Mi manda da leggere i suoi pensieri sull'amore, Antonio Belsito, perché le mie parole descrivono a mezzo anima, ed è una ragione bellissima, una ragione di più, cantava Ornella Vanoni.
Siamo su pensieri diversissimi su " Sei tutto ciò che di bello mi accade" sottotitolato "Scritti sull'Amore", proprio perciò mi interessa scriverne.
Sugli abbracci che dovrebbero essere espressione di grande amore ed invece potrebbero essere vuoto esercizio retorico di un modo per non esprimere alcunché. Non credo nella sincerità dei gesti, anzi ho esperienze di abbracci dati e poi di coltellate ed abbandoni. La cronaca ne è piena. Non credo alle emozioni di scambio, ognuno sente in modo diversissimo, e non credo nella linearità dei rapporti, anzi ritengo ogni genere di intrattenimento con un altro una forma di guerriglia, di strategia per occupare posizioni e mantenerle, pur con il massimo affetto e con la sincerità del cuore.
Antonio quindi quando scrive"Amo voler bene perché voglio bene all'amore" mi trova perfettamente d'accordo, meno d'accordo se poi quel suo voler bene sarebbe un bacio, una carezza, un abbraccio. Ci si può abbracciare centomila volte e si stringerà un vuoto simulacro come ben sanno coppie e coppie in cui uno ama e l'altro no, amici, in cui uno è amico e l'altro no, familiari in cui l'affetto è tramontato ma restano gli abbracci. Vuoti.
" Credo che già incontrarsi sia tenersi. Se non ci si tiene, significa che non ci si è mai incontrati" scrive Antonio ed io aggiungo la volontà. Per incontrarsi bisogna volerlo in due, anzi in tanti. Bisogna azzerare il bisogno e cercare una verità.
Si scrive galleggiando, caro Antonio, e galleggiando ti seguo fino al tuo amore per lo scrivere, l'unico abbraccio che posso capire, quello con la scrittura.
Ippolita Luzzo
Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono.
in fondo l'« amore » è un'unica realtà, seppur con diverse dimensioni; di volta in volta, l'una o l'altra dimensione può emergere maggiormente. Dove però le due dimensioni si distaccano completamente l'una dall'altra, si profila una caricatura o in ogni caso una forma riduttiva dell'amore.
domenica 18 giugno 2017
venerdì 16 giugno 2017
Giuseppe Semeraro: Poesia è un servizio
A cosa serve la poesia
Due parole in croce
camminando nella poesia
Il passo più lungo è la felicità
Danilo Dolci e i suoi passi verso la dignità di essere uomini. Le sue lotte a Partinico.
Giuseppe Semeraro, conosciuto a teatro Umberto, sulla scena di Digiunando davanti al mare, la storia di Danilo Dolci, passo dopo passo.
Nel 2007 Giuseppe fonda Principio Attivo Teatro e passo dopo passo
Il passo che calpesta il fare solenne
il passo mortale dei compromessi
Il passo più lungo è non cedere il passo
non rinunciare all'irriverenza
non gettare l'infinito nel compianto
Il passo più lungo non sa consolarsi
Il passo più lungo è ricucire la bellezza alla vita
la melodia del ricucire
Il passo più lungo è il mio, il tuo, il nostro
tra tanti un passo unico, il passo più lungo.
A cosa serve la poesia: a dire sottovoce la propria verità
a dirla passo dopo passo.
Giuseppe Semeraro ha scritto poesie sin da bambino come una forma di manutenzione della solitudine. Poi un bel giorno un suo amico, Fabio, gli legge quei versi di un Giuseppe bambino, adolescente e gli chiede di continuare. Grazie, Fabio, annoto io in calce al foglio.Nasce "Convalescenza di un poeta" l'urgenza di scrivere dei versi per Fabio, il suo amico.
Così la poesia incontra il teatro, il gesto e, nella forza dell'oralità, Due parole in croce esistono nei passi verso la felicità.
La poesia serve a trattenersi con l'altro, scrive Giuseppe Semeraro e noi ci tratterremo con lui questa sera, trattenendo le sue parole in noi.
Le parole vogliono essere dette per esistere ed anche noi esistiamo con due parole in croce.
Ippolita Luzzo
Due parole in croce
camminando nella poesia
Il passo più lungo è la felicità
Danilo Dolci e i suoi passi verso la dignità di essere uomini. Le sue lotte a Partinico.
Giuseppe Semeraro, conosciuto a teatro Umberto, sulla scena di Digiunando davanti al mare, la storia di Danilo Dolci, passo dopo passo.
Nel 2007 Giuseppe fonda Principio Attivo Teatro e passo dopo passo
Il passo che calpesta il fare solenne
il passo mortale dei compromessi
Il passo più lungo è non cedere il passo
non rinunciare all'irriverenza
non gettare l'infinito nel compianto
Il passo più lungo non sa consolarsi
Il passo più lungo è ricucire la bellezza alla vita
la melodia del ricucire
Il passo più lungo è il mio, il tuo, il nostro
tra tanti un passo unico, il passo più lungo.
A cosa serve la poesia: a dire sottovoce la propria verità
a dirla passo dopo passo.
Giuseppe Semeraro ha scritto poesie sin da bambino come una forma di manutenzione della solitudine. Poi un bel giorno un suo amico, Fabio, gli legge quei versi di un Giuseppe bambino, adolescente e gli chiede di continuare. Grazie, Fabio, annoto io in calce al foglio.Nasce "Convalescenza di un poeta" l'urgenza di scrivere dei versi per Fabio, il suo amico.
Così la poesia incontra il teatro, il gesto e, nella forza dell'oralità, Due parole in croce esistono nei passi verso la felicità.
La poesia serve a trattenersi con l'altro, scrive Giuseppe Semeraro e noi ci tratterremo con lui questa sera, trattenendo le sue parole in noi.
Le parole vogliono essere dette per esistere ed anche noi esistiamo con due parole in croce.
Ippolita Luzzo
giovedì 15 giugno 2017
Monica Dini: Angoli Acuti
Tra Le Righe Libri è il nome della casa editrice che pubblica i bei racconti di Monica Dini. Tra le righe libri, tra le righe racconti.
Mi piacciono subito i racconti di Monica, ne imparo qui e là qualche frase: "Essere soli è come avere fame" su quel non detto che io non credevo più potesse esistere. Quel non detto avrebbe forse sfamato la solitudine? Non sapremo mai, così continuiamo a leggere "Fuori dal mondo Tutte le smagliature amate"
Quella richiesta di una famiglia, quelle treccine lasciate senza risposta, quei bimbi in una richiesta fatta da smagliature.
Dobbiamo per forza raccontare a qualcuno quel nostro esistere e credo sia il motivo per cui tengo in piedi questo mio blog, oltre all'amore per i libri, oltre al mio vivere tra le righe.
E così ho scritto moltissime mail per esistere, proprio come la protagonista del racconto, mail e mail per ricostruire, ordinare, raccontare e sentirmi di far parte, una parte del tutto.
Invio in corso... Monica.
Capisco Beppe e faccio lo zaino con lui verso la pensione senza stelle e vado a consolare quella donna in una mangiatoia scavata in un grande tronco.
Mi piacciono queste Gemme, balbettanti, esistenze tratteggiate con un verbo, con un piccolo cucciolo trovato per caso nei rifiuti.
Nelle mail mai fatte ci sta quella di una bimba ad un Babbo Natale, una lettera terribile mai affrancata.
Armando ha perso il lavoro, Armando ha perso il lavoro, lo seguo al centro commerciale nella sua protesta, nel chiedere elemosina, aveva fame, la solitudine è come avere fame.
Credo di aver sentito cigolare la rete del letto di Miriam e annusato l'odore delle ali di pollo insieme a lei che annusa tutto. Anche la merda.
Mi piacciono i racconti di Monica mentre ascolto il brusio delle sue storie disegnate con pochi tratti e animate con pochi gesti, un brusio regalato dalla precisione e dalla pietà.
Una scrittura sensibile al fruscio, al non detto, alla disperazione misurata dell'impossibilità.
Accanto a me già li accolgo e li rileggo per dirci insieme quale sia il problema fondamentale: se esiste una vita prima della morte.
Con questa domanda da una citazione di Giovanni Bedino, Un color bruno, apre la porta, Monica Dini, ad una passeggiata nella via della solitudine.
Come diceva quel poeta che troveremo:
Su quel tappeto di colori che si univano e sfumavano l'uno nell'altro intrecciandosi. Per sentirsi più soli guardandoli.
Essere soli è un po' come avere fame.
Per questo scriviamo.
Ippolita Luzzo
Mi piacciono subito i racconti di Monica, ne imparo qui e là qualche frase: "Essere soli è come avere fame" su quel non detto che io non credevo più potesse esistere. Quel non detto avrebbe forse sfamato la solitudine? Non sapremo mai, così continuiamo a leggere "Fuori dal mondo Tutte le smagliature amate"
Quella richiesta di una famiglia, quelle treccine lasciate senza risposta, quei bimbi in una richiesta fatta da smagliature.
Dobbiamo per forza raccontare a qualcuno quel nostro esistere e credo sia il motivo per cui tengo in piedi questo mio blog, oltre all'amore per i libri, oltre al mio vivere tra le righe.
E così ho scritto moltissime mail per esistere, proprio come la protagonista del racconto, mail e mail per ricostruire, ordinare, raccontare e sentirmi di far parte, una parte del tutto.
Invio in corso... Monica.
Capisco Beppe e faccio lo zaino con lui verso la pensione senza stelle e vado a consolare quella donna in una mangiatoia scavata in un grande tronco.
Mi piacciono queste Gemme, balbettanti, esistenze tratteggiate con un verbo, con un piccolo cucciolo trovato per caso nei rifiuti.
Nelle mail mai fatte ci sta quella di una bimba ad un Babbo Natale, una lettera terribile mai affrancata.
Armando ha perso il lavoro, Armando ha perso il lavoro, lo seguo al centro commerciale nella sua protesta, nel chiedere elemosina, aveva fame, la solitudine è come avere fame.
Credo di aver sentito cigolare la rete del letto di Miriam e annusato l'odore delle ali di pollo insieme a lei che annusa tutto. Anche la merda.
Mi piacciono i racconti di Monica mentre ascolto il brusio delle sue storie disegnate con pochi tratti e animate con pochi gesti, un brusio regalato dalla precisione e dalla pietà.
Una scrittura sensibile al fruscio, al non detto, alla disperazione misurata dell'impossibilità.
Accanto a me già li accolgo e li rileggo per dirci insieme quale sia il problema fondamentale: se esiste una vita prima della morte.
Con questa domanda da una citazione di Giovanni Bedino, Un color bruno, apre la porta, Monica Dini, ad una passeggiata nella via della solitudine.
Come diceva quel poeta che troveremo:
Su quel tappeto di colori che si univano e sfumavano l'uno nell'altro intrecciandosi. Per sentirsi più soli guardandoli.
Essere soli è un po' come avere fame.
Per questo scriviamo.
Ippolita Luzzo
martedì 13 giugno 2017
Tana Libera Tutti di Franco Piol
Nella collana Frecce della AUGH!Edizioni a novembre 2016 la prima uscita di una serie di racconti di Franco Piol dal titolo Tana Libera Tutti. A Roma a Roma, inizia e finisce a Piazza Navona quel gioco antico da ragazzi che vedevo fare dal balcone di casa mia. Vedevo questi ragazzi correre e gridare battendo sotto l'arco quel Tana ad alta voce e tutti accorrevano.
Qui nel libro di Franco Piol corrono nel tempo che passa insieme ai racconti e le corse ci rimandano ad episodi passati fin al presente in cui"Il gioco iniziato soltanto ieri sera, allora, non può finire così."
La Roma amata, vista con i ricordi di un bambino, di un collegio, con un viaggio a Conegliano e poi Roma...
Tutti gli stornelli di Roma, i personaggi di Roma, Anna Magnani e tutto il vicolo di Montevecchio, Ostia, il mare per i piccoli dell'orfanotrofio romano di via Nomentana.
Il teatro amato, il canto, gli stornelli, il cinema, tutta una meraviglia-
Mi fanno compagnia i racconti di un tempo quasi scomparso, sicuramente scomparso e lontano.
Quel tempo sembra più lontano di quanto noi potremmo misurarlo. Più vicino a quel fine ottocento o primo novecento.
Mi ricordano i racconti degli autori di quel periodo o al massimo del primo dopoguerra.
Racconti scritti con uno stile educato al bel dire, con garbo e gentilezza verso quel passato che non troveremo più, nemmeno in un libro.
Si susseguono situazioni di umanità consolata da piccolissimi avvenimenti eppure così importanti.
Delicato saluto ad un vivere che fu.
Ippolita Luzzo
Qui nel libro di Franco Piol corrono nel tempo che passa insieme ai racconti e le corse ci rimandano ad episodi passati fin al presente in cui"Il gioco iniziato soltanto ieri sera, allora, non può finire così."
La Roma amata, vista con i ricordi di un bambino, di un collegio, con un viaggio a Conegliano e poi Roma...
Tutti gli stornelli di Roma, i personaggi di Roma, Anna Magnani e tutto il vicolo di Montevecchio, Ostia, il mare per i piccoli dell'orfanotrofio romano di via Nomentana.
Il teatro amato, il canto, gli stornelli, il cinema, tutta una meraviglia-
Mi fanno compagnia i racconti di un tempo quasi scomparso, sicuramente scomparso e lontano.
Quel tempo sembra più lontano di quanto noi potremmo misurarlo. Più vicino a quel fine ottocento o primo novecento.
Mi ricordano i racconti degli autori di quel periodo o al massimo del primo dopoguerra.
Racconti scritti con uno stile educato al bel dire, con garbo e gentilezza verso quel passato che non troveremo più, nemmeno in un libro.
Si susseguono situazioni di umanità consolata da piccolissimi avvenimenti eppure così importanti.
Delicato saluto ad un vivere che fu.
Ippolita Luzzo
I tassisti di Napoli al "Sole Mio"
Il sole di Napoli batte forte, lo sai. Oh Sole mio sta in fronte a te
Il Tassista che mi porta da Capodimonte a Piazza Plebiscito è un simpatico ragazzo in jeans e maglietta. Incomincia a raccontarmi di come avrebbe preferito andare in giro in pantaloncini corti ma non si può, è vietato dal decoro della professione.
Mi sembra una ottima decisione, argomento io, magnificando la freschezza di pantaloni in lino, in cotonina leggera, in fibre naturali altrettanto leggeri ed estive.
Lui sembra convinto ma aggiunge: Lei non immagina cosa vuol dire mettersi alla guida di un taxi dopo aver sostato a volte per più di un'ora in postazioni senza riparo, al sole continuo ad effetto forno. L'auto diventa invivibile.
Mi metto su a pensarci ed ora mi sembra una tortura, una vera mancanza nell'organizzazione di un servizio privare i luoghi dove sostano i taxi di riparo, di una tettoia, di una possibilità vitale di ombra.
Possibile che nessun sindaco o più precisamente nessun movimento civico, nessun vigile urbano, nessun addetto al traffico si sia fatto interprete di questo disagio?
Prometto subito al tassista di scrivere due righe due sul caldo a Napoli, sul caldo del taxi, sulle tettoie urgenti da approntare per una estate tassista in ombra.
Ma n'atu sole
Cchiu' bello, oi ne'.
'O sole mio
Sta 'nfronte a te
'O sole, 'o sole mio
Sta 'nfronte a te
Sta 'nfronte a te
All'ombra, però
Ippolita Luzzo
Il Tassista che mi porta da Capodimonte a Piazza Plebiscito è un simpatico ragazzo in jeans e maglietta. Incomincia a raccontarmi di come avrebbe preferito andare in giro in pantaloncini corti ma non si può, è vietato dal decoro della professione.
Mi sembra una ottima decisione, argomento io, magnificando la freschezza di pantaloni in lino, in cotonina leggera, in fibre naturali altrettanto leggeri ed estive.
Lui sembra convinto ma aggiunge: Lei non immagina cosa vuol dire mettersi alla guida di un taxi dopo aver sostato a volte per più di un'ora in postazioni senza riparo, al sole continuo ad effetto forno. L'auto diventa invivibile.
Mi metto su a pensarci ed ora mi sembra una tortura, una vera mancanza nell'organizzazione di un servizio privare i luoghi dove sostano i taxi di riparo, di una tettoia, di una possibilità vitale di ombra.
Possibile che nessun sindaco o più precisamente nessun movimento civico, nessun vigile urbano, nessun addetto al traffico si sia fatto interprete di questo disagio?
Prometto subito al tassista di scrivere due righe due sul caldo a Napoli, sul caldo del taxi, sulle tettoie urgenti da approntare per una estate tassista in ombra.
Ma n'atu sole
Cchiu' bello, oi ne'.
'O sole mio
Sta 'nfronte a te
'O sole, 'o sole mio
Sta 'nfronte a te
Sta 'nfronte a te
All'ombra, però
Ippolita Luzzo
mercoledì 7 giugno 2017
Letizia Dimartino:Direzione Inversa
Sto qui sui racconti di Letizia Dimartino con in testa la lettura di Carlo Rovelli "L'ordine del tempo"
"Mi fermo e non faccio nulla. Non succede nulla. Non penso nulla. Ascolto lo scorrere del tempo. Questo è il tempo. Familiare e intimo. La sua rapina ci porta. Il precipitare di secondi, ore, anni ci lancia verso la vita, poi ci trascina verso il niente... Lo abitiamo come i pesci l’acqua. Il nostro essere è essere nel tempo. La sua nenia ci nutre, ci apre il mondo, ci turba, ci spaventa, ci culla. L’universo dipana il suo divenire trascinato dal tempo, secondo l’ordine del tempo."
Il caso mi porta a leggere nello stesso giorno L'ordine del tempo di Carlo Rovelli e il libro di Letizia Dimartino, suo esordio letterario. In entrambi il tempo scompare si appiattisce sugli avvenimenti. Il tempo è il cambiamento eppure il tempo sembra immobile. Nel modo inusuale di raccontare Letizia sembra mettere in opera i concetti del fisico teorico Carlo Rovelli. Così è il leggere nelle parole di Letizia, così il ritmo nel suo appoggiare quasi fatti, eventi minimi, successioni di momenti su un letto ben acconciato e sfogliando le fotografie del tempo. Lo ha fatto dapprima inconsapevolmente, lo ha fatto come si faceva un tempo nelle domeniche lunghe e senza storia, riprendere una per una le fotografie e su ognuna raccontare il tempo. Il tempo che non c'è.
Carlo Rovelli da fisico dimostrerà l'inesistenza del tempo se non nel cambiamento. C'è tempo dove c'è mutamento. Senza mutamento tempo non c'è.
Sarà per questo che io mi sento senza tempo, fuori dal tempo e sarà per questo che leggo oltre il testo di Letizia questa cura e questa attenzione verso minuti, attimi, di sfuggita, osservati e poi oltre il tempo di già.
Direzione inversa Letizia Dimartino 2017 - Il seme bianco
"Caro diario, mio figlio vuole che io scriva un romanzo. Me lo dice ogni giorno al telefono mentre in metropolitana scorre la città e io sento la voce della signorina che scandisce le fermate e credo che sia vera e glielo chiedo e lui mi dice no ogni volta e io lo ripeto. Comunque io subito dopo penso che questo romanzo prima o poi dovrei scriverlo ma subito dopo me ne pento e gli telefono di nuovo e gli dico che non lo farò e lui insiste e insiste e dice che ho tutta la mia vita da scrivere e così poi ci facciamo i soldi perché la gente comprerà il libro. E io mi ostino e lui pure. E non finiamo più di dire no e sì. Fin quando ci stanchiamo e lui è arrivato alla fermata Loreto e io mi commuovo sempre e mi metto seduta sul letto e mi sento triste. Poi gli dico che il nonno suo voleva io dipingessi e ci sperdiamo nei ricordi e tutto diventa confuso e io il romanzo non lo faccio. Mai."
Inizia così Letizia Dimartino i suoi quadri
"Caro diario Quadri Ore Mio Padre Temi Direzione Inversa Un Foulard e un Cappotto Badanti Quei giorni Marta Grande In viaggio" lo dice anche "Tanti anni fa scrissi un romanzo. Ogni pomeriggio delle pagine. Erano complete e belle. Sì belle e ben scritte. In quel tempo stavo leggendo Kundera. Era estate. Lasciavo il suo libro e iniziavo il mio. Solo che era tutto nella mente, mai una parola sul foglio. E così l’ho perso, l’ombra del pomeriggio me la ricordo ancora, il letto dalle lenzuola fresche e la trama e tutto ciò che era diverso e inusuale. E l’ho perso, per sempre. Peccato. Non ricordo più neanche di cosa parlasse, forse di me in quadri singoli, c’era la mia prima casa, chi mi aveva amato. Forse sto rifacendolo il romanzo." Sonia Guido Marta e poi Milano, l'odore di Milano al mattino, Modica e le cicale, quadri, e tutto questo raccontato ora su un social, il lettone matrimoniale dei nostri genitori, il luogo del narrare senza tempo, con un tempo che si ferma. Immobile. Alle 15,05 penso di stare dentro un colore... Così il narrare di Letizia viene raccolto, viene fatto diventare narrazione universale e diventa quel tempo che non era stato. "Le ombre della controra, quando si stava sdraiati e tutto era fermo." Nasce così la narrazione dall'osservare il muro bianco, le ombre della controra, dal silenzio e dal tempo fermo nelle stanze sole ma abitate da un fermento senza fine.
Ippolita Luzzo
"Mi fermo e non faccio nulla. Non succede nulla. Non penso nulla. Ascolto lo scorrere del tempo. Questo è il tempo. Familiare e intimo. La sua rapina ci porta. Il precipitare di secondi, ore, anni ci lancia verso la vita, poi ci trascina verso il niente... Lo abitiamo come i pesci l’acqua. Il nostro essere è essere nel tempo. La sua nenia ci nutre, ci apre il mondo, ci turba, ci spaventa, ci culla. L’universo dipana il suo divenire trascinato dal tempo, secondo l’ordine del tempo."
Il caso mi porta a leggere nello stesso giorno L'ordine del tempo di Carlo Rovelli e il libro di Letizia Dimartino, suo esordio letterario. In entrambi il tempo scompare si appiattisce sugli avvenimenti. Il tempo è il cambiamento eppure il tempo sembra immobile. Nel modo inusuale di raccontare Letizia sembra mettere in opera i concetti del fisico teorico Carlo Rovelli. Così è il leggere nelle parole di Letizia, così il ritmo nel suo appoggiare quasi fatti, eventi minimi, successioni di momenti su un letto ben acconciato e sfogliando le fotografie del tempo. Lo ha fatto dapprima inconsapevolmente, lo ha fatto come si faceva un tempo nelle domeniche lunghe e senza storia, riprendere una per una le fotografie e su ognuna raccontare il tempo. Il tempo che non c'è.
Carlo Rovelli da fisico dimostrerà l'inesistenza del tempo se non nel cambiamento. C'è tempo dove c'è mutamento. Senza mutamento tempo non c'è.
Sarà per questo che io mi sento senza tempo, fuori dal tempo e sarà per questo che leggo oltre il testo di Letizia questa cura e questa attenzione verso minuti, attimi, di sfuggita, osservati e poi oltre il tempo di già.
Direzione inversa Letizia Dimartino 2017 - Il seme bianco
"Caro diario, mio figlio vuole che io scriva un romanzo. Me lo dice ogni giorno al telefono mentre in metropolitana scorre la città e io sento la voce della signorina che scandisce le fermate e credo che sia vera e glielo chiedo e lui mi dice no ogni volta e io lo ripeto. Comunque io subito dopo penso che questo romanzo prima o poi dovrei scriverlo ma subito dopo me ne pento e gli telefono di nuovo e gli dico che non lo farò e lui insiste e insiste e dice che ho tutta la mia vita da scrivere e così poi ci facciamo i soldi perché la gente comprerà il libro. E io mi ostino e lui pure. E non finiamo più di dire no e sì. Fin quando ci stanchiamo e lui è arrivato alla fermata Loreto e io mi commuovo sempre e mi metto seduta sul letto e mi sento triste. Poi gli dico che il nonno suo voleva io dipingessi e ci sperdiamo nei ricordi e tutto diventa confuso e io il romanzo non lo faccio. Mai."
Inizia così Letizia Dimartino i suoi quadri
"Caro diario Quadri Ore Mio Padre Temi Direzione Inversa Un Foulard e un Cappotto Badanti Quei giorni Marta Grande In viaggio" lo dice anche "Tanti anni fa scrissi un romanzo. Ogni pomeriggio delle pagine. Erano complete e belle. Sì belle e ben scritte. In quel tempo stavo leggendo Kundera. Era estate. Lasciavo il suo libro e iniziavo il mio. Solo che era tutto nella mente, mai una parola sul foglio. E così l’ho perso, l’ombra del pomeriggio me la ricordo ancora, il letto dalle lenzuola fresche e la trama e tutto ciò che era diverso e inusuale. E l’ho perso, per sempre. Peccato. Non ricordo più neanche di cosa parlasse, forse di me in quadri singoli, c’era la mia prima casa, chi mi aveva amato. Forse sto rifacendolo il romanzo." Sonia Guido Marta e poi Milano, l'odore di Milano al mattino, Modica e le cicale, quadri, e tutto questo raccontato ora su un social, il lettone matrimoniale dei nostri genitori, il luogo del narrare senza tempo, con un tempo che si ferma. Immobile. Alle 15,05 penso di stare dentro un colore... Così il narrare di Letizia viene raccolto, viene fatto diventare narrazione universale e diventa quel tempo che non era stato. "Le ombre della controra, quando si stava sdraiati e tutto era fermo." Nasce così la narrazione dall'osservare il muro bianco, le ombre della controra, dal silenzio e dal tempo fermo nelle stanze sole ma abitate da un fermento senza fine.
Ippolita Luzzo
lunedì 5 giugno 2017
Il pensiero minimo nel mio paesino ino ino ino
Il pensiero minimo è quel pensiero ridotto ai minimi termini del sì e del no, del buono e cattivo, del sei con me o sei contro di me. Un pensiero binario. Nel pensiero minimo due termini esistono, il bianco e nero, il vero e il falso, ragione e torto, amore e odio, amicizia o inimicizia, ti parlo e non ti parlo, lei parla male di me, io parlo male di lei.
Nel mio paesino ino ino ino oltre queste logiche non si va, una logica piegata anch'essa al pensiero minimo binario che attraversa relazioni e rapporti e si innalza altissimo fra noi.
In un mondo che non ci vuole più, cantava Lucio Battisti, respiriamo liberi io e te e la verità, beh la verità forse è meglio non dirla, la verità non esiste, sta nel fondo di un pozzo, scrisse Sciascia, e così il pensiero minimo verità non vuole.
Moltissimi cervelli con pensiero minimo vorrebbero però che fosse un'altro a farsi carico di dire una verità, non si sa perché, visto che non saprebbero cosa farsene. Il pensiero minimo non accetta le tante sfumature esistenti nei rapporti, nei giudizi, nelle parole, e non potrebbe mai vedere se il re è nudo oppure no.
Nell'infelicità mia di vivere in un così fatto paesino ino ino ino informo i leggenti che non mi sottoporrò al gioco innescato del facciamolo dire ad Ippolita ciò che noi non abbiamo il coraggio di dire. Abbiate voi tutti la forza e il coraggio di liberare i vostri pensieri anche soltanto per dire a me di ciò che ho scritto schifo vi fa.
Non mi interessa il mio paesino ino ino ino, lo guardo con grande benevolenza, e questa è come una crema di relazione che spalmerei su tutti il pensato locale e non. Pensiero minimo non vi sarà qui nel mio stato della Litweb ed io dal luogo dove mi trovo auguro che non vi appartenga mai più.
Nel mio paesino ino ino ino oltre queste logiche non si va, una logica piegata anch'essa al pensiero minimo binario che attraversa relazioni e rapporti e si innalza altissimo fra noi.
In un mondo che non ci vuole più, cantava Lucio Battisti, respiriamo liberi io e te e la verità, beh la verità forse è meglio non dirla, la verità non esiste, sta nel fondo di un pozzo, scrisse Sciascia, e così il pensiero minimo verità non vuole.
Moltissimi cervelli con pensiero minimo vorrebbero però che fosse un'altro a farsi carico di dire una verità, non si sa perché, visto che non saprebbero cosa farsene. Il pensiero minimo non accetta le tante sfumature esistenti nei rapporti, nei giudizi, nelle parole, e non potrebbe mai vedere se il re è nudo oppure no.
Nell'infelicità mia di vivere in un così fatto paesino ino ino ino informo i leggenti che non mi sottoporrò al gioco innescato del facciamolo dire ad Ippolita ciò che noi non abbiamo il coraggio di dire. Abbiate voi tutti la forza e il coraggio di liberare i vostri pensieri anche soltanto per dire a me di ciò che ho scritto schifo vi fa.
Non mi interessa il mio paesino ino ino ino, lo guardo con grande benevolenza, e questa è come una crema di relazione che spalmerei su tutti il pensato locale e non. Pensiero minimo non vi sarà qui nel mio stato della Litweb ed io dal luogo dove mi trovo auguro che non vi appartenga mai più.
Ippolita Luzzo
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