mercoledì 6 gennaio 2021

Paolo Romano Quando cavalcavo i mammut


Paolo Romano pubblica con le Scatole Parlanti due libri, il primo è "La formica sghemba", il secondo "Quando cavalcavo i mammut". 
Già i titoli, l'ultimo è tratto da una frase, in un tema di quarta elementare,  del figlio Giovanni, ci dicono come sia estroso e nello stesso affettuoso l'autore, legatissimo a figlio e genitori. 
Il tema del libro sui mammut è proprio il legame del protagonista  con il padre. Padre al quale io mi sono affezionata moltissimo.  
Leggendo alla mia maniera sghemba, di lato, dalla  fine, dal centro, verso la periferia, Luigi Giavatto, "impiegato alla terza sezione civile del Tribunale di Roma, ordinava fascicoli di giorni, intanto pensava al jazz, alla parte irrealizzata di vita nei cui confronti era più indulgente", lui quasi scompare nella lettura e da "insopportabile, malinconico, propenso a quello stato di accidia che guasta i soli anche i più luminosi, si stava antipatico". 
Il personaggio dunque è nevrotico e narciso, ed anche le situazioni che lo riguardano vengono descritte con un lessico che si adegua a lui. 
Diverso invece l'apparire del padre, malato, bisognoso di cure e con una storia che ci porta ad Ibla, a Scicli, alla Sicilia. 
Cambia il periodare, cambia il racconto e noi tutti con negli occhi il barocco di Scicli, seguiamo il papà di Luigi, conosciamo il suo maestro, Arcangelo Piazza, al quale io mi sono legata di grande affetto, maestro d'altri tempi. 
Arcangelo Piazza capisce che quel Peppino, alunno promettente, non doveva lasciare la scuola, e trova un modo per convincere il padre. Commovente e salvifico il ruolo della scuola nella vita del padre di Luigi Giavatto. 
Quando cavalcavo i mammut non è un romanzo, vi può irritare, come Luigi, e vi può commuovere come ha commosso me se anche voi vorreste conoscere il maestro Arcangelo Piazza e il suo alunno Peppino. 
Felice di aver potuto leggere nel Regno della Litweb il libro di Paolo Romano, con il mio radar curioso e attento, faccio a lui e ai suoi libri i miei migliori auguri
Ippolita Luzzo 

mercoledì 30 dicembre 2020

Francesca Farina Casa Di Morti

 


Francesca Farina è nata in Sardegna e ha poi studiato a Siena e a Roma dove tutt'ora vive e organizza dal 2002 ogni mese la Maratona dei poeti ed ogni anno nel mese di giugno il "Leopardi's Day". Tra giugno e luglio coordina "L'isola dei Poeti" presso l'Isola Tiberina con Roberto Piperno. Cura un blog personale di poesia.  Scrive da sempre, annota con attenzione ogni momento interiore e di vita collettiva, sentendo la scrittura come testimonianza di vita. Qualche anno fa pubblica un romanzo immenso, una grande saga che avrebbe dovuto avere maggiore spazio sui giornali, nelle televisioni, nelle librerie ed avere moltissimi lettori. Non è stato così ma io non dubito sul valore della qualità ed ora quel libro è giunto nel Regno della Litweb 

La storia dei Barones, di cui si favoleggiava fossero arrivati sull'isola dal continente con quattro carabattole, imparentati con le prime famiglie del luogo, con i Satta, i Mameli, i Thola, i re del villaggio, di un buco di topi, un luogo che era "uno sputo in faccia al Monte Albo" viene raccontata in Casa di Morti, il romanzo fiume di Francesca Farina, insieme alla storia di ogni persona, di ogni abitante del villaggio attraverso gli anni, attraverso " Cent'anni di solitudine" e come il libro di Gabriel Marquez, forse anche con maggiore suggestione e musicalità, la storia si svolge sotto la nostra lettura in stato ipnotico. Conosco i luoghi, senza mai essere stata in Sardegna io, conosco i pastori, i Barones, le Chiese, conosco quel mondo e quei rapporti forse perché simili in Calabria almeno nei miei ricordi. Rapiti dal suono poetico, dal ritmo fascinoso e affabulante, sarete tutti come me a leggere e rileggere questo libro che dovrebbe stare nelle classifiche dei libri più belli dell’anno “Quell’arazzo variegato rappresentava il legame mai interrotto con i suoi anni d’infanzia, con la madre adorata da cui in realtà nel ricordo non si era mai separata, e per lei esso narrava un racconto ininterrotto, fatto di segni simili a dolcissime parole.” Casa di morti di Francesca Farina è una saga immensa che vi affascinerà dietro l’arazzo

Pubblicato dalla casa editrice Bertoni Editori alla quale va il plauso del Regno della Litweb e l'augurio della riscoperta di questa opera da parte di moltissimi lettori

Ippolita Luzzo 

sabato 26 dicembre 2020

Discorso di fine anno: Elogio della fuga


 Noi nel Regno della Litweb già viviamo in lidi inesplorati da tempo, eppure da questi lidi partecipiamo al mondo oppresso e insieme frenetico del 2020 che va via. 

Con Laborit questo anno stiamo, come sempre: "Quando non può lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l'andatura di cappa che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all'orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l'illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione. Forse conoscete quella barca che si  chiama desiderio." l'elogio dell'immaginazione mai attuata e mai soddisfacente".

Un anno che ha visto il Regno della Litweb al Premio Comisso 15 righe, non solo come giuria ufficiale ma anche come partecipazione con un video alla premiazione a Treviso, un anno che ha visto consegnare due premi, Premio Litweb per i racconti, nell'ambito del Premio Nautilus e durante il Fare Critica Festival, e il Premio Litweb per i corti nascenti durante il Lamezia International Film Festival.

Un anno importante, con Filippo La Porta, critico letterario, a cena nel Regno, con Anna Macrì, attrice, che legge i Pezzi del Regno della Litweb, e con Terri Boemi, giornalista e scrittrice,  sua l'interpretazione più seguita e condivisa del pezzo Io non sono una del Sud. 

Un anno di molte presentazioni all'aperto, nei locali, dall' Ottica Dipi al Proud Mary, e per finire al Civico Trame dove, nella felicità più assoluta, il Regno della Litweb ha presentato Malinverno di Domenico Dara, amatissimo, e Le mani in tasca, il bel romanzo di Daniela Grandinetti. 

Un anno di poca scrittura sul blog, la salute malferma, troppo malferma, e la consapevolezza che i blog abbiano fatto la loro storia, lasciando al Regno della Litweb altri territori da esplorare. 

Un gruppo, che gruppo non è, Litweb su facebook, dove intercetto l'attimo nascente e dove splendide realtà trovano la luce. Realtà già bellissime, come le proposte di Divergenze, splendida casa editrice che ha pubblicato il saggio di Antonella Nocera "Metafisica del sottosuolo" come TerraRossa con le meraviglie di Ezio Sinigaglia, L'imitazione del vero, e poi Monica Pezzella con Binari. 

Intanto potrei parlare a lungo di un 2020 di festival in zoom, qui, di "Balenando in burrasca", festival a Reggio Calabria, organizzato da Katia Colica, altra brava realtà da segnalare nel Regno con il suo libro "Non questa volta"

"Non questa volta", ci ripetiamo con Katia, con Rossella Pretto, Emanuela Cocco e tutte le Donne Difettose, Non questa volta ci ripetiamo con Patrizia Angelozzi, Sara Gandini, Daniela Di Sora, Non questa volta ci ripetiamo come a voler augurarci che noi non saremo paurose ma affronteremo lidi inesplorati con la gioia e l'entusiasmo, con la responsabilità che ci sorregge, come una zattera

Un grande augurio da Regno della Litweb

Ippolita Luzzo  


ps Ippollita non mi aveva chiamato mai nessuno...

 

 


sabato 12 dicembre 2020

Mascaró di Haroldo Conti - Exorma


"Conduce la melodia come una vita senza peso" 

L'arpa è rimasta lì, in mezzo al salone...senza il suo strumento l'arpista è un uomo a metà...l'angelo e il cieco che suona movendosi con grazia, vede le cose dal di dentro, senza la zavorra della carne, pizzica sicuro qua e là, e conduce la melodia come una vita senza peso"

Coetaneo di mio padre, Haroldo Conti vive in Argentina e nel 1975 pubblica il romanzo Mascaró, el cazador americano, che vince il Premio Casa de las Américas (Cuba). Il 5 maggio 1976, dopo il golpe militare in Argentina, viene sequestrato. Il suo nome figura fra quelli dei desaparecidos. Il generale Videla nel 1981 ammise che era morto, fu questa la prima notizia ufficiale e l'unica.  Ogni anno si celebra il Giorno dello scrittore bonaerense in onore alla sua memoria. La dittatura militare che si instaurò in Argentina nel 1976 è tristemente nota per aver trasformato gli oppositori in desaparecidos e dura quasi venti anni distruggendo e uccidendo ogni espressione di libertà. Nella prefazione di Gabriel García Márquez, scritta il 19 aprile 1981 a Bogotà, si racconta come lo scrittore Haroldo Conti sapesse di essere stato inserito in una lista di " agenti sovversivi" e di essere in pericolo. Ricevette inviti a trasferirsi in Ecuador ma rimase in Argentina, scelse di rimanere. Nel febbraio del 1976 era nato suo figlio Ernesto. Quindici giorni dopo il sequestro accettarono un invito a pranzo dal generale Videla quattro scrittori argentini. Mi fermo qui perché non capisco oltre. Non capisco le ragioni delle torture, non vi sono ragioni nelle torture, ma non capisco neppure perché nessuno poi intervenga a far smettere le torture. 

Nel prologo di Haroldo Conti  Mascaró  si presenta in un momento in cui lui si sentiva vuoto e triste dopo aver pubblicato En vida e invece arriva lui e ora "Mascaró continua a essere vivo e mi chiede sempre nuove strade" scrive Conti. 

Il circo: Nella locanda di Arenales il complesso  del paese suona e il Mañana, una nave sta per condurre Oreste verso un porto che non conosceremo. Insieme a lui si imbarcano lo stravagante Principe Patagón, il misterioso cavaliere Mascaró e altri passeggeri.

Il battello arriva e intanto noi siamo avvinti dalle immagini "sull'orizzonte scivolano matasse di ombre" e "il mare è un'entità concreta che promana dalla terra". "La storia di Arenales sta tutta in una canzone" e seguiamo la costruzione del faro, il crollo del faro, la ricostruzione del faro e la maledizione sembra perseguitare il fondatore del paese. Nella locanda si balla, si suona, si vive, ognuno a modo proprio, e le farfalle svolazzano intorno alla luce del fanale. 

La traduzione di Marino Magliani conserva l'incantamento dei luoghi, dei gesti, della musica, della felice estraneità alla realtà cattiva e insensata.

"La vita è una nave più o meno bella. Perché tenerla all'ancora? Lasciamola andare. Perché lo dico? Perché il meglio della vita lo buttiamo via cercando sicurezze. Porti, ripari e ancoraggi sicuri. E un accadere, puro e semplice, questo dico, vero, signor Mascarò?" mi ritrovo a copiarlo dal frontespizio in alto nella copertina, dopo aver chiuso il libro che rimane aperto, aperto a tutti voi che crederete come me nel potere vitale della letteratura, nel potere estraniante verso una realtà che vorrebbe annientare l'immaginazione  e non può. 

Ippolita Luzzo



mercoledì 9 dicembre 2020

A 360 gradi sono felice di non esserci

 Guardo e non favello. 

 Dappertutto è così e credo sia ormai una forma stereotipata di parlare, a 360 gradi proprio.

Viene intervistata tempo fa sul telegiornale regionale una esponente della cultura calabra per promuovere un ennesimo festival culturale e l'operatrice culturale, così si chiamano ormai le innumerevoli direttrici artistiche e vale anche al maschile, lei disse di fare cultura a 360 gradi. 

Mi si impresse nella testa, e ogni qual volta io vedo scempiaggini spacciate per cultura aggiungo la formula "a 360 gradi"

Una forma circolare di imbecillità, certo ben supportata dai vari dirigenti alla cultura regionale, provinciale e comunale, ben supportata dagli assessori alla cultura portati in trofeo finanche dentro al cesso, cesso culturale beninteso.

Un andamento terribile di incapacità, di idiozie, di sciocchezzaio che raggiunge invero la forma circolare del cerchio entro cui poi tutti questi stanno e si applaudono l'uno con gli altri.

Sempre così è stato, mi legge un pezzo dei futuristi il libraio l'altro giorno mentre io faccio gli auguri per il compleanno, ed i futuristi scrivevano con più incisione lo stesso sconcerto che io osservo. Sempre così è stato, ora in più l'impudenza, il non aver vergogna, perché anche le televisioni a 360 gradi stanno a intervistare questi operatori culturali della non cultura


domenica 6 dicembre 2020

la disperazione di essere impotenti

Faccio una serie di messaggi ma la situazione si ferma al palo. 

Da anni. 

Nell'ottobre del 1950 mia madre dà alla luce due gemelli. 

Dopo dieci mesi, nell'agosto del 1951, Ippolito ha una dissenteria, una banale malattia gastroenterica non saputa curare dal medico di famiglia, un certo Dottore Montano, e mio fratello muore. 

Dopo qualche tempo si ammala anche l'altro gemello, Pasquale, ha la febbre altissima, lo posa in stato soporoso e ne aspettano la morte. Anche in quel caso medici di famiglia inadeguati. Lui si sveglia, non muore e appena ai sei sette anni comincia ad avere attacchi epilettici.

 Mia madre si allarma e comincia la sua peregrinazione a Messina, in ospedale, a Cosenza, A Roma, per avere una diagnosi.

 Riesce così a sapere che da bambino Pasquale aveva avuto una brutta meningite e che sarebbe stato sempre una persona problematica. Mia madre si dedica a lui, lo sostiene, lo manda a scuola, si accorge che lui non ce la fa e lo riscrive di nuovo in prima elementare, benché lui fosse in terza. Andando a scuola con un maestro amico di famiglia Pasquale riesce a fare tutta la scuola primaria, impara a leggere e a scrivere e a far di conto. Non ricordo sia andato alla scuola media ma da adulto con i corsi serali riesce a prendere il diploma di terza media e poi frequenta due anni di un istituto agrario dove un insegnante era un suo compagno di scuola elementare. 

Lo racconto per dire che malgrado le sue problematiche lui sia riuscito a vivere una vita quasi autonoma, ad andare in Chiesa e far parte di un coro, ad andare in pellegrinaggio dal Papa con i parrocchiani, ad uscire solo per fare due passi sul corso, a comprarsi i vestiti, ad andare in palestra e a sbrigare piccole commissioni. 

Va da sé che lui non accettava la minima contrarietà, che ogni difficoltà lo destabilizza, e che usa urlare come forma di sfogo difronte a paure immotivate. Non è violento, è la persona più buona che ci sia, le urla durano quel tanto che gli servono per disperarsi e poi dispiaciuto ci rincorre per chiederci scusa. 

Durante la sua vita è stato seguito da qualche psichiatra e ha fatto un blando uso di farmaci, preferendo noi essere vicini a lui con tutto l'affetto possibile e soprattutto mia madre con la sua abnegazione continua. 

Ora mia madre ha novantasei anni, è caduta si è rotta un femore, è ritornata a casa, era in cura da giugno per febbre reumatica, è una fragile donna, una santa, un angelo, con la lucidità più assoluta di voler subito guarire. 

Pasquale ha piccoli problemi di salute, non vuole curarsi, ha visto che la mamma può  lasciarlo e ne è terrorizzato, vede me come elemento di disturbo, vede mia sorella affaticata nel pulire e ripulire mia madre, vede che tutto se ne va e urla. 

Urla nel bel mezzo di una pandemia, urla e io non so più come fare, urla e poi mi chiede scusa e io chiedo scusa al mondo di non poter risolvere alcunché nell'impotenza della disperazione

Ippolita  

giovedì 3 dicembre 2020

Intervista a Daniela Matronola su Il mio amico

Intervista con Daniela Matronola


"Matronola racconta di avere sorriso a questo suo amico-personaggio, a questo amico invisibile, quando gli è comparso."

Ho letto molto su internet di Daniela Matronola, conosciuta grazie al libro “Il mio amico” uscito nel luglio 2020 per la casa editrice Manni. Daniela Matronola ha scritto poesie, racconti, ha scritto per riviste letterarie e io ora vorrei proprio da lei un suo profilo letterario per un organico riassunto del suo essere sempre attenta nella scrittura

Mi accorgo di aver parlato di Daniela in terza persona ma lei è ora qui con noi e a lei posso rivolgere la mia richiesta con un colloquiale tu da amica

Daniela: Dunque, mi chiedi una sintesi. È molto semplice e difficile al limite dell’impossibile. Provo a dire questo: nel tempo ho attraversato la letteratura in molto modi. Scrivendola in molte sue forme. Versi, prose (poetiche e narrative), racconti, romanzi compiuti - uno edito uno no (gli altri sono in corso di scrittura). Considero letteratura anche la “lettura” dei libri di altri. Trovo sia un fertile terreno di sfida alla composizione anche la redazione di un articolo o di un mini saggio in cui il lavoro è di analisi del testo e di configurazione di una poetica e di uno stile. Intendo che mi dedico a queste “scritture diverse” con la stessa dedizione e forse con una vaga punta di accanimento.

Ippolita: Mi piace moltissimo il momento intuitivo, reputandolo il più libero, scevro da ogni precedente, e preferisco la conoscenza per intuizione prima di approfondire e avviarsi verso il terreno della speculazione e dell’agire. Mi rendo conto di aver ripetuto un tuo modo di fare ma essendo simile il mio fare mi piace evidenziarne la somiglianza. Sono rimasta non molto sorpresa da come sia stato ben accolto il libro, da Andrea Carraro, da Filippo La Porta, da Paolo Di Paolo che ha firmato la prefazione, e ciò sta a dimostrare che il libro giunge dopo un percorso di grande attenzione alla letteratura. È così?

Daniela: Ho un mio sistema di lavoro ma, sempre, anche nel lavoro “critico”, mi lascio guidare da quella sorgente rivelatoria che è l’intuizione, così come nel lavoro “creativo” affianco all’intuizione l’approccio speculativo.


Ippolita: Andrea Carraro del tuo libro scrive: ”riconoscere il genere letterario cui più si avvicina (romanzo-conversazione di ispirazione postmoderna, fra Arbasino e Foster Wallace, racconto ironico-filosofico alla Diderot, vedi Il nipote di Rameau?…) – si può leggere i 4 racconti – intitolati Liquor, Il mio amico, Il lavoro rende liberi, Cronaca di una sparizione – al buio, crediamo, lasciandosi semplicemente trasportare dalla lingua ricca, avvolgente, sottilmente ironica, della scrittrice e poetessa romana, abbandonandosi al libero flusso di idee che disegnano con il loro dialogo ininterrotto i due protagonisti, Cesare e Mauro, che sono uno lo zio dell’altro, entrambi medici, uno dei quali anestesista. quasi senza soluzione di continuità, proprio perché entrambi naturalmente divaganti, digressivi, ciarlieri.” Ed io trovo perfetto questo ritratto del libro

Daniela: Sì  certo. Indubbiamente aver fatto un bel po’ di strada poi si avverte nella stratificazione della scrittura. Però ho la pretesa di aver sempre avuto questo sguardo biunivoco in fatto di scrittura, fin dall’inizio. Il vantaggio dopo così tanto tempo è aver sbrogliato gli ingolfamenti, aver spianato le asperità.

Il gesto è più pulito, ora. E puntato con mira più precisa sui suoi bersagli. Forse.

Sì anch’io ho apprezzato quanto ha scritto Andrea Carraro. Penso abbia colto bene soprattutto il carattere “associativo” che regola l’incontro di piani e personaggi diversi

Ippolita: Mi ha incuriosito la malattia vista dal malato medico. In Liquor insieme a Mauro guardiamo i monitor e la diagnosi. Lui può farsi diagnosi e cura nella duplice veste di anestesista e paziente. Se posso confessarti quanta fiducia io abbia nella medicina è che credevo i medici immuni alle malattie e invece dover vederli come noi ammalarsi ci porta sullo stesso reparto. Interessante il dialogo fatto di tutte le loro conoscenze fra i due medici e poi quel supporre che forse nulla è da imputare al corpo ma alla mente. Il tuo amico chiede aiuto alla mente, alla conoscenza, alla coscienza?


Daniela: Il mio amico chiede aiuto alla mente di continuo, è un razionalista di gran cuore, un samaritano senza sentimentalismi. È la conoscenza ad accendere la sua infinita comprensione per il mondo vivente in cui si ritrova (a dispetto di sé) ricompreso. Pensa di essere odioso e rompiscatole eppure tutti lo cercano o meglio quando lo trovano non vogliono più lasciarlo andare, vogliono addirittura riservarselo per sé togliendolo se possibile a tutti gli altri. La materia che gli sfugge di più è se stesso ma dopotutto è proprio quel se stesso che gli sfugge a spingerlo a cercare attorno e altrove, vicino e lontano da sé.

Ippolita: Bellissimo e tu poi dici nella nota che Il tuo amico ha una sua forma di resistenza: coltiva l’ordinarietà unica, l’anonimità irripetibile. È un vero romantico. E vorrei consegnare ai lettori questo personaggio che si muove a favore della libertà per liberare le persone dal dolore con una tua immagine, con ciò che a te sta più caro. A te la sua mirabile litote esistenziale

Daniela: Bè, Mauro è un vero difensore di un diritto che lui stesso considera sacro e inviolabile: il diritto di chi è malato a non soffrire. Fino a poco tempo fa la medicina e ancor più la chirurgia reputavano inscindibile il binomio tra la cura e il dolore. In una sorta di mentalità arcaica, per la verità ancora recente, il dolore era considerato un pedaggio obbligato da pagare alla malattia e alla sua cura. Mauro è un ponte in fondo tra quella vecchia scuola e la nuova, che contempla non solo la cura ma il prendersi cura, cioè il provvedere a un benessere di massima il più possibile accettabile, questione che rientra nelle sue mansioni di medico che si occupa di terapia del dolore. Gli sta talmente a cuore questa faccenda e considera talmente importante l’aver preso parte oltre che l’aver assistito al passaggio dalla vecchia alla nuova mentalità clinica, che va fino a New York a cercare il medico che già tra gli anni 60 e 70 aveva inventato l’elastomero, la pompa antalgica caricata a cocktail di antidolorifici con cui il paziente può regolarne l’erogazione nel postoperatorio e non solo. Per lui la terapia del dolore è una questione di diritti umani. Tuttavia la sua azione è anche informata a una sorta di delicatezza per cui, con la stessa rapidità con cui la sua figura di medico entra nella vita quotidiana dei pazienti cadenzandola con le sue prestazioni, altrettanto velocemente, quando la natura prende il sopravvento, è pronto a uscire di scena. La sua è un’azione ragionata costante e discreta. E lui dopotutto è così.

Ippolita Luzzo