Raffaele Gaetano si è occupato di Estetica con diverse opere fra cui "Viaggio Pittoresco", su Richard De Saint-Non, ha scritto di Pietro Ardito in "Artista e Critico", entrambi editi Rubbettino. Numerosi sono gli studi di Raffaele Gaetano, sempre attento a raccogliere e indagare sulla bellezza nel territorio calabro troppo bistrattato da tanta realtà terribile.
In questo libro si sofferma sulla figura e sulle idee di Pietro Ardito, dopo aver indagato in "Artista e Critico" la riflessione del teorico, la pratica dell'artista e il giudizio del critico.
Lo studio prende il largo dal giudizio di Francesco Fiorentino «Artista e Critico è diviso in tre parti: Estetica, Arte e Critica... La forma di questo libro è piana, lucida, castigata; il contenuto ne è serio, pensato e rivela nell'autore un lungo ed attento studio sulla nostra letteratura, non scompagnato da quello delle letterature straniere» e vuole smentire quella "marginalità" quasi uno stigma della perifericità della Calabria e dei suoi studiosi.
In una collana prestigiosa, diretta da Romeo Bufalo, sui Pensatori Calabresi, si vuole contribuire alla costruzione di una "geografia mentale" che vada da Mario Alcaro, autore per Rubbettino nel 2011 di un volume sulla Storia del pensiero filosofico in Calabria da Pitagora ai giorni giorni nostri" a questi volumi pubblicati da Il Testo Editor.
L'opera è pubblicata con il contributo del Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università della Calabria.
Tiro un sospiro sperando di aver scritto tutto per bene dopo aver letto e apprezzato di uno studioso al quale a Lamezia è stata intestata la Scuola Media "Pietro Ardito" che io ho frequentato e dove ogni anno si svolge un Premio Pietro Ardito che premia gli alunni e i lavori dei gruppi di classe. A Lamezia dunque il suo nome è ricordato ma così non è nella manualistica più recente.
Artista e Critico è l'opera più penetrante di Pietro Ardito eppure il nome di Pietro Ardito è andato incontro a una "damnatio memoriae", scrive Raffaele Gaetano, ricordando anche Antonio Tari, il filosofo di Estetica Ideale.
Non conosciamo le ragioni dell'oblio che avvolge alcuni studiosi e compito interessante è proprio cercare di sollevare la coltre e mostrare quanta meraviglia sia nascosta.
Pietro Ardito preferiva il dialogo, aveva una idea della letteratura capace di cogliere il divenire, i rapporti con la religione e con l'arte, ben legata ai bisogni della realtà. Sembra di leggere Filippo La Porta, sembra di leggere il dibattito contemporaneo su ciò che sia o non sia letteratura, per Ardito come per noi, in un'epoca di grandi contrasti.
Anche al tempo di Pietro Ardito i contrasti erano accesi fra laici e cattolici ed egli tornò a Nicastro abdicando alla possibilità di insegnare Letteratura italiana all'Università di Napoli.
Scrivendo mi ricordo il mio luminoso Preside Oreste Borrello, anche lui un apprezzato filosofo, e di cui mi auguro di leggere i suoi scritti.
Un intellettuale di confine, Pietro Ardito, così Raffaele Gaetano lo consegna alla curiosità di chi vuole conoscere di più sul critico e teorico letterario.
Dal Seminario Vescovile cittadino, vera fucina di talenti, dove Pietro Ardito entra nel 1840, dopo la morte del padre nel 1837, unico luogo dove fosse possibile studiare, all'insegnamento di lettere nello stesso Seminario e poi Direttore del Seminario, man mano studi e aderenza ai moti liberali, in quella unità di intenti fra conoscenza e azione.
Quel che ci avvince nella lettura è vedere come anche nell'asfittico spazio del destino di tempi difficili ogni studioso possa ritrovare un suo luogo per studiare e per incontrare, per leggere e per vivere e possa poi essere riconosciuto al di là del tempo e del luogo.
Questa è la bella opportunità dell'incontro con la lettura sulle idee che viene coltivata nelle "Radici del Tempo", nome dell'associazione culturale che ha la proprietà letteraria del testo.
Ippolita Luzzo
giovedì 1 agosto 2019
venerdì 12 luglio 2019
Remo Bassini La donna di picche
Una lettura gradevole e affettuosa mi fa compagnia nel pomeriggio afoso di un luglio non particolarmente ostile. Una lettura che mi porta a Vercelli, sede quindi di una mia vacanza sui tasti e sulle pagine del libro di Remo Bassini, La donna di Picche.
Ambientato a Vercelli, il racconto inizia proprio con il tempio abbandonato di Saletta, nel Vercellese, vicino ad Alessandria.
Il tempio è rotondo. ha dodici colonne, un sotterraneo. Un tempio forse pagano intorno al quale sorgono leggende di orme gigantesche e di fantasmi, il fantasma di una bellissima dama bianca.
Esiste la leggenda di un amore impossibile e dei due innamorati contrastati che si tolgono la vita vicino al tempio e lì vicino satanisti si riuniscono per i misteri che ci intrigheranno.
La trama e i fatti vengono narrati da due voci femminili, ognuna di queste voci con le esigenze proprie, una sorta di possesso sul personaggio di cui dicono.
Il protagonista dell'inchiesta non ci dice altro se non quello che ci viene raccontato di lui.
"Il commissario Pietro Dallavita, inviato, dalla Omicidi di Torino, in missione speciale a Vercelli e insieme a lui, a far luce sull'efferato assassinio di un brillante avvocato, il fedele ispettore Domenico Tavoletti e due donne, una di cuori e una di picche."
In effetti ci spiazza questa storia raccontata da due donne, una storia torbida di delitti. Inizia con l'uccisione della mamma di una delle due donne e prosegue con una indagine più intorno all'anima dei sospettati e dello stesso commissario che alla ricerca dei fatti.
Non potrebbe essere diversamente, anche se una delle due donne, Micaela, è una collega del commissario, una ispettrice, e lavora nella stessa squadra. Vediamo un po' come è fatta questa squadra dalle parole del questore:" Sai qual è la cosa peggiore che devi affrontare quando sei al comando di altri uomini? Al primo posto c’è l’inaffidabilità: lavorare con soggetti inaffidabili.. Al secondo posto c’è la litigiosità, gli scontri tra bande o tra singoli. Al terzo posto l’incapacità, soggetti che avrebbero dovuto fare altro. Con gli incapaci è facile, basta affidargli mansioni semplici.. con gli inaffidabili bisogna fare attenzione, evitare che ti accoltellino.. Ma se una testa calda è bravo e affidabile sono cavoli amari."
Marco Bellomo, il questore di Torino così dice a Micaela dei suoi uomini e così si potrebbe dire in generale di tutti i luoghi dove molti si relazionano. Nella difficoltà fra ciò che si vuole e ciò che si può si muovono e si incagliano i desideri, gli amori taciuti e non. Nella difficoltà di essere e non essere, in un divenire sempre più torbido fra rapporti familiari malati, il legame di sangue diventa il cappio che soffocherà la vita che lo stesso legame crea. Un fare, anzi un creare, all'interno delle famiglie, e un distruggere. Qui noi lo leggiamo sotto forma di noir grazie a Remo Bassini.
Ho letto anche altri racconti di Remo Bassini e in tutti ho trovato il gusto del leggere storie ben costruite e narrate con l'oralità tipica dei racconti delle nonne. Lo stile affabulatorio del raccontare un meccanismo che ci attrae e ci inganna, uno stile personalissimo che fa di un thriller, di un noir, un racconto psicologico, un viaggio interiore, una introspezione poliziesca fatta con affetto.
Ippolita Luzzo
Remo Bassini, classe 1956, è scrittore e giornalista. Per nove anni è stato direttore del periodico La Sesia di Vercelli, città dove vive e lavora. Ha pubblicato, tra gli altri, per Fernandel il giallo politico Lo scommettitore, finalista al concorso Libro dell’Anno per il programma radiofonico Fahrenheit, per Newton & Compton La donna che parlava con i morti, per Mursia Dicono di Clelia. Con La notte del santo fa il suo esordio nel catalogo Nero italiano di Fanucci.
domenica 7 luglio 2019
Maura Chiulli Nel nostro fuoco
"Sente il cuore accelerare e fermarsi. Sulla tempia, una vena pulsa e se ci appoggia sopra un dito la sente rigonfia di sangue. Le estremità del suo corpo si stanno addormentando e lo stomaco è come squarciato, diviso al centro in due parti. Vorrebbe convincersi della transitorietà del malessere, socchiude gli occhi e si dice di respirare. All'improvviso sente solo di dover riposare, di voler cadere in un sonno profondo. La città si consuma, brucia, corre ed è come se lui non esistesse. Non ha il coraggio di chiamare aiuto e si accorge che senza voce è invisibile. Non esiste perché non chiede, non soffre perché non grida. È davvero così che funziona? Davvero è necessaria la voce per dire? In quell'istante si rende conto di non aver mai provato neppure a esserci, di aver preferito la resa, di aver sempre approfittato dei vantaggi di una vita già scritta, già detta da altri."
Il racconto di Maura Chiulli ha lo stesso evolversi di una lingua di fuoco, si anima con l’ossigeno e comincia a bruciare, così come succede all'inizio di tutti i fuochi.
Il protagonista è Tommaso, e insieme a lui il fuoco.
Il fuoco per esserci deve essere alimentato e subito dopo Tommaso ci racconta del suo incontro con la domatrice del fuoco.
Un incontro importante, quanto lo è il fuoco nei quattro elementi base della filosofia dei presocratici: aria acqua fuoco e terra.
Seguiamo Anassimene di Mileto e poi Empedocle e sapremo come leggere e mescolare gli elementi naturali nello svolgersi individuale e universale delle storie.
Elena è la donna fuoco che incendia e fa innamorare Tommaso, la donna che ha un modo di vivere col fuoco. Lo usa per il suo lavoro da donna drago nelle piazze. Una mangiafuoco di professione.
Ed il fuoco incontra la terra di Tommaso, insieme daranno vita a Nina, aria e acqua, una bimba che avrà pezzi mancanti per essere autonoma. Sarà un esercizio durissimo dover essere responsabile della vita di Nina.
" Inizio il mio esercizio per la vita. La mia permanenza nel mondo dipende da quanto in fretta ritorno a respirare da solo. Un treno di emozioni mi attraversa, senza fermate. Sono forte, sono vivo. Inspiro ed espiro, ricomincio e sono un bambino. Non sento le voci. Le ho uccise insieme ai serpenti. E ho attraversato una fiamma altissima. «Oggi pomeriggio esci».
L’andamento della scrittura non è tanto il raccontare ma il vivere dentro gli elementi, dentro il cuore consumato di Tommaso, dentro le pagine come se il lettore fosse un elemento in più. Il libro non è un romanzo, appartiene invece al diario, come se ogni pagina fosse la pagina carpita della scrittrice ai suoi protagonisti.
Un esercizio per la vita, imparare a respirare.
Insieme all'invito ad uscire, ad andare a chiedere aiuto.
Maura Chiulli Nel nostro fuoco
Ippolita Luzzo
Il racconto di Maura Chiulli ha lo stesso evolversi di una lingua di fuoco, si anima con l’ossigeno e comincia a bruciare, così come succede all'inizio di tutti i fuochi.
Il protagonista è Tommaso, e insieme a lui il fuoco.
Il fuoco per esserci deve essere alimentato e subito dopo Tommaso ci racconta del suo incontro con la domatrice del fuoco.
Un incontro importante, quanto lo è il fuoco nei quattro elementi base della filosofia dei presocratici: aria acqua fuoco e terra.
Seguiamo Anassimene di Mileto e poi Empedocle e sapremo come leggere e mescolare gli elementi naturali nello svolgersi individuale e universale delle storie.
Elena è la donna fuoco che incendia e fa innamorare Tommaso, la donna che ha un modo di vivere col fuoco. Lo usa per il suo lavoro da donna drago nelle piazze. Una mangiafuoco di professione.
Ed il fuoco incontra la terra di Tommaso, insieme daranno vita a Nina, aria e acqua, una bimba che avrà pezzi mancanti per essere autonoma. Sarà un esercizio durissimo dover essere responsabile della vita di Nina.
" Inizio il mio esercizio per la vita. La mia permanenza nel mondo dipende da quanto in fretta ritorno a respirare da solo. Un treno di emozioni mi attraversa, senza fermate. Sono forte, sono vivo. Inspiro ed espiro, ricomincio e sono un bambino. Non sento le voci. Le ho uccise insieme ai serpenti. E ho attraversato una fiamma altissima. «Oggi pomeriggio esci».
L’andamento della scrittura non è tanto il raccontare ma il vivere dentro gli elementi, dentro il cuore consumato di Tommaso, dentro le pagine come se il lettore fosse un elemento in più. Il libro non è un romanzo, appartiene invece al diario, come se ogni pagina fosse la pagina carpita della scrittrice ai suoi protagonisti.
Un esercizio per la vita, imparare a respirare.
Insieme all'invito ad uscire, ad andare a chiedere aiuto.
Maura Chiulli Nel nostro fuoco
Ippolita Luzzo
sabato 29 giugno 2019
Antonio Forcellino: Leonardo, ritratto di un genio. A palazzo con lo scrittore
Ed eccoci a Palazzo Nicotera, serata conclusiva di "A Palazzo con lo Scrittore", una rassegna ideata e diretta da Raffaele Gaetano.
Tre incontri con tre autori per far conoscere i palazzi storici di Lamezia Terme.
Questa sera con noi Antonio Forcellino parlerà di Leonardo, ritratto di un genio.
Il genio dissipatore- potrei chiamare io, usando blasfemia, Leonardo Da Vinci. Stasera Forcellino ci ha regalato un Leonardo inedito, umano, indipendente e fermo nelle sue visioni, un conoscitore di zoologia e botanica, un uomo curioso e in attesa della rivelazione.
L’arte come rivelazione, come prova.
Cosa spingeva Leonardo a preparare feste e quindi fondali scenografici andati persi?
Cosa spingeva lui se non un desiderio di riscatto, potremmo noi banalmente dire ora con un termine preso dalla psicologia? Leonardo è un grande pittore, il più grande della sua epoca, il più grande fra grandissimi, Raffaello, Michelangelo, in un Rinascimento italiano, epoca d’oro dell’arte mondiale.
Forcellino ci racconta Leonardo attraverso le fonti del tempo, gli scritti del Vasari e di Baldassarre Castiglione, Il Cortigiano, un Leonardo già trentenne che dipinge La Vergine delle rocce ammaliando tutti per l’uso nuovo della luce. La luce che rimbalza sui corpi e colpisce ancora altro con le tonalità diverse a secondo del colore del corpo. Un Leonardo capace di stare ore e ore davanti ad una sua opera in attesa della pennellata.
Meditava?
In quale luogo si rifugiava con la mente prima di vedere quello che avrebbe creato sulla tela?
Nel suo capolavoro della Gioconda lui toglie, toglie la donna della buona borghesia che aveva fatto da modella, toglie ogni particolare che riporti a un solo personaggio e dona l’universale femminile, l’anima del sorriso, la dolcezza della umana pietà.
Il sorriso enigmatico che sarà il più riprodotto, il più fotografato, il più visitato, diventando un’icona di genialità pittorica. Ed eccolo Leonardo, trasformato e usato dal fascismo e ora dagli americani, eccolo sfuggire ad ogni classificazione con il sorriso della Gioconda.
Dal Palazzo Nicotera stasera anche io col sorriso saluto e ringrazio Antonio Forcellino e Raffaele Gaetano, la splendida padrona di casa Maria Luigia Cimino, e mi appresto a leggere il libro dedicato al genio dissipatore.
Ippolita Luzzo
Tre incontri con tre autori per far conoscere i palazzi storici di Lamezia Terme.
Questa sera con noi Antonio Forcellino parlerà di Leonardo, ritratto di un genio.
Il genio dissipatore- potrei chiamare io, usando blasfemia, Leonardo Da Vinci. Stasera Forcellino ci ha regalato un Leonardo inedito, umano, indipendente e fermo nelle sue visioni, un conoscitore di zoologia e botanica, un uomo curioso e in attesa della rivelazione.
L’arte come rivelazione, come prova.
Cosa spingeva Leonardo a preparare feste e quindi fondali scenografici andati persi?
Cosa spingeva lui se non un desiderio di riscatto, potremmo noi banalmente dire ora con un termine preso dalla psicologia? Leonardo è un grande pittore, il più grande della sua epoca, il più grande fra grandissimi, Raffaello, Michelangelo, in un Rinascimento italiano, epoca d’oro dell’arte mondiale.
Forcellino ci racconta Leonardo attraverso le fonti del tempo, gli scritti del Vasari e di Baldassarre Castiglione, Il Cortigiano, un Leonardo già trentenne che dipinge La Vergine delle rocce ammaliando tutti per l’uso nuovo della luce. La luce che rimbalza sui corpi e colpisce ancora altro con le tonalità diverse a secondo del colore del corpo. Un Leonardo capace di stare ore e ore davanti ad una sua opera in attesa della pennellata.
Meditava?
In quale luogo si rifugiava con la mente prima di vedere quello che avrebbe creato sulla tela?
Nel suo capolavoro della Gioconda lui toglie, toglie la donna della buona borghesia che aveva fatto da modella, toglie ogni particolare che riporti a un solo personaggio e dona l’universale femminile, l’anima del sorriso, la dolcezza della umana pietà.
Il sorriso enigmatico che sarà il più riprodotto, il più fotografato, il più visitato, diventando un’icona di genialità pittorica. Ed eccolo Leonardo, trasformato e usato dal fascismo e ora dagli americani, eccolo sfuggire ad ogni classificazione con il sorriso della Gioconda.
Dal Palazzo Nicotera stasera anche io col sorriso saluto e ringrazio Antonio Forcellino e Raffaele Gaetano, la splendida padrona di casa Maria Luigia Cimino, e mi appresto a leggere il libro dedicato al genio dissipatore.
Ippolita Luzzo
L’ultimo caso dell’agente Evangelos Nicolas Verdan
Il romanzo come atto di resistenza
"Uscire, devo uscire dal libro, riprendere il racconto come voglio io, evitare di farmi coinvolgere dai ricordi degli altri. Devo parlare un’altra lingua, cambiare vocabolario. La mia missione è ripercorre le vite precedenti, spiare le vite degli altri, quelle delle persone che interrogo, di coloro che faccio sorvegliare."
L’ultimo caso dell’agente Evangelos di Nicolas Verdan, Nuova Editrice Berti Parma 2019, ha per protagonista l'agente Evangelos.
Sembra il destino nel suo nome.
Io mi domando come mai sia arrivato da me.
Domanderò ad Evangelos.
Intanto ringrazio e leggo questo racconto avvincente che inizia col ritrovamento di una testa mozzata, con i passi che causeranno la decapitazione all'uomo che ci appare di passaggio in un parcheggio di Eros, un equivoco bordello.
Siamo in Grecia e siamo in questi tempi orribili di esodo, di invasioni di popoli che si spostano, di individui ai limiti di una sopravvivenza che fuggono e fuggono verso filo spinato, mare infido e muri altissimi.
Dalla seconda lettera ai Corinzi: I pericoli. "Viaggi innumerevoli... pericoli nella città, nel deserto, sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli" Sarà stata sempre così la storia dell'uomo? me lo chiedo smarrita.
Il racconto affascina per aver dato vita ad ogni singolo gesto, alla stranezza della storia. Vi è quel senso di stupore che prende mentre tutto scompare davanti al protagonista che indaga certo su una testa mozzata ma indaga soprattutto su un filo spinato, su un muro che deve dividere popoli, storia, e il passato dal presente. Un romanzo poliziesco storico e insieme una tragedia classica con uno strano deus ex machina, un nonno di una bimba chiamata Vita.
Il testo ha un senso del racconto molto amato. Lo scrittore ama ciò che scrive e noi con lui amiamo quella storia dove in tanti non raccontano più il passato ma stanno nello sperdimento del presente. Evangelos non ricorda oppure non racconta più ciò che è stato il suo passato.
Nessuno è sicuro più nemmeno dei ricordi.
La storia ci viene incontro romanzata, la Grecia, Atene, i confini, chilometri di filo spinato che il governo greco vuole srotolare fra la Grecia e la Turchia. Un baluardo contro i migranti, un affare di 3, 5 milioni di euro.
Un romanzo noir con la tensione giusta per far passare il messaggio. Una critica sociale.
Dice Nicolas Verdan a proposito del romanzo noir, in generale: "Le roman noir est pour moi un mode d’expression, une manière de mettre en tension le récit en faisant passer un message, affirme l’auteur. Mon livre est une critique sociale de la Suisse d’aujourd’hui et, en reprenant les codes du genre, je parviens à mieux témoigner d’une forme de violence". Forte di questa convinzione, Nicolas Verdan ha aperto a Losanne nel 2015 una libreria antiquaria specializzata nel romanzo noir. Il suo nome: "Molly & Blum", da "Ulysse" di James Joyce.
Per l'Italia Nicolas Verdan, L'ultimo caso dell'agente Evangelos è stato tradotto dal francese da Francesca Cosi e Alessandra Repossi che per questo volume hanno vinto una borsa di traduzione di ProHelvetia.
"Per cogliere il movimento ci vuole un’inquadratura fissa. Tendiamo a considerare le cose sempre dallo stesso punto di vista. Cercare di cambiarlo significa condannarli a rifiutare il cambiamento. Ma noi siamo governati dal cambiamento" pagina 25
Ringrazio la Nuova Editrice Berti di Parma che in questo 2019, confuso e fatto di muri e sbarre, abbia scelto di offrire una lettura di riflessione e di pathos. Il libro è un romanzo appassionante e noir, come nera è la storia del nostro tempo, di tutti i tempi.
In Litweb resistere è d'obbligo, con la lettura come atto di resistenza.
Ippolita Luzzo
Nicolas Verdan
Nicolas Verdan è nato a Vevey nel 1971, da madre greca e padre svizzero. Ha lavorato quindici anni a Losanna per il quotidiano 24 Heures, prima di mettersi in proprio: propone tra l’altro dei seminari di scrittura. Il suo ultimo romanzo, Le Patient du docteur Hirschfeld, gli ha permesso di vincere il Premio del pubblico della RTS e il Premio Schiller del 2012. Nicolas Verdan vive a Chardonne.
"Uscire, devo uscire dal libro, riprendere il racconto come voglio io, evitare di farmi coinvolgere dai ricordi degli altri. Devo parlare un’altra lingua, cambiare vocabolario. La mia missione è ripercorre le vite precedenti, spiare le vite degli altri, quelle delle persone che interrogo, di coloro che faccio sorvegliare."
L’ultimo caso dell’agente Evangelos di Nicolas Verdan, Nuova Editrice Berti Parma 2019, ha per protagonista l'agente Evangelos.
Sembra il destino nel suo nome.
Io mi domando come mai sia arrivato da me.
Domanderò ad Evangelos.
Intanto ringrazio e leggo questo racconto avvincente che inizia col ritrovamento di una testa mozzata, con i passi che causeranno la decapitazione all'uomo che ci appare di passaggio in un parcheggio di Eros, un equivoco bordello.
Siamo in Grecia e siamo in questi tempi orribili di esodo, di invasioni di popoli che si spostano, di individui ai limiti di una sopravvivenza che fuggono e fuggono verso filo spinato, mare infido e muri altissimi.
Dalla seconda lettera ai Corinzi: I pericoli. "Viaggi innumerevoli... pericoli nella città, nel deserto, sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli" Sarà stata sempre così la storia dell'uomo? me lo chiedo smarrita.
Il racconto affascina per aver dato vita ad ogni singolo gesto, alla stranezza della storia. Vi è quel senso di stupore che prende mentre tutto scompare davanti al protagonista che indaga certo su una testa mozzata ma indaga soprattutto su un filo spinato, su un muro che deve dividere popoli, storia, e il passato dal presente. Un romanzo poliziesco storico e insieme una tragedia classica con uno strano deus ex machina, un nonno di una bimba chiamata Vita.
Il testo ha un senso del racconto molto amato. Lo scrittore ama ciò che scrive e noi con lui amiamo quella storia dove in tanti non raccontano più il passato ma stanno nello sperdimento del presente. Evangelos non ricorda oppure non racconta più ciò che è stato il suo passato.
Nessuno è sicuro più nemmeno dei ricordi.
La storia ci viene incontro romanzata, la Grecia, Atene, i confini, chilometri di filo spinato che il governo greco vuole srotolare fra la Grecia e la Turchia. Un baluardo contro i migranti, un affare di 3, 5 milioni di euro.
Un romanzo noir con la tensione giusta per far passare il messaggio. Una critica sociale.
Dice Nicolas Verdan a proposito del romanzo noir, in generale: "Le roman noir est pour moi un mode d’expression, une manière de mettre en tension le récit en faisant passer un message, affirme l’auteur. Mon livre est une critique sociale de la Suisse d’aujourd’hui et, en reprenant les codes du genre, je parviens à mieux témoigner d’une forme de violence". Forte di questa convinzione, Nicolas Verdan ha aperto a Losanne nel 2015 una libreria antiquaria specializzata nel romanzo noir. Il suo nome: "Molly & Blum", da "Ulysse" di James Joyce.
Per l'Italia Nicolas Verdan, L'ultimo caso dell'agente Evangelos è stato tradotto dal francese da Francesca Cosi e Alessandra Repossi che per questo volume hanno vinto una borsa di traduzione di ProHelvetia.
"Per cogliere il movimento ci vuole un’inquadratura fissa. Tendiamo a considerare le cose sempre dallo stesso punto di vista. Cercare di cambiarlo significa condannarli a rifiutare il cambiamento. Ma noi siamo governati dal cambiamento" pagina 25
Ringrazio la Nuova Editrice Berti di Parma che in questo 2019, confuso e fatto di muri e sbarre, abbia scelto di offrire una lettura di riflessione e di pathos. Il libro è un romanzo appassionante e noir, come nera è la storia del nostro tempo, di tutti i tempi.
In Litweb resistere è d'obbligo, con la lettura come atto di resistenza.
Ippolita Luzzo
Nicolas Verdan
Nicolas Verdan è nato a Vevey nel 1971, da madre greca e padre svizzero. Ha lavorato quindici anni a Losanna per il quotidiano 24 Heures, prima di mettersi in proprio: propone tra l’altro dei seminari di scrittura. Il suo ultimo romanzo, Le Patient du docteur Hirschfeld, gli ha permesso di vincere il Premio del pubblico della RTS e il Premio Schiller del 2012. Nicolas Verdan vive a Chardonne.
mercoledì 26 giugno 2019
Recensione di Teodolinda Coltellaro su Pezzi dal Regno della Litweb
Teodolinda Coltellaro ha molto amato i miei pezzi e ieri a commento della recensione fatta in occasione della sua presentazione al MARCA con Anna Macrì dice:
I tuoi Pezzi sono lo specchio inquieto di una società che ha perso la capacità di autoanalisi, asservita alle deità' del tempo. Per fortuna ci sono i pensieri liberi come il tuo a restituirci la giusta misura del vero.
Pezzi di Ippolita Luzzo: quando un libro è una finestra sul mondo
"PEZZI dal Regno della Litweb", è il titolo del recente libro della blogger lametina Ippolita Luzzo, pubblicato per Città del Sole Edizioni, per cui Letizia Cuzzola ha selezionato tra gli oltre mille post del suo blog scritti nell'arco temporale che va dal 2012 al 2018, quelli che ne costituiscono la sua sostanza letteraria.
Dopo la riuscitissima presentazione in un luogo d’arte e di cultura come il museo MARCA di Catanzaro nel mese di gennaio scorso, dove io stessa, col contributo dell’attrice e scrittrice Anna Macrì nonché della stessa autrice Ippolita, ne ho delineato un excursus analitico, il libro continua il suo percorso divulgativo riscuotendo ampi consensi e attenzione dal pubblico e dalla critica letteraria, è stato presentato, sempre da me, nell'ambito del “Fare critica festival”, a Lamezia Terme. Io l’ho letto con la fertile curiosità della scoperta, del “vediamo cosa propone la pagina dopo”, dell’indovinarne il sorriso caustico nascosto tra le righe, insieme a tutti gli aspetti linguistici dirompenti di una scrittura modulata per il web: creativa, breve, immediata che si offre ad una lettura altrettanto veloce da consumarsi nel giro di pochi minuti e in quella brevità incidere, graffiare, restare, ritornare, scavare, lentamente e in profondità.
E, leggendo, ho scoperto come, gioiosamente e con "grazia", ogni pezzo evidenzi i limiti e i parossismi di un contesto ( "il testo ha bisogno di un contesto in cui enunciarsi"-E. Morin) fatto di complessità in cui si tessono, si intrecciano relazioni spesso segnate dal “minima moralia” dei nostri tempi, “dall’indigenza della spiritualità” o, più semplicemente, dall'aridità o fecondità di valori che il singolo contesto comporta, laddove ci si può sfiorare senza incontrarsi, ciascuno perso nell’ insignificanza del proprio destino o nella solitudine di luoghi e cammini individuali.
Ho letto, nella consapevolezza che il libro si possa, dopo una prima lettura, assumere anche per monodose, soffermandomi di più su alcuni testi, rileggendoli dunque, nella densità ed efficacia stilistica del linguaggio, per meglio assaporarne la vena ironica, dissacrante, l’analisi, a volte tagliente e senza mediazioni, del reale, del quotidiano con le aberrazioni e le discrasie che solo può cogliere e sagacemente restituire chi nella parola scritta coltiva il pensiero libero, non asservito ad alcun potere, la libertà di interpretare il mondo affacciandovisi, come ad una finestra, da un blog che traduce la transitorietà e la frammentarietà di un universo in costante mutazione, liquido, come è, per sua stessa natura, quello del web. E il suo blog, da cui il libro è, appunto, una ben articolata restituzione, è proprio una finestra sul mondo- come dalla citazione di Raffaele La Capria- “ è un’identità forte , capace di includere in sé tutte le altre” .
Così, ogni pezzo del libro di Ippolita può essere assimilato al singolo punto di un ologramma ognuno dei quali contiene il tutto – il mondo- di cui fa parte e, nello stesso tempo, il tutto, ossia il mondo, fa parte di ognuno di essi. Ne consegue che “ si deve ricomporre il tutto per conoscere le parti” e “una finestra aperta sul mondo” permette di farlo, nei singoli frammenti, nei singolo “pezzi” che lo contengono. Il libro, quindi, è un territorio semantico in cui le parole, i pezzi raccontano, dicono dei destini individuali e collettivi, della bellezza di un quadro, dell’armonia di un testo poetico e della dolorosa poesia del vivere, dell’emozione di un libro, di uno spettacolo, di un evento. Il libro sottrae i pezzi scritti da Ippolita alla dispersione del tempo, all'esasperante velocizzazione dell’esistente, li preserva così dai perversi meccanismi di fagocitazione bulimica, di consumo senza memoria, imposti dal divenire incessante del mondo globalizzato. I suoi pezzi vanno oltre la dimensione liquida dell’eterno presente, sollecitando il pensiero a percorsi interpretativi più profondi che non si esauriscono nel “qui ed ora”. È per questo che, laddove Ippolita ne promette la pubblicazione postuma, la traduzione cartacea dei suoi “Pezzi”, il suo libro insomma, diventa non già l’apparente nemesi dei suoi intenti contraddetti, ma la possibilità preziosa di ripensare il presente e il contesto e di riflettere sul nostro futuro che si annuncia più povero e fragile allorché il nostro vissuto si dissolve nella dimensione virtuale dell’esistere.
Teodolinda Coltellaro
"Teodolinda Coltellaro, fa parte del Comitato Scientifico del Marca, ed è, forse, la sola in Calabria che svolge
un'intensa attività critica collaborando con quotidiani, riviste e periodici di Arte contemporanea e con musei nazionali ed internazionali, lavoro documentato presso l’ archivio storico della Quadriennale nazionale di Roma. La sua attenzione è rivolta alla cura di cataloghi e mostre allestite sia in Italia che all'estero."
I tuoi Pezzi sono lo specchio inquieto di una società che ha perso la capacità di autoanalisi, asservita alle deità' del tempo. Per fortuna ci sono i pensieri liberi come il tuo a restituirci la giusta misura del vero.
Pezzi di Ippolita Luzzo: quando un libro è una finestra sul mondo
"PEZZI dal Regno della Litweb", è il titolo del recente libro della blogger lametina Ippolita Luzzo, pubblicato per Città del Sole Edizioni, per cui Letizia Cuzzola ha selezionato tra gli oltre mille post del suo blog scritti nell'arco temporale che va dal 2012 al 2018, quelli che ne costituiscono la sua sostanza letteraria.
Dopo la riuscitissima presentazione in un luogo d’arte e di cultura come il museo MARCA di Catanzaro nel mese di gennaio scorso, dove io stessa, col contributo dell’attrice e scrittrice Anna Macrì nonché della stessa autrice Ippolita, ne ho delineato un excursus analitico, il libro continua il suo percorso divulgativo riscuotendo ampi consensi e attenzione dal pubblico e dalla critica letteraria, è stato presentato, sempre da me, nell'ambito del “Fare critica festival”, a Lamezia Terme. Io l’ho letto con la fertile curiosità della scoperta, del “vediamo cosa propone la pagina dopo”, dell’indovinarne il sorriso caustico nascosto tra le righe, insieme a tutti gli aspetti linguistici dirompenti di una scrittura modulata per il web: creativa, breve, immediata che si offre ad una lettura altrettanto veloce da consumarsi nel giro di pochi minuti e in quella brevità incidere, graffiare, restare, ritornare, scavare, lentamente e in profondità.
E, leggendo, ho scoperto come, gioiosamente e con "grazia", ogni pezzo evidenzi i limiti e i parossismi di un contesto ( "il testo ha bisogno di un contesto in cui enunciarsi"-E. Morin) fatto di complessità in cui si tessono, si intrecciano relazioni spesso segnate dal “minima moralia” dei nostri tempi, “dall’indigenza della spiritualità” o, più semplicemente, dall'aridità o fecondità di valori che il singolo contesto comporta, laddove ci si può sfiorare senza incontrarsi, ciascuno perso nell’ insignificanza del proprio destino o nella solitudine di luoghi e cammini individuali.
Ho letto, nella consapevolezza che il libro si possa, dopo una prima lettura, assumere anche per monodose, soffermandomi di più su alcuni testi, rileggendoli dunque, nella densità ed efficacia stilistica del linguaggio, per meglio assaporarne la vena ironica, dissacrante, l’analisi, a volte tagliente e senza mediazioni, del reale, del quotidiano con le aberrazioni e le discrasie che solo può cogliere e sagacemente restituire chi nella parola scritta coltiva il pensiero libero, non asservito ad alcun potere, la libertà di interpretare il mondo affacciandovisi, come ad una finestra, da un blog che traduce la transitorietà e la frammentarietà di un universo in costante mutazione, liquido, come è, per sua stessa natura, quello del web. E il suo blog, da cui il libro è, appunto, una ben articolata restituzione, è proprio una finestra sul mondo- come dalla citazione di Raffaele La Capria- “ è un’identità forte , capace di includere in sé tutte le altre” .
Così, ogni pezzo del libro di Ippolita può essere assimilato al singolo punto di un ologramma ognuno dei quali contiene il tutto – il mondo- di cui fa parte e, nello stesso tempo, il tutto, ossia il mondo, fa parte di ognuno di essi. Ne consegue che “ si deve ricomporre il tutto per conoscere le parti” e “una finestra aperta sul mondo” permette di farlo, nei singoli frammenti, nei singolo “pezzi” che lo contengono. Il libro, quindi, è un territorio semantico in cui le parole, i pezzi raccontano, dicono dei destini individuali e collettivi, della bellezza di un quadro, dell’armonia di un testo poetico e della dolorosa poesia del vivere, dell’emozione di un libro, di uno spettacolo, di un evento. Il libro sottrae i pezzi scritti da Ippolita alla dispersione del tempo, all'esasperante velocizzazione dell’esistente, li preserva così dai perversi meccanismi di fagocitazione bulimica, di consumo senza memoria, imposti dal divenire incessante del mondo globalizzato. I suoi pezzi vanno oltre la dimensione liquida dell’eterno presente, sollecitando il pensiero a percorsi interpretativi più profondi che non si esauriscono nel “qui ed ora”. È per questo che, laddove Ippolita ne promette la pubblicazione postuma, la traduzione cartacea dei suoi “Pezzi”, il suo libro insomma, diventa non già l’apparente nemesi dei suoi intenti contraddetti, ma la possibilità preziosa di ripensare il presente e il contesto e di riflettere sul nostro futuro che si annuncia più povero e fragile allorché il nostro vissuto si dissolve nella dimensione virtuale dell’esistere.
Teodolinda Coltellaro
"Teodolinda Coltellaro, fa parte del Comitato Scientifico del Marca, ed è, forse, la sola in Calabria che svolge
un'intensa attività critica collaborando con quotidiani, riviste e periodici di Arte contemporanea e con musei nazionali ed internazionali, lavoro documentato presso l’ archivio storico della Quadriennale nazionale di Roma. La sua attenzione è rivolta alla cura di cataloghi e mostre allestite sia in Italia che all'estero."
domenica 23 giugno 2019
La filosofia del cazzo: Forma e contenuto
"Tante persone se ne sbattono un cazzo" con questa chiusa finisce il suo intervento a Trame, Festival dei libri sulle mafie, lo Chef Rubio, Gabriele Rubini, nell'intervista condotta da Gaetano Savatteri nella Piazzetta San Domenico all'ora del maggiore ascolto.
Il pubblico è quello delle occasioni pubbliche molto ben pubblicizzate e televisive, dunque ben disposto a sentire "cazzi" disseminati qui e là come florilegi.
Lui è un fenomeno social, televisivo, un personaggio molto conosciuto. Per me è la prima volta che lo ascolto e che lo vedo, dunque lo conosco solo attraverso ciò che ci sta dicendo dal palco. Nel presentarsi, o almeno dalle sue parole, vengo a sapere che lui stava in Nuova Zelanda a giocare a rugby, poi, rientrato in Italia, ha iniziato la carriera di chef, prima però ha fatto tre anni di università e non diede nemmeno un esame.
Questa sera presenta un video, un documentario prodotto da lui, da una sua società, suppongo.
Fra le cose dette alcune sembrano di buon senso, il suo stare vicino alla vita in carcere e alle comunità Rom, il suo farsi carico di alcune istanze sociali, tanto che Savatteri rischia la domanda se lui, lo chef, sia di sinistra.
Rubio risponde che lui sarebbe anarchico, alla Pinelli aggiunge, ed intanto si affretta a sconfessare subito dopo, rivolgendosi rassicurante alle forze dell'ordine e affermando di essere ben conscio dell'importanza dello Stato e delle regole.
Tutto quindi a posto.
Nel suo discorso i cazzi non hanno il contenuto eversivo della parolaccia contro un sistema ma vengono elargiti, destrutturati, come modo di pensare un po' alla cazzo.
Forma e contenuto divergono.
Vedo ciondolare, nelle suo dire, tanti cazzi, privi della appendice corporea, e mi chiedo perché questa grande impostura venga spacciata per un pensiero da applaudire.
Facciamo prima a disgustarci ma mi accorgo di essere la sola ad esserlo, non tanto per i cazzi, che ormai flosci e inutili mi fanno anche tenerezza, ma per quanto sia stato pericolosamente ingannevole un ragionare siffatto.
Ippolita Luzzo
Il pubblico è quello delle occasioni pubbliche molto ben pubblicizzate e televisive, dunque ben disposto a sentire "cazzi" disseminati qui e là come florilegi.
Lui è un fenomeno social, televisivo, un personaggio molto conosciuto. Per me è la prima volta che lo ascolto e che lo vedo, dunque lo conosco solo attraverso ciò che ci sta dicendo dal palco. Nel presentarsi, o almeno dalle sue parole, vengo a sapere che lui stava in Nuova Zelanda a giocare a rugby, poi, rientrato in Italia, ha iniziato la carriera di chef, prima però ha fatto tre anni di università e non diede nemmeno un esame.
Questa sera presenta un video, un documentario prodotto da lui, da una sua società, suppongo.
Fra le cose dette alcune sembrano di buon senso, il suo stare vicino alla vita in carcere e alle comunità Rom, il suo farsi carico di alcune istanze sociali, tanto che Savatteri rischia la domanda se lui, lo chef, sia di sinistra.
Rubio risponde che lui sarebbe anarchico, alla Pinelli aggiunge, ed intanto si affretta a sconfessare subito dopo, rivolgendosi rassicurante alle forze dell'ordine e affermando di essere ben conscio dell'importanza dello Stato e delle regole.
Tutto quindi a posto.
Nel suo discorso i cazzi non hanno il contenuto eversivo della parolaccia contro un sistema ma vengono elargiti, destrutturati, come modo di pensare un po' alla cazzo.
Forma e contenuto divergono.
Vedo ciondolare, nelle suo dire, tanti cazzi, privi della appendice corporea, e mi chiedo perché questa grande impostura venga spacciata per un pensiero da applaudire.
Facciamo prima a disgustarci ma mi accorgo di essere la sola ad esserlo, non tanto per i cazzi, che ormai flosci e inutili mi fanno anche tenerezza, ma per quanto sia stato pericolosamente ingannevole un ragionare siffatto.
Ippolita Luzzo
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