mercoledì 3 marzo 2021

Otto Marzo

 Un 8 marzo che non vi racconterò. 

Anche questo anno sarà 8 marzo. 

Una festa per finta. 

Le donne non sono una categoria e non sono tutte fatte con lo stampino. 

Ci sono donne buone e donne cattive, donne isteriche e donne pazienti, donne approfittanti e donne generose, donne prodighe e donne avare, donne vittime e donne carnefici, donne sceme e donne in gamba. 

Mi accorgo che bastava una sola distinzione: donne buone e donne cattive. 

Sarà questo 8 marzo la festa della distinzione perché io con molte donne non ho nulla in comune e queste nemmeno vogliono avere nulla in comune con donne come me. 

Distinguersi si può. 

Ippolita Luzzo 

lunedì 15 febbraio 2021

Memorie dal sottobosco Tommaso Lisa


Tommaso Lisa ci racconta come "La normalità quotidiana divenne una cornice nella quale inquadrare istantanee di frammenti e di ricordi prelevati dalla selva psichica." In questo "Memorie dal sottobosco" il sottobosco parla a lui, a noi, ne sentiamo il profumo, il profumo dell'insetto studiato da Tommaso, del fungo dove l'insetto abita, ed insieme tutti noi ci sentiamo abitanti di un paese alternativo "il paese delle meraviglie". 

Uno dei miei pezzi di alcuni anni fa si intitolava proprio Il paese delle meraviglie, intendendo, come intende Tommaso, il guardare la normalità quotidiana in frammenti, in dettagli e scoprirne lo sconosciuto, il nascosto, il piccolo e troppo lontano quasi eppure così vicino. 

Lo sguardo di Tommaso si poggia su un insetto dei Coleotteri, famiglia dei Tenebrionidi, uno sguardo lungo e protratto negli anni dall'infanzia fino all'età adulta. Ora ne ha fatto una "storia" che ci affascina, e lo seguiamo nell'appartamento all'ottavo piano della periferia di Firenze dove il suo papà ha proseguito la raccolta degli insetti, ed ora più di cento cassette piene di Coleotteri e Lepidotteri aspettano Tommaso. Lui ne sceglie uno solo, un solo insetto, nella categoria dell'unicità, dico io, amante dell'Unico di Stirner, e ci parla della famiglia a cui appartiene, la famiglia dei Tebrionidi, ben 18.000 specie di coleotteri neri. 

Nel bellissimo racconto ci sono gli scambi di mail con altri studiosi, c'è il filo che unisce il nonno, il padre e il figlio di Tommaso, negli affetti, c'è Google Earth, e quel viaggio, che si può fare con un clic del mouse lungo i boschi del Canada o tra le colline di San Miniato con lo stesso stupore di un viaggio fra i Coleotteri. 

Tommaso ci prende mano e ci racconta del primo allevamento di Tebrionidi fatto da bambino in una scatola di plastica trasparente che aveva contenuto cioccolatini. Noi lo seguiremo felici, ci sentiremo piccoli, piccoli, in un viaggio immaginario eppure reale. Guarderemo nelle scatole ogni forma di vita, separata dal bosco per essere ora sotto la lente dell'osservazione. 

Insieme al racconto tanti disegni, disegni di particolari piccolissimi, e ci spiega poi cos'è l'Entomologia. E io vi rimando alla lettura bellissima di questo libro ricchissimo di spunti di riflessione, di meraviglia e di stupore. C'è poi  la riflessione su questo nostro mondo ora con una economia predatoria "fondata sullo sfruttamento delle risorse" e la consapevolezza di essere intrappolato, lui con noi, da una vita uniforme  senza soluzione di continuità, fra auto, cemento, asfalto. 

Io ho amato moltissimo questo libro, lo accolgo nel grande Regno della Litweb e lo vado a rileggere nella beltà di una prosa limpida, di un raccontare affettuoso e calmo, nella meraviglia che solo può dare la vera letteratura. 

Ippolita Luzzo 

giovedì 11 febbraio 2021

Il diavolo sulle colline di Cesare Pavese


Le Edizioni Urban Apnea ripropongono un testo di Cesare Pavese del 1949, con l'aggiunta di cinque poesie. 

Il testo, Il diavolo sulle colline, pubblicato da Dafne  Munro e Dario Emanuele Russo mi giunge come il segno del destino all'indomani di una trasmissione televisiva in cui io avevo parlato di un altro libro che aveva Pavese come argomento. Il titolo era proprio Pavese Non ci capisco niente Lettere degli esordi da L'orma Editore. Erano queste le lettere dell'adolescenza di Pavese, dai sedici anni fino ai trent'anni e stranissimo come le lettere siano un tutt'uno con il libro Il diavolo sulle colline, storia di amici sulle colline torinesi, storie di vagabondaggi notturni, storie di confessioni amicali, situazioni uguali a quelle con Pieretto, Poli, Oreste nelle confessioni delle lettere a Sturani, Pinelli, Monti. 

Ho perciò letto andando dalla vita di Pavese al romanzo e dal romanzo alla vita. " La vita è quel che siamo noi- disse Pieretto. Con loro anche noi chiacchieriamo seduti sull'erba, a guardare le colline, le storie strane che sembrano normali. 

Resto basita di quanto poco i genitori conoscano i figli, di quanto poco si conoscano fra loro le donne e gli uomini, che restano estranei, malgrado consumino qualche rapporto, di quanto poco si conosca la vita passata a bere o a sniffare o ad andare in giro, benché alcuni di loro, del gruppo debba studiare  per fare gli esami.


 Nel vagabondaggio sempre presente quel mestiere di vivere, quel senso complesso del soffocare. Ci sono in entrambi i libri le poesie di Pavese, prima che pubblicasse Lavorare stanca, ci sono i versi che hanno accompagnato le nostre giornate in cerca di luce. Nel libro Il diavolo sulle colline alla fine troviamo le febbri luminose, le tre poesie, in cerca della luce, nel 1928, e poi via via arriviamo a Verrà la morte e avrà i tuoi occhi del 1950, della primavera del 1950, di quell'anno in cui Pavese decide di finire quel "vizio assurdo" la sua inquietudine.  

Ringrazio con infinita riconoscenza e commossa per la coincidenza veramente amorosa l' Edizioni Urban Apnea e L'Orma Editore per continuare un discorso mai interrotto di poesia e narrazione:

Ippolita Luzzo 

domenica 7 febbraio 2021

Pavese Non ci capisco niente Lettere dagli esordi


 I Pacchetti, i libri pronti per essere spediti, sono raccolte inedite di lettere dagli epistolari di grandi personaggi della storia, della  letteratura. Sono leggeri e tascabili e la sovraccoperta può essere trasformata in una busta per essere affrancata e spedita con la sua bella lettera all'interno. L'Orma Editore  ama i libri e li cura con affetto infinito, e noi insieme abbracceremo queste meraviglie. Sono 37  I Pacchetti, con le lettere di Gramsci e della Austen, di Wilde e della Luxemburg, oggi con Pavese, affidato alla sapiente attenzione di Federico Musardo. 

 Federico Musardo raccoglie le lettere di Pavese, in un periodo che va dal 1924 al 1936, dai sedici anni dell'adolescenza ai trenta della età adulta, anno in cui Pavese esordì con la raccolta di poesie Lavorare stanca. 

Pavese scrive e conserva, forse consapevole che tutto un suo pensiero debba essere lasciato a noi, e scrive al professore di italiano e latino, Augusto Monti, scrive ai suoi amici, Mario Sturani e Tullio Pinelli, e noi lo incontriamo nel suo farsi scrittore, nel confessare dubbi e nel voler attenzione. Con le contraddizioni e gli amori, con la voglia di usare la scrittura per divergere dalle incombenze del vivere difficile, come poi ci dirà nel Il mestiere di vivere, il diario dal 1935 al 1950. 

Federico Musardo ci invita a leggere le mail per "scoprirne il piglio insolente da spaccone, il sorriso sornione, persino la voglia disinibita di divertimento" ed io ve li raccomando con la stessa affettuosità. "Più si è malcontenti di sé e più la firma si mette gigante" scrive fra parentesi Cesare Pavese a Sturani, nel novembre del 1924, ed io faccio la prima piccolissima orecchietta al libro, per pentirmene subito dopo, perché non dovrei sciuparlo, ma il desiderio di fermare con un mio segno mi sembra impellente quasi come quello di chi crede fermamente di avere vastità e verità con il libro in mano. Con un libro il mondo è nostro, sembra ci diciamo. 

Il libro è arricchito da fotografie dei destinatari delle lettere, conosciamo Sturani, Pinelli, Monti, e quello che poi mi sorprende, ma qui è un mio fissarmi, è leggere in una nota che Sturani si vedrà rifiutato un suo romanzo all'Einaudi proprio per l'opposizione di Pavese, ed io sono curiosissima di sapere ancora. 

A Tullio Pinelli il 18 agosto 1927 Pavese scrive: "E se amo anche i libri è perché in fin dei conti i libri sono parte del mondo, come le donne, gli alberi, le bestie, i fiori, i poeti, le fabbriche, le stelle e questa mia meravigliosa lettera" 

e sorridendo affabile dal mio "meraviglioso pezzo" un grande onore per me avere nel Regno della Litweb il delizioso "Pavese Non ci capisco niente" Lettere per noi

Ippolita Luzzo  

sabato 6 febbraio 2021

Finestra vista mare di Ariel Fonseca Rivero


 La casa editrice Ensemble ringrazia, alla fine, chi ha permesso di portare avanti il progetto di stampare e pubblicare bei libri. Ci sono i nomi di questa sinergia fra lettore e lettura, fra editoria e librerie, fra tutti noi che amiamo i bei libri. Mi piace molto stare qui a parlarne e a consigliare questo libro, tradotto con cura da Laura Mariottini e Alessandro Oricchio, un libro di racconti, e nella premessa Laura Mariottini ci parla proprio di cosa siano i racconti.

Nelle parole di Cechov il racconto deve tenere il lettore sospeso fino alla fine, in Poe la lettura deve durare da mezz'ora a due ore, in Quiroga il racconto è come un tiro alla freccia che non permette distrazione, in Cortazar la similitudine del racconto con la fotografia.

 Io amo moltissimo i racconti, quelli di Dino Buzzati e quelli più recenti di Simone Ghelli, quelli fantastici e quelli dove il gioco della vita raggiunge angoli dimenticati. Ho amato moltissimo questi di Ariel Fonseca Rivero, sette racconti con sette personaggi, che noi guardiamo come se fossimo alla finestra. L'immagine della finestra mi è familiare e sento familiare l'autore come se fosse un abitante nella mia casa. 

Mi leggo con attenzione anche l'intervista che Fonseca Rivero dona ad Alessandro Oricchio, un donare Cuba, l'isola di Fonseca, un donare le persone che vivono a Cuba, ciò che lui vede ogni giorno. Sono con lui, con la fatica di vivere con i pregiudizi atavici, con la violenza di cui non si parla mai, una violenza silenziosa: l'umiliazione. 

Nonostante tutto però il messaggio è sempre positivo e c'è sempre la lotta per raggiungere ciò che si desidera.

E poi c'è il mare.

Uno degli ultimi miei pezzi è dedicato a Piergiorgio Paterlini e al suo Stanno smontando il mare, ed in entrambi i racconti io sento il mare, l'odore della salsedine, e il mare che è movimento e sollievo. 

Imparo tutta l'intervista e sono d'accordo sul dono della sintesi per raccontare un urgenza, per raccontare e comunicare ciò che si ha dentro, senza etichette, per dirlo semplicemente. E fra i nomi amati da Fonseca trovo lo scrittore Abelardo Castillo Mondi reali, libro amatissimo qui a casa mia, nel Regno della Litweb. 

Finestra vista mare

Così, tanto per dire, uno dei racconti che riguarda una vita matrimoniale, un tradimento, e alla fine la violenza, la violenza dell'inizio. La lotta

Il viaggio, e qualcuno che se ne va, Carlos va via, e poi Carmen, cara Carmen, l'amore rende ciechi. 

Sette racconti per voi, per noi che amiamo i racconti, ed ora mi ricordo quegli altri racconti di Alessandro Raveggi, Il Grande regno dell'emergenza, e con lui e con  Raymond Carver affermiamo: "Mi piace quando nei racconti c'è un senso di pericolo o di minaccia. Ci deve essere della tensione, il senso che qualcosa sta per accadere, che certe cose sono messe in moto e non si possono fermare" nel grande Regno della Litweb

Ippolita Luzzo 


lunedì 1 febbraio 2021

Alessio Forgione Napoli mon amour


 "Ferito a morte vivo per sempre" è il titolo dell'articolo di Sandro Veronesi sulla Lettura del 31 gennaio 2021, ed io lo leggo con in testa l'incontro fra Amoresano, il protagonista di Napoli mon amour, e Raffaele La Capria. 

Mi piacerebbe moltissimo leggere Alessio Forgione sulle pagine dei giornali di letteratura e non dubito sia e sarà così perché Alessio è uno scrittore che affascina e commuove, che suscita empatia e amicizia. Mi sembra proprio di conoscerlo dopo aver letto una stupenda prefazione al libro di Marotta "San Gennaro non dice mai di no" e ora qui alla prova con Napoli mon amour "Piccoli pezzi" di un mondo fatto a pezzi.

Cosa sarà di noi, non lo sappiamo, in un girovagare che fa pena.

"Dentro di me comparve una pena che poi crebbe, inarrestabile. Per me stesso, per il mio presente e per quello che sarebbe stato il mio futuro, e provai pena anche per lui, che si guadagnava la vita in quel modo assurdo. Pensai che forse si sentiva umiliato dalle cose che gli accadevano ed era per questo che m'aveva tenuto là, temporeggiando su quello che aveva da dirmi" la dissoluzione del lavoro ci sta tutto, come un saggio sociologico, nell'offrire lavori che non sono lavori, nel creare qualifiche che non sono qualifiche, ed qui nell'incontro fra Amoresano e chi lavora, per finta anche lui, alla comunicazione di una Onlus, ci sta tutta la pena di un nulla fatto mercato d'illusioni per fingere ancora che non sia crollato del tutto il mercato.

 Continuo a copiarmi le pagine seguendo il protagonista nel suo andare dall'amico, vivere con i genitori, prendere la macchina della mamma e sfasciarla per un incidente. E poi l'amore, e poi la scrittura, la voglia di fare racconti e l'incontro con La Capria e poi lo scrittore gli chiede di parlargli di "Ferito a morte"

" Gli dissi che doveva considerare che era scritto in maniera perfetta. Centotrenta pagine e non una virgola fuori posto" "Gli dissi che la vicenda di Massimo De Luca era una vicenda universale in cui mi riconoscevo " " Gli dissi che aveva così ben descritto Napoli che Napoli , forse per non rovinare il libro, non era più cambiata" e io sto sintetizzando tutto ma chi leggerà sarà come me coinvolta e prenderà in mano i racconti di Amoresano e insieme l'opera di Raffaele La Capria con su scritto, "Un augurio, Raffaele La Capria".

Mi piace moltissimo questo passaggio di testimone, questa amorevolezza nel mondo difficile delle patrie lettere e sono sicura che la vita sia proprio questa, fatta di attimi di perfezione. Ed è ciò che un bel libro deve regalarci e ci regala ora Alessio Forgione con Napoli mon amour subito nel Regno della Litweb

Ippolita Luzzo 

mercoledì 27 gennaio 2021

Pezzi recensiti da Giovanna Albi


Quello di Ippolita Luzzo è davvero un nomen omen; la regina delle Amazzoni non sì è fatta decurtare però del dono del suo cinturone, che la rendeva invincibile, e certo Eracle non lo portò ad Euristeo. Non ha sposato Ifito e nemmeno Teseo e non è la madre di Ippolito. Lei è rimasta l’indomita amazzone, oggi una delle più versatili e folgoranti critiche letterarie contemporanee, che ci parla dal regno della litweb. La casa editrice Città del sole, con la curatela di Letizia Cuzzola, ha selezionato alcuni pezzi dell’autrice “liquida”; non saprei dire se i più belli, ma certo tali da cogliere lo spirito pugnace, dissacrante, irrisorio, ma al contempo profondamente umano di chi combatte ogni giorno per far emergere in questa elefantiaca produzione pseudo-culturale autori che forse non avrebbero la risonanza che meritano. Non sto qui a consigliare il libro per vincolo amicale, anche se, come dice Ippolita, l’amicizia ha bisogno di acqua, e noi non siamo cactus, non sto qui a portare acqua al mulino di una amica, ma perché credo che i pezzi della Luzzo compongano un puzzle animico di assoluto interesse. Dalla presentazione che fa di sé come una donna sui generis, che non rientra certo nella categoria standard della donna del Sud: non ha mai fatto la salsa di pomodoro, le melanzane ripiene, non stira le camicie…si sente che il Sud sta spostato in un altrove, che è nel suo sangue, nello spirito creativo e ribelle, nella ricerca indefessa della sua anima, perché per lei scrivere è la sua droga e sottende la fiducia illimitata in un giorno migliore che certo verrà. Un giorno da condividere da donna con le donne; perché è sempre la giornata della donna per la Luzzo che la “incarna la quintessenza femminea” con tutte le folgorazioni del caso. Stile intuitivo, immaginifico, sospeso, taciuto, svelato con parole che si rincorrono con lena: parole scavate, tese, irridenti, ironiche e pur di denuncia di tutto quello che non va in questa società che soccombe alla crisi. Nel passo dedicato alla Donna Marisa Belisario si registra la condanna delle idee ex coro e amaramente: ”un giorno le idee coltivate (negli horti conclusi) restarono anch’esse senza rivoluzione e nella città in cui tutto si confuse anche le idee, disoccupate, presero la borsa e andarono a spasso!”

Le idee della Luzzo però non cadranno in prescrizione, non rimarranno disoccupate, perché la rivoluzione la alimentano dal di dentro, con la sua passione di lettrice curiosa e i suoi pezzi in punta di penna; mentre fuori impazza la tempesta, qui nel regno della Litweb splende sempre il sole delle idee rivoluzionarie e indomite. La Luzzo non si piega alla convenzione, nemmeno della scrittura, lei procede per immagini, per intuizioni che non hanno un approccio ordinato logicamente, sono attraversate dal furore dionisiaco e nietzschiano, attraverso cui ciò che è solitamente protetto nell’hortus conclusus viene preso a martellate. La chiamerei la critica del martello: ”Così oggi la letteratura ha preso a dire baci e bacini, caffè e cioccolata, sospiri e caramelle, il bello che avrete, “ Un giorno in più” e a vendere e vendere la carità a ogni angolo di strada . Connivente con la pubblicità.” Oggi la pubblicità domina e manipola il mercato della cartastraccia e in questo emporio di scambi e favori, le idee vanno alla rovina e la democrazia non esiste: il voto è uno scambio, che si ammanta di legalità. Eppure, “ Esiste l’amore, ne sono certa, esiste e continua a creare, a conoscere, a comunicare che la vita è amore, che mangiare un gelato allo yogurt bianco sulle strade di un paese sconosciuto può essere il più bel momento amorevole della nostra estate. Esiste quello che non hai , perché più bello sarà andare a cercare amore nelle pieghe di una tovaglia che ondeggia, nella ballata sul mare salato di Hugo Pratt, che riscritta su un telo si asciuga al sole di una terrazza al caldo vento di agosto.” Profondamente platonico questo concetto: l’eros esiste ed è figlio di Poros e di Penia; nasce sulla mancanza e non si stanca mai di cercare, anche nei luoghi e nelle circostanze più strane e più lontane dal consueto, ma anche in un gesto banale, in fondo al vasetto di uno yogurt bianco, ma soprattutto l’amore sta nelle parole. Di queste Luzzo ”il saltimbanco” ha da venderne.”

Giovanna Albi su Satisfiction