Peppe Millanta è proprio così, come scrive.
La rotta delle nuvole è la bussola che vuole dare in mano a chi viaggerà da ora in poi con la testa fra le nuvole. All'inizio sembra che non sappia come costruirla questa bussola e il racconto sembra perdersi in un girovagare biblico. Poi però trova il suo uomo, trova Luke Howard, Colui che ha dato il nome alle nuvole, e da quel momento si vuole leggere e rileggere la storia di questo chimico di trent'anni che lavora in una farmacia e che utilizza il laboratorio chimico sottostante per riunioni settimanali con l’Askesian Society. Ogni settimana si tengono conferenze scientifiche da parte dei soci, tutti quaccheri, che leggono e interpretano la Bibbia senza intermediari. Lui, quel 6 dicembre parla delle nuvole.
“Se le nuvole fossero il mero risultato della condensazione del vapore e se le loro variazioni dovessero essere provocate soltanto dai movimenti dell’atmosfera allora il loro studio potrebbe considerarsi una inutile caccia ai fantasmi”
Conosciamo la storia delle nuvole in questo modo così sorprendente e scopriamo che anche Goethe come noi voleva conoscere Howard, e scrisse poi dei versi in suo onore.
Era dunque il 1783 e Luke aveva dieci anni quando in Islanda a seguito dell’eruzione del vulcano Laki il cielo divenne altro e il ragazzo stava ad osservare. Osserva sperimenta e impara, osserva e riconosci i fenomeni, l’atteggiamento che sta alla base di ogni scoperta. Noi siamo contenti che sia questa la bussola di Peppe Millanta e siamo contenti di leggerlo imparando a guardare il cielo, a guardare le nuvole, oggi nel Regno della Litweb.
Leggendo Incontriamo Ralph Abercromby, "sempre a inseguire le nuvole con il naso all'insù". Lui ci ha dato la faccia del cielo e nel 1896 avremo un libro con tutte le tipologie di nubi.
Con la rotta delle nuvole di Peppe guarderemo al cielo con le parole di Lucio Dalla, con le canzoni di Lucio Dalla, al quale oggi dedichiamo il pezzo.
Ippolita Luzzo
mercoledì 4 marzo 2020
martedì 3 marzo 2020
La Meravigliosa lampada di Paolo Lunare
La canzone è di Battiato "Strani giorni, viviamo strani giorni. Cantava, sento rumori di swing provenire dal Neolitico, dall'Olocene"
Viviamo strani giorni, mi canto stamattina. Vi consiglio in questi strani giorni la lettura di un libro delizioso e fiabesco, un libro incantevole, scritto da Cristò Chiapparino per la casa editrice TerraRossa. Uno dei libri più commoventi che io abbia mai letto.
Narra la storia di due persone che si conoscono sui banchi di scuola poi si sposano e “Non fu un azzardo passionale, ma quasi un gesto dovuto. Si erano fidanzati molti anni prima sui banchi di scuola e non si erano più separati. Un giorno lui le aveva telefonato e le aveva detto «il nonno è morto, ci ha lasciato la casa» e lei gli aveva risposto «allora sposiamoci». Era andata così, semplicemente.
Viviamo strani giorni, mi canto stamattina. Vi consiglio in questi strani giorni la lettura di un libro delizioso e fiabesco, un libro incantevole, scritto da Cristò Chiapparino per la casa editrice TerraRossa. Uno dei libri più commoventi che io abbia mai letto.
Narra la storia di due persone che si conoscono sui banchi di scuola poi si sposano e “Non fu un azzardo passionale, ma quasi un gesto dovuto. Si erano fidanzati molti anni prima sui banchi di scuola e non si erano più separati. Un giorno lui le aveva telefonato e le aveva detto «il nonno è morto, ci ha lasciato la casa» e lei gli aveva risposto «allora sposiamoci». Era andata così, semplicemente.
Entrambi si erano detti che nulla sarebbe cambiato, che dopo tanti anni il loro rapporto poteva considerarsi stabile, maturo; che, anzi, si sarebbe rafforzato adesso che avrebbero potuto vivere finalmente insieme, che tutto quello che avevano sperato per loro si stava avverando; si erano detti che quella casa in cui invecchiare insieme era l’ultimo pezzettino che mancava per rendere completa la loro felicità – che lei non avrebbe potuto avere figli per una questione congenita l’avevano scoperto già da qual- che anno e se ne erano fatti una ragione entrambi. La casa, il matrimonio, la vita insieme sarebbero stati sufficienti. Se lo erano promesso diverse volte nell'anno in cui avevano organizzato le nozze.
A quindici anni di distanza Paolo Lunare era convinto che quelle promesse valessero ancora. Solo che, sempre più di sovente, aveva avuto la sensazione che quella felicità si confondesse con tutto il resto, che fosse diventata sottofondo: una temperatura perfetta, così gradevole da perdere posizione nella classifica delle loro priorità. Se si fermava a riflettere sul suo rapporto con Petra, sapeva di amarla e di essere sereno con lei, ma non faceva più nulla per farglielo capire. E gli sembrava che lei si comportasse nello stesso modo. Lui però le stava costruendo la lampada per renderla felice. Lei stava facendo qualcosa di altrettanto impegnativo per lui?”
giovedì 27 febbraio 2020
Il ridicolo e pericoloso modo di fare del giornalismo di sciagura
Io lo chiamo giornalismo di sciagura il giornalismo che si compiace dei morti e delle calamità alla maniera di Bruno Vespa che negli anni ottanta domandava con gusto ad ogni disgrazia:- Quanti morti? Quanti Morti?- felicissimo se le cifre fossero esorbitanti e lui potesse continuare la diretta televisiva assaporandone il trionfo e i milioni di telespettatori incollati al suo dire.
Era veramente sconcio e purtroppo ha fatto scuola continuando lui imperterrito a fare uguale e a creare una scuola di suoi epigoni che, ora dalle pagine del "giornale Libero" e dalle televisioni con Barbara D'Urso che si lava le mani e ci spiega come si intreccino le dita, seminano il panico nell'intera nazione italiana su un virus influenzale, contagioso e da tenere sotto controllo con gli strumenti adeguati della medicina.
In pochissimi giorni il circo mediatico ha messo in piedi uno sciocchezzaio continuo e martellante tale da far intervenire il Presidente dell'Ordine dei Giornalisti.
Credo che però i vari untori della parola dovrebbero essere messi in quarantena e chiusi, loro, in un luogo senza microfoni, per almeno un anno. Chissà se capirebbero! Non credo.
I danni arrecati poi dalla congiunzione fra un giornalismo scorretto e una classe politica incompetente si ritorceranno purtroppo sui tanti che hanno dovuto chiudere spettacoli teatrali e tour di presentazioni libri e sono questi gli incolpevoli a trovarsi in mezzo.
Mi auguro che i giornalisti forieri di sciagure tacciano per sempre e che siano messi nell'impossibilità di creare ulteriori danni. L'anatema del Regno della Litweb ricada su di loro e impedisca loro di nuocere ancora. Amen
Era veramente sconcio e purtroppo ha fatto scuola continuando lui imperterrito a fare uguale e a creare una scuola di suoi epigoni che, ora dalle pagine del "giornale Libero" e dalle televisioni con Barbara D'Urso che si lava le mani e ci spiega come si intreccino le dita, seminano il panico nell'intera nazione italiana su un virus influenzale, contagioso e da tenere sotto controllo con gli strumenti adeguati della medicina.
In pochissimi giorni il circo mediatico ha messo in piedi uno sciocchezzaio continuo e martellante tale da far intervenire il Presidente dell'Ordine dei Giornalisti.
Credo che però i vari untori della parola dovrebbero essere messi in quarantena e chiusi, loro, in un luogo senza microfoni, per almeno un anno. Chissà se capirebbero! Non credo.
I danni arrecati poi dalla congiunzione fra un giornalismo scorretto e una classe politica incompetente si ritorceranno purtroppo sui tanti che hanno dovuto chiudere spettacoli teatrali e tour di presentazioni libri e sono questi gli incolpevoli a trovarsi in mezzo.
Mi auguro che i giornalisti forieri di sciagure tacciano per sempre e che siano messi nell'impossibilità di creare ulteriori danni. L'anatema del Regno della Litweb ricada su di loro e impedisca loro di nuocere ancora. Amen
L'Imitazione del Vero di Ezio Sinigaglia
Il libro è candidato al Premio Strega, segnalato da Lorenza Foschini. Ne siamo molto felici noi che leggiamo Ezio Sinigaglia e riconosciamo a lui uno stile originale e un raccontare che andrà oltre il momento attuale delle patrie lettere.
Da Il Pantarei a Eclissi, ed ora a L'Imitazione del Vero, Ezio ci stupisce con la diversità del racconto, sempre però ancorato alla bellezza della letteratura. Nell'Imitazione del Vero lui fa suo il linguaggio del Boccaccio e a tratti dell'Ariosto, una lingua antica e musicale, per darci l'idea di stare in un altro luogo, quello dei sensi incantati.
" Viveva un tempo nella città di Lopezia un artefice di grandissimo ingegno donde la fama oltre le mura della città ed i confini medesimi del Principato volava tanto che nei più remoti angoli della Cristianità l'eco se ne coglieva"
e poi giungiamo leggendo a considerazioni siffatte " È ben vero che, fra le diverse cose umane, le quali tutte di leggierissimo momento sono, e di strettissimi confini, talché sempre dall'una sponda l'opposta si può vedere e dall'imboccatura il fondo e dal principio la fine, la potestà che più di ogni altra l'umana natura alla divina fa simigliante e le finite cose alle infinite e le mortali alle immortali è la virtù che ciascuno ha d'amare"
Nel Regno senza tempo e senza luogo della Litweb il racconto di Ezio sorride nel gioco amabile di una imitazione, nella seduzione che ciascuno di noi attua come forma di stare in vita per essere riconosciuti e sentirsi desiderati desiderando. Il linguaggio come una botte, una botte che ci aspetta tutti, fatta di suoni e di piacevolezze, di gioia e di grazia inaudita. La vogliamo tutti quella botte, costruita da mastro Landone per irretire Nerino, e costruita da Ezio per irretirci tutti nelle belle letture.
Gustiamo questa prosa inusuale e tanto desiderata da far dire nelle motivazioni a Lorenza Foschini"«L’imitazion del vero colpisce per l’eleganza e la ricercatezza della scrittura e per l’originalità del soggetto: un racconto amorale che ricorda per lo stile, l’ironia e la bellezza della prosa una novella di Boccaccio. In questo libro Sinigaglia mostra inoltre la sua singolare capacità di camuffare il lessico contemporaneo facendolo “sembrare” antico, sfruttando un’elegante sintassi e una prosodia della musicalità incantevole. É grazie a questi elementi stilistici e al ritmo serrato della narrazione che prende vita il racconto: una storia d’amore licenziosa e originalissima, un conte philosophique sulla natura misteriosa e oscura dell’amore “socratico” e sulle leggi del desiderio.
L’imitazion del vero è un libro che sorprende dal principio alla fine.»
Nel Regno della Litweb Ezio ha già vinto.
Ippolita Luzzo
Da Il Pantarei a Eclissi, ed ora a L'Imitazione del Vero, Ezio ci stupisce con la diversità del racconto, sempre però ancorato alla bellezza della letteratura. Nell'Imitazione del Vero lui fa suo il linguaggio del Boccaccio e a tratti dell'Ariosto, una lingua antica e musicale, per darci l'idea di stare in un altro luogo, quello dei sensi incantati.
" Viveva un tempo nella città di Lopezia un artefice di grandissimo ingegno donde la fama oltre le mura della città ed i confini medesimi del Principato volava tanto che nei più remoti angoli della Cristianità l'eco se ne coglieva"
e poi giungiamo leggendo a considerazioni siffatte " È ben vero che, fra le diverse cose umane, le quali tutte di leggierissimo momento sono, e di strettissimi confini, talché sempre dall'una sponda l'opposta si può vedere e dall'imboccatura il fondo e dal principio la fine, la potestà che più di ogni altra l'umana natura alla divina fa simigliante e le finite cose alle infinite e le mortali alle immortali è la virtù che ciascuno ha d'amare"
Nel Regno senza tempo e senza luogo della Litweb il racconto di Ezio sorride nel gioco amabile di una imitazione, nella seduzione che ciascuno di noi attua come forma di stare in vita per essere riconosciuti e sentirsi desiderati desiderando. Il linguaggio come una botte, una botte che ci aspetta tutti, fatta di suoni e di piacevolezze, di gioia e di grazia inaudita. La vogliamo tutti quella botte, costruita da mastro Landone per irretire Nerino, e costruita da Ezio per irretirci tutti nelle belle letture.
Gustiamo questa prosa inusuale e tanto desiderata da far dire nelle motivazioni a Lorenza Foschini"«L’imitazion del vero colpisce per l’eleganza e la ricercatezza della scrittura e per l’originalità del soggetto: un racconto amorale che ricorda per lo stile, l’ironia e la bellezza della prosa una novella di Boccaccio. In questo libro Sinigaglia mostra inoltre la sua singolare capacità di camuffare il lessico contemporaneo facendolo “sembrare” antico, sfruttando un’elegante sintassi e una prosodia della musicalità incantevole. É grazie a questi elementi stilistici e al ritmo serrato della narrazione che prende vita il racconto: una storia d’amore licenziosa e originalissima, un conte philosophique sulla natura misteriosa e oscura dell’amore “socratico” e sulle leggi del desiderio.
L’imitazion del vero è un libro che sorprende dal principio alla fine.»
Nel Regno della Litweb Ezio ha già vinto.
Ippolita Luzzo
lunedì 24 febbraio 2020
Andrea D'Urso Il Viaggio
"Rossana camminava senza sapere dove, non poteva fermarsi, doveva solo allontanarsi, il più possibile... Cercò nella borsa, cercò l'antidoto, quella poesia che si portava sempre con sé ormai e che ogni giorno andava a leggersi e a rileggersi. La curva della strada...La curva della strada dove semplicemente non si è visti, dove puoi metterti lì e aspettare, dove puoi essere aspettato, dove ci si ritroverà, dove non esiste l'ultima volta"
Da non credere: leggo Il viaggio di Andrea D'Urso e vi ritrovo una mia amica, o almeno io leggo per qualche tratto di somiglianza, una storia quasi conosciuta. Anche la mia amica ha il glaucoma, anche la mia amica è di Trapani.
Io poi mi sento partecipe come se avessi già letto "Il viaggio" in un altro momento della mia vita e forse sarà così.
Scritto con sensibilità e vicinanza Il viaggio commuove e conquista per il peregrinare interiore che ognuno di noi fa avanti e indietro sulle strade e sui bivi che percorriamo.
La protagonista avrà più o meno la mia età e mi ritrovo quasi a darle una mano e a dirle che il vivere può essere fantasia se c’è l’entusiasmo di voler cambiare.
Insieme a lei vediamo e non vediamo i coprotagonisti, i genitori di lei, il marito, i figli e poi un altro, un altro amore finito, finiti, nel giro dei giorni senza chiarore.
E allora non ci resta che piangere e così faccio io, io che aspetto a mia volta risposta da una Tac, io che mi metto in viaggio verso una letteratura amatissima che possa starci vicino nell'attesa.
A cosa ci si abitua? Sarà la domanda che ci faremo leggendo questo racconto che è una perla. Una mia amica mi ha detto di recente che la perla è il dolore dell'ostrica e credo che anche la produzione artistica alcune volte è il dolore dell'autore che percepisce la sofferenza dei personaggi che lo visitano. Ha conosciuto Rossana l'autore? non ci interessa. Sappiamo che tutto può cambiare. Sappiamo che Rossana si mette in viaggio in un viaggio chiamato amore
Nel Regno della Litweb accogliamo Andrea D'Urso con tutti i nostri applausi.
Andrea D'Urso ha fatto l'esperienza del Premio Calvino lo stesso anno in cui ho partecipato io, in cui ha partecipato Domenico Dara, lui ha poi pubblicato il romanzo Just a gigolò con Edizioni E/O, 2014, finalista al Premio Calvino l’anno precedente con il titolo Nomi, cose e città, e poi ha continuato a scrivere bei romanzi come La strada è un libro aperto (Vydia Editore, 2017), La società delle ombre (Rayuela Edizioni, 2018), Inevitabile Follia, (Stampa Alternativa, 2018) e le raccolte poetiche Occidente Express.
Da non credere: leggo Il viaggio di Andrea D'Urso e vi ritrovo una mia amica, o almeno io leggo per qualche tratto di somiglianza, una storia quasi conosciuta. Anche la mia amica ha il glaucoma, anche la mia amica è di Trapani.
Io poi mi sento partecipe come se avessi già letto "Il viaggio" in un altro momento della mia vita e forse sarà così.
Scritto con sensibilità e vicinanza Il viaggio commuove e conquista per il peregrinare interiore che ognuno di noi fa avanti e indietro sulle strade e sui bivi che percorriamo.
La protagonista avrà più o meno la mia età e mi ritrovo quasi a darle una mano e a dirle che il vivere può essere fantasia se c’è l’entusiasmo di voler cambiare.
Insieme a lei vediamo e non vediamo i coprotagonisti, i genitori di lei, il marito, i figli e poi un altro, un altro amore finito, finiti, nel giro dei giorni senza chiarore.
E allora non ci resta che piangere e così faccio io, io che aspetto a mia volta risposta da una Tac, io che mi metto in viaggio verso una letteratura amatissima che possa starci vicino nell'attesa.
A cosa ci si abitua? Sarà la domanda che ci faremo leggendo questo racconto che è una perla. Una mia amica mi ha detto di recente che la perla è il dolore dell'ostrica e credo che anche la produzione artistica alcune volte è il dolore dell'autore che percepisce la sofferenza dei personaggi che lo visitano. Ha conosciuto Rossana l'autore? non ci interessa. Sappiamo che tutto può cambiare. Sappiamo che Rossana si mette in viaggio in un viaggio chiamato amore
Nel Regno della Litweb accogliamo Andrea D'Urso con tutti i nostri applausi.
Andrea D'Urso ha fatto l'esperienza del Premio Calvino lo stesso anno in cui ho partecipato io, in cui ha partecipato Domenico Dara, lui ha poi pubblicato il romanzo Just a gigolò con Edizioni E/O, 2014, finalista al Premio Calvino l’anno precedente con il titolo Nomi, cose e città, e poi ha continuato a scrivere bei romanzi come La strada è un libro aperto (Vydia Editore, 2017), La società delle ombre (Rayuela Edizioni, 2018), Inevitabile Follia, (Stampa Alternativa, 2018) e le raccolte poetiche Occidente Express.
Sete di Amélie Nothomb
"Sono qui.Non ho mai smesso di essere qui. In un'altra maniera, certo, ma sono qui.
Non c'è bisogno di credere in qualcosa per sondare il mistero della presenza. È esperienza comune. Quante volte siamo qui senza essere presenti? Non è necessario sapere a cosa sia dovuto.
"Concentrati" diciamo. E il vero significato è: "Richiama la tua presenza"...Il fatto è questo: qualcuno presente per davvero non lo si incontra tutti i giorni. La mia tripletta vincente - amore, sete, morte - insegna a ben guardare anche tre modi di essere incredibilmente presente."
Con un linguaggio aderente ai nostri tempi deliranti Amélie Nothomb ci racconta il calvario di Gesù nella notte precedente alla sua crocifissione.
Il racconto si apre con i testimoni dei miracoli, anzi con coloro che hanno ricevuto benefici dai miracoli. Costoro, chiamati da Pilato sono i primi ad accusare Gesù. Ed ecco il funzionario del re che parla con riluttanza del miracolo che gli ha salvato il figlio, cavandosela con un: e che ci vuole? Con la sua magia, a quello basta una parola.
Assistiamo sgomenti al bene trasformato in male, ad atti di generosità mistificati e deviati nella testimonianza vile di mediocri, tutti pronti a puntare il dito.
Una parabola lunga, sembra questo monologo interiore di Gesù umano, una parabola in cui noi tutti ci riconosciamo alle prese con le nostre paure, con un corpo che è causa di gioie e tormento, di presenza e assenza, con un corpo oscuro che ci permette di pensare e di pensarlo nostro amico, nostro nemico.
Ho iniziato l'anno chiedendomi cosa il mio corpo sta cercando di dirmi, aspetto anche io impaurita una risposta, ma nello stesso tempo riesco a dialogare con il libro di Amèlie, con Daniela Di Sora, che pubblica con la Voland le opere della Nothomb, leggo la splendida traduzione di Isabella Mattazzi e pigio i tasti scordando il mio malessere, la mia paura.
"Non lo ripeterò mai abbastanza: un corpo è quanto di più bello possa mai capitare" afferma il Gesù di Amélie e noi con lui.
La riflessione di Amélie giunge in momenti di psicosi di massa che addirittura fanno spostare le date del suo arrivo in Italia, così come vi era una psicosi di massa nelle folle che gridarono Barabba, lasciando libero il ladro e crocifiggendo Gesù. Gesù era solo come sono ancora soli i buoni, le persone che credono.
Nell'immensa solitudine dei buoni, di chi si sacrifica per una causa, nell'immensa solitudine vi sta il credo. Credere che tutti possiamo diventare leve, tutti possiamo avere una missione, tutti abbiamo un potere rilevante.Diffondere un'altra maniera di amare. Bere, avere sete. Lo slancio che ci spinge a bere, lo chiama Amélie.
Nell'abbraccio che ci sospinge verso la lettura chiediamo riflessione ed empatia e restiamo insieme a Daniela, ad Amélie, ad Isabella, nel grande regno della letteratura.
Aspettando Amélie nel Regno della Litweb
Ippolita Luzzo
Non c'è bisogno di credere in qualcosa per sondare il mistero della presenza. È esperienza comune. Quante volte siamo qui senza essere presenti? Non è necessario sapere a cosa sia dovuto.
"Concentrati" diciamo. E il vero significato è: "Richiama la tua presenza"...Il fatto è questo: qualcuno presente per davvero non lo si incontra tutti i giorni. La mia tripletta vincente - amore, sete, morte - insegna a ben guardare anche tre modi di essere incredibilmente presente."
Con un linguaggio aderente ai nostri tempi deliranti Amélie Nothomb ci racconta il calvario di Gesù nella notte precedente alla sua crocifissione.
Il racconto si apre con i testimoni dei miracoli, anzi con coloro che hanno ricevuto benefici dai miracoli. Costoro, chiamati da Pilato sono i primi ad accusare Gesù. Ed ecco il funzionario del re che parla con riluttanza del miracolo che gli ha salvato il figlio, cavandosela con un: e che ci vuole? Con la sua magia, a quello basta una parola.
Assistiamo sgomenti al bene trasformato in male, ad atti di generosità mistificati e deviati nella testimonianza vile di mediocri, tutti pronti a puntare il dito.
Una parabola lunga, sembra questo monologo interiore di Gesù umano, una parabola in cui noi tutti ci riconosciamo alle prese con le nostre paure, con un corpo che è causa di gioie e tormento, di presenza e assenza, con un corpo oscuro che ci permette di pensare e di pensarlo nostro amico, nostro nemico.
Ho iniziato l'anno chiedendomi cosa il mio corpo sta cercando di dirmi, aspetto anche io impaurita una risposta, ma nello stesso tempo riesco a dialogare con il libro di Amèlie, con Daniela Di Sora, che pubblica con la Voland le opere della Nothomb, leggo la splendida traduzione di Isabella Mattazzi e pigio i tasti scordando il mio malessere, la mia paura.
"Non lo ripeterò mai abbastanza: un corpo è quanto di più bello possa mai capitare" afferma il Gesù di Amélie e noi con lui.
La riflessione di Amélie giunge in momenti di psicosi di massa che addirittura fanno spostare le date del suo arrivo in Italia, così come vi era una psicosi di massa nelle folle che gridarono Barabba, lasciando libero il ladro e crocifiggendo Gesù. Gesù era solo come sono ancora soli i buoni, le persone che credono.
Nell'immensa solitudine dei buoni, di chi si sacrifica per una causa, nell'immensa solitudine vi sta il credo. Credere che tutti possiamo diventare leve, tutti possiamo avere una missione, tutti abbiamo un potere rilevante.Diffondere un'altra maniera di amare. Bere, avere sete. Lo slancio che ci spinge a bere, lo chiama Amélie.
Nell'abbraccio che ci sospinge verso la lettura chiediamo riflessione ed empatia e restiamo insieme a Daniela, ad Amélie, ad Isabella, nel grande regno della letteratura.
Aspettando Amélie nel Regno della Litweb
Ippolita Luzzo
venerdì 21 febbraio 2020
Come una barca sul cemento di Roberto Saporito
"In un giardino pubblico di Milano viene rapito un bambino"
Mi fisso sulla notizia in apertura del radiogiornale con cui inizia "Come una barca sul cemento" e ne seguo gli svolgimenti capitolo per capitolo, abbandonando quel “tu” che sarebbe il protagonista principale del racconto.
Il narratore infatti si rivolge al suo protagonista chiamandolo “Tu”.
Tu guardiano notturno di un deposito di rimessaggio barche, tu professore universitario che hai dovuto lasciare il tuo lavoro e trovarne un’altro.
Raccontato col tu, in seconda persona, sembra quasi vedere l’autore mostrarcelo con un dito, come nell'immagine divina del Dio michelangiolesco che indica l’uomo e si rivolge a lui col suo “tu” che dona anima e vita.
“Tu” chi sei? Ci interroghiamo leggendo
Come una barca sul cemento: nel racconto che leggerete troverete fra le righe il caso di cronaca che seguirà le peripezie del protagonista come se fosse sullo sfondo. Un dietro le quinte, un modo per dire che l’informazione fa congetture e più ci darà informazioni e meno ne sapremo. Si insinua in noi lo straniamento che è lo stesso del protagonista nel suo girare quasi predestinato a fare ciò che non ha deciso lui. Restiamo insieme al caso di cronaca come se noi stessi fossimo stati rapiti, rapiti e allontanati dai nostri cari, intenti anche loro in telefonate o in altri incontri, come se noi stessi ora immemori accettassimo quella cioccolata che ci farà dimenticare chi noi siamo. O almeno chi eravamo, chi erano i nostri genitori, come ci chiamiamo. E continueremo a chiederci Come una barca sul cemento i tanti perché che non ci fanno muovere più come vorremmo
Le due storie, quella del professore universitario e quella del bambino rapito da Ludovica, si intrecciano e ritorno indietro nella lettura per cercare cosa le unisca, quale la connessione.
Intanto sono troppo commossa dalla lettura di questo avvincente romanzo di Roberto Saporito e rimango nell'atmosfera dei luoghi e degli incontri consapevole di come ogni gesto possa perderci o salvarci irreparabilmente.
"Come una barca sul cemento" i personaggi sono guidati nelle loro azioni da qualche disegno che sembra appartenere al loro passato e seguono come una barca sul cemento, da fermi quasi, guardando le conseguenze dei loro gesti da lontano. Lo rileggo ancora stupefatta e plaudo ad Arkadia Editore e alle loro scelte di qualità.
Nel caso di Roberto è una conferma. Lui scrive benissimo
Un grande plauso dal Regno della Litweb
Ippolita Luzzo
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