me sono buonissimi, so capire però se un cibo è artefatto oppure no.
Da astemia so a naso se un vino è ottimo, questo mi è stato confermato, così al palato mi basta un assaggio da esterna.
Questo per quanto riguarda la cucina di casa mia
Ora passiamo alla cucina Rizzoli
Quando una casa editrice è sul mercato deve vendere e per vendere deve seguire il gusto del pubblico. Il pubblico legge e mangia polpettoni? Tutti i suoi autori devono cucinare polpettoni.
Così ho capito come mai Carofiglio, che è un autore stimato, bravissimo nelle Manomissioni delle parole e in Ragionevoli dubbi, Testimone inconsapevole di Un passato è una terra straniera, si sia messo in cucina a preparare per la Rizzoli un simile pasticcio.
Nessuno se ne accorgerà, il pubblico compra il suo nome, al pubblico piace il suo stile e un polpettone fa sempre una buona figura in tavola.
Anche la mia amica Eli, con cui condivido letture, nel porgermi Il bordo vertiginoso delle cose, mi fa:- Ti piacerà tanto. Bellissimo. Parla tanto di filosofia e poi lui, sai, da alunno si è innamorato della sua professoressa di filosofia che spiegava, Oh come spiegava!, ogni sua parola incantava la classe.  Sai, parla di Bari, della sua adolescenza, in fondo racconta di sé, non credi?-
Così, giuro, mi misi a leggere questo libro con l’acquolina in bocca.
Più leggevo e più mi irritavo, riconoscevo frasi già dette, in altri suoi libri, ripetute stancamente, come se lui, Gianrico, stesse svolgendo un compito di malavoglia.
Anzi ne sono sicura, nemmeno lui si è divertito a scriverlo questo romanzo.
Poi  guardo il catalogo della Rizzoli e l’odore della cipolla mi assale.
In cucina comando io, campeggia un titolo, oppure Io ti vedo, ti sento, ti parlo, ti lecco, della Cao, anzi visto che ancora non c’è io suggerisco di  scrivere Io ti digerisco, massimo dell’erotismo Rizzoli
Della cucina Rizzoli solo piatti per palati decisi… sanno quello che vogliono!
Una vera festa dell'insignificanza, caro Kundera, non per niente Adelphi, cucina raffinata, la tua.
Ippolita Luzzo 

domenica 17 novembre 2013

Michele Branchi- L'infinito buio



Michele- L’infinito buio

Una indagine difficile per il commissario Capurro

Un commissario fragile e solitario, convinto però che chiunque compia un assassinio, un atto criminale di qualsiasi natura poi voglia raccontarlo. Chiunque.

Da Dostoevskij a noi, basta aspettare e inevitabilmente la rivelazione verrà fatta, come una liberazione.

Giallo psicologico e di introspezione accurata, giallo di ambienti che abitano strade, case e Genova.

Mi trovo sul comodino L’infinito buio per una bella amicizia, per temi condivisi con l’autore.

Identico infatti lo scetticismo che, attraverso i tasti, si possa davvero amare, innamorarsi, essere amici.

Identico il convincimento del pericolo della suggestione che una immaginazione può creare.

Identica l’ammirazione per grandi autori che capirono, prima di internet, come una molteplicità di stimoli azzerino oppure fanno disconoscere l’unico motivo valido.

Ricordo  la chiacchierata sul grande inquisitore, sull’uomo che condanna Gesù, ritornato sulla terra per liberarci.

La stessa cosa potrebbe succedere ora.

Non riconoscere chi viene per dare la luce, la conoscenza, liberarci dalla schiavitù, per dare amore.

Il popolo è ondivago, manipolabile e segue… segue

Seguirà l’inquisitore che, benché turbato dal bacio, continuerà nella sua opera di condanna.

Forse la grande e difficile arte del narrare sta proprio nello svelare, non troppo, quello spiraglio di luce fra noi e le tenebre.

Poco però per non abbagliare.

Indagini quindi fino ad entrare nella mente dell’assassino per capire, per accendere la luce.

Mi piacciono i gialli, mi piace un genere che, indagando su un omicidio, in effetti indaga sulla miseria di vivere come si vive, nel vuoto assoluto di luce.

Fissati tutti, convinti che l’altro, che gli altri siano i cattivi, gli invidiosi, i maligni, convinti che uccidendo un altro, si possa eliminare il male, il malessere profondo di abitare nell’individualità.

Riflessioni autunnali, con accanto il libro dalla copertina rossa, come un tramonto.