venerdì 22 febbraio 2013

Fiorirà l'aspidistra. 1936 Orwell

Fiorirà il nostro mondo domani. Ne siamo certi, lo vogliamo.
Con Orwell noi vogliamo un socialismo democratico, la libertà di poter scegliere, e con Orwell diciamo:- Nel tempo dell'inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario.-
Caro Orwell  ti scrivo  così mi distraggo un po' e siccome sei tanto lontano più forte ti scriverò.
L'anno che è arrivato non mi piace nemmeno un po'.
Sento strani discorsi, sento nuovamente folle oceaniche e saluti marziali.
Sembrano solo risate e invece sono scherni.
Mi sono riletta te e la fattoria degli animali, mi sono spaventata perchè tu e tanti altri profetizzate con favole, con film, con canzoni, l'anno che verrà con dettagli minuziosi.
Profetizzate e ci richiamate a svegliarci.
E' Primavera, svegliatevi bambine, alle cascine, che festa di colori...
Possibile che non possiamo svegliarci ed impedire un corso della storia pericoloso?
Possibile che il corso delle cose ci trascini come un fiume inarrestabile travolgendo argini e steccati?
Possibile che risucceda, come Vico, corsi e ricorsi, e tutto venga di nuovo a galla?
Razzismo, fascismo, saluto romano, organizzazioni militarizzate, odio sociale, povertà, spregio della cosa pubblica, irrisione, e urla.  Chi urla di più vince?
Fiorirà l'aspidistra in estate, fioriranno altri fiori a primavera e non vogliamo che i nostri fiori si bagnino di sangue.
Fiorirà ancora una volta negli uomini di buona volontà la speranza di essere forti nella unica certezza di esser deboli, da San Paolo a noi.
Orwell, in quel suo libro, raccontava di quanto fosse stato difficile per lui ribellarsi al conformismo.
Non è facile, infatti, ma alcuni scrittori ci tentano
e oltre a ribellarsi lo scrivono affinchè anche gli altri sappiano

sabato 16 febbraio 2013

Dal Grande Fratello alla Grande Sorella Realtà



Al Grande Fratello:-Ti hanno nominato-

Da Wikipedia: Il meccanismo di eliminazione è limitato dai concorrenti con le nomination, durante le quali ciascuno sceglie due o tre componenti della casa che vorrebbe eliminare dal programma. I due più votati saranno sottoposti al giudizio del pubblico. Il più votato esce dal gioco.

Non ho mai visto Il Grande Fratello, se non quel pochissimo per restarne stupefatta.
 In una casa, abitata da ragazzi in buona salute mentale, le giornate trascorrono senza un libro, senza un giornale, senza lavorare.
In larvale appartenenza ad uno stato fetale, parlano e parlano ed  i concorrenti vengono nominati secondo un copione prestabilito.
Suppongo che la nomina voglia dire essere messi in gioco per la eliminazione ed ho informazioni imprecise sulle regole della trasmissione ma rimane in me quell’imperativo della giornalista:- Ti hanno nominato- rivolto ad un concorrente.

Nella vita reale essere nominati vuol dire essere riconosciuti come appartenenti ad un gruppo, ad un consesso civile
Ed essere non nominati, quando si è svolto un buon lavoro,  ha una duplice funzione di oscurità e di umiliazione.
La presidente dell’associazione Alfa, nel corso di una riunione… dimentica di dire il nome della relatrice che pur ha così esaustivamente relazionato sul libro che viene presentato…
La presidente dell’associazione Beta, dall’alto del suo scranno, nomina tutti i membri facenti parte  del consiglio e dimentica una componente.
La presidente dell’associazione Gamma,  dimentica di nominare la collaboratrice che ha certosinamente ricopiato fiumi di verbali.
Dimenticano… così dicono loro quando gli interessati fanno notare  quanto ci siano rimasti male a non essere stati nominati.

Perché?

Perché si tace un nome?

Per ripicca, per vendetta, per fastidio, per ferire, oppure perché quel nome può oscurare, ed è più carismatico, più pregnante- direbbe Raffaele- di coloro che stanno parlando?
Me  lo sono chiesto quando hanno taciuto  il mio e allora ho pensato:- Ma guarda! Sono diventata importante anche io!-

Lo dico con grande ironia. Siamo tutti nel Grande Fratello.
E nel Grande Fratello chi viene nominato verrà eliminato, vero?
Ringraziamo  quindi tutti quelli che non ci nominano.


martedì 12 febbraio 2013

Habemus papam






21 aprile 2011 Habemus papam



Una favola, una bella favola il film di Nanni Moretti
Habemus papam
Lo stupore.
Tutti guardano con occhi candidi, buoni, tutti sono buoni. Affettuosi, solleciti. Nessuna cattiveria, nessuna parolaccia, nessuna impazienza. I cardinali visti nei momenti meno paludati, più intimi, visti con occhi materni, 
sono stati bambini anche loro!
Le gerarchie pazienti, i giornalisti educati, il popolo plaudente, attento.
Un papa, che sente di non poter fare il papa, vaga per una città, Roma, accolto con garbo, con cortesia. Eppure è solo un anziano, presumo senza soldi, che vaga per la città.
La commessa di un centro commerciale gli offre un bicchiere d’acqua e non si spazientisce quando l’uomo si irrita e rifiuta le sue profferte di aiuto, la ragazza  al bar gli da il suo cellulare per fare una chiamata, gli attori di una compagnia teatrale lo fanno assistere alle prove del Gabbiano di Cechov, com’era nei suoi sogni, un mondo buono, nessun spintone, nessuna richiesta di danaro, nessuno scherno.
Una favola.
Una colonna sonora rivelatrice, spiegante e modulante un ritmo eterno e sempre in movimento. 
Todo cambia, come si cambia, per non morire, così dicono le canzoni, cambiano i denti, le stagioni, i presidenti, - dice Battiato- tutto cambia, semplicemente un divenire. Se non cambiasse non sarebbe vita e morte nello stesso tempo.
Su tutto aleggiano non viste le virtù teologali, la fede, la speranza, la carità,
su tutto aleggia l’inadeguatezza dell’uomo, della psicoanalisi, scherzosamente presa in giro, affettuosamente se ne mostrano i limiti, su tutto l’inadeguatezza di un uomo che sa quanto il potere ci spersonalizzi, ci privi. 
Un potere che vuole troppo, prende troppo, un ruolo assoluto.
C’è una riconsiderazione importante sulla fragilità, sulla difficoltà, sulla non sempre lineare accettazione di un incarico.- Ne sarò capace? Lo voglio?-
Chi non si pone domande simili veleggia felice nei mari della supponenza, della prosopopea, dell’assolutismo, della prevaricazione,  non vedendo affatto la linea dell’orizzonte davanti a sé.
Habemus papam, un papa che non vuole condurre, che vuole essere condotto, come noi, come tutti, per mano, da una mano che vogliamo non ci lasci mai.
La nostra fede
Ippolita Luzzo 

sabato 9 febbraio 2013

L'arte di parlare secondo Guitton



L’arte di parlare in un luogo pubblico

Rispettare solo tre tempi sull'argomento da svolgere.
Ecco cosa vi  dirò
Ve lo sto  dicendo 
Ve l’ho detto
Così ci insegna Jean Guitton filosofo e scrittore francese su come l’oratore debba svolgere la traccia della sua relazione su un qualsivoglia argomento.
Mi sembra bello e interessante ricordarlo insieme ad  altri suoi insegnamenti
Essere brevi
Essere altruisti
Mettersi accanto all'ascoltatore ed ascoltare.

Vado seguendo, per mio diletto, molte presentazioni di libri, vado a conferenze di storia, di letteratura.
Appartengo ancora ad un mondo fatto di prosa, di cinema e teatro, musica e canzoni, testi di canzoni, e mi sembra questo mondo, insieme alla pittura e alla scultura, all'architettura e all'ambiente, il mondo della bellezza e della comunicazione.
Mi sembra sia questo il mondo da salvaguardare dagli scomposti gesti di un vano e urlante gridare ai venti chi noi siamo, cosa noi vogliamo e dove noi andiamo .
Non andremo da nessuna parte se non ci fermiamo
Le regole di Guitton, le regole, dimenticate e spesso accantonate in diversi periodi storici, sono sempre le stesse.
Come in una conferenza, così nella nostra vita qualsiasi, dopo esserci preparati, dopo aver studiato, letto e riletto un avvenimento, possiamo, potremo dire al nostro amico o congiunto
Adesso siediti su quella seggiola
E ti dirò
Ora te la sto dicendo
Te l’ho detta
Ripetendo con calma il tema della conversazione e assicurandoci che sia noi che l’altro,
sia noi che tanti altri, tutti, abbiano l’audio collegato.
Altrimenti, caro Guitton, è vano parlare come in una boccia nell'acquario dei pesci rossi.
Dall'eleganza del riccio… che è sia il libro della citazione appena riportata e sia l’animale che più ci rappresenta, con tutti quegli aculei.

venerdì 1 febbraio 2013

La Batracomiomachia- La guerra dei topi e delle rane



Da Pigrete Di Alicarnasso a noi, passando attraverso Leopardi.

Il re delle rane si offre di portare sulle spalle
 per un giro sul lago il figlio del re dei topi.
Durante la passeggiata un pericolo immediato costringe il re delle rane ad immergersi, causando così l'annegamento del topo. La guerra è inevitabile.

Il poema lascia i topi sconfitti, proprio quando erano certi della vittoria,  sconfitti dall'intervento di Zeus che li incenerisce e dai granchi che li fanno a pezzi.

Nel poemetto I Paralipomeni della Bartracomiomachia Leopardi riprende in mano la storia nel momento finale, dalla sconfitta dei topi, che per lui sono i liberali napoletani, contro le rane, i borboni, aiutati dai granchi, gli austriaci.

La satira offre al poeta un divertimento ed insieme la libertà di dire la sua, da intellettuale, su quanto sia ridicolo l'agitarsi di tutti se il luogo del contendere si sposta dall'agone politico ad uno stagno.

Continuiamo con Esopo e con un'altra favola- Le rane nello stagno-
Se dal nostro mondo precipitiamo in uno stagno e, come le rane  di Esopo, continuiamo a chiedere a Zeus un governatore saggio e giusto,
ricordiamoci che Zeus mandò fra le rane un dittatore che le beccò e se le mangiò tutte.

Rammentiamo che Zeus, nella guerra fra i topi e le rane, fulminò i topi, che, sempre secondo Leopardi, erano i liberali di allora.

Nessuno riprende ora queste due favolette
eppure sarebbe divertente vedere chi sarebbero i topi ora
e chi le rane e i granchi
Forse sarebbe utile riflettere, spostandoci nello stagno e dallo stagno
osservare, prendere appunti e studiare, sentire le rane fare solo cra cra cra
e guardare i topi sulla riva, senza un traghettatore
  e dovremmo arginare i granchi che  organizzano taglienti chele per fare a pezzi e uccidere la democrazia
Sarebbe un insegnamento per tutti, ma nessuno ascolta la classicità.

 Suoni troppi lontani o troppo vicini per essere uditi nel rumore della contemporaneità

Gli aedi suonarono e cantarono ma i rapsodi per riportare i loro canti a noi devono ancora giungere... dal V secolo a.C.




martedì 15 gennaio 2013

Cosa è successo che ci ha sbarrato la strada?

 Aver cinquanta anni, sessanta e poi oltre è un tempo per noi di nuovo guardare.
Cinquanta o sessanta e possiamo dire- noi c'eravamo-
C'eravamo quando l'uomo andò sulla luna, quando uccisero Kennedy, quando il televisore si accendeva solo per il telegiornale.
C'eravamo quando le nostre mamme stavano a casa, le nostre nonne ci tenevano in braccio e i nostri papà partivano all'alba ritornavano al tramonto e noi bimbi gli davamo il bacio andandogli incontro.
C'eravamo ubbidienti seduti ad un tavolo, in tanti, a mangiare lo stesso cibo, a chiacchierare e ad ascoltare il nonno che riportava un aneddoto, un fatto strano.
Guardiamo affettuosi il tempo che fu, un tempo ormai storia di tanti, di molti, un luogo dal quale noi abbiamo preso lo slancio... di corsa
Lo studio, la laurea, l'insegnamento, il fermo proposito che l'autonomia, la stima e l'impegno sarebbero serviti a forgiare quel nuovo modello di relazione che ci sembrava il vessillo della felicità.
Cinquanta o sessanta sono tempi di bilanci,  per molti quella bilancia sembra che non abbia nulla più da pesare, un peso inconsistente, un peso da niente.
Ed ora ci chiediamo:-Cosa è successo che ci ha sbarrato la strada?-
C'eravamo un tempo e poi siamo spariti per venti, per trenta, per quaranta anni e all'improvviso ci ritroviamo in età adultà a ribaltare il nostro motore su una infanzia che ci corre incontro.
 Epimenide dormì cinquantasette anni,  poi si risvegliò e si stupì.
Sarà questo il miracolo, il dono di un pensiero informe che ogni mattina ancora si chiede:-Chissà come mi formerò?- Che forma mi regalerò per guardarmi ancora con indulgenza?-
Risposta non c'è ma forse chissà perduta nel vento sarà...
La storia risponderà
non ora
non subito
e noi non sapremo mai cosa lei ci dirà.
Resta intatto il nostro stupore.
  

sabato 12 gennaio 2013

Il sangue del fanciullo- Dino Campana



Il sangue del fanciullo- Dino Campana

A casa mia non veniva nessuno, c’era però il salotto che veniva aperto quando  parenti lontani passavano a salutare nei loro giorni di vacanze al sud.
Il salotto era in fondo al corridoio buio, soffitti alti e pomello bianco madreperlaceo alla porta liberty, ampia stanza con balcone, giardino della chiesa barocca  accanto.
I parenti erano accolti con sorrisi, fatti accomodare e, preparato il caffè, mi chiamavano.
-  Vieni a salutare lo zio, la zia, i cugini, vieni.-
Stavo nascosta fra i muri spessi di una casa antica, fredda e buia, stavo in silenzio sbuffante e non andavo, non subito almeno.
I richiami continuavano, qualcuno veniva a cercarmi, poi smettevano ed io, educatamente,  apparivo sulla soglia  ai parenti ormai in viaggio, nei saluti, sulle scale .
Eppure ho  avuto un affetto intenso per i miei, e ho sempre dato il nome timidezza al mio fare.
Non ero scontrosa come apparivo.
 Neppure Campana, sicuramente, lo era.
Quale insignificante momento della nostra infanzia ci segna il percorso che poi faremo?
Quale richiamo, quale frase ferisce inguaribilmente l’anima, e cancerosa poi fa metastasi nel nostro agire?
Non lo sapremo mai, anche ora che scaviamo e scaviamo, parlando con psicologi e psicoanalisti, terapeuti e amici, ormai tutti in possesso di conoscenze Junghiane, di testi su sogni e su associazioni, di sedute di gruppo e parliamo e parliamo.
Campana scappava nei boschi, io camminavo di lato, Campana , beh ora, ora suppongo avrebbe continuato a vivere strano, magari scrivendo per scherzo o davvero su un foglio bianco di un tablet, di un cellulare.
Ripenso che siamo veramente fortunati  noi figli di un’epoca nuova, senza catene, senza legami, senza detenzione coatta se scriviamo, se cerchiamo ancora quel solo motivo che dall’infanzia ci portò al domani.
Campana ricorda un verso di Whitman…essi erano tutti stracciati e coperti con il sangue del fanciullo…lo scandalo della vita che si cerca ancora di negare; la sua vita, ovviamente, orridamente scempiata dai familiari, dai vicini, dai concittadini.
A lui non comprarono nemmeno un pc
Noi, privilegiati, abbiamo incontrato sul nostro vissuto Joan Baez e Dylan, i Rokes e Lucio Battisti e l’infanzia ci aspetta, non ci fa paura.
Una adolescenza da padroni del mondo- una adolescenza lottante urlante caparbia e impegnata ci prese per mano
Noi abbiamo incontrato dopo quel  bosco dell' infanzia l' entusiasmo e  musiche e cinema , teatro e parole e
Ormai in quel salotto saremmo stati i primi ad entrare, a porger la mano, a chiacchierare, noi, noi  che ritorneremo indietro solo per la rincorsa... come gli atleti