domenica 6 dicembre 2020

la disperazione di essere impotenti

Faccio una serie di messaggi ma la situazione si ferma al palo. 

Da anni. 

Nell'ottobre del 1950 mia madre dà alla luce due gemelli. 

Dopo dieci mesi, nell'agosto del 1951, Ippolito ha una dissenteria, una banale malattia gastroenterica non saputa curare dal medico di famiglia, un certo Dottore Montano, e mio fratello muore. 

Dopo qualche tempo si ammala anche l'altro gemello, Pasquale, ha la febbre altissima, lo posa in stato soporoso e ne aspettano la morte. Anche in quel caso medici di famiglia inadeguati. Lui si sveglia, non muore e appena ai sei sette anni comincia ad avere attacchi epilettici.

 Mia madre si allarma e comincia la sua peregrinazione a Messina, in ospedale, a Cosenza, A Roma, per avere una diagnosi.

 Riesce così a sapere che da bambino Pasquale aveva avuto una brutta meningite e che sarebbe stato sempre una persona problematica. Mia madre si dedica a lui, lo sostiene, lo manda a scuola, si accorge che lui non ce la fa e lo riscrive di nuovo in prima elementare, benché lui fosse in terza. Andando a scuola con un maestro amico di famiglia Pasquale riesce a fare tutta la scuola primaria, impara a leggere e a scrivere e a far di conto. Non ricordo sia andato alla scuola media ma da adulto con i corsi serali riesce a prendere il diploma di terza media e poi frequenta due anni di un istituto agrario dove un insegnante era un suo compagno di scuola elementare. 

Lo racconto per dire che malgrado le sue problematiche lui sia riuscito a vivere una vita quasi autonoma, ad andare in Chiesa e far parte di un coro, ad andare in pellegrinaggio dal Papa con i parrocchiani, ad uscire solo per fare due passi sul corso, a comprarsi i vestiti, ad andare in palestra e a sbrigare piccole commissioni. 

Va da sé che lui non accettava la minima contrarietà, che ogni difficoltà lo destabilizza, e che usa urlare come forma di sfogo difronte a paure immotivate. Non è violento, è la persona più buona che ci sia, le urla durano quel tanto che gli servono per disperarsi e poi dispiaciuto ci rincorre per chiederci scusa. 

Durante la sua vita è stato seguito da qualche psichiatra e ha fatto un blando uso di farmaci, preferendo noi essere vicini a lui con tutto l'affetto possibile e soprattutto mia madre con la sua abnegazione continua. 

Ora mia madre ha novantasei anni, è caduta si è rotta un femore, è ritornata a casa, era in cura da giugno per febbre reumatica, è una fragile donna, una santa, un angelo, con la lucidità più assoluta di voler subito guarire. 

Pasquale ha piccoli problemi di salute, non vuole curarsi, ha visto che la mamma può  lasciarlo e ne è terrorizzato, vede me come elemento di disturbo, vede mia sorella affaticata nel pulire e ripulire mia madre, vede che tutto se ne va e urla. 

Urla nel bel mezzo di una pandemia, urla e io non so più come fare, urla e poi mi chiede scusa e io chiedo scusa al mondo di non poter risolvere alcunché nell'impotenza della disperazione

Ippolita  

giovedì 3 dicembre 2020

Intervista a Daniela Matronola su Il mio amico

Intervista con Daniela Matronola


"Matronola racconta di avere sorriso a questo suo amico-personaggio, a questo amico invisibile, quando gli è comparso."

Ho letto molto su internet di Daniela Matronola, conosciuta grazie al libro “Il mio amico” uscito nel luglio 2020 per la casa editrice Manni. Daniela Matronola ha scritto poesie, racconti, ha scritto per riviste letterarie e io ora vorrei proprio da lei un suo profilo letterario per un organico riassunto del suo essere sempre attenta nella scrittura

Mi accorgo di aver parlato di Daniela in terza persona ma lei è ora qui con noi e a lei posso rivolgere la mia richiesta con un colloquiale tu da amica

Daniela: Dunque, mi chiedi una sintesi. È molto semplice e difficile al limite dell’impossibile. Provo a dire questo: nel tempo ho attraversato la letteratura in molto modi. Scrivendola in molte sue forme. Versi, prose (poetiche e narrative), racconti, romanzi compiuti - uno edito uno no (gli altri sono in corso di scrittura). Considero letteratura anche la “lettura” dei libri di altri. Trovo sia un fertile terreno di sfida alla composizione anche la redazione di un articolo o di un mini saggio in cui il lavoro è di analisi del testo e di configurazione di una poetica e di uno stile. Intendo che mi dedico a queste “scritture diverse” con la stessa dedizione e forse con una vaga punta di accanimento.

Ippolita: Mi piace moltissimo il momento intuitivo, reputandolo il più libero, scevro da ogni precedente, e preferisco la conoscenza per intuizione prima di approfondire e avviarsi verso il terreno della speculazione e dell’agire. Mi rendo conto di aver ripetuto un tuo modo di fare ma essendo simile il mio fare mi piace evidenziarne la somiglianza. Sono rimasta non molto sorpresa da come sia stato ben accolto il libro, da Andrea Carraro, da Filippo La Porta, da Paolo Di Paolo che ha firmato la prefazione, e ciò sta a dimostrare che il libro giunge dopo un percorso di grande attenzione alla letteratura. È così?

Daniela: Ho un mio sistema di lavoro ma, sempre, anche nel lavoro “critico”, mi lascio guidare da quella sorgente rivelatoria che è l’intuizione, così come nel lavoro “creativo” affianco all’intuizione l’approccio speculativo.


Ippolita: Andrea Carraro del tuo libro scrive: ”riconoscere il genere letterario cui più si avvicina (romanzo-conversazione di ispirazione postmoderna, fra Arbasino e Foster Wallace, racconto ironico-filosofico alla Diderot, vedi Il nipote di Rameau?…) – si può leggere i 4 racconti – intitolati Liquor, Il mio amico, Il lavoro rende liberi, Cronaca di una sparizione – al buio, crediamo, lasciandosi semplicemente trasportare dalla lingua ricca, avvolgente, sottilmente ironica, della scrittrice e poetessa romana, abbandonandosi al libero flusso di idee che disegnano con il loro dialogo ininterrotto i due protagonisti, Cesare e Mauro, che sono uno lo zio dell’altro, entrambi medici, uno dei quali anestesista. quasi senza soluzione di continuità, proprio perché entrambi naturalmente divaganti, digressivi, ciarlieri.” Ed io trovo perfetto questo ritratto del libro

Daniela: Sì  certo. Indubbiamente aver fatto un bel po’ di strada poi si avverte nella stratificazione della scrittura. Però ho la pretesa di aver sempre avuto questo sguardo biunivoco in fatto di scrittura, fin dall’inizio. Il vantaggio dopo così tanto tempo è aver sbrogliato gli ingolfamenti, aver spianato le asperità.

Il gesto è più pulito, ora. E puntato con mira più precisa sui suoi bersagli. Forse.

Sì anch’io ho apprezzato quanto ha scritto Andrea Carraro. Penso abbia colto bene soprattutto il carattere “associativo” che regola l’incontro di piani e personaggi diversi

Ippolita: Mi ha incuriosito la malattia vista dal malato medico. In Liquor insieme a Mauro guardiamo i monitor e la diagnosi. Lui può farsi diagnosi e cura nella duplice veste di anestesista e paziente. Se posso confessarti quanta fiducia io abbia nella medicina è che credevo i medici immuni alle malattie e invece dover vederli come noi ammalarsi ci porta sullo stesso reparto. Interessante il dialogo fatto di tutte le loro conoscenze fra i due medici e poi quel supporre che forse nulla è da imputare al corpo ma alla mente. Il tuo amico chiede aiuto alla mente, alla conoscenza, alla coscienza?


Daniela: Il mio amico chiede aiuto alla mente di continuo, è un razionalista di gran cuore, un samaritano senza sentimentalismi. È la conoscenza ad accendere la sua infinita comprensione per il mondo vivente in cui si ritrova (a dispetto di sé) ricompreso. Pensa di essere odioso e rompiscatole eppure tutti lo cercano o meglio quando lo trovano non vogliono più lasciarlo andare, vogliono addirittura riservarselo per sé togliendolo se possibile a tutti gli altri. La materia che gli sfugge di più è se stesso ma dopotutto è proprio quel se stesso che gli sfugge a spingerlo a cercare attorno e altrove, vicino e lontano da sé.

Ippolita: Bellissimo e tu poi dici nella nota che Il tuo amico ha una sua forma di resistenza: coltiva l’ordinarietà unica, l’anonimità irripetibile. È un vero romantico. E vorrei consegnare ai lettori questo personaggio che si muove a favore della libertà per liberare le persone dal dolore con una tua immagine, con ciò che a te sta più caro. A te la sua mirabile litote esistenziale

Daniela: Bè, Mauro è un vero difensore di un diritto che lui stesso considera sacro e inviolabile: il diritto di chi è malato a non soffrire. Fino a poco tempo fa la medicina e ancor più la chirurgia reputavano inscindibile il binomio tra la cura e il dolore. In una sorta di mentalità arcaica, per la verità ancora recente, il dolore era considerato un pedaggio obbligato da pagare alla malattia e alla sua cura. Mauro è un ponte in fondo tra quella vecchia scuola e la nuova, che contempla non solo la cura ma il prendersi cura, cioè il provvedere a un benessere di massima il più possibile accettabile, questione che rientra nelle sue mansioni di medico che si occupa di terapia del dolore. Gli sta talmente a cuore questa faccenda e considera talmente importante l’aver preso parte oltre che l’aver assistito al passaggio dalla vecchia alla nuova mentalità clinica, che va fino a New York a cercare il medico che già tra gli anni 60 e 70 aveva inventato l’elastomero, la pompa antalgica caricata a cocktail di antidolorifici con cui il paziente può regolarne l’erogazione nel postoperatorio e non solo. Per lui la terapia del dolore è una questione di diritti umani. Tuttavia la sua azione è anche informata a una sorta di delicatezza per cui, con la stessa rapidità con cui la sua figura di medico entra nella vita quotidiana dei pazienti cadenzandola con le sue prestazioni, altrettanto velocemente, quando la natura prende il sopravvento, è pronto a uscire di scena. La sua è un’azione ragionata costante e discreta. E lui dopotutto è così.

Ippolita Luzzo 

 

mercoledì 2 dicembre 2020

Franco Canzonieri su Pezzi dal Regno Della Litweb


Mi giunge oggi su messenger l'impressione di Franco Canzonieri dalla lettura dei Pezzi e felicissima ve la propongo: "Pezzi

Una scrittura travolgente che ti trascina come un fuscello sull'onda di piena; senza appigli, senza riferimenti, e che sfugge a qualunque tentativo di ricondurla a schemi, a scuole, a stili.

Vorresti fermarti per assaporare la bellezza delle parole, la loro disposizione, il loro elegante connettersi e comporsi in una prosa che ammalia.

Ogni tentativo è inutile, devi correre, devi divorare le pagine. Sei costretto a chiederti, come Totò schiaffeggiato da un energumeno che lo aveva scambiato per un altro " volevo vedere dove voleva arrivare ". 

Ecco, l'arrivo. L'arrivo è come la partenza e ti costringe a frenare bruscamente per non valicare i margini oltre i quali saresti stato trascinato. E ti prendi il tempo di riflettere. Di gustare, perché la corsa in nulla ha scalfito il senso della poesia.

 Le parole antiche, le parole del sapere, diventano ingredienti di una ricetta alchemica che sublima e rende godibile una scrittura abbagliante come lo schermo di un PC di cui si avvale come supporto interpretandone le esigenze." 

Da Dante Maffia a Franco Canzonieri si continua a parlare di Pezzi, una raccolta fortemente voluta da Antonella Cuzzocrea e a cura di Letizia Cuzzola. 

Una raccolta dei più di mille pezzi presenti sul blog, su questo blog nato nel giugno del 2012, per fare amicizia, come finestra sul mondo, la mia lettera al mondo che a me ha risposto donandomi il paese delle meraviglie. 

Grazie infinite a tutti voi: Terri Boemi e Anna Macrì, che hanno letto in modo personalissimo Io non sono una donna del Sud, grazie a Nunzio Belcaro della libreria Ubik di Catanzaro Lido per aver ospitato e compreso "Il prisma" da cui si irradia il Regno della Litweb, lui disse, e io me lo ripeto quando i momenti sono bui, il prisma da cui si irradia luce, le tante facce verso le suggestioni, verso il buono nascente. Grazie a chi mi permette di vivere e vuole vivere nel grande Regno della Litweb. Grazie stamattina a Franco Canzonieri poeta e amico da più tempo del quale vi presento una sua composizione recentissima augurandoci tutti di trovare il telone:  

Comu siti?

Arrivatu a ll'età mia

si mi spiunu comu sugnu,

mi veni 'a nostalgia

c'a saluti ormai è nu sognu.

Paru a chiddhu chi carendu

r'un palazzu a deci piani

a ogni pianu va' ricendu:

- " nfin'a ora, tuttu beni." -

Ippolita Luzzo   

lunedì 30 novembre 2020

San Gennaro non dice mai di no di Giuseppe Marotta

 

 Alessandro Polidoro Editore ristampa nel 2020 i racconti di Giuseppe Marotta, giornalista del Corriere della Sera, scrittore di narrativa, cinema e teatro. Nato a Napoli nel 1902 e morto nel 1963 ha vissuto per la maggior parte della sua vita a Milano e nel 1947 torna a Napoli dopo vent'anni. I racconti sono di quegli anni, dopo la seconda guerra mondiale, gli anni della ricostruzione, l'anno in cui viene approvata la Costituzione della Repubblica Italiana. 

Giuseppe Marotta torna a Napoli a marzo, come le rondini. Nella bellissima prefazione di Alessio Forgione viene raccontata la sua vita e scopriamo che era stato letturista del gas, e di come a venticinque anni lui abbia lasciato Napoli per Milano dove riuscì a fare della sua passione dello scrivere la professione. 

"Lettore, questo libretto è la piccola storia di un mio viaggio a Napoli nel 1947. Tante persone anche illustri, di quelle con una penna addirittura famosa nel taschino, sono andate e vanno a Napoli per vedere e raccontare che diavolo fa il paese del trasognato far niente, notissimo come tale;" inizia Marotta a dirci che le sue intenzioni sono oneste e affettuose sulla sua Napoli, amata, amatissima, come tutti noi la amiamo di un amore grande anche se siamo andati poche volte. 

"In marzo Napoli è una città bambina, con le violette in mano, che va a fare la sua prima comunione. Chiede indulgenza per i suoi peccatucci invernali, mea culpa dice sfavillando in ogni vetro" 

Ma esisteva Napoli nel 1947? Marotta si risponde di no, perché Napoli è una città inventata dagli artisti sugli scenari dei teatri. 

Il dolore invece è autentico, "il dolore dei napoletani", essi inventano Napoli, si raccontano con qualche enfasi, con qualche compiacimento; ma trovano sollievo e consolazione in questo recitarsi"

Forcella, La Gaiola, Pompei, e poi Il mare, Riviera, I pellegrini, Il capitone sono racconti che non potrete perdervi, proprio ora che a Natale il capitone che non muore mai sarà sulle tavole mangiato, vivo e pronto per un altro giro nel Mar  Dei  Sargassi. 

Un evviva alla Casa editrice coraggiosa che pubblica libri di grande interesse, ricordo Manodopera di Diamela Eltit, e vi invito a sfogliare e a leggere il suo catalogo, per un rinnovato sentire in una Napoli sempre più nel Regno della Litweb

Ippolita Luzzo  

domenica 29 novembre 2020

Piccola antologia della peste Ronzani Editore


 A cura di Francesco Permunian il progetto di una antologia a più voci che ci dia un nuovo mondo "Don Chisciotte uscì di casa e non fu più in grado di riconoscere il mondo, che, in assenza del giudice supremo, gli apparve all’improvviso d’una spaventosa ambiguità; l’unica Verità divina si scompose in centinaia di verità relative che gli uomini si divisero tra loro. Nacque così il mondo dei Tempi moderni, e con esso il romanzo, sua immagine e modello." Francesco Permunian riporta le parole di Milan Kundera tratte da un breve saggio(La denigrata eredità di Cervantes) poi confluiti in L'arte del romanzo per dirci a cosa si ispira questo progetto. 

Io ho letto queste voci con in mano Dietro l'arazzo di Antonio Tabucchi in una conversazione con Luca Cherici. Una conversazione sulla scrittura che potrei fare con ognuno dei partecipanti all'antologia su quello che chiediamo noi tutti alla scrittura con le parole di Tabucchi, in sintesi fatta da me: "Scrivere fa sempre bene. Anche quando decidiamo di buttare tutto. Ma la sola attività dello scrivere nel momento in cui trasforma le idee in scrittura come per miracolo chiarisce tutto ciò che era vago e nebuloso e noi capiamo tutto. Poi la realtà, massiccia come il cemento,  si richiude, le fessure che la scrittura aveva aperto nella roccia si richiudono, noi torniamo all'aria aperta a guardare quel cumulo di cemento in cui siamo entrati e sappiamo che è di nuovo inespugnabile, ma sappiamo anche che gli abbiamo carpito qualche segreto." 

Alessandro Zaccuri in Frammento della peste  va in quella fessura della roccia e spia una vallata inaccessibile e separata dal mondo. Anna Vallerugo in Uscita n.1 riattraversa il paese in condizione di vertigine ...il passo che perde la presa sul terreno. Il mondo nuovo è un'assenza di suono collosa..

Abbiamo oltrepassato la fessura preso il segreto ma la realtà si è richiusa col suo cemento. Civico trentanove è il racconto di Romano Augusto Fiocchi e chiede alla scrittura "Segnali, ricordi che aderiscono ai muri come fantasmi" 

Il libro è uscito prima della seconda ondata di questa malattia, prima di ripiombare tra una realtà richiusa ed il Requiem 2020 di Francesca Bonafini resta l'unico canto possibile perché nessuna buona sorte durerà per sempre. 

Suggestivi disegni accompagnano i pezzi, nella forma di narrativa o poetica, a fumetti o strisce.

In tutti voi, che abbraccio, risento la voce di Tabucchi, Dietro l'arazzo, ed è come guardare la pandemia dietro. " Tutti i nodi e i fili che stanno dietro al tappeto; perché quando rovesci un tappeto capisci tutta la tessitura che costituisce le figure dell'arazzo" 

Ecco voi tutti siete andati dietro il tappeto, e avete provato a leggere la figura, anzi a scriverla approfittando di quella fenditura che la scrittura regala. 

Poi la realtà si richiude ma ci rimane il segreto carpito, il segreto di questi fascinosi e bellissimi racconti da leggere e rileggere per sentirci vicini, per vincere l'impotenza. Un grazie immenso a tutti voi dal Regno della Litweb 

Ippolita Luzzo 

giovedì 19 novembre 2020

Quori Cuadrati di Alessandro Turati

 

La vita felice della lettrice continua in Quori Cuadrati di Alessandro Turati. 
(Il mondo è la mia rappresentazione) Illustrazioni di Stefania Dordoni. 
E inizia con una pagina di Henri Laborit, quel mio amico francese che ha scritto fra gli altri "Elogio della fuga". 

L'immaginazione permette all'uomo di trasformare e dare forma al mondo che lo circonda, unica fuga possibile per evitare l'alienazione. Così immaginiamo e creiamo, per sfuggire all'angoscia o forse proprio per questa. 

Leggo il libro ridacchiando con la mia risata interlocutoria e sottolineo idealmente "Ho una coccinella sulla punta del naso. Incrocio gli occhi e mi sembra di vederla con il destro. Per vederla con l'occhio sinistro devo chiudere il destro. Il destro è l'occhio che comanda mentre il sinistro è di supporto. Detto questo, detto niente."

Alessandro ci cattura con la sua immaginazione come un ragno sulla tela dei suoi pezzi, della sua ragnatela di fatti raccontati con distorsione, come si ricorda, come vengono. "Si tratta di un momento della mia vita. Io mi frequento tutto il giorno, c'è da capire: è davvero dura per me. E ho solo un paio di scarpe." 

Ci innamoriamo, almeno io lo faccio, del personaggio che vive  con una giraffa e incontra l'autista che "si sente come i vecchi quando il vento porta via il loro cappello: lo guardano allontanarsi sperando in una folata contraria" una giraffa che mangia foglie d'acacia e beve meloni selvatici. Lui, il nostro,  si chiama Uno, e vive in provincia. dove però si demotiva. 

Dovrete leggere questo racconto che ha un personalissimo percorso, ha poi frasi che copierete come sto facendo io e vi ripeterete per il piacere di farle vostre. "Le persone si dividono in due gruppi: quelle che non faranno mai niente per te e quelle che ti faranno del male" Dalla saggezza di Alessandro Turati nasce questo libro che leggerete gustandolo, perché è un gioco mentale di cui abbiamo bisogno per creare altro oltre l'angoscia del quotidiano. 

Ippolita Luzzo  

lunedì 9 novembre 2020

Letizia Dimartino Tutta mia la città ovvero Dalla Marina a Beddio

     

 Mi bussa il postino per consegnarmi un libro di Letizia Dimartino. Ho già letto in pdf i ricordi di Letizia in “Tutta mia la città” e ne ho seguito gli anni, i mesi, i giorni e gli attimi. 

Racconta il passato, Letizia, con cura, come una ricamatrice, mi sono ritrovata a scriverle io, emozionata dalla sua scrittura. 

Leggere lei è una operazione di raccolta, come se in un campo stessimo a raccogliere i fiori da portare a casa per abbellire le nostre stanze. 

Leggere lei ci aiuta ad abbellire quel passato che molti di noi non conserviamo più come invece fa lei. Davvero è stato così come lei ci racconta? Noi non lo ricordiamo ma Letizia Dimartino lo racconta per noi in maniera dolcissima: Il passato con lei diventa una favola bella.

"Un diario lungo tante vite. La famiglia, con oggetti pensieri malattie luoghi persone genitori ricordi, Sicilia. E città. Un tempo che sembra non finire e che finirà invece nella malinconica constatazione che è un mondo in parte già scomparso"

Letizia ci culla in una nenia di paese, di città, ci culla come ci cullavano le nostre zie, le nostre mamme. con i dolci ed i merletti, i profumi i balocchi e le processioni da guardare dal balcone dopo aver messo il copriletto damascato ad abbellirlo.

" Con la nostalgia e pure con la crudeltà del presente. Una prosa poetica, suddivisa per temi e quadri, come affreschi di scrittura" dice lei. Io ne vedo proprio il cerchio dove imbastire il punto a croce, il punto a erba, il punto catenella, in un ricamo del tempo, dei passaggi, dei momenti di un dettaglio.

 "Una città che diventa persona" Ragusa, bella e amata, Ragusa struggente, "una città nella nostra vita" scrive Letizia con la sua grande sensibilità di pittrice e ricamatrice insieme, "una città ci verrà dietro", a dirla con Kavafis, da lei citato subito dopo o "nella città fatta dalla mia stessa vita" con Buzzati.

Letizia Dimartino torna in città e sorride alla mail, sorride al nuovo che arriva, alla città che cambia pur conservando intatti i ricordi. Come faccia non so. Ammirata la sto a guardare. mentre lei scrive "Sorvolando la città"

Ippolita Luzzo