domenica 6 agosto 2017

"Il gattopardo" Tomasi di Lampedusa

e Il gattopardo che non c’è. Pensieri e parole,  ed opere
Essere caparbie. 
La volontà di fare, cura e attenzione, l’interesse che non c’è
Il gattopardo: la filosofia dell’ozio, ovvero l’incuria del sud

Una serata con Il Gattopardo in Biblioteca tanti anni fa.
La splendida Angelica volteggia nel salone sulle note del valzer brillante di Verdi: Il passato.
Chiara fotografa insieme passato e presente per fare futuro.
Nel rincorrere le tante immagini di questo avvenimento mi faccio prender per mano da loro, la freschezza, la giovinezza, la fragilità e la decisione di queste tre donne  mi accompagnano in una lettura storica epidermica su tovagliati e ricami, gioielli e dipinti, dolci e mobili accuditi e accarezzati per far bello il farsi del tempo.
Mani che  stendono la sfoglia, che assemblano con pietre un albero di Natale, che raccolgono fiori e la festa inizia.
Si aprano le danze.
Ed ora brutalmente ci tuffiamo nelle parole, nei pensieri del Gattopardo

Dalla parte delle donne? Né da una parte, né da un’altra, da nessuna parte. 
Parla il Principe "Il sonno,  il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare."
Mi sono sempre chiesta perché mai il principe di Salina, illuminista, dice l’autore,  condanni alla quasi ignoranza le sue figlie, lasciandole sgranare rosari e  fare sfilati.
Con mia vera partecipazione alle tante donne lasciate, come Concetta, ad accudire casa e a badare solo a mestieri femminili, senza luce.
Lo sciupio di intere esistenze.
Mi chiedo se l’arretratezza di tutto un meridione non sia da attribuire a questo sdegno verso la scuola, verso l’intraprendenza del fare, verso il lavoro. 
Me lo chiedevo ieri sera quando i due ragazzi ballavano.
Me lo chiedo anche stasera,
Lui, il principe, dopo aver accettato il matrimonio fra Tancredi e Angelica, guardandoli ballare ragiona così: 
"Essi offrivano lo spettacolo più patetico di ogni altro, quello di due giovanissimi innamorati che ballano insieme, ciechi ai difetti reciproci, sordi agli ammonimenti del destino, illusi che tutto il cammino della vita sarà liscio come il pavimento del salone, attori ignari cui un regista fa recitare la parte di Giulietta e quella di Romeo nascondendo la cripta e il veleno, di già previsti nel copione. Né l'uno né l'altro erano buoni, ciascuno pieno di calcoli, gonfio di mire segrete, ma entrambi erano cari e commoventi mentre le loro non limpide ma ingenue ambizioni erano obliterate dalle parole di giocosa tenerezza che lui le mormorava all'orecchio e dal profumo dei capelli di lei, dalla reciproca stretta di quei loro corpi destinati a morire."
Io continuo a domandarmi il perché di tanto scetticismo se lui  sta consegnando il suo patrimonio, il suo nome, ad una donna nuova, che  ammira per le stesse qualità che ha ucciso nelle figlie.
 Angelica, istruita al nord, di bella presenza e con dote sostanziosa
Angelica è il prodotto confezionato per uno stato nuovo.
Anche lei, per ora, una merce di scambio, poi diventerà una delle più viperine Egerie di Montecitorio.  Una vipera benché ninfa e consigliera di Numa Pompilio, amante e poi moglie, dalla mitologia.
Sulla donna si baratta e si costruisce una fortuna.

In un altro passo il principe dirà che:
"La facoltà di ingannare se stesso, è questo requisito essenziale per chi voglia guidare gli altri."

Anche perché così potrà guardarsi senza disgusto

Mi sembra più che logico che lui voglia  ingannarsi, perché  si sarà graziato dal grande rincrescimento di essere  responsabile di cotanto sfascio.
L’indifferenza con cui lui ha gestito i suoi averi, cose e persone, il senso di superiorità e di fierezza che finalmente chiama cecità, ozio.
L’ozio dei possidenti del sud
Mi ricorda la vicenda di questo Palazzo Nicotera lasciato tanto tempo in ostaggio, da Palazzo nobiliare a Tribunale, da Tribunale a deposito di frutta e verdure ed ora sede Della Biblioteca Comunale.  
Tutto cambia… vorremmo lo stesso per tutti i palazzi di Lamezia.
Ebbene aldilà del semplice e scontato dato storico che le donne e i poveri, come  il popolo, senza pane e senza denti, non  abbiano mai contato niente nei vari rivolgimenti sociali,  mi sembra necessario sottolineare come dopo Angelica, dopo Concetta, dopo le tante Immacolate, dopo malaria e scarlattina, rachitismo e pellagra, la caparbietà di tutte noi, uomini e donne, non sia quella di dormire un lungo sonno ma di stare svegli.
I due ragazzi che ieri sera ballavano non erano illusi che tutto il cammino della vita sarà liscio ma sono due individui determinati, capaci e decisi, preparati e affettuosi, insomma svegli, come è giusto che sia.
In un meridione che annaspa noi tutti abbiamo bisogno di donne e di uomini capaci, noi qui, questa sera, abbiamo  l’inventiva di tante, dalle fotografie di Chiara ai dipinti di Madeleine, dai gioielli all'editoria, insomma le arti tutte, di donne caparbie che dalla parte di Angelica e di Concetta vorrebbero riscattare silenzi e misfatti.
Le scarpe rosse sul nostro tavolo, appena giorni fa, erano in mostra sulle strade d’Italia come simbolo contro violenza, stasera ballano decise verso bellezza e autonomia.

Sulle note di un valzer amato vorremmo dire al principe che afferma:
"I siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti; la loro vanità è più forte della loro miseria."

Noi vogliamo migliorare, non pensiamo di essere perfetti, vogliamo migliorare nonostante chi ci sta intorno vorrebbe impedirlo.

La lezione del gattopardo e di Lighea, la sirena che si spiaggiò sulle nostre coste e ora vive nel libro deliziosamente creato da donne artiste, la lezione  andrebbe letta così, con indulgenza verso chi sciupò, allora, ma senza indulgenza verso chi ancora crede di poter continuare a sciupare un patrimonio da preservare.
Sulle note di un valzer che porta via con sè l’amarezza di Concetta che subisce l’ultima rivelazione su una  frottola raccontata da Tancredi, cade  la consolazione di poter attribuire ad altri la propria infelicità che è l’ultimo ingannevole filtro dei disperati 
Vogliamo svelare la finzione storica
La verità che è finzione se non fosse anche dolore, sangue, scherno e poi carità, pudore 
Quella verità che è solo un manufatto, un gioiello, una fotografia, l’attesa di una vita per dover dire no.

Partendo dal bellissimo rosso del vestito di Claudia, fotografato da Chiara, dalla fragola che ha in mano, dal suo gioco di luce,   Rembrandt che alza lo zigomo e poi via, lei,  decisa indossa le scarpe rosse, qui sul tavolo e  in alto, sui  tacchi, corre… 
Raggiunge   tutte noi che vogliamo andare e  non fermarci più, una corsa, via da un immaginario abulico e fabulante verso i diritti di tutti  continuamente calpestati. Il cuore rosso della solidarietà. Lampedusa docet
Un paese circolare, lo chiama Pasolini, in Scritti corsari, senza un vero interesse per l’altro. Auguriamoci di poter sfatare tutto ciò con l’interesse che come un filo cucirà questi tre giorni. 
Ippolita Luzzo 

giovedì 3 agosto 2017

Clara Cerri: Lettere fra l'erba e Dodici posti dove non volevo andare

Clara Cerri è nata e vive a Roma, ha studiato ebraico e lingue orientali antiche. Ha studiato musica classica e jazz e fa parte come cantante di diverse formazioni musicali. Ha pubblicato alcuni racconti sul web  e in antologie come I piccoli e i grandi, Cocktail e Lunapark. Dodici posti dove non volevo andare (ed. Lettere Animate), il suo libro di esordio nella narrativa, ha vinto nel 2015 il I Premio letterario Amarganta. Si occupa di promozione editoriale e di eventi culturali per il Circolo letterario Bel-Ami.

Parleremo delle Lettere tra l'erba con Clara Cerri domani, intanto oggi ripropongo un mio pezzo del 2015

SABATO 10 OTTOBRE 2015
Dodici posti dove non volevo andare- Clara Cerri
Sinossi a modo mio


Dodici Posti dove non volevo andare
L'americano stanco
 Tutti gli incontri che un uomo può fare, diceva, tutta l'amicizia che può dare, tutta la musica che canta, tutte le parti di felicità che può strappare alla vita, sono cose preziose. Non si misurano e non si pesano. Se si è fortunati, si ricordano.

Via Margutta (1956)
l'idea che precede l'opera d'arte e che è pura INTUIZIONE. Solo e solamente l'intuizione conduce alla creazione artistica. Ad essa fa seguito l'ISPIRAZIONE, cioè il pensiero che interpreta l'opera e gli conferisce un significato concettuale e rappresentativo, estrinsecato nel titolo. Intuizione, ispirazione e titolo sono le tre marche irrinunciabili dell'oggetto artistico, sia dipinto che scolpito… “e scritto.”

La zanzara (1967/1993)
Mortal cosa son io, fattura umana
Tutto mi turba, un soffio sol mi abbatte
Il Tempo, che mi crea, quel mi combatte
(C. Monteverdi - G. Badoaro, Il ritorno di Ulisse in Patria, 1640)
Evviva.
Ci sono momenti della vita in cui tutte le energie sono impegnate nella sopravvivenza. Quando si arriva a dire: "Questo è come morire", non è più questione di aspettative di felicità e di vita migliore, che potrebbero essere puerili. Basta che smetta presto quella cosa che è come morire.

L'attraversamento della notte (2012)
Noi pittori si pigliamo licentia
che si pigliano i poeti et i matti
(Paolo Veronese, 1528-1588)

Intermezzo (1978) e poi Contraltare
“L’ordalia” ingoio e arriva
L’indulgenza
E poi “a che serve sapere che forse c'era un triclinio? Come farsi un impero per conto proprio. A che servono le conoscenze che non  diventano patrimonio di tutti?”

E ha continuato a dirlo, 'Tu sei come me', tutto il tempo".
Gli occhi di Clara brillano. "Fantastico. Io non credo che si possa dire qualcosa di più bello a chi si ama". Il verbo amare mi colpisce allo stomaco.
A chi cerca cose nuove è promessa un’eterna primavera.
"Lascia stare Clemente Alessandrino”
Aspetto da un momento all'altro che si prendano la mano sul tavolino di marmo e facciano un miracolo, quello che hanno chiesto senza volerlo per tutti questi anni. Il finale che ci aspettiamo da tutte le storie, che il disamore sia solo incomprensione, che si arrivi alla spiegazione che basta a spazzare via tutti gli ostacoli.


Non è per questo che si canta e si scrive musica, perché chi ascolta quei suoni si senta amato? Perché si senta toccato con tenerezza da quella mano che tanti anni fa, con tanto coraggio, si è tesa in avanti? Sembra una briciola caduta dal banchetto del mondo ma forse è quel conoscerci cui tendiamo invano per tutta la vita, noi che siamo sazi, anche quando ci lasciamo dietro le nostre storie perché qualcuno le legga e immagini un finale diverso dalla sconfitta. Infilo la mano nella borsa, sento il duro della copertina sotto le dita. Io non sono più capace di immaginare quel finale, ma qualcun altro potrebbe. Senza guardare cosa faccio, prendo il quaderno e lo appoggio al davanzale di una finestra. E mi allontano.
Ippolita Luzzo 


Dodici posti dove non volevo andare (ed. Lettere Animate)
Una raccolta di racconti che si legge come un romanzo. La storia sopra le righe di una famiglia romana dagli anni ’50 a oggi, attraverso le sfide e le perdite della vita, con la guida dell’amore per la musica e per l’arte e di una tenace capacità di resistenza. I tre personaggi principali della vicenda incarnano tre generazioni in successione: William, un cantante americano depresso e deluso, che cerca nella musica e in Roma la consolazione per il suo fallimento; Clara che ricorda il passato e scruta negli animi mentre vive una vita che avrebbe voluto diversa, il giovane pittore Roy che viene abbandonato da tutti i suoi amori tranne che da quello per Roma. Un’ironia partecipe guida l’intreccio delle storie fin dove si intravede una pace possibile, quella del perdono. Tutti sono assolti, generazione dopo generazione, e dopo i tre giorni di tenebre viene un giorno come tutti gli altri.

domenica 30 luglio 2017

I fuochi di Squillace per Mari di Caspanello



I Fuochi di Squillace per Mari 
Fotografia con fuochi.  Angelo Maggio

Fra "vattindi e resta" il gesto convince nello spazio interiore di "Mari" con Tino Caspanello e Cinzia Muscolino ad Innesti Contemporanei.
Siamo qui a parlarne per applaudire la bravura dei due interpreti di una gestualità  interiore chiamato da Ronald Barthes "Frammenti di un discorso amoroso"
Sulla scena succedono avvenimenti inaspettati che daranno unicità al testo. 
Va via la luce e per un istante, nel buio, il cielo si accende di moltissime stelle, una piccola luce viene messa sul palco per rischiarare Tino e Cinzia nella penombra del loro dirsi.
Succede anche altro.
 I fuochi di festeggiamento di un quarantenne si stagliano nel cielo e sembrano partecipare a quella scenografia in riva al mare, su una spiaggia, nell'immenso spazio dei fuochi sparati al cielo nelle feste di un Santo. L'unicità rende lo spettacolo prezioso, ci rende orgogliosi di aver affrontato le curve di Squillace per salire al castello.

Noi e loro, nel discorso di un uomo e una donna, le note del film ora mi ritornano in mente con le immagini, qui siamo con due solitudini a volersi bene, ognuno a suo modo, lontano e vicini. Vattindi è la prima risposta che il marito le dice, vai a casa, io voglio stare qui da solo in riva al mare a pescare.
Lei comincia a trovare mille pretesti per restare, per convincerlo a rientrare a casa, stanca di una solitudine troppo lunga.
Resta.
Lei resta e il sussurro delle frasi si appiglia a cura e attenzione, a piccoli gesto del quotidiano, un pranzo, un pomodoro, un ti aspetto, un non mi aspettare.
Parole per dire: "E iò non t‟u sacciu diri. Pari… pari ch‟i paroli n‟e canusciu, mi pari chi non n‟avemu paroli pi ddiri chiddu chi pinzamu. Parramu, parramu e ittamu sulu aria:manciasti, durmisti, travagghiasti, si‟ stancu? A ddumani penza Diu. E ccu sti paroli ni inchemu a bbucca. Nni canusci autri, tu?"

Delicatissimo tentativo fatto per non restare due sconosciuti che si coricano nello stesso letto, testardo insistere scegliendo la modalità del canto, ti canto una canzone se ti piace, ed è sulla nenia, quasi, che lui cede e le dice di restare per toccare l'acqua del mare, insieme in un gesto intimo tanto da sciogliere un nodo da tempo presente, la difficoltà di vedersi persone, individui bisognosi uno dell'altro.
Applausi e applausi ancora dal mare che buio non è, se acqua c'è. 
Ippolita Luzzo 

 






Mio padre, in ricordo alla Casa di Riposo Tamburelli

Venuto a mancare il 21 giugno di questo anno nella Casa di riposo dove aveva trascorso da aprile i suoi ultimi giorni, mio padre ha avuto una sorte insolita e bene augurante. Domenica 18 giugno mangiava la torta alla frutta, mandata da Gabriella, mamma di Salvatore, e Antonello Coclite  suonava W Maria e Bella Ciao.
Un pomeriggio felice. 
Così come erano stati gli altri giorni fino al 21 quando serenamente ci ha lasciato con la musica suonata da Pasqualino Porchia: Plaisir d'amour.
Eppure...   
Lui non ha partecipato ad una vita di relazione e di società.
In vita le sue occasioni mondane erano la partita di calcio, la domenica al campo, come spettatore composto e silenzioso, e l'edicola di Giovanni prima, e di Giuseppe poi, dove comprava moltissimi giornali, l'immancabile Gazzetta del Sud ogni giorno e La Domenica del Corriere, Tribuna illustrata e via via Oggi, Gente, Epoca, Tempo, fino a Chi, Visto, e la deriva delle riviste. Giornali che leggeva pagina per pagina. 
Era questa la sua finestra sul mondo.
Per il resto era un metodico osservatore di orari sempre uguali. Sempre a casa la sera, mai ricordo un suo impegno fuori casa, se non un brevissimo periodo in cui fu nominato presidente di un consorzio nato per proteggere i vigneti. Carica di cui lui si stancò ben presto e lasciò appena poté. Mai quindi un ritrovo tra amici, mai una festa rumorosa di persone, mai, se non per i familiari più stretti e nemmeno, matrimoni, battesimi, cresime ed ogni orpello di società. Mai vita di relazione con l'esterno se non la campagna dove si recava ogni giorno per prendersi cura delle sue piante, dove alcuni andavano a chiedere consigli che lui era ben lieto divulgare. Andava infatti da alcuni vicini di campagne limitrofe se veniva chiamato per consulenze. Per stima. Ieri sera riflettevo perciò su questa stranezza successa proprio a lui. Una legge del contrappasso l'ho chiamata.
Ieri sera sulla spianata, sul piazzale della Casa Tamburelli, era sceso Sant'Antonio portato dagli statuari. Una grande partecipazione di familiari e amici ossequiava i defunti dell'ultimo anno e fra questi mio padre, ospite per due o tre mesi della struttura. Lui si è trovato insieme agli altri, facenti parti di un consesso umano, nel ricordo e nella messa che Padre Bruno Macrì ha celebrato.
Si è ritrovato nelle parole di Antonello Coclite, la sua immagine e la gazzetta sotto braccio è stata benedetta insieme al quadro al terzo piano della struttura.
Un capovolgimento.
Dante Alighieri attribuiva  alle anime un destino da scontare o da Premio nell'aldilà.
Io ho visto questo destino in lui:
Una socialità post mortem che gli piacerà moltissimo non intralciando in alcun modo i suoi orari
Ippolita Luzzo 

sabato 29 luglio 2017

Dux in scatola a Innesti Contemporanei


Venerdì 28 luglio 2017
Sulla scena Daniele Timpano,
Dux in scatola. 
Un baule in primo piano, un baule che non si aprirà e in fondo lui, Daniele Timpano, in silenzio, in nero.
La distanza Temporale tra noi e il fatto storico che narrerà viene colmata da quel silenzio, quello stare in scena guardando immobile il fatto storico nel suo divenire senza possibilità di intervenire se non raccontandolo.

Scandendo i giorni.
Dux in scatola è la storia di Mussolini, la storia della sua prigionia, della sua fucilazione, del corpo morto portato a Piazzale Loreto con Claretta Petacci ed altri 15 fascisti fucilati, per essere poi esposti, impiccati, al ludibrio dei passanti.
Comunicato del 29 aprile 1945."Qui Valerio decide di scaricare i cadaveri a terra, proprio dove le vittime della strage del 10 agosto 1944 erano state abbandonate in custodia ai militi fascisti della Muti, che li avevano dileggiati e lasciati esposti al sole per l'intera giornata, impedendo ai familiari di raccogliere i loro resti."
Dux in scatola è la storia del fascismo vivo e vegeto fra noi, non più simulacri e bottigliette a Pedrappio, è la storia di giorni e giorni in un corpo morto chiamato Dittatura.
Il corpo morto parla e racconta.
Il fascismo e il consenso.
Duce Duce, gridava la folla, Duce Duce, e il saluto fascista e il ventennio fascista.
Un corpo offeso eppur si racconta con la stessa distanza con cui ormai si raccontano i morti altrui: I tantissimi oppositori al fascismo fucilati e torturati.
Seppellito il corpo, la notte tra il 22 aprile e il 23 aprile 1946, all'approssimarsi del primo anniversario della sua morte, tre fascisti, Mauro Rana, Antonio Parozzi e Domenico Leccisi, facenti parte del Partito Democratico Fascista, ne trafugarono la salma. 
Dux in scatola e la repubblica nasce al canto di Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta, dall'elmo di Scipio s'è cinta la testa. Dov'è la vittoria?


In quel baule, ritrovato e riconsegnato alla famiglia Mussolini il 30 agosto 1957. In una scatola la storia d'Italia raccontata con sequenze storiche puntuali, giorno per giorni, nei giorni in cui avvengono i fatti. 
Una precisione da storico, una cadenza da speaker televisivo, una presenza scenica da mimo, mimare un corpo morto che parla, vitale e presente, una lezione di teatro.


L'ora è tarda al Castello di Squillace, soffia il vento e non lo sentiamo. Applaudiamo e applaudiamo Daniele.
Applaudiamo la ricerca delle fonti, applaudiamo la storia riconsegnata a noi spettatori, a noi facenti parte di una nazione che dimentica, maldestra, il corpo morto dal quale non si è staccata. 
Brividi e paure per altri corpi morti, per altri ventenni di storia recenti, per altro sciupio nel correre dei tempi e delle scelte. 
Su tutto questo però non può il teatro intervenire, il teatro è in Daniele, nel suo impersonare i gesti e la velocità, il fluire dei fatti, nella successione scandita a mo' di denuncia e nel riconciliarci con la scena.
Ippolita Luzzo  
    


La rassegna al Castello di Squillace "Innesti contemporanei", il festival di teatro ideato e diretto da Nastro di Mobius con la direzione artistica di Saverio Tavano.
Ed ora le foto di Angelo Maggio: grazie 



giovedì 27 luglio 2017

Ospiti da Giacomo Verri i miei scaffali

Tra gli scaffali di Ippolita Luzzo

Di solito sono ubbidienti e non mi fanno disperare. Sanno che moltissimi altri libri sono stati messi in sacchi e sacchi e donati, depositati in scuole e biblioteca, nella raccolta differenziata!
Ho un cestino nelle scale dove cestino i libri scritti male, libri insulsi per suono, ritmo e sintassi.
Libri illeggibili per contenuto, forma e altre amenità.
Certo, costoro mi guardano un po’ male, aspettano di essere ripresi, ogni tanto infatti mi capita di salutarli e di risfogliarli, chissà!
Ornella, la ragazza che mi aiuta a casa, tenta di indurmi ad un ordine fatto di spolverate e di contenimento. Lo vede anche lei sul tavolo della cucina troneggiare Simenon di Adelphi Memorie Intime insieme a Vertigine di Julien Green e non le sembra il caso di cucinare Le Rane di Aristofane o mettersi a discutere con Il pescatore di tonni di Raffaele Mangano e invitare Jenny la secca di Claudia Lamma.

venerdì 21 luglio 2017

Vertigine

Vertigine di Julien Green
Direttamente da CabaretBisanzio il mio pezzo su Vertigine http://www.cabaretbisanzio.com/2017/07/18/vertigine-julien-green/

“A differenza dei romanzieri cui siamo abituati, Julien Green non descrive i suoi personaggi: li materializza“.
Walter Benjamin




A cura di Giuseppe Girimonti Greco e di Ezio Sinigaglia questo raffinato lavoro di traduzione vede fra gli altri Lorenza Di Lella, Francesca Scala e Filippo Tuena. Due narratori  e tre traduttori eccellenti. Venti racconti di un autore nato agli inizi del  novecento, venti racconti composti dal 1920 al 1956 in inglese e pubblicati una prima volta nel 1984  tradotti in francese. Inediti in Italia vengono proposti ora dalla casa editrice Nutrimenti nella collana “Greenwich”, andando ad arricchire ancor di più uno splendido catalogo.
Il momento “Folle” della propria esistenza di vertigine in cui si può mettere tutto in discussione e cambiare la propria vita, leggo così sfogliando la presentazione della casa editrice.
Dal primo racconto, in assoluto, scritto nel 1920, il tema della follia viene quasi avvicinato alle atmosfere dei racconti di Poe. Julien Green in L’apprendista psichiatra attraversa la mente del suo assistito con la lama della curiosità e dell’esperimento. Osserva, sperimenta e impara. Viviseziona. Un po’ questo fa lo scrittore in ogni suo racconto, tagliando come una millefoglie un momento, una situazione, un personaggio. Ce lo offre così nel sadismo, nell’atteggiamento verso bambini e adulti; in una millefoglie di sadismo nella Lezione e in Paura. Una paura non solo di relazione con l’altro, una paura di osservare il proprio io: in Fabien, nel Ritratto di donna, nelle Scale.
Mi sono fermata a lungo a rileggere Una vita qualunque, cesellata in una solitudine interrotta dalla visita di un ragazzino, dalla presenza della governante, una solitudine femminile fatta di nulla, incentrata su quel momento di orgoglio in cui la protagonista compie un suo ulteriore capriccio.
Ossessioni, fisime, capricci, incredibili momenti colti senza indulgenza, analizzati, e siamo nell’inferno del quotidiano, delle case sbreccate come le tazze, della rovina economica dei possidenti, del tramonto di un modo di vivere fatto di schiavi, e di abbuffate. L’inferno si consuma in grandi mangiate, si mangia fino a scoppiare e a me ricorda il film La Grande Abbuffata.
“Vertigine” di Julien Green è un libro di riconciliazione con la letteratura vera, un libro di ambienti, di specchi, di gesti e di luminosi e taglienti raggi di sole.
Alla fine ci lascia il sorriso su una firma imitata, in una lettera mandata a Eveline, una lettera in effetti come pretesto per scrivere al mondo alla maniera in cui gli scrittori parlano a noi.
Ippolita Luzzo