lunedì 16 luglio 2018

Piergiorgio Bellocchio e i suoi amici di Giuseppe Muraca

L'atto d'amore verso i Quaderni Piacentini, verso quegli anni di grande vivacità intellettuale. 
Giuseppe Muraca incontra nei primi anni settanta, come me, come quelli di una generazione entusiasta, le poesie di Franco Fortini, i Quaderni Piacentini dove scriveva Fortini, e decide, alla chiusura della rivista, di scrivere una monografia sui Quaderni.
Incontra Piergiorgio Bellocchio, editore-amministratore della rivista e da lui avrà i numeri mancanti. Vi sono in questo libro una raccolta di articoli di Giuseppe Muraca su quegli anni, su quella rivista, su cosa è avvenuto dopo. 
Nel 1962 nascono i Quaderni Piacentini e nel 1966 si aggiunse a Goffredo Fofi. Grazia Cherchi c'era già.
Per quasi un ventennio Bellocchio si è dedicato alla preparazione e  diffusione della rivista, portando in Italia la conoscenza dei pensatori francofortesi, Adorno, Benjamin, Marcuse, e poi via via Brecht, Fanon, Don Milani. 
Quegli anni sessanta, dal movimento studentesco alla sua parabola, saranno seguiti sulla rivista con attenzione.
Nel 1985 Piergiorgio Bellocchio darà vita ad una nuova rivista, Diario, un lavoro appartato. 
Man mano che il tempo sgretolava certezze e volontà Bellocchio è diventato un "invisibile", per scelta, per dissenso al pensiero dominante.
Qui ho con me "Scompartimento per lettori taciturni" di Grazia Cherchi con la prefazione di Bellocchio del 1997.
Nel 2007 Bellocchio pubblica Al di sotto della mischia, il silenzio come lotta. Dagli anni sessanta al duemila la sparizione di ogni idea diventa sempre più impietosa e nel libro Dalla parte del torto Bellocchio raccoglierà l'esperienza e gli articoli tenuti sul Diario. Il mondo è diventato un immenso parco divertimenti, gli unici valori che contano sono:"grinta, piaceri, efficienza, soldi, successo" Assuefazione sembra la parola per descrivere questi tempi sguaiati, così li chiamo io. Nell'ultimo libro di Bellocchio vi è uno scrittore disincantato, dolente e sconsolato.
Abbiamo incontrato Goffedro Fofi a Cropani un anno fa e in lui vi era rabbia, rabbia che ora sarà maggiore con la chiusura delLo Straniero, la rivista da lui creata.
 "È impossibile- dirà Grazia Cherchi in Fatiche d'amore perduto- non prendere atto che è sparito, si è perso tutto quello in cui credevamo, che amavamo. Non credo a un progetto che oggi ci possa unire. Un gruppo c'è soltanto se c'è una battaglia politica, anche in senso lato" 
Il libro di Giuseppe Muraca ci racconta un periodo lungo e breve. 
La storia, diceva Braudel, ha fenomeni di lunga durata la longue durée."Questi emergono alla vista storica nella misura in cui seguiamo il loro tempo, senza imporgli le categorie temporali delle nostre provvisorie immagini di mondo, nella misura un cui seguiamo il territorio e non le mappe. Da qui, la differenza tra rivoluzione ed emancipazione, breve e superficiale la prima, lenta e profonda la seconda, legata alla mappa che disegna il capitalismo la prima, legata alla mappa che disegna la gerarchia la seconda." 
Aver perso o meno non sarà il tempo umano, relativo agli anni di una esistenza, a poter dirlo.
Seguo il libro di Giuseppe Muraca come un amico in più, seguo questi anni dal luogo dove sto e dove mi giungono libri su libri, alcuni parlanti, come questo, altri sempre più conformi agli usi e costumi del tempo effimero in corso. Nel parlare e nel proporre etica e scelta vicini a questo libro mi piace ricordare Filippo La Porta Il Bene e Gli Altri, Alessandro Leogrande La Frontiera e guardare sempre verso la lunga frontiera della storia. 
Ippolita Luzzo  
    

giovedì 12 luglio 2018

Cetti Curfino Una lunga Lettera di Massimo Maugeri

Cetti Curfino è una donna di una bellezza ferale. 
In questo modo Andrea Coriano, il giornalista la descrive.
Cetti in questo modo appare a Massimo Maugeri, quel giorno in cui lui scriverà il racconto dal quale è stato tratto il monologo teatrale Ratpus. Forma errata per raptus, detto da Cetti per dire come mai abbia ucciso.
Nel 2014 il giorno 8 marzo, a Catania va in scena Ratpus un racconto  contenuto nella raccolta Viaggio all’alba del millennio (edita da Perdisa Pop). Ne abbiamo parlato anche l'anno scorso a Vibo.
 Una lunga lettera attraversa il monologo e una lunga lettera continua a fare Cetti Curfino a Massimo Maugeri spingendolo a scrivere ancora di lei, prepotentemente.
La lettera sarà il filo conduttore del romanzo, attraverserà tutti i momenti e dirà al mondo che non le rispose mai, alla maniera di Emily Dickinson, la sua verità. 
Un romanzo che ci farà entrare nelle carceri femminili, e qui non posso non ricordare Rocco Carbone che insegnava a Rebibbia nel carcere femminile, non posso non portare con me "Libera i miei nemici di Rocco" 
Come Cetti anche Rocco ha abitato casa mia, da anni, da quando ho saputo da Romana Petri quanto lui fosse bravo.
 Un nostro grande scrittore di cui questo anno ricorrono i dieci anni dalla scomparsa. 
Ci sono personaggi inventati o no che vivono e ci chiedono testimonianza come Cetti a Massimo.     

lunedì 9 luglio 2018

Tutte le cose

Tutte le cose      17 ottobre 2011 
Tutte le cose hanno un principio e una fine in questo misero mondo anche quelle che non iniziano…
muoiono, 
all'alba  grigia di un divenire.
La prima parte della frase era proverbiale a casa mia, sempre ripetuta, col commento scherzoso della reazione della cugina di mia mamma nel ricevere la lettera del fidanzato che, appunto con quella frase, chiudeva il legame, la lasciava.
Lei fece in mille pezzi la lettera e disse tante parolacce, così raccontano, poi seccata se ne andò ad insegnare a Merano dove sposò l’uomo più buono che noi avessimo conosciuto.
Un uomo che lei comandò aspramente, forse facendo scontare a lui il rifiuto del suo primo amore. Lui, dolcissimo, la adorava
Lei, malgrado le sue stranezze, le sue uscite spiazzanti, corrosive, era benvoluta da tutto il parentado, era così, "sprudente" -diceva la mia mamma.
Credo invece che questa mia zia sia stata una donna  pratica  e non  si sia fatta comandare da nessuno e che abbia attraversato fascismo e guerra con la freschezza della sincerità ed abbia anticipato movimenti  e ideologie con una semplicità disarmante.
Quasi tutte le altre donne, compresa la sorella, rimasero ingabbiate in rapporti  subiti, dolorosamente distruttivi, ed a nulla valse loro una laurea, un insegnamento o una abnegazione costante ma  rimasero stritolate da uomini incapaci, fannulloni e prepotenti e concludono ora una vita con l’amarezza di averla malamente sciupata.
Guardo mia mamma e la sorella di mia zia, guardo queste donne ottantenni, capaci, intelligenti, che hanno allevato figli, hanno insegnato eppure ingabbiate. 
A mamma non è stato concesso nemmeno di terminare l’ultimo anno di scuola superiore ed ha trascorso la sua vita sognando di insegnare.
Guardo queste donne che non vogliono parlare più, che vogliono solo dimenticare lo sciupio delle loro capacità e ne provo una pena infinita.
L’autunno porta sempre insieme alle foglie rosse degli alberi il crepuscolo,il freddo improvviso, il coprirsi e riflettere con li calore rubato alle piume d’oca.
L’autunno  perché
ed ora non c’è che
una pena infinita

Ippolita 

mercoledì 27 giugno 2018

L'efebo di Mozia

L’efebo di Mozia nel maggio 2011
29 maggio a Mozia. All'imbarcadero saliamo, il mare è piatto, una laguna, la laguna dello Stagnone. I pescatori sembra che ti diano un passaggio sulle loro chiatte, addirittura in tempi recenti un carretto trainato da un cavallo percorreva il tracciato della strada fenicia che collegava l’isola alla città di Marsala. Solo sei stadi la distanza fra l’isola e la costa. Qui i fenici tessevano le stoffe e le tingevano di rosso con la porpora, Mozia-filanda, l’isola era una filanda, qui i commerci erano lucrosi, arrivavano, compravano, ripartivano i mercanti, prima che le guerre e le rivalità portassero morte e distruzione.  Agli inizi del novecento l’intera isola fu acquistata da Joseph Whitaker, archeologo, erede di una famiglia inglese arricchitasi con la produzione e la vendita del  Marsala e dal 1971 l’isola è stata donata dalla figlia Delia alla fondazione che porta il nome del papà. Nella loro casa vi è ora il museo dell’isola ed in una stanza  abita lui, da solo. L’efebo, la statua ritrovata nel 1970 coperta da detriti nella zona kappa, giaceva in quel luogo probabilmente dal momento in cui l’intolleranza religiosa decapitò teste vere e simboli di altre religioni. Non so chi sia, se il dio punico Melquart oppure Nikomachos, uno splendido atleta, un auriga alla guida del suo cocchio direttamente Apollo, o soltanto un bellissimo ragazzo molto amato dallo scultore, chissà. L’emozione di aver ritrovato l’efebo, nel suo peplo plissettato, nel suo nuovo e integro corpo, ricomposto, malgrado la decapitazione, malgrado il seppellimento, malgrado l’incuria degli uomini, era fortissima. L’efebo ora era davanti a me, aveva attraversato i secoli, sempre bellissimo, elegante, divino, è diventato il simbolo dei giochi olimpici della città di Atene ,dei giochi invernali di Torino. Ha sorvolato cieli, continenti, mari, dopo aver trascorso millenni senza testa sotto una spessa coltre di terra in un tempio, forse dedicato a lui, ormai devastato dalla furia degli eventi umani, naturali. L’efebo era lì a rammentarmi che la bellezza resiste, non ha paura, che la bellezza classica conforta e concilia un’armonia vera fra uomo e uomo, uomo e natura, uomo e divino. La sua postura leggermente sensuale stordiva un po', il movimento del  suo braccio, ripiegato indietro, sulla spalla, come se reggesse un’elsa, increspava le pieghe del peplo, l’altra mano, poggiata sul fianco, spostava leggermente il suo baricentro. Sinuoso, ma fermo, ci aspettava, si offriva al nostro sguardo con l’atteggiamento distaccato di chi ne ha viste e non ne ha viste tante da ritenerle tutte importanti ma superflue. La storia fenicia, la porpora, gli elimi, popoli appena precedenti la classicità greca, regalavano serenità  e consolazione a viaggiatori presenti nel maggio 2011.
Ippolita Luzzo 

martedì 26 giugno 2018

Facebook blues di Laura Bettanin

Conoscere Laura su Facebook e leggere i suoi post, vedere i suoi video. Far entrare Laura a casa come se fosse una amica, anzi di più, perché le amiche non le vedo più mentre vedo Laura ogni giorno insieme a me, a noi. 
Facebook Blues mi arriva come una conferma. Il libro di Laura è una summa facebook, del vario mondo degli incontri e degli scontri, del vivere normale e uguale nel mondo reale, solo che su facebook si vede tutto. Ed io che, per trovare come e quando, per trovare dove e perché, sto su facebook, leggo e leggo divertita come Laura abbia composto il tutto variegato mondo degli utenti facebook facendone una storia da mille storie. Storia dalle mille e una storie questo è Facebook blues. Mitologia del contemporaneo. La storia e le storie sono inframezzate da lettere a Ginger, una fantomatica Donna Letizia dei nostri tempi sgraziati, una donna ironica e spiccia che cerca di non farsi catturare dal dramma dei suoi interlocutori e offre una soluzione più che un consiglio, una soluzione di buon senso, a modo suo. Filo conduttore, legame che porta da una parte all'altra dell'oceano mare, è la storia di una lei, del figlio Eligio, del marito Franco, della sua amica Renata, e di Jeremy il suo amore, la storia del primo amore che non si scorda mai, la storia del primo amore ritrovato. Una storia romantica ai tempi di facebook, sempre romantica è. Cambiano le dinamiche ma il risultato, come negli addendi scambiati dell'addizione, è sempre lo stesso. Cambiano le modalità. Si sta su questa piattaforma e si mandano messaggi, si aspettano risposte e si guarda intanto cosa fanno tanti altri, sconosciuti. 
"Sento che questo pollaio in cui mi sono infilata per gioco a volte diventa una trappola per topi. Topi in un pollaio. Una tagliola che ti tiene per la coda. Tu cerchi di sganciarti ma ti tiene attaccata perché se tiri, se ti muovi, ti fa male. Non un gran male, diciamo un disagio. Fastidioso, ossessivo. La sensazione che se non stai attivo poi vieni dimenticato."
Come stiamo cambiando restando sempre uguali, questa riflessione mi sovviene leggendo, ridacchiando a volte nel momento in cui riconosco tantissimi, in cui vedo i vizi e i vezzi nei quali cadiamo un po' tutti, ridacchio a volte allegra a volte triste ma rido ricordando tanto: le mille mail scritte a chi non si conosce, i messaggi a chi non vedrai mai, ed insieme ai mille libri che arrivano puntuali alla mia posta portandomi il messaggio vero del mondo che mi risponde così, con loro. 
Si diventa altro restando su un social? Non lo so, di certo si legge tanto, si viene a conoscenza della vita, supposta o inventata, di tantissimi, si scambiano opinioni e ci si affeziona, essendo l'affetto un bisogno imprescindibile dell'essere umano. 
Facebook blues, quel suono del blues, del ricordare, della nostalgia, canaglia o meno, quel suono sotterraneo che attraversa le nostre vite, ricordando tempi belli e meno belli, scordando tempi brutti, scordando e selezionando gli stessi ricordi, per abbellire, per conservare noi stessi, noi, il tempo presente fatto di ciò che ci portiamo in tasca.
Facebook blues suona e come il blues possiede la  struttura ripetitiva di dodici battute e nella melodia, dell'uso delle cosiddette blue, così nel libro suonano le note nel blu del cielo sempre più blu, di Rino Gaetano. Ed il cielo è sempre più blu, scappando via da paesi, città e situazioni che non ci vogliono più. Da Facebook a chi di noi canta ancora un blues fatto di sentimento e ricordo, di gioia e dolore, di voglia di esserci ancora.  
Chi vive in baracca, chi suda il salario 
Chi ama l'amore e i sogni di gloria 
Chi ruba pensioni, chi ha scarsa memoria 
Chi mangia una volta, chi tira al bersaglio 
Chi vuole l'aumento, chi gioca a Sanremo 
Chi porta gli occhiali, chi va sotto un treno
Chi ha crisi interiori, chi scava nei cuori 
Chi legge la mano, chi regna sovrano 
Chi suda, chi lotta, chi mangia una volta 
Chi gli manca la casa, chi vive da solo 
Chi prende assai poco, chi gioca col fuoco 
Chi vive in Calabria, chi vive d'amore 
Chi ha fatto la guerra, chi prende il sessanta 
Chi arriva agli ottanta, chi muore al lavoro
Con Laura e i suoi video, con Laura e il suo esserci vero, con Laura e il suo amore a cui dedica il libro, con Laura e noi, nel tenderci la mano, oltre Facebook e con Facebook, noi stiamo in blues. 
Ippolita Luzzo   
     

venerdì 22 giugno 2018

La verità del Freddo Raffaella Fanelli Intervista Maurizio Abbatino

"Cerco gli assassini perché loro sanno la verità, sono loro a conoscere i nomi dei mandanti." Raffaella Fanelli a Trame con Antonio Chieffallo su La Verità del Freddo inizia in questo modo la serata nel chiostro del Palazzo Nicotera. Un libro frutto di due anni di richieste, due anni di messaggi, una intervista raggiunta per sfinimento, per aver conquistatola fiducia. 
Raffaela Fanelli racconterà a noi per quanto tempo ha cercato le tracce e il collegamento con  Maurizio Abbatino, il boss della Banda della Magliana, per quanto tempo abbia chiesto l'intervista e come questa sia iniziata con un incontro su una piazzola di un parcheggio, lei che arriva in ritardo per problemi non di sua volontà, lui che aspetta da due ore e poi lei sale sulla sua auto e lui sgomma veloce verso il luogo dell'intervista. Quella fu la volta in cui Raffaella viaggiò in apnea fino al ristorante. Lei registra tutto. Registra sempre ad ogni incontro, nelle interviste fatte nel corso della sua professione di giornalista professionista, di giornalista che cerca la verità di fatti ancora oscuri attraverso le interviste agli assassini. "Cerco gli assassini perché loro sanno la verità, sono loro a conoscere i nomi dei mandanti."  La Verità Del Freddo è il  racconto e la storia della banda della Magliana, fatta con perizia giornalistica, cercando intrecci e collegamenti, relazioni, con molte interviste  mettendo in relazione le risposte alle domande e le dichiarazioni sulle incongruenze riportate in atti e verbali. trovando riscontri e tracce in dichiarazioni di altri, verificando le fonti, intersecando, direbbe Simona Zecchi, nostra amica comune e grande giornalista d'inchiesta.
 Raffaella Fanelli continua a raccogliere una storia oscura di pezzi di Stato collusi, di alcuni prelati dello Stato Vaticano a conoscenza dei segreti sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli, di Pasolini, di Aldo Moro. 
Per le dichiarazione fatte da Abbatino, a suo tempo, ci fu l'Operazione Colosseo, furono condannati solo alcuni mentre Massimo Carminati,forse in possesso di chissà quali documenti,  è libero. 
Maurizio Abbatino è stato estromesso dal programma di protezione, non può più godere dell'identità nascosta che gli permetteva di accedere alle cure sanitarie ed è un uomo lasciato solo dallo Stato. Lui sa che quando si spegneranno le luci della scorta mediatica che lo protegge sarà ucciso. Sarà ucciso però con la connivenza di quelli che non vogliono più sentire le sue accuse,  scomode per i poteri forti.
La verità del Freddo arriva chiedendo quindi attenzione su fatti manipolati e confusi, su collaboratori di giustizia a volte usati a volte bloccati quando il livello delle rivelazioni giunge dove non deve arrivare.   
Un grande ringraziamento della Litweb a Raffaella Fanelli per il suo coraggio, per il suo caparbio desiderio di cercare nei fatti e negli assassini  la verità dove sta, presso chi sa chi siano i mandanti.
Ippolita Luzzo  

giovedì 21 giugno 2018

W il giornalismo: Non lasciamoli soli

I corridoi umanitari del giornalismo vero. 
Ieri sera a Lamezia ospiti del Festival Trame Francesco Viviano presenta il libro di Simona Zecchi La criminalità servente nel Caso Moro e alle 21 ci racconta qualche episodio del suo libro scritto con Alessandra Ziniti: Non lasciamoli soli. Voci dall'inferno della Libia. Quello che l'Italia e l'Europa non vogliono ammettere.
Francesco Viviano mi arriva subito con l'urgenza della situazione e il gesto vero dei fatti.
Sul libro di Simona ci confessa: Io non sarei stato capace di scriverlo. Tante fonti, tante ricerche. Lei ci ha provato. Io sono un cronista. 
Francesco Viviano ripete più volte la parola cronista, e Simona Zecchi a quel punto aggiunge che lui è cronista di mafia e sa di cosa lei si è occupata ricercando. La Commissione Moro ha acquisito alcune ricerche fatte da lei incrociando, intersecando atti giudiziari e testimonianze di collaboratori di giustizia. 
Giornalismo d'inchiesta serio.
"Ci aiuteranno a trovare una rotta", sento presentare più tardi così Giulia Veltri il libro di Francesco Viviano.
" Io faccio il giornalista da 35/40 anni e mi occupo di mafia e migrazione." Lo dice con i gesti, con lo sguardo e con il tono serio del ruolo, di chi ha una funzione utile in un consesso civile, di chi è voce di un giornale e di una coscienza. 
Ci fa partecipi del suo orrore e del suo impegno, del lavoro del giornalismo che trasforma i numeri in fatti, in storie. E del movimento di disperati che dall'Africa arrivano sulle coste italiane dice:" Finora sono stati trattati solo come dei numeri, e sono come noi, esseri umani, che vengono lasciati annegare, che vengono lasciati nei campi di concentramento libici. La Libia è un inferno." Una moltitudine di uomini scappano dall'Africa avvelenata e sfruttata, dall'Africa dove dittatori terribili privano i loro sudditi di un passaporto, dall'Africa depredata e sconvolta dalle grandi compagnie  commerciali cinesi americane europee. Scappano i sudditi, pagano per scappare, pagano e sperano di arrivare in Europa. Dovranno attraversare quel mare color del vino, quel mare solcato da navi commerciali, dalla Marina Militare, da Ong. I soccorsi in mare... il soccorso in mare è solo un cerotto. Con la lucidità della conoscenza Francesco Viviano lega tutti i ministri che si sono succeduti, nello stesso filo di incapacità di gestire un fenomeno storico di entità immensa. Dal ministro Moroni a Salvini, passando per Minniti, lo stesso inutile fare, anzi dannoso. Lo stesso pagare i libici per tenere lontani gli schiavi, i sudditi. Li chiamo così perché mi rifiuto di chiamarli diversamente. Sono privi di passaporto, quindi schiavi. A questi uomini, costretti nelle carceri libiche bisognerà ridare dignità. Bisognerà appellarsi al Regolamento internazionale, ci saranno ancora in vigore un codice di auto regolamento, un pronunciamento della Corte europea, e ci sarà impellenza di una contronarrazione. 
"Io sono un cronista, il mio giornale La Repubblica, mi ha permesso di fare lavorare, faccio il cronista, mi occupo di verificare, indago sui fatti ed a volte chi fa questo mestiere dà fastidio. Ora invece nei giornali arrivano solo comunicati,ed i video sono della guardia di finanza, della polizia, dei carabinieri, e inondano di comunicati i giornali." Giornalisti usati solo come diffusori di comunicati.   
L'inondazione crea distorsione.  
Una grande empatia mi lega a questo giornalista, mi lega a tutti i giornalisti che perseguono con tenacia il riscontro dei fatti, che vanno a vedere, che oltre ad informare vorrebbero dare un aiuto. 
Il momento che viviamo è un'antitesi della civiltà, permette schiavismo e razzismo, ignominia e violenza, permette privilegi e disprezzo.
 W il giornalismo di Francesco Viviano, W il giornalismo di Simona Zecchi, ed evviva chi fa ancora della sua professione un corridoio umanitario. 
Ippolita Luzzo