Consueto discorso di fine anno in preparazione. Scelgo ciò che, a ritroso, raccolgo dal mio peregrinare nei giorni e nei post. Credo che il libro dell’anno, anzi i due libri dell’anno 2019 siano Il Pantarèi di Ezio Sinigaglia, di cui ho tanto parlato, e La seduzione di José Ovejero, ed è proprio il tema del libro di Ovejero il filo che legherà tutto l’anno 2019.
Josè Ovejero vede la seduzione operare nel territorio aperto della vanità umana e noi leggendo vediamo la seduzione fare recinzioni sempre più strette sul territorio umano fino a diventare essa stessa il carceriere di chi ha sedotto.
La storia è la storia di tutto un 2019 di seduzione operante nella vanità delle cose umane.
Nel libro di Ovejero il protagonista è uno scrittore di successo, invitato e acclamato, che non scrive da cinque anni.
Da lui sappiamo che sta per divorziare, da lui sappiamo della coppia di amici, frequentati tanti anni, fino al momento in cui lui non stronca il libro dell’amico, anche lui scrittore però senza successo.
Da lui conosciamo il giovane uomo, figlio dei suoi amici, che continuerà a frequentarlo, anche dopo la rottura dell’amicizia con i suoi genitori, e sempre dallo scrittore apprenderemo del devastante pestaggio che il giovane subisce e lo renderà menomato a vita dopo un lungo periodo di coma.
Ci sarà una amicizia fatta di seduzione fra questo giovane e lo scrittore? Così sembra ma dovrete leggere il libro.
Questa la situazione è questo è quel mondo della vanità di intrecci e veleni, di corpi e di gesti che formano lacci.
Nicola Manicardi commentando una poesia di Nicola Vacca scrive: La vanità che diventa centro del centro, la nostra prigione all'aperto. Semmai esistesse una gioia l'importante è sapere che è una folata di vento.
La poesia di Nicola era sulla vanità:
Poveri noi
Le opere nere di Goya
gli squartamenti di Bacon
la carne marcia di Schiele.
Diffidate degli artisti
che vi dicono che il mondo
si regge sulla gioia.
Non dicono la verità
perché adorano se stessi
e cercano sempre l'applauso
per la loro fottuta vanità.
Ogni scrittore dovrebbe leggere La seduzione di Ovejero e moltissimi scrittori si ritroveranno in quelle pagine.
Moltissimi se non tutti.
Il libro è di una verità stridente, di un coinvolgimento quasi irritante se non fosse che ne siamo avviluppati con maestria. Non sembra ci si possa estraniare dal non pensare che è proprio in quel modo che ci si lega mani e piedi a eventi imprevedibili e non voluti. La vanità diventa centro del centro, la nostra prigione all'aperto, dice Nicola Manicardi. Gli artisti, gli scrittori, cercano sempre l’applauso, da Nicola Vacca. Mi sembrano che abbiano letto La seduzione, cara Daniela Di Sora, un libro da far conoscere a tutti coloro che pensano di poter governare gli eventi sol perché sanno scrivere.
Con Ovejero "Scrivere è un modo di descriversi, di far sì che gli altri prestino attenzione al nostro volto, alla nostra voce, alle nostre mani che gesticolano nell'aria."
"Per scrivere serve volontà, non talento; non è neanche necessaria l'ispirazione. Non c'è nulla come la rabbia per riempire un paragrafo dopo l'altro. E la rabbia mi trasuda dai pori."
ed ancora
"l'ammirazione è come la cocaina, devi continuare a consumarla per non sentire il down"
Consiglio a tutti coloro che sono vittime di questa dipendenza, che vivono di vanità, di apparenze e successo, di titoli e nulla, la lettura di questo libro. Io l'ho già letto e ne farò tesoro.
Oh Vanità delle vanità! Con Ovejero nel Regno della Litweb
Ippolita Luzzo
lunedì 16 dicembre 2019
lunedì 2 dicembre 2019
Insegnanti di Roberto Contu
La felicità è ricevere il libro di Roberto Contu qui a casa, nel Regno della Litweb. L’amore vero è riceverlo con il biglietto che non toglierò perché sono io che lo ringrazio di cuore.
Ameremo tutti il libro di Roberto, un libro di testimonianza sulla scuola, sugli insegnanti.
Roberto mi ha fatto ricordare uno dei primi giorni di scuola, una supplenza in un liceo dove un Preside mi disse uguale.
Lui mi disse:- Vada a fare filosofia in questo triennio e faccia recuperare il programma perché non hanno fatto niente finora.- Ero sconcertata.
Eravamo a marzo e gli alunni leggevano La Gazzetta dello Sport!
Porto "Insegnanti" il libro di Roberto Contu al Liceo Classico di Lamezia insieme a Marco Polo di Gianluca Barbera e dico ai miei colleghi bravissimi che siamo tutti intellettuali.
Produrre senso e futuro: La scuola è un’immensa e organizzata industria umana adatta a produrre senso e futuro, ogni giorno.
Non un’azienda privata che debba rincorrere numeri ma la scuola è industria nel significato antico di operosità, di progetto per produrre senso e futuro.
Lo dice Roberto Contu nelle battute finali del libro e lo hanno detto Vito Catalano, nipote di Leonardo Sciascia, e Giuseppe Giglio, critico letterario, nell'incontro con i ragazzi dell’Istituto Tecnico Economico “Valentino De Fazio”.
Nei tanti incontri con gli alunni e gli insegnanti.
Parole che mi appartengono e che sono appartenuti a Leonardo Sciascia.
Dagli "Insegnanti" a "Una storia semplice" di Sciascia ci accompagnano per dirci in continuazione quanto si debba vegliare contro ogni forma di manipolazione. Come bisogna stare attenti anche quando si capisce troppo. “Ma che parrocchia? Io non ho parrocchia” risponde l’uomo, protagonista di “Una storia semplice”, che aveva capito tutto e che in questo modo si salva dagli intrighi, dalle manipolazioni.
Io non ho parrocchia, mi ritrovo a ripetermi e a ripetere e intanto gli alunni fiduciosi vanno via, ogni anno vanno via, ringraziando la scuola per aver dato loro l’opportunità di ascoltare Sciascia il suo grande senso di giustizia e di verità, di viaggiare con Marco Polo e Magellano, di conoscere meglio gli Insegnanti come Roberto Contu, come i tantissimi che credono vero il valore dell'insegnamento.
W la Scuola, produttrice di senso e futuro.
Ippolita Luzzo
Ameremo tutti il libro di Roberto, un libro di testimonianza sulla scuola, sugli insegnanti.
Roberto mi ha fatto ricordare uno dei primi giorni di scuola, una supplenza in un liceo dove un Preside mi disse uguale.
Lui mi disse:- Vada a fare filosofia in questo triennio e faccia recuperare il programma perché non hanno fatto niente finora.- Ero sconcertata.
Eravamo a marzo e gli alunni leggevano La Gazzetta dello Sport!
Porto "Insegnanti" il libro di Roberto Contu al Liceo Classico di Lamezia insieme a Marco Polo di Gianluca Barbera e dico ai miei colleghi bravissimi che siamo tutti intellettuali.
Produrre senso e futuro: La scuola è un’immensa e organizzata industria umana adatta a produrre senso e futuro, ogni giorno.
Non un’azienda privata che debba rincorrere numeri ma la scuola è industria nel significato antico di operosità, di progetto per produrre senso e futuro.
Lo dice Roberto Contu nelle battute finali del libro e lo hanno detto Vito Catalano, nipote di Leonardo Sciascia, e Giuseppe Giglio, critico letterario, nell'incontro con i ragazzi dell’Istituto Tecnico Economico “Valentino De Fazio”.
Nei tanti incontri con gli alunni e gli insegnanti.
Parole che mi appartengono e che sono appartenuti a Leonardo Sciascia.
Dagli "Insegnanti" a "Una storia semplice" di Sciascia ci accompagnano per dirci in continuazione quanto si debba vegliare contro ogni forma di manipolazione. Come bisogna stare attenti anche quando si capisce troppo. “Ma che parrocchia? Io non ho parrocchia” risponde l’uomo, protagonista di “Una storia semplice”, che aveva capito tutto e che in questo modo si salva dagli intrighi, dalle manipolazioni.
Io non ho parrocchia, mi ritrovo a ripetermi e a ripetere e intanto gli alunni fiduciosi vanno via, ogni anno vanno via, ringraziando la scuola per aver dato loro l’opportunità di ascoltare Sciascia il suo grande senso di giustizia e di verità, di viaggiare con Marco Polo e Magellano, di conoscere meglio gli Insegnanti come Roberto Contu, come i tantissimi che credono vero il valore dell'insegnamento.
W la Scuola, produttrice di senso e futuro.
Ippolita Luzzo
domenica 1 dicembre 2019
Simone Ghelli La vita moltiplicata
La vita moltiplicata di Simone Ghelli è una raccolta di dieci racconti declinati fra realtà e sogno, racconti che si svolgono in un tempo che è fatto di tre tempi.
Trovo di grande interesse ciò che fa Simone Ghelli, una resistenza letteraria allo spirito del tempo attuale, una resistenza al raccontare i fatti col piattume del presente, una resistenza che ci regala la complessità del nostro vivere, così umiliato da tanti romanzi scialbi e da tanta pubblicità ignobile.
Con Simone riflettiamo: “ Due persone si conoscono, ma si conoscevano già e non si conoscevano ancora” così nel L’Ineluttabile, il racconto di un incontro che ho imparato a memoria.
Giorgio, il protagonista, si trova a Siena, deve partecipare ad una “Procedura di valutazione comparativa per la copertura di un posto di ruolo di ricercatore universitario L-Art/06” dopo aver preso la laurea, sempre a Siena anni prima, dieci anni prima.
Incontra al Civico 90 di via Pantaneto un uomo sui cinquanta anni o più e tramite il libro, un libro, quel libro, e su una sciarpa regalata, in un locale che non è più il Pozzo, si svolge il dialogo sul cinema e sulla vita.
La nostra vita.
Tutto ciò che va dove non deve andare, tutto ciò che avviene senza il nostro volere, tutto ciò che noi siamo senza saperlo.
L’immagine- movimento di Gilles Deleuze è il libro che Giorgio ha in mano, un libro sul cinema, su “l’eterno ritorno come resurrezione, nuovo dono del nuovo, del possibile” di Bunuel e poi andiamo indietro nel 1996 l’anno in cui Giorgio inizia a seguire storia e critica del cinema.
Si era poi laureato nel 1999.
Negli anni la città è cambiata, Siena è cambiata ed anche l’ex Ospedale Psichiatrico è stato trasformato in una sede universitaria. Mi immergo nel racconto, vedo gli occhi verde smeraldo dell’altro uomo, lo sento dire con me, con Artaud, che si scrive per uscire dall'inferno.
Chi è l’interlocutore di Giorgio? Un professore universitario?
Così parrebbe visto che conosce bene il professore di filosofia politica di Giorgio.
Giorgio non lo saprà mai e terrà in regalo quella sciarpa. Non lo incontrerà più malgrado lui ritorni, speranzoso, più volte in quel locale.
Nemmeno noi lo sappiamo ma io lo conosco, lui è diventato una mia presenza in casa, perché esiste “un tempo interno all’avvenimento, che è fatto della simultaneità di tre presenti": < Secondo la formula di Sant'Agostino, esiste un presente del futuro, un presente del presente, un presente del passato, tutti implicati nell'avvenimento, simultanei> ed è per questo che nulla è come sembra.
La realtà poi è implacabile.
Ci prova, in un’altro racconto, il professore Iuri Bettalli a far scrivere ai suoi alunni cosa sia la realtà e la realtà sarà terribile, contro di lui nemica.
Compito di realtà.
Leggiamo i racconti di Simone Ghelli, con l’emozione di aver a che fare con uno scrittore vero, con un autore che rispetta la straordinaria storia che è la vita, un autore che ci regala con Lucrezio, la forza vivida dell’animo.
Leggiamolo e conserveremo ancora con noi la bellezza della letteratura.
Ippolita Luzzo
Trovo di grande interesse ciò che fa Simone Ghelli, una resistenza letteraria allo spirito del tempo attuale, una resistenza al raccontare i fatti col piattume del presente, una resistenza che ci regala la complessità del nostro vivere, così umiliato da tanti romanzi scialbi e da tanta pubblicità ignobile.
Con Simone riflettiamo: “ Due persone si conoscono, ma si conoscevano già e non si conoscevano ancora” così nel L’Ineluttabile, il racconto di un incontro che ho imparato a memoria.
Giorgio, il protagonista, si trova a Siena, deve partecipare ad una “Procedura di valutazione comparativa per la copertura di un posto di ruolo di ricercatore universitario L-Art/06” dopo aver preso la laurea, sempre a Siena anni prima, dieci anni prima.
Incontra al Civico 90 di via Pantaneto un uomo sui cinquanta anni o più e tramite il libro, un libro, quel libro, e su una sciarpa regalata, in un locale che non è più il Pozzo, si svolge il dialogo sul cinema e sulla vita.
La nostra vita.
Tutto ciò che va dove non deve andare, tutto ciò che avviene senza il nostro volere, tutto ciò che noi siamo senza saperlo.
L’immagine- movimento di Gilles Deleuze è il libro che Giorgio ha in mano, un libro sul cinema, su “l’eterno ritorno come resurrezione, nuovo dono del nuovo, del possibile” di Bunuel e poi andiamo indietro nel 1996 l’anno in cui Giorgio inizia a seguire storia e critica del cinema.
Si era poi laureato nel 1999.
Negli anni la città è cambiata, Siena è cambiata ed anche l’ex Ospedale Psichiatrico è stato trasformato in una sede universitaria. Mi immergo nel racconto, vedo gli occhi verde smeraldo dell’altro uomo, lo sento dire con me, con Artaud, che si scrive per uscire dall'inferno.
Chi è l’interlocutore di Giorgio? Un professore universitario?
Così parrebbe visto che conosce bene il professore di filosofia politica di Giorgio.
Giorgio non lo saprà mai e terrà in regalo quella sciarpa. Non lo incontrerà più malgrado lui ritorni, speranzoso, più volte in quel locale.
Nemmeno noi lo sappiamo ma io lo conosco, lui è diventato una mia presenza in casa, perché esiste “un tempo interno all’avvenimento, che è fatto della simultaneità di tre presenti": < Secondo la formula di Sant'Agostino, esiste un presente del futuro, un presente del presente, un presente del passato, tutti implicati nell'avvenimento, simultanei> ed è per questo che nulla è come sembra.
La realtà poi è implacabile.
Ci prova, in un’altro racconto, il professore Iuri Bettalli a far scrivere ai suoi alunni cosa sia la realtà e la realtà sarà terribile, contro di lui nemica.
Compito di realtà.
Leggiamo i racconti di Simone Ghelli, con l’emozione di aver a che fare con uno scrittore vero, con un autore che rispetta la straordinaria storia che è la vita, un autore che ci regala con Lucrezio, la forza vivida dell’animo.
Leggiamolo e conserveremo ancora con noi la bellezza della letteratura.
Ippolita Luzzo
mercoledì 20 novembre 2019
Giovanna Villella mi presenta all’Uniter " Basta poco per sentirsi soli" di Grazia Cherchi
Giovanna Villella al leggio dell'Uniter in
Ippolita Luzzo, ritratto di donna non convenzionale 2
Già lo scorso anno ebbi a delineare un suo ritratto di donna non convenzionale sotto forma di divertissement.
Tuttavia, questa sera vorrei soffermarmi su alcuni concetti che servono a delinearne il profilo in modo più intimo.
Ho già avuto modo di dire che Ippolita è donna fantasiosa, visionaria e irriverente quanto basta. Mossa da una curiositas irrefrenabile che investe ogni campo dello scibile umano, sotto quella sua aria svagata si cela un’osservatrice acuta e attenta.
Ma è anche donna docilmente ribelle. E uso questo ossimoro perché la sua disobbedienza alle convenzioni sociali, espressa magnificamente in quel “Manifesto alla libertà” intitolato Io non sono una donna del Sud e contenuto nel suo ultimo libro Pezzi, si palesa fisicamente con sudorazione, mal di stomaco, continuo accavallare e scavallare le gambe fino al suo silenzioso defilarsi ma non si traduce mai in parole che possano ferire o umiliare gli altri. Nemica della volgarità in ogni sua forma o manifestazione, il massimo del suo disprezzo si compendia in una stringa “Quello è un cretino” declinata, quando necessario, anche al femminile. Non adusa a blandire o a compiacere, preferisce tacere.
Ricordo l’imbarazzo di certuni quando bisognava aggiungere un titolo accanto al suo nome “blogger”? E che cos’è? “professoressa”? Ah già tu “eri” una professoressa... Ma perché una volta che non si insegna più non si rimane professori? Oppure lo si deve considerare “usurpazione di titolo accademico? I “maestri” rimangono maestri, anche se cattivi... i senatori restano senatori e i professori ? Sono sempre professori... O ancora “critico letterario”. Critico letterario? “Ma perché, tu scrivi su Repubblica?”. Le chiese un giorno un sedicente scrittore lametino al quale aveva osato rivolgere una osservazione sul suo ultimo romanzo.
La sua risposta? Un sorriso.
Eppure ha vinto tanti premi: nel 2013, a Cropani, ha vinto il Premio Parole erranti nell’ambito dei Poeti a duello, X Festivaletteratura della Calabria.
Nel 2016 ha vinto il concorso “Blog e circoli letterari” indetto da RadioLibri nell’ambito di Più Libri Più Liberi al palazzo dei Congressi a Roma.
Dal 2017 fa parte della Giuria del Premio Brancati.
Nel 2018 ha vinto il Premio Comisso 15righe dedicato alle migliori recensioni dei libri finalisti.
Il suo blog è stato inserito dal sito Correzione di Bozze Wordpress fra i Lit- blog e le riviste online nazionali che si occupano di letteratura.
Concede e pubblica interviste su radio nazionali.
E il suo regno della Litweb, la sua finestra sul mondo, è uno spazio privilegiato dove si ritrova il meglio della produzione letteraria italiana indipendente grazie alla sua rete di relazioni che è riuscita a costruire con case editrici, scrittori, critici senza sponsorizzazioni, senza raccomandazioni e senza fondi ma in virtù della sua scrittura intelligente, onesta, lucida e graffiante.
Tuttavia nel nostro “paesello”, fatte le dovute eccezioni, non è sufficiente aver ottenuto dei riconoscimenti nazionali per essere presi in considerazione. Al massimo si può avere la fortuna di diventare un “esperimento antropologico”. Le donne di cultura sono altre e con ben altro appeal...
Però, se a Lamezia abbiamo potuto avere il piacere di incontrare autori di alto profilo lo dobbiamo a Lei che in un mondo cinico e autoreferenziale ha saputo trasformare l’universo social in universo sociale, la virtualità in realtà, il contatto in amicizia e ospitalità.
Il suo regno della Litweb è un regno di pace
"A dispetto di quel che credono in molti, la nonviolenza è un mezzo efficace e una pratica attualissima. Un rifiuto attivo, che si realizza in una proposta filosofica funzionale al cambiamento sociale..." Scrive sul suo profilo personale
“Mettete un fiore nei vostri cannoni” dunque, come cantavano i Giganti negli anni ’60.
Perché Ippolita è una donna generosa che sa gioire dei successi di coloro verso i quali prova affetto e stima. Il suo candore la porta spesso a innamorarsi delle persone, - “Credo negli esseri umani” cantava Marco Mengoni qualche anno fa - e se qualcuno le piace particolarmente acquisisce l’appellativo di “angioletto” salvo a rivelare, poi, la propria natura luciferina. Dopo i primi momenti di delusione e di sgomento, però, il suo metabolismo interiore ha la capacità di lasciar decantare le sgarberie che riceve e trasformarle in gentilezze. Non dimentica, ma non cova rancore e ha la rara capacità di sublimare le scortesie in fantasie letterarie che diventano esilaranti sferzate al nostro vivere quotidiano.
Ogni 13 novembre è la Giornata Mondiale della Gentilezza per ricordare che la gentilezza è contagiosa e ci aiuta a vivere meglio nella società. Essa viene dal cuore: è spontanea, disinteressata e accogliente, mentre la cortesia è formale e esteriore
Gentilezza, parola ormai rivoluzionaria e sottoutilizzata al pari di bontà, bellezza, felicità...
Parole che Ippolita ha il coraggio di usare, grazie all'intelligenza del cuore.
E concludo con una poesia di Angelo Maria Ripellino
“Come un pupazzo di Schlemmer” che ben si attaglia all'anima di Ippolita e di tutti coloro che, nonostante tutto, vogliono restare umani.
Non ho mai detto d’essere solo
come un pupazzo di Schlemmer.
Le case come vecchine
coi fazzoletti delle persiane sugli occhi
mi ripetono sempre parole cordiali.
Non ho mai detto di soffrire
come un pezzo i legno sotto una pialla.
Ma le stelle sempre si nascondono,
quando cerco un briciolo di luce.
Non ho mai detto d’essere triste
come una bottiglia vuota,
perché so già da tempo
che l’acqua svanisce dalle fontane,
quando ho bisogno di bere.
Non ho mai detto d’essere felice
come una spalliera di peone,
perché non so catturare la gioia,
che mi sfiora talvolta con piume di cigno.
Non ho mai detto nulla, ma ciascuno
comprende che adoro la vita.
Giovanna Villella
Uniter 20.11.2019
Ippolita Luzzo con Teodolinda Coltellaro, critico d'arte, e Giovanna Villella, critico teatrale |
Ippolita Luzzo con Costanza Falvod'urso, Presidente dell'Uniter, e Giovanna Villella |
mercoledì 6 novembre 2019
Intervista ad Andrea Di Consoli
“MI
DEPRIME L’ITALIETTA DEL POSTO FISSO, DELLE FALSE CERTEZZE, DEI RITI COMPIUTI
PER NON PENSARE, PER NON METTERSI IN GIOCO, PER NON RISCHIARE NULLA”. DIALOGO
CON ANDREA DI CONSOLI
Posted On
Ottobre 11, 2019, 8:02
Ippolita
Luzzo intercetta Andrea Di Consoli sul treno Roma-Genova. Dalla Stazione
Termini con la canzone di Jannacci in testa Prendeva il treno “Prendeva il treno per non essere da
meno Prendeva il treno per sembrare un gran signor”. Viaggiando con Andrea, già
autore di libri importanti (per Rizzoli ha pubblicato, tra l’altro, La
curva della notte e La collera) ci smarriamo nel Diario dello smarrimento (Inshibboleth
Edizioni, 2019), ultima sua confessione intima, che ci riporta ad una stazione
come casa. Alla nostalgia di casa. Dice infatti Andrea di sentirsi a casa alla
Stazione Termini sin da quando arrivò a Roma nel 1996 e a lui ora chiedo quasi
fermandolo sui binari “Ma la casa vera dov’è? Cos’è la casa?”.
Andrea Di Consoli: “La casa è la pace. Ma cosa significa ‘sentirsi a casa’? Non
credo di saperlo, non credo di averci mai ragionato a fondo. Nella mia vita ho
cambiato tante case. Ma il concetto di ‘casa’ è legato esclusivamente al
manufatto che siamo soliti, appunto, chiamare casa? Tuttavia il manufatto è importante,
è cruciale, nessuno può negarlo. Per tanti la casa è rifugio,
sicurezza, pace. Per altri è prigione, costrizione gabbia. Non so esattamente
dove sia casa, per me. Anche perché non ce l’ho. Vivo da sempre in
affitto. E la casa in Basilicata, a Rotonda, non è mia, ma dei miei
genitori. In ogni caso, non mi sento a casa da nessuna parte. Anzi no, voglio
dirla meglio: a volte mi sento a casa a Roma, a volte a Rotonda, a volte a
Napoli, a casa della mia compagna. E questa pace ha a che fare con qualcosa di
interiore, di psicologico. Il tema è enorme, e non so metterlo bene a
fuoco. Forse l’unica certezza che ho sull’argomento è che vorrò essere
seppellito a Rotonda, quel giorno. Di questo sono davvero certo. Per il resto,
chissà se avrò mai una casa su questa terra dove, appunto, sentirmi in pace, al
sicuro. Sinora la pace e la sicurezza li ho vissuti per degli attimi,
ma mai interamente, e questo mi pesa, anche perché sento che le forze di un
tempo stanno venendo meno, e il nomadismo richiede una grande energia fisica”.
Ippolita Luzzo: Io mi
sono sentita molto a casa nel tuo libro, nei tuoi pensieri. Considerando la
casa il nostro corpo, la nostra mente, i nostri abiti e ciò che abbiamo nelle
tasche, noi siamo come le lumache e ci portiamo dietro chi abbiamo fatto entrare.
Leggendoti, mi sembra di conoscerti da sempre e di conoscere con te persone che
io non ho incontrato ma che fanno ormai da anni parte della mia casa. Tu
ricordi Rocco Carbone, da me conosciuto per un delizioso articolo di Romana
Petri, sua cara amica. Da allora Rocco quasi sta come presenza amicale qui da
me, con i suoi libri. Questa è la grande potenza della letteratura, riuscire a
dire e a dare oltre il tempo contingente. Riuscire a farci smarrire però
facendoci ritrovare, vero?
Andrea Di Consoli: “Questo vale
finché c’è la vita. Finché la vita è sopportabile, decifrabile. Poi vi sono dei
momenti in cui purtroppo il buio del dolore non fa più apprezzare niente, tanto
che le parole, in quelle circostanze, sono solo chiacchiere. La letteratura è
un luogo caldo, fraterno. Ma solo finché c’è la vita, cioè finché la vita è
sopportabile. Perdersi, ritrovarsi… A volte mi chiedo cosa ci abbia
condotto sin qui, sino a questa scellerata convinzione che possa esistere un
ordine, una sicurezza, una normalità. La gente è dilaniata da paure,
insicurezze, paranoie, violenze di tutti i tipi, eppure se ti guardi intorno
vedi tanta gente che si convince di un ordine assurdo, illusorio, certamente
umano, ma ipocrita. Quando mi chiedono perché amo la globalizzazione e
le grandi migrazioni io rispondo sempre perché mi deprime l’Italietta del posto
fisso, delle false certezze, delle piccole cose di pessimo gusto, dei riti
compiuti per non pensare, per non mettersi in gioco, per non rischiare nulla.
Perdersi non è la malattia: la malattia è clinicizzare tutto. Considerare matto
chi sta nella verità dello smarrimento, del fuoco, della paura, della Wanderung“.
Ippolita Luzzo: “Nella
verità dello smarrimento” troviamo momenti individuali, l’individuo solo senza
connessioni, l’individuo alle prese con i figli da crescere, con il lavoro
precario e con un tessuto sociale sempre più sfilacciato. E l’individuo nella
storia dei cambiamenti sociali ed epocali. Tu hai scritto diversi saggi sulle
condizioni nel Mezzogiorno. Condizioni di potere uguali dappertutto. Se
pensiamo che nel 1500 durante la signoria dei Medici si tenevano banchetti
pubblici. I nobili mangiavano e il popolo assisteva allo spettacolo. Restava
per il popolo lo spettacolo rutilante delle portate e i profumi di esotiche
vivande e fra loro, fra i poveri, si litigava per i resti, per cosa cadeva dal
tavolo. In uno dei tuoi frammenti ci porti a Rotonda dove comandavano quattro
famiglie. Bisognava portare doni e riverire. Tu ci dici che si bussava alle
porte dei potenti coi piedi perché le mani erano ricolme di doni. La
sottomissione di chi aveva bisogno era umiliante. Poi è sembrato per un periodo
che ci fosse la possibilità di sconfiggere per sempre l’umiliazione imposta dal
forte sul debole con la scuola, con la Costituzione. Vorremmo ancora crederci,
anzi invitiamo i nostri figli a crederci quasi come un mantra. Ed è questa una
delle altre case che ci appartiene, vero? La scuola, il sapere…
Andrea Di Consoli: “Sì, ma la cosa più umiliante per noi è constatare che la
contestazione delle classi subalterne avviene proprio sul terreno del sapere,
considerato come luogo del privilegio, delle élite. Trovo assurdo
disprezzare il sapere solo perché le classi dominanti, giustamente, amano
sapere, sanno. Mi sembra un autolesionismo assurdo, incredibile. Ma il
sapere non è solo uno strumento socio-economico di emancipazione, bensì un
allargamento spirituale, che rende più vita la vita, più reale la realtà, più
complesse le cose che, troppo spesso, ci sembrano facili per ignoranza,
superficialità. Tuttavia, qualcosa della mentalità piccolo-borghese
rispetto al sapere va scardinata. Quell’idea della laurea, del concorso
pubblico, del posto fisso, la casa al mare, ecc. Quell’idea così angusta e
svilita del sapere che ha reso il Sud Italia un deserto abitato da ex
aristocratici, da impiegati pubblici e da un lumpenproletariat 2.0. Il
sapere emancipa non soltanto da difficili condizioni socio-economiche, ma anche
dalla grettezza di chi difende il proprio orto senza pensare al mondo, senza
pensare all’infinito”.
Ippolita Luzzo: C’è stato un
vero attacco, hai ragione, a chi ha studiato, a chi possiede una laurea, ed è
pur vero che si dovrà ricominciare a ripensare al valore dello studio come
forza e non come potenza. E ritornando alle case ideali dove noi abitiamo
risento quel tuo “messaggio in bottiglia” che poi tu dici di essere la più
atroce delle storie letterarie, da lì io vorrei riprendere idealmente il treno
di quel personaggio di Jannacci, il treno di “Prendeva il treno” e con un tuo
pezzo ritornare all’amore “La vastità desertica del terreno amoroso, la
complessità dei legami tra due individui, che sono come due galassie solitarie
destinate a incontrarsi e condannate a collidere. Con la più grande illusione
che è la facilità dell’aggancio sensoriale. Quando due persone adulte si
incontrano sono sempre diversi i motivi per cui due persone si ritrovano in
quel territorio in apparenza stretto, in realtà larghissimo, che è l’amore”. Una
delle case più care a tutti noi è la casa dell’amore. Nel Regno Della Litweb
indubbiamente noi stiamo tutti con te, Andrea. Con te e con Jannacci “E
prende il treno per non essere da meno, E piange e ride per quel grande,
assurdo amor!”. Messaggi in bottiglia dal “Diario dello smarrimento”.
Ippolita
Luzzo
http://www.pangea.news/andrea-di-consoli-intervista-ippolita-luzzo
Intervista a Francesco Musolino
“SCRIVERE È FRONTEGGIARE IL DOLORE, È UNA CHIAMATA ALLE ARMI”: IPPOLITA
LUZZO INTERVISTA FRANCESCO MUSOLINO, SCRITTORE “BIBLICO”
Posted On Ottobre 01, 2019, 10:14
Ippolita Luzzo, da afona, senza voce, intervista Francesco Musolino,
sotto la pioggia di Messina. L’attimo
prima (Rizzoli, 2019), il libro di esordio di Francesco ha due
capitoli da me amatissimi; il sette e l’otto. Si narra di una favolistica
pioggia in Sicilia, una pioggia continua, senza sosta “gli agrumeti
siciliani sferzati dalle piogge incessanti, Taormina invasa dall’acqua, Catania
e Palermo che vomitavano traffico, con le auto impazzite e clacson a tutto
spiano… I giorni passavano ed il maltempo continuava senza tregua a Messina,
allagando le strade e trascinando sacchetti di spazzatura a zonzo”. Il
diluvio universale siciliano raccontato da Francesco Musolino! Ad un certo
punto arriva il terremoto e scrivi: “Ho visto il palazzo da fuori
spaccarsi in due, sgretolarsi come un cracker”. Caro Francesco, vorrei
iniziare da qui questa nostra conversazione per fare amare ai lettori L’attimo
prima, il tuo libro di esordio da poco arrivato nelle librerie e già
presentato e amato in moltissime rassegne letterarie. La prima domanda è forse
la più strana. Sei consapevole di essere uno scrittore biblico?
Francesco Musolino:“Oddio Ippolita, non ci avevo pensato, come prima domanda partiamo con il
botto! Ma la Sicilia è femmina, bellissima e spigolosa, mi ha ispirato quelle
pagine con la sua forza e la sua natura talvolta crudele, piena di contrasti.
Ricordi che qualche mese fa nevicava sui fichi d’India? Beh, dove può accadere
se non in Sicilia?”.
Ippolita Luzzo: “La neve in Sicilia era un
ossimoro, uno scontro culturale, un miraggio” e poi così come erano
giunte, la perturbazione atlantica e la sciabolata siberiana scivolarono via…
la natura fece pace e io quasi vedo la colomba che porta il ramoscello
d’ulivo! Ed adesso passiamo agli insetti! Come le calamità del passato.
Leggendo su come l’uomo sia qualcosa di piccolissimo nella natura. Tu nel libro
ci ricordi la teoria di Justin Orvel Schmidt. Una teoria sulla scala del
dolore. E sulla “formica proiettile” la “Paraponera clavata” il suo morso è
come camminare sui carboni ardenti: altro che Tarantino e la pistola
lanciafiamme… Un dolore brillante! Quindi noi esseri umani in balia degli
eventi atmosferici e del morso delle formiche proiettili quanto possiamo fronteggiare
gli eventi? Te lo chiedo perché è un po’ il filo conduttore del tuo libro.
Quanto e come può un uomo fronteggiare quel momento in cui tutto cambia per
sempre?
Francesco Musolino: “Intanto complimenti per la tua lettura! È la prima volta che la
classifica di Schmidt salta fuori in una chiacchierata sul libro. Mi ha
affascinato, la trovo meravigliosamente folle. Serve a chiarire il fatto che
noi abbiamo sempre bisogno delle parole per prendere le misure e pur parlando
di dolore, siamo quasi costretti a razionalizzare per provare a comprenderne la
portata. E allora, quanto dolore sente Lorenzo ne L’attimo prima?
Più o meno della prima rottura in amore? E quando ci si spezza il cuore come lo
si può riparare? Fronteggiare il dolore, affrontare l’attimo dopo, quando tutto
è cambiato è il cuore del libro. La risposta? Ciascuno cura il proprio cuore
come può. E del resto, la vita non ci aspetta, bussa alla porta, prova a
stanarci ma alla fine tocca a noi: restiamo dietro gli scogli o ci tuffiamo in
mare aperto?”.
Ippolita Luzzo: A un certo punto scrivi: “sarebbe bello poter sapere quando sarà
l’ultima volta che incontreremo una persona amata”. Eppure io penso
che sapere prima sarebbe terribile, certo il tuo è un auspicio per ricomporre
le incomprensioni e lasciarsi imprimendo nella memoria quei momenti. Certo la
riconciliazione è un balsamo. Ricordo le parole di Emanuele Trevi a proposito
della morte improvvisa del suo amico Rocco Carbone. Lui, raccontandomi
l’incidente di Rocco, era almeno sollevato dal fatto che si fossero
riconciliati da poco. Ha poi curato e fatto la prefazione al libro di Carbone,
uscito postumo, “Per il tuo bene”. Sono considerazioni umanissime che ci
portano di nuovo a “L’attimo prima”, l’attimo prima che possiamo chiamare
destino.
Francesco Musolino: “Sul senso de L’attimo prima – che può essere inteso
come prima di perdere qualcuno, o cambiare vita, lavoro, amore
– si gioca un bel dilemma. Sono davvero convinto che le coincidenze che
accadono a Lorenzo nella seconda parte del libro – ad esempio, la carpa e il
suo significato, il Bolero, la grammatica emotiva del cibo – non siano semplici
coincidenze. Non saprei se sia più o meno confortevole parlare di caso o
destino ma se davvero potessimo averne la certezza, sarebbe bello poter mettere
da parte le stupidaggini, abbracciare chi si ama e dirsi parole sincere,
finalmente. Il resto passa, il tempo scandisce tutto. Ma allora avrà ragione
Elena – la sorella di Lorenzo – quando cita Einstein ovvero che passato,
presente e futuro siano davvero così lineari o qualcosa resta sempre di chi
abbiamo amato?”.
Ippolita Luzzo: Anche Camilleri ha detto che tutti noi abbiamo quasi un destino segnato
dalla nascita e ciò è un po’ il fatalismo temperato però dalla volontà nostra
di arginare gli eventi. Quindi, certo, ci sarà una eruzione dell’Etna ad
impedire una partenza dalla Sicilia, ma ci può essere poi la nostra capacità di
creare altre soluzioni con uno sforzo immaginativo. Leggendo oltre il libro,
scorro i tuoi scritti su molte riviste, le interviste, le collaborazioni come
giornalista culturale e l’iniziativa “Sto leggendo” su Twitter. Un immaginario
che crea opportunità. Un immaginario che offre la zattera. Sarà anche questo
che tu chiedi alla letteratura così come lo chiedo io al mio immaginario regno
della Litweb?
Francesco Musolino: “Karen Blixen era convinta che si potesse rendere tollerabile ogni
sofferenza inserendola in una storia, parole come un balsamo che lenisce ogni
ferita. Ma è così? Io credo che prima di tutto ci si debba mettere d’accordo su
che tipo di storia vogliamo raccontare. Per me era forte il bisogno di mettere
in pagina le mie emozioni e poi prendere la giusta distanza. Non volevo ci
fosse troppo io, troppo ombelico ma il racconto di un ragazzo che sogna un
futuro ideale, si rompe il cuore, fa i conti con i cocci e si rialza. Speranza
sì ma anche consapevolezza di chi siamo. E allora il progetto noprofit @Stoleggendo,
così come i miei tanti pezzi da precario del giornalismo e il tuo regno della
Litweb, cosa sono se non un modo di rimboccarsi le maniche e darsi da fare?
Siamo al Sud e abbiamo tanti limiti ma ciò non significa stare con le mani in
mano. Anzi, forse, è una chiamata alle armi”.
Ippolita Luzzo: Mi sembra bellissima ed energetica questa chiamata, sento quasi gli
squilli di tromba, e noi siamo pronti qui a sentirci in un territorio comune,
siamo pronti a leggere, a scrivere e ad incontrare tutti i personaggi che tu
hai creato.
Ippolita Luzzo
Intervista con Anna Vinci
HA
SCANDAGLIATO L’ANIMA DI UN EX MAFIOSO, CREDE NEL MIRACOLO DELLA VITA. DIALOGO
CON ANNA VINCI, DALL’INTERVISTA A GASPARE MUTOLO AL PREMIO SPECIALE DELLA
GIURIA A VENEZIA CON IL FILM DI FRANCO MARESCO
http://www.pangea.news/anna-vinci-intervista-mafia-luzzo/ Settembre 18, 2019, 8:48 Am
Ippolita Luzzo: “La
mafia non è più quella di una volta”. Potrei sottotitolare così, direttamente
dalla Mostra del Cinema di Venezia, dove il film di Franco Maresco “La mafia
non è più quella di una volta” ha vinto il premio speciale della Giuria. Prodotto da Rean Mazzone e Anna
Vinci per Ila Palma, il film racconta la contaminazione e trasformazione del
fenomeno mafioso, oggetto anche di argomento del libro di Anna Vinci Gaspare
Mutolo – La mafia non lascia tempo (Chiarelettere).
Sono con il suo libro in mano – che verrà presentato a
Palermo il 20 settembre – e sono qui con Anna Vinci a parlare di una
narrazione nata dallo scandaglio nell’anima di un ex mafioso, ex braccio destra
di Riina, storico dissociato (la sua dissociazione risale al 1992): Gaspare
Mutolo, la memoria orale di Cosa Nostra.
Anna è una
scrittrice che segue l’immaginario, o lo cerca nella realtà per meglio tentare
di conoscerla. Ha indagato sulla P2 attraverso i diari segreti di Tina Anselmi,
di cui è la biografa ufficiale, ha curato inchieste e documentari per la Rai.
A lei la
parola affinché ci racconti come sia riuscita a incontrare Gaspare Mutolo e
cosa l’abbia spinta a conoscerlo, a narrare la sua storia.
*
Anna
Vinci:” Lo incontrai
mentre era intervistato, sarebbe stato utilizzato come fonte nel film Belluscone di
Maresco sempre prodotto da Ila Palma. All’inizio cominciando a
frequentarlo volevo soprattutto conoscere lui e attraverso di lui la mafia ‘da
dentro’. E così, nella prima stesura del libro pubblicato da Rizzoli
nel 2013, raccontai gli avvenimenti, le concomitanze, l’ambiente e la famiglia
che avevano portato Gaspare Mutolo, ragazzino nato nel 1940 a diventare soldato
di Mafia. Oggi a distanza di qualche anno, dopo che il libro ha subito un
blocco dalla Rizzoli, pochi mesi dopo la sua pubblicazione, si era bruciato un
loro magazzino, è stato pubblicato di nuovo da Chiarelettere, e ho aggiunto
un’appendice dal titolo credo significativo: Nella mente di un killer
di Mafia”.
Ippolita:” L’appendice ci riporta ad una
domanda spesso ripetuta da te a Gaspare Mutolo, nel tentativo di capire di più
su come sia possibile scindere gesti e delitti fatti per commissione. Gaspare
Mutolo era un killer, dalla persona che ora lui è diventato. Il delitto diventa
l’esecuzione di un ordine, lui è un soldato che rispetta gli ordini e le
vittime quasi non esistono. Certo, racconta che le vittime lo riconoscevano e
vedendolo arrivare già sapevano, infatti alcuni lo imploravano di avere pietà e
altri lo fissavano terrorizzati. Ma era solo l’esecuzione di un ordine. Il
killer è un soldato e non deve sbagliare, come in guerra. Infatti Anna tu non
riesci a farlo spostare su un piano diverso. Cosa avresti in realtà voluto
raggiungere con le tue domande?”.
Anna
Vinci: “Vorrei,
prima di rispondere alla tua domanda, fare una premessa. La mia ‘indagine’
nella mente di Mutolo, non è solo volta a capire i meccanismi mentali di un ex
soldato di mafia. Scrivendo la prima parte del libro anni fa, intuii
che alcuni elementi psicologici del mafioso, rimandavano a quelli che erano
modi di agire, e quindi di pensare, che ritrovavo diciamo tra le persone della
classe dirigente e non solo. Oggi, dopo l’esperienza passata,
conoscendolo meglio, e avendo imparato pur nella diversità delle nostre storie
a rispettarci, mi sono permessa di incalzarlo, e le mie intuizioni si sono
rilevate vere. Ho colto elementi che sono purtroppo emblematici della nostra
società, salvo, certo, non sporcarsi di sangue. Sinteticamente, sono
questi: una forte auto referenzialità; un rapporto mediato con la
realtà, tipo il Ciccio Mira del film di Maresco, per cui non si vede la realtà
ma quella che la nostra prigione mentale ci fa vedere. Ultimo e non meno
importante: la mancanza dell’assunzione su di sé del senso di colpa. La
colpa sfuma nella responsabilità nel migliore dei casi, nella casualità, e
peggio ancora nell’altrui responsabilità. Stretti tra offesa e lamento. Ecco
forse ho avuto da Mutolo le risposte che cercavo… E ho accettato le sue
risposte a metà, il suo racconto del percorso di avvicinamento alla fede –
soprattutto dopo la morte della moglie Santina tre anni fa – senza
tuttavia mettere in discussione i suoi ‘errori’, se non riconoscerli come tali.
E il riferimento alla pittura come elemento di elaborazione inconscia delle sue
ombre. Come dice lui parlando del passato: ‘Restano i rimpianti, il resto lo
metto nella pittura’. Sul resto, fuori della tela, resta il
silenzio alle mie domande incalzanti sulla colpa. Una parola difficile da
declinare, per tutti”.
Ippolita: “Unendo in un discorso ideale
il film di Franco Maresco, “La mafia non è più quella di una volta” e le
risposte di Gaspare Mutolo si nota l’abitudine a considerare normale ciò che
normale non è, a vivere nel chiuso di quartieri e conoscenze con il gusto di
avere grande potenza, come se quello che si sta facendo avesse un senso. Sembra
un mondo capovolto, un mondo dove anche principi sono stravolti e snaturati,
basti pensare al concetto di onore, alla parola fiducia, o alla politica, la
parola più mistificata. Ed anche coloro che combatterono la mafia morendo sono
ora usati per mascherare strani giorni. È possibile una lettura simile di
questa trasformazione nella mafia? E la mafia ancora adesso non lascia tempo?
Voglio ricordare il grido di allarme di Nino Di Matteo procuratore di Palermo
recentemente sui giornali”.
Anna
Vinci: “Sì, la mafia
non lascia tempo, la vita non lascia tempo. Il tempo perduto non si ritrova se
non nella letteratura. Essere incalzati porta fretta e la fretta genera
confusione e come diceva Tina Anselmi: ‘bisogna avere calma per comporre il
puzzle. Tutti i tasselli’. Lei era esperta di tasselli mancanti. Per
tentare di approfondire e rispondere con più chiarezza alle tue domande,
tenendo presente quel grido di una bella persona come Nino Di Matteo, al quale
accennavi, voglio rifarmi a una mia domanda a Mutolo. ‘Non hai pentimenti per
le persone ammazzate? O almeno dolore ripensando a certi spasmi di morte?’
[n.d.a non dimentichiamoci che molti degli omicidi di Mutolo erano strangolamenti]
Ed ecco la risposta sulla quale poi mi soffermerò. ‘Quella era la vita
nostra e dei nostri vicini, uomini di Cosa Nostra, famiglie di
mafiosi’. E non trovi una similitudine tra questo stare sempre tra simili,
stessi pensieri, stesse emozioni, fuori gli altri, con quello che sta sempre
più accadendo nel nostro Paese? Che cosa è la Casta? Che cos’è questo
mondo claustrofobico dove sempre gli stessi parlano, rispondono ad altri
simili. Per non parlare delle offese, dell’ossessione, dell’odio dell’altro. Per
giungere allo squallore della manifestazione di Pontida – uso volutamente la
parola ‘squallore’, non me ne viene altra –, quanti smarrimenti, quanta
sciatteria nel condurre la Cosa Pubblica, quanti giochi sottobanco, quanto
tempo perduto! E quanti pochi sguardi di donne. Uomini e ancora uomini come
appunto nella mafia e nella massoneria. Diceva Tina Anselmi: ‘Bisogna aprire le
stanze del potere far entrare aria’. Sottolineo ‘squallido’, manca la parola
squallido.”
Ippolita: “Mi trovo accanto a te, Anna, e a
Tina, così come credo moltissimi potranno ritrovarsi nel tuo stesso smarrimento
di essere ancora qui a distanza di tanti anni a dover essere impotenti davanti
al grido di allarme di Nino Di Matteo, su come tanti apparati dello Stato
abbiano modi di pensare simili a ciò che dovrebbero condannare, attuano gli
stessi sistemi. E sembra un mondo nerissimo quel che c’è in questo primo
ventennio degli anni duemila se non ci fosse con noi una costante ironia e un
disincanto che da Maresco e da Rean Mazzone ci riporta a Sciascia e insieme a
Tina Anselmi e al suo vigilare. Quel suo monito mai dimenticato. Vorrei che tu
in chiusura mi donassi la mano, quasi un abbraccio ai lettori, ad avere fiducia
se non nella storia almeno nella letteratura. Come chiuderesti la nostra
conversazione?”
Anna
Vinci: “Chiudendo con una risposta di Pier Paolo Pasolini a Enzo Biagi.
Pasolini poeta regista e intellettuale, lascio fuori la sua vita privata. Biagi
gli chiese che cosa era per lui la fede, lui rispose che era lo stupore
davanti alla vita. Al miracolo della vita. Mi scuso se non ho usato le
parole esatte, ma credo di aver inteso e riportato il concetto. Ecco mi ritrovo
in questo stupore che hanno i bambini, gli artisti, certi vecchi, uomini e
donne, persone belle, ce ne sono. Ne ho conosciute tante. E l’Italia, con loro,
che non sono per forza alla ribalta, con la bellezza del suo passato, della
natura, delle piazze, sta contrastando il degrado. Io ci credo.
D'altronde, potrei non credere al futuro e quindi al presente con quattro
nipotini, che sono la mia passione?”.
Ippolita Luzzo
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