sabato 26 dicembre 2020

Discorso di fine anno: Elogio della fuga


 Noi nel Regno della Litweb già viviamo in lidi inesplorati da tempo, eppure da questi lidi partecipiamo al mondo oppresso e insieme frenetico del 2020 che va via. 

Con Laborit questo anno stiamo, come sempre: "Quando non può lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l'andatura di cappa che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all'orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l'illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione. Forse conoscete quella barca che si  chiama desiderio." l'elogio dell'immaginazione mai attuata e mai soddisfacente".

Un anno che ha visto il Regno della Litweb al Premio Comisso 15 righe, non solo come giuria ufficiale ma anche come partecipazione con un video alla premiazione a Treviso, un anno che ha visto consegnare due premi, Premio Litweb per i racconti, nell'ambito del Premio Nautilus e durante il Fare Critica Festival, e il Premio Litweb per i corti nascenti durante il Lamezia International Film Festival.

Un anno importante, con Filippo La Porta, critico letterario, a cena nel Regno, con Anna Macrì, attrice, che legge i Pezzi del Regno della Litweb, e con Terri Boemi, giornalista e scrittrice,  sua l'interpretazione più seguita e condivisa del pezzo Io non sono una del Sud. 

Un anno di molte presentazioni all'aperto, nei locali, dall' Ottica Dipi al Proud Mary, e per finire al Civico Trame dove, nella felicità più assoluta, il Regno della Litweb ha presentato Malinverno di Domenico Dara, amatissimo, e Le mani in tasca, il bel romanzo di Daniela Grandinetti. 

Un anno di poca scrittura sul blog, la salute malferma, troppo malferma, e la consapevolezza che i blog abbiano fatto la loro storia, lasciando al Regno della Litweb altri territori da esplorare. 

Un gruppo, che gruppo non è, Litweb su facebook, dove intercetto l'attimo nascente e dove splendide realtà trovano la luce. Realtà già bellissime, come le proposte di Divergenze, splendida casa editrice che ha pubblicato il saggio di Antonella Nocera "Metafisica del sottosuolo" come TerraRossa con le meraviglie di Ezio Sinigaglia, L'imitazione del vero, e poi Monica Pezzella con Binari. 

Intanto potrei parlare a lungo di un 2020 di festival in zoom, qui, di "Balenando in burrasca", festival a Reggio Calabria, organizzato da Katia Colica, altra brava realtà da segnalare nel Regno con il suo libro "Non questa volta"

"Non questa volta", ci ripetiamo con Katia, con Rossella Pretto, Emanuela Cocco e tutte le Donne Difettose, Non questa volta ci ripetiamo con Patrizia Angelozzi, Sara Gandini, Daniela Di Sora, Non questa volta ci ripetiamo come a voler augurarci che noi non saremo paurose ma affronteremo lidi inesplorati con la gioia e l'entusiasmo, con la responsabilità che ci sorregge, come una zattera

Un grande augurio da Regno della Litweb

Ippolita Luzzo  


ps Ippollita non mi aveva chiamato mai nessuno...

 

 


sabato 12 dicembre 2020

Mascaró di Haroldo Conti - Exorma


"Conduce la melodia come una vita senza peso" 

L'arpa è rimasta lì, in mezzo al salone...senza il suo strumento l'arpista è un uomo a metà...l'angelo e il cieco che suona movendosi con grazia, vede le cose dal di dentro, senza la zavorra della carne, pizzica sicuro qua e là, e conduce la melodia come una vita senza peso"

Coetaneo di mio padre, Haroldo Conti vive in Argentina e nel 1975 pubblica il romanzo Mascaró, el cazador americano, che vince il Premio Casa de las Américas (Cuba). Il 5 maggio 1976, dopo il golpe militare in Argentina, viene sequestrato. Il suo nome figura fra quelli dei desaparecidos. Il generale Videla nel 1981 ammise che era morto, fu questa la prima notizia ufficiale e l'unica.  Ogni anno si celebra il Giorno dello scrittore bonaerense in onore alla sua memoria. La dittatura militare che si instaurò in Argentina nel 1976 è tristemente nota per aver trasformato gli oppositori in desaparecidos e dura quasi venti anni distruggendo e uccidendo ogni espressione di libertà. Nella prefazione di Gabriel García Márquez, scritta il 19 aprile 1981 a Bogotà, si racconta come lo scrittore Haroldo Conti sapesse di essere stato inserito in una lista di " agenti sovversivi" e di essere in pericolo. Ricevette inviti a trasferirsi in Ecuador ma rimase in Argentina, scelse di rimanere. Nel febbraio del 1976 era nato suo figlio Ernesto. Quindici giorni dopo il sequestro accettarono un invito a pranzo dal generale Videla quattro scrittori argentini. Mi fermo qui perché non capisco oltre. Non capisco le ragioni delle torture, non vi sono ragioni nelle torture, ma non capisco neppure perché nessuno poi intervenga a far smettere le torture. 

Nel prologo di Haroldo Conti  Mascaró  si presenta in un momento in cui lui si sentiva vuoto e triste dopo aver pubblicato En vida e invece arriva lui e ora "Mascaró continua a essere vivo e mi chiede sempre nuove strade" scrive Conti. 

Il circo: Nella locanda di Arenales il complesso  del paese suona e il Mañana, una nave sta per condurre Oreste verso un porto che non conosceremo. Insieme a lui si imbarcano lo stravagante Principe Patagón, il misterioso cavaliere Mascaró e altri passeggeri.

Il battello arriva e intanto noi siamo avvinti dalle immagini "sull'orizzonte scivolano matasse di ombre" e "il mare è un'entità concreta che promana dalla terra". "La storia di Arenales sta tutta in una canzone" e seguiamo la costruzione del faro, il crollo del faro, la ricostruzione del faro e la maledizione sembra perseguitare il fondatore del paese. Nella locanda si balla, si suona, si vive, ognuno a modo proprio, e le farfalle svolazzano intorno alla luce del fanale. 

La traduzione di Marino Magliani conserva l'incantamento dei luoghi, dei gesti, della musica, della felice estraneità alla realtà cattiva e insensata.

"La vita è una nave più o meno bella. Perché tenerla all'ancora? Lasciamola andare. Perché lo dico? Perché il meglio della vita lo buttiamo via cercando sicurezze. Porti, ripari e ancoraggi sicuri. E un accadere, puro e semplice, questo dico, vero, signor Mascarò?" mi ritrovo a copiarlo dal frontespizio in alto nella copertina, dopo aver chiuso il libro che rimane aperto, aperto a tutti voi che crederete come me nel potere vitale della letteratura, nel potere estraniante verso una realtà che vorrebbe annientare l'immaginazione  e non può. 

Ippolita Luzzo



mercoledì 9 dicembre 2020

A 360 gradi sono felice di non esserci

 Guardo e non favello. 

 Dappertutto è così e credo sia ormai una forma stereotipata di parlare, a 360 gradi proprio.

Viene intervistata tempo fa sul telegiornale regionale una esponente della cultura calabra per promuovere un ennesimo festival culturale e l'operatrice culturale, così si chiamano ormai le innumerevoli direttrici artistiche e vale anche al maschile, lei disse di fare cultura a 360 gradi. 

Mi si impresse nella testa, e ogni qual volta io vedo scempiaggini spacciate per cultura aggiungo la formula "a 360 gradi"

Una forma circolare di imbecillità, certo ben supportata dai vari dirigenti alla cultura regionale, provinciale e comunale, ben supportata dagli assessori alla cultura portati in trofeo finanche dentro al cesso, cesso culturale beninteso.

Un andamento terribile di incapacità, di idiozie, di sciocchezzaio che raggiunge invero la forma circolare del cerchio entro cui poi tutti questi stanno e si applaudono l'uno con gli altri.

Sempre così è stato, mi legge un pezzo dei futuristi il libraio l'altro giorno mentre io faccio gli auguri per il compleanno, ed i futuristi scrivevano con più incisione lo stesso sconcerto che io osservo. Sempre così è stato, ora in più l'impudenza, il non aver vergogna, perché anche le televisioni a 360 gradi stanno a intervistare questi operatori culturali della non cultura


domenica 6 dicembre 2020

la disperazione di essere impotenti

Faccio una serie di messaggi ma la situazione si ferma al palo. 

Da anni. 

Nell'ottobre del 1950 mia madre dà alla luce due gemelli. 

Dopo dieci mesi, nell'agosto del 1951, Ippolito ha una dissenteria, una banale malattia gastroenterica non saputa curare dal medico di famiglia, un certo Dottore Montano, e mio fratello muore. 

Dopo qualche tempo si ammala anche l'altro gemello, Pasquale, ha la febbre altissima, lo posa in stato soporoso e ne aspettano la morte. Anche in quel caso medici di famiglia inadeguati. Lui si sveglia, non muore e appena ai sei sette anni comincia ad avere attacchi epilettici.

 Mia madre si allarma e comincia la sua peregrinazione a Messina, in ospedale, a Cosenza, A Roma, per avere una diagnosi.

 Riesce così a sapere che da bambino Pasquale aveva avuto una brutta meningite e che sarebbe stato sempre una persona problematica. Mia madre si dedica a lui, lo sostiene, lo manda a scuola, si accorge che lui non ce la fa e lo riscrive di nuovo in prima elementare, benché lui fosse in terza. Andando a scuola con un maestro amico di famiglia Pasquale riesce a fare tutta la scuola primaria, impara a leggere e a scrivere e a far di conto. Non ricordo sia andato alla scuola media ma da adulto con i corsi serali riesce a prendere il diploma di terza media e poi frequenta due anni di un istituto agrario dove un insegnante era un suo compagno di scuola elementare. 

Lo racconto per dire che malgrado le sue problematiche lui sia riuscito a vivere una vita quasi autonoma, ad andare in Chiesa e far parte di un coro, ad andare in pellegrinaggio dal Papa con i parrocchiani, ad uscire solo per fare due passi sul corso, a comprarsi i vestiti, ad andare in palestra e a sbrigare piccole commissioni. 

Va da sé che lui non accettava la minima contrarietà, che ogni difficoltà lo destabilizza, e che usa urlare come forma di sfogo difronte a paure immotivate. Non è violento, è la persona più buona che ci sia, le urla durano quel tanto che gli servono per disperarsi e poi dispiaciuto ci rincorre per chiederci scusa. 

Durante la sua vita è stato seguito da qualche psichiatra e ha fatto un blando uso di farmaci, preferendo noi essere vicini a lui con tutto l'affetto possibile e soprattutto mia madre con la sua abnegazione continua. 

Ora mia madre ha novantasei anni, è caduta si è rotta un femore, è ritornata a casa, era in cura da giugno per febbre reumatica, è una fragile donna, una santa, un angelo, con la lucidità più assoluta di voler subito guarire. 

Pasquale ha piccoli problemi di salute, non vuole curarsi, ha visto che la mamma può  lasciarlo e ne è terrorizzato, vede me come elemento di disturbo, vede mia sorella affaticata nel pulire e ripulire mia madre, vede che tutto se ne va e urla. 

Urla nel bel mezzo di una pandemia, urla e io non so più come fare, urla e poi mi chiede scusa e io chiedo scusa al mondo di non poter risolvere alcunché nell'impotenza della disperazione

Ippolita  

giovedì 3 dicembre 2020

Intervista a Daniela Matronola su Il mio amico

Intervista con Daniela Matronola


"Matronola racconta di avere sorriso a questo suo amico-personaggio, a questo amico invisibile, quando gli è comparso."

Ho letto molto su internet di Daniela Matronola, conosciuta grazie al libro “Il mio amico” uscito nel luglio 2020 per la casa editrice Manni. Daniela Matronola ha scritto poesie, racconti, ha scritto per riviste letterarie e io ora vorrei proprio da lei un suo profilo letterario per un organico riassunto del suo essere sempre attenta nella scrittura

Mi accorgo di aver parlato di Daniela in terza persona ma lei è ora qui con noi e a lei posso rivolgere la mia richiesta con un colloquiale tu da amica

Daniela: Dunque, mi chiedi una sintesi. È molto semplice e difficile al limite dell’impossibile. Provo a dire questo: nel tempo ho attraversato la letteratura in molto modi. Scrivendola in molte sue forme. Versi, prose (poetiche e narrative), racconti, romanzi compiuti - uno edito uno no (gli altri sono in corso di scrittura). Considero letteratura anche la “lettura” dei libri di altri. Trovo sia un fertile terreno di sfida alla composizione anche la redazione di un articolo o di un mini saggio in cui il lavoro è di analisi del testo e di configurazione di una poetica e di uno stile. Intendo che mi dedico a queste “scritture diverse” con la stessa dedizione e forse con una vaga punta di accanimento.

Ippolita: Mi piace moltissimo il momento intuitivo, reputandolo il più libero, scevro da ogni precedente, e preferisco la conoscenza per intuizione prima di approfondire e avviarsi verso il terreno della speculazione e dell’agire. Mi rendo conto di aver ripetuto un tuo modo di fare ma essendo simile il mio fare mi piace evidenziarne la somiglianza. Sono rimasta non molto sorpresa da come sia stato ben accolto il libro, da Andrea Carraro, da Filippo La Porta, da Paolo Di Paolo che ha firmato la prefazione, e ciò sta a dimostrare che il libro giunge dopo un percorso di grande attenzione alla letteratura. È così?

Daniela: Ho un mio sistema di lavoro ma, sempre, anche nel lavoro “critico”, mi lascio guidare da quella sorgente rivelatoria che è l’intuizione, così come nel lavoro “creativo” affianco all’intuizione l’approccio speculativo.


Ippolita: Andrea Carraro del tuo libro scrive: ”riconoscere il genere letterario cui più si avvicina (romanzo-conversazione di ispirazione postmoderna, fra Arbasino e Foster Wallace, racconto ironico-filosofico alla Diderot, vedi Il nipote di Rameau?…) – si può leggere i 4 racconti – intitolati Liquor, Il mio amico, Il lavoro rende liberi, Cronaca di una sparizione – al buio, crediamo, lasciandosi semplicemente trasportare dalla lingua ricca, avvolgente, sottilmente ironica, della scrittrice e poetessa romana, abbandonandosi al libero flusso di idee che disegnano con il loro dialogo ininterrotto i due protagonisti, Cesare e Mauro, che sono uno lo zio dell’altro, entrambi medici, uno dei quali anestesista. quasi senza soluzione di continuità, proprio perché entrambi naturalmente divaganti, digressivi, ciarlieri.” Ed io trovo perfetto questo ritratto del libro

Daniela: Sì  certo. Indubbiamente aver fatto un bel po’ di strada poi si avverte nella stratificazione della scrittura. Però ho la pretesa di aver sempre avuto questo sguardo biunivoco in fatto di scrittura, fin dall’inizio. Il vantaggio dopo così tanto tempo è aver sbrogliato gli ingolfamenti, aver spianato le asperità.

Il gesto è più pulito, ora. E puntato con mira più precisa sui suoi bersagli. Forse.

Sì anch’io ho apprezzato quanto ha scritto Andrea Carraro. Penso abbia colto bene soprattutto il carattere “associativo” che regola l’incontro di piani e personaggi diversi

Ippolita: Mi ha incuriosito la malattia vista dal malato medico. In Liquor insieme a Mauro guardiamo i monitor e la diagnosi. Lui può farsi diagnosi e cura nella duplice veste di anestesista e paziente. Se posso confessarti quanta fiducia io abbia nella medicina è che credevo i medici immuni alle malattie e invece dover vederli come noi ammalarsi ci porta sullo stesso reparto. Interessante il dialogo fatto di tutte le loro conoscenze fra i due medici e poi quel supporre che forse nulla è da imputare al corpo ma alla mente. Il tuo amico chiede aiuto alla mente, alla conoscenza, alla coscienza?


Daniela: Il mio amico chiede aiuto alla mente di continuo, è un razionalista di gran cuore, un samaritano senza sentimentalismi. È la conoscenza ad accendere la sua infinita comprensione per il mondo vivente in cui si ritrova (a dispetto di sé) ricompreso. Pensa di essere odioso e rompiscatole eppure tutti lo cercano o meglio quando lo trovano non vogliono più lasciarlo andare, vogliono addirittura riservarselo per sé togliendolo se possibile a tutti gli altri. La materia che gli sfugge di più è se stesso ma dopotutto è proprio quel se stesso che gli sfugge a spingerlo a cercare attorno e altrove, vicino e lontano da sé.

Ippolita: Bellissimo e tu poi dici nella nota che Il tuo amico ha una sua forma di resistenza: coltiva l’ordinarietà unica, l’anonimità irripetibile. È un vero romantico. E vorrei consegnare ai lettori questo personaggio che si muove a favore della libertà per liberare le persone dal dolore con una tua immagine, con ciò che a te sta più caro. A te la sua mirabile litote esistenziale

Daniela: Bè, Mauro è un vero difensore di un diritto che lui stesso considera sacro e inviolabile: il diritto di chi è malato a non soffrire. Fino a poco tempo fa la medicina e ancor più la chirurgia reputavano inscindibile il binomio tra la cura e il dolore. In una sorta di mentalità arcaica, per la verità ancora recente, il dolore era considerato un pedaggio obbligato da pagare alla malattia e alla sua cura. Mauro è un ponte in fondo tra quella vecchia scuola e la nuova, che contempla non solo la cura ma il prendersi cura, cioè il provvedere a un benessere di massima il più possibile accettabile, questione che rientra nelle sue mansioni di medico che si occupa di terapia del dolore. Gli sta talmente a cuore questa faccenda e considera talmente importante l’aver preso parte oltre che l’aver assistito al passaggio dalla vecchia alla nuova mentalità clinica, che va fino a New York a cercare il medico che già tra gli anni 60 e 70 aveva inventato l’elastomero, la pompa antalgica caricata a cocktail di antidolorifici con cui il paziente può regolarne l’erogazione nel postoperatorio e non solo. Per lui la terapia del dolore è una questione di diritti umani. Tuttavia la sua azione è anche informata a una sorta di delicatezza per cui, con la stessa rapidità con cui la sua figura di medico entra nella vita quotidiana dei pazienti cadenzandola con le sue prestazioni, altrettanto velocemente, quando la natura prende il sopravvento, è pronto a uscire di scena. La sua è un’azione ragionata costante e discreta. E lui dopotutto è così.

Ippolita Luzzo 

 

mercoledì 2 dicembre 2020

Franco Canzonieri su Pezzi dal Regno Della Litweb


Mi giunge oggi su messenger l'impressione di Franco Canzonieri dalla lettura dei Pezzi e felicissima ve la propongo: "Pezzi

Una scrittura travolgente che ti trascina come un fuscello sull'onda di piena; senza appigli, senza riferimenti, e che sfugge a qualunque tentativo di ricondurla a schemi, a scuole, a stili.

Vorresti fermarti per assaporare la bellezza delle parole, la loro disposizione, il loro elegante connettersi e comporsi in una prosa che ammalia.

Ogni tentativo è inutile, devi correre, devi divorare le pagine. Sei costretto a chiederti, come Totò schiaffeggiato da un energumeno che lo aveva scambiato per un altro " volevo vedere dove voleva arrivare ". 

Ecco, l'arrivo. L'arrivo è come la partenza e ti costringe a frenare bruscamente per non valicare i margini oltre i quali saresti stato trascinato. E ti prendi il tempo di riflettere. Di gustare, perché la corsa in nulla ha scalfito il senso della poesia.

 Le parole antiche, le parole del sapere, diventano ingredienti di una ricetta alchemica che sublima e rende godibile una scrittura abbagliante come lo schermo di un PC di cui si avvale come supporto interpretandone le esigenze." 

Da Dante Maffia a Franco Canzonieri si continua a parlare di Pezzi, una raccolta fortemente voluta da Antonella Cuzzocrea e a cura di Letizia Cuzzola. 

Una raccolta dei più di mille pezzi presenti sul blog, su questo blog nato nel giugno del 2012, per fare amicizia, come finestra sul mondo, la mia lettera al mondo che a me ha risposto donandomi il paese delle meraviglie. 

Grazie infinite a tutti voi: Terri Boemi e Anna Macrì, che hanno letto in modo personalissimo Io non sono una donna del Sud, grazie a Nunzio Belcaro della libreria Ubik di Catanzaro Lido per aver ospitato e compreso "Il prisma" da cui si irradia il Regno della Litweb, lui disse, e io me lo ripeto quando i momenti sono bui, il prisma da cui si irradia luce, le tante facce verso le suggestioni, verso il buono nascente. Grazie a chi mi permette di vivere e vuole vivere nel grande Regno della Litweb. Grazie stamattina a Franco Canzonieri poeta e amico da più tempo del quale vi presento una sua composizione recentissima augurandoci tutti di trovare il telone:  

Comu siti?

Arrivatu a ll'età mia

si mi spiunu comu sugnu,

mi veni 'a nostalgia

c'a saluti ormai è nu sognu.

Paru a chiddhu chi carendu

r'un palazzu a deci piani

a ogni pianu va' ricendu:

- " nfin'a ora, tuttu beni." -

Ippolita Luzzo   

lunedì 30 novembre 2020

San Gennaro non dice mai di no di Giuseppe Marotta

 

 Alessandro Polidoro Editore ristampa nel 2020 i racconti di Giuseppe Marotta, giornalista del Corriere della Sera, scrittore di narrativa, cinema e teatro. Nato a Napoli nel 1902 e morto nel 1963 ha vissuto per la maggior parte della sua vita a Milano e nel 1947 torna a Napoli dopo vent'anni. I racconti sono di quegli anni, dopo la seconda guerra mondiale, gli anni della ricostruzione, l'anno in cui viene approvata la Costituzione della Repubblica Italiana. 

Giuseppe Marotta torna a Napoli a marzo, come le rondini. Nella bellissima prefazione di Alessio Forgione viene raccontata la sua vita e scopriamo che era stato letturista del gas, e di come a venticinque anni lui abbia lasciato Napoli per Milano dove riuscì a fare della sua passione dello scrivere la professione. 

"Lettore, questo libretto è la piccola storia di un mio viaggio a Napoli nel 1947. Tante persone anche illustri, di quelle con una penna addirittura famosa nel taschino, sono andate e vanno a Napoli per vedere e raccontare che diavolo fa il paese del trasognato far niente, notissimo come tale;" inizia Marotta a dirci che le sue intenzioni sono oneste e affettuose sulla sua Napoli, amata, amatissima, come tutti noi la amiamo di un amore grande anche se siamo andati poche volte. 

"In marzo Napoli è una città bambina, con le violette in mano, che va a fare la sua prima comunione. Chiede indulgenza per i suoi peccatucci invernali, mea culpa dice sfavillando in ogni vetro" 

Ma esisteva Napoli nel 1947? Marotta si risponde di no, perché Napoli è una città inventata dagli artisti sugli scenari dei teatri. 

Il dolore invece è autentico, "il dolore dei napoletani", essi inventano Napoli, si raccontano con qualche enfasi, con qualche compiacimento; ma trovano sollievo e consolazione in questo recitarsi"

Forcella, La Gaiola, Pompei, e poi Il mare, Riviera, I pellegrini, Il capitone sono racconti che non potrete perdervi, proprio ora che a Natale il capitone che non muore mai sarà sulle tavole mangiato, vivo e pronto per un altro giro nel Mar  Dei  Sargassi. 

Un evviva alla Casa editrice coraggiosa che pubblica libri di grande interesse, ricordo Manodopera di Diamela Eltit, e vi invito a sfogliare e a leggere il suo catalogo, per un rinnovato sentire in una Napoli sempre più nel Regno della Litweb

Ippolita Luzzo