martedì 31 maggio 2016

Il livello del critico.

Amare i libri vuol dire esporsi a rabbia scomposta vedendo che chiamano libri qualsiasi formato cartonato.  
Amare la lettura vuol dire soffrire quando viene offerta come lettura quel che lettura non è.
Amare la letteratura e ogni genere di narrazione mi porta a difendere come fosse un guerriero quel luogo che si chiama scrittura.
Amare vuol dire rischiare  e quasi lottare affinché non si butti via quel che di bello abbiamo imparato.
Per questo soffro ogni qualvolta si sciupi così la bella occasione di portare alla gente la voglia di leggere un testo vero. Vero, diceva Boezio. 
Siamo purtroppo al tempo del buio, del livello zero di una narrazione e, malgrado i moltissimi libri belli, trovano spazio solo testi banali, scritti male, senza un lessico apprezzabile, senza un tessuto. Spogli ma adorni. Un vero sconforto mi prende. 


Quel che mi smarrisce sempre è come stiano zitti ad applaudire cotanta irrealtà giornalisti, che poi scrivono sui giornali pezzi grondanti ammirazione devota, televisioni che inquadrano e danno risalto, radio in diffusione, professori di lettere e filosofia, professori di greco e di latino, professori insomma che dovrebbero lanciare fischi e pernacchie  ed invece stanno zitti. Perché?
su questo fenomeno mi sto ancora interrogando... per riuscire a trovare il livello del critico, di diversi critici, e dei loro estimatori 


lunedì 30 maggio 2016

Le libertà conquistate

La rivoluzione delle libertà, al tempo della falsità.
La libertà di essere ubriachi,
la libertà di essere sgrammaticati,
la libertà di essere scurrili,
la libertà di andare denudati,
la libertà di essere scemi in capo.
Liberi, finalmente liberi, di dormire fino a mezzogiorno
Liberi, finalmente liberi, nelle tenebre, come Nosferatu.
Liberi 
Liberi nei letti e nella sessualità, dicono...
Liberi dagli affetti e dalle amicizie, liberi dal rispetto
Liberi
Liberi, hanno conquistato le libertà di essere scemi.
Liberi
Liberi, finalmente liberi, di scrivere qualsiasi cavolata.
Liberi dalla fatica possono recitarla.
Liberi dal lavoro e dalle necessità, la regione li aiuterà.
Liberi, finalmente liberi, liberi dalla responsabilità di dire la verità.
Liberi dalla libertà possono dir vittoria con la birra in mano. 

martedì 24 maggio 2016

Beat

Caro Beat, cantava Celentano nel 1967 
mi piaci tanto, 
sei forte perché hai portato 
oltre alla musica 
dei bellissimi colori 
che danno una nota di allegria 
in questo mondo pieno di nebbia.
O cambi nome. 
O presto finirai. 
Il fenomeno beat in Italia darà vita a tanti complessi e canzoni, L'Equipe 84 e i Dik Dik, e i Rokes di  Ma che colpa abbiamo noi?
A me il movimento beat ora somiglia ai giambi di Archiloco, come lui i rappresentanti sono 
 individualisti, litigiosi, trasgressivi e anticonformisti. Con  i caratteri satirici della poesia giambica: in spregio della morale del tempo, Archiloco afferma di aver gettato lo scudo ed essere fuggito per salvarsi la vita, ripromettendosi di comprarne uno nuovo: alla negazione dei topoi dell'ethos eroico, si affianca l'affermazione di una visione pragmatica tipica del lavoro mercenario. Rifiutò anche la καλοκἀγαθία (kalokagathia), sintesi tradizionale di bellezza e virtù.
I versi caratterizzati dallo ψόγος (biasimo) e dall'invettiva erano composti in metro giambico: per questo motivo con "poesia giambica" 

Le invettive, in Archiloco, tendevano innanzitutto a denunciare aspetti deformi della realtà a lui contemporanea, criticando o deridendo persone e fatti non per distruggere, ma anzi per costruire e affermare quei principi e quei valori che erano o avrebbero dovuto essere condivisi da tutti

Tre passi avanti 
e crolla il mondo Beat, 
una meteora che fila e se ne va 
ragazza svegliati. 
Ehi, cosa fai, 
mi lasci per andare con uno 
che li mette nei guai. 


Tre passi avanti
e sola resterai
in una nuvola di fumo
come il Beat
e sono certo che
rimpiangerai
i miei capelli corti
e questo amore nato con te.







 



La Cultura lallallà

strisciata di sabato 9 settembre 2017 al ritorno da raduno poetico. Pezzo nato nel 2016, sempre attuale.  

La Cultura Lallallà, La Cultura Lallallà,
la Cultura Lallallà, a Lamezia Lallallà.
Cantandola ad alta voce al volante della panda, torno a casa ilare ed in musica.
La Cultura lallallà, ogni due parole una è cultura.
A Lamezia Lallallà.
Rivoluzione culturale sarà, il sindaco della città
sinergia culturale verrà,  
e tutto un coro di lallallà.
Si canta a Lamezia cultura forever, in ogni locale,
si canta e si balla in giro per la città. Lallallà. 
Si prega e si mangia, si scrive a Lamezia cultura che bela, che miagola e ruggisce, cultura squittisce, barrisce e finisce. 
Cultura per giovani,vecchi e piccini, cultura per ogni colore di pelle, di palle, di pollo, cultura per ogni sapore di marcio, di insipido, di stantio.
La Cultura Lallallà La Cultura Lallallà La Cultura ci salverà.
Cantando e leggendo ci prendono in giro con stupidario di ogni stagione.
Lallallà i giovani sono il nostro futuro, lallallà lasciamo un messaggio ai nostri giovani, lallallà i giovani ci chiedono di chi è la colpa, lallallà lasciamo ai giovani noi adulti un mondo in sfacelo lallallà e allora tendiamo una mano ai giovani lallallà disse ieri sera una culturata signora ad una conferenza. 
Lallallà il mondo che è qua, lallallà In giro per la città.
Analfabeti analfabeti analfabeti cantano cultura lallallà 
il mondo è loro lallallà.
Un mondo ignorante.
A Lamezia lallallà
canta così.
Lallallà 
Quelli che non cantano sono coloro che si accorgono della presa in giro e stanno zitti. zittissimi. Hanno perso il controllo del volante. Lallallà  
Ippolita Luzzo

lunedì 23 maggio 2016

Vi dichiaro divorziati

A Paola, a Paola. Prendo il treno per Paola dove, invitata da Ada Cassano, potrò conoscere Nicola Vacca e l'avvocato Gassani. Relatore ed autore del libro Vi Dichiaro Divorziati. 
Sono felice. Nel treno alcune ragazze suonano. Il viaggio dura un attimo e Nicola, in arancio e limone vitaminico, mi aspetta in stazione.
Da Ada, che mi sembra di conoscere da sempre, c'è il soffio degli ultimi preparativi, l'attenzione che tutto sia fatto per bene. Nicola è ora  in abito blu e cravatta, io gli aggiusto il colletto della giacca, stringo la fibbia alle scarpe di Ada. Mi rendo utile, insomma. 
Partiamo.  
Siamo nel complesso monumentale di  Sant'Agostino a Paola, in Calabria. Di origine medievale, dopo aver ospitato il convento agostiniano, è la sede del Comune di Paola, in attesa che si compia la ristrutturazione del Palazzo di Città. Arrivano in tanti. Tutti i posti sono occupati da persone di età diversa, transgenerazionale. 
Arriva anche Martino Ciano, impegnato in riprese televisive non posso salutarlo. Lo fotografo.
Seduta accanto a Lella, amica di Ada dall'infanzia, io prendo appunti. E a lei chiedo informazioni su quel ragazzo, appena andato via dopo aver salutato con un In bocca al lupo i relatori al tavolo. 
Il sindaco, lei mi dice. Io da subito adoro quest'uomo, che non si perde in mille cincischierie.
E tutti gli interventi seguono la mia impressione. Interventi mirati con relatori competenti, dalla moderatrice Marianna Famà
a Margherita Corriere e Teodora Tiziana Rizzo. 

Nicola Vacca, critico letterario,  presenta il libro di Gassani, parlando di lui come un artigiano. Fondatore dell'associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani, Gassani crede ad un diritto di famiglia come casa etica. Ciò che siamo e ciò che vogliamo è il diritto di famiglia. Un diritto di famiglia ancora da fare, in cui l'autore del libro rappresenta il suo dialogo interiore, il dubbio e la perplessità dell'uomo, nel dover usare un mezzo antiquato, le leggi, per una miriade di casi umani disparati. Si ferma, Nicola, sul termine sacro, un libro sacro, nel senso di libro vero, che si interroga sul dramma di situazioni difficili e sulla impossibile soluzione, molto spesso. 
La solitudine dell'avvocato: queste le parole  con cui inizia Gassani, riprendendo le parole di Nicola, su quella funzione sacra dello scrittore, dell'uomo avvocato, del rispetto dell'uomo. 
Libro scritto per bloccare l'amarezza, per aiutare chiunque lo legga, siano semplici lettori che legislatori, a interpretare una società fluida, un cambiamento rapido di costumi, di usi, di opportunità, con l'unico punto fermo che ci rimanga: L'umanità. 
Un diritto di famiglia antiquato, fermo a società immutabili, che sembra peggio di quello talebano, con un delitto d'onore assolto fino a pochi anni fa, con figli fuori dal matrimonio che non potevano avere il cognome del padre, con il rapimento della donna sanato col matrimonio, con le donne massacrate e uccise, dopo aver sporto una inutile denuncia di violenza.
Un luogo pericolosissimo la famiglia!
Nella raccolta delle varie storie c'è seduto accanto a lui il testimone di una storia terribile di inganni e mistificazione, di tribunali, Giorgio Ceccarelli.
 Lo ascoltiamo stupefatti di quanto possa essere distruttiva la sete di vendetta.
Devo andare via, purtroppo ho il treno di ritorno, e il marito di Ada mi ricorda l'orario, non prima di aver appuntato l'ultima storia. 
Gassani sta raccontando di un ragazzo, 19 anni, adottato ed ora in cerca della sua mamma. Per conoscerne il viso.  Il regolamento per cui una donna lascia un bambino in adozione ad un ospedale   contempla l'anonimato ed il ragazzo non potrà mai vedere il volto di chi lo ha generato. La legge protegge il riserbo della donna, eppure lascia nel vuoto quella domanda su "Chi siamo, da dove veniamo", ineludibile per ogni essere umano.
Nella strettoia fra legge e casi umani il varco della scrittura, la testimonianza che si fa grido, imperio, che chiede il rispetto per ognuno dei protagonisti di una storia chiamata Vita. Nella postfazione di Martinelli a noi tutti.  

   
  

sabato 21 maggio 2016

Gli ottimisti come carriera

Gli ottimisti come carriera non leggono i dati Istat.

Gli ottimisti come carriera non spulciano nei tribunali e nelle

sedi della cronaca giudiziaria.

Gli ottimisti come carriera dimenticano Alessandro Bozzo e

tutti i giornalisti seri maltrattati.

Gli ottimisti come carriera non vedono il disagio dei pochi 

abitanti che si impegnerebbero volentieri se la burocrazia ed 

il malgoverno lo permettesse.

Gli ottimisti come carriera però hanno trovato il loro foraggio,

i loro fondi e non vedono più.

giovedì 19 maggio 2016

La pazza gioia di Virzì e Archibugi

Nei titoli di cosa passano le persone consultate, in testa  il nome del senatore Luigi Manconi, firmatario di una legge del 2015 che riguarda la tematica del film.
Passano psicoterapeuti e psichiatri, personale che lavorano in ASL fornendo servizio  parallelo ai malati, in luoghi   come  Villa Biondi.
Una struttura, dove si accolgono degenti con problemi psichici, donata dai Morandini Valdirana, per tenerci la figlia, Beatrice, una donna che ha dilapidato il patrimonio per amore di un delinquente, una bugiarda e instabile, fragile e ingenua nello stesso tempo.
Una intera comunità terapeutica  si stringe tollerante intorno ai capricci di Beatrice che, con ombrellino e scialle, ordina agli ammalati strampalate sue decisioni. Lei, con il suo agire, ha costretto la nobile famiglia a dover affittare una parte del proprio giardino al cinema italiano, e questo mi sembra il passaggio più divertente del film. 
Altro personaggio è Donatella, con una storia complessa, un tentato omicidio del suo bambino e un tentato suicidio.
Le due donne, diversissime, troppo facilmente si intendono, vanno via dalla struttura, rubano una macchina, mangiano ad un ristorante lussuoso e fuggono senza pagare, poi si ritrovano fra figuranti di un film e scappano via su una macchina d'epoca alla maniera di Thelma e Louise. 
Il film avrà avuto di sicuro buone intenzioni,  avrà voluto mostrare la follia nel genere commedia, con operatori che vanno  a trovare le fuggitive e le riaccolgono nel finale come le pecorelle smarrite tornate all'ovile, eppure  non riesce a convincermi.  
Un film non è sulla malattia mentale, oppure sul disagio, bensì è un film sulla bravura delle attrici, sulla amicizia, che a quanto pare solo i pazzi possono ancora praticare come vera.
Loro si fidano in due e questo mi sembra bello e folle.
Infatti altro momento che salvo nel film è quando Beatrice cerca notizie su Donatella per cercare di esserle utile, per dare quel senso alle cose e alla vita che amicizia può dare. 
Per il resto il film poggia su una sceneggiatura manichea, le due donne, guardate con indulgenza, e gli uomini mostrati come inservibili, l'episodio di Donatella, che fa il bagno in mare con il figlio, è quanto di più improbabile possiamo immaginare. Un bimbo che al mare fa il bagno con una sconosciuta... mah
Ed il finale con la canzone di Gino Paoli, espediente per legare il tutto ad un cantautore amato, mi infastidisce  ulteriormente. 
Amo Virzì, ho amato Ovosodo e Il capitale Umano, qui mi sembra tutto una forzatura, altro che pazza gioia! 
Il pazzo conformismo dei tempi odierni