La rivoluzione delle libertà, al tempo della falsità.
La libertà di essere ubriachi,
la libertà di essere sgrammaticati,
la libertà di essere scurrili,
la libertà di andare denudati,
la libertà di essere scemi in capo.
Liberi, finalmente liberi, di dormire fino a mezzogiorno
Liberi, finalmente liberi, nelle tenebre, come Nosferatu.
Liberi
Liberi nei letti e nella sessualità, dicono...
Liberi dagli affetti e dalle amicizie, liberi dal rispetto
Liberi
Liberi, hanno conquistato le libertà di essere scemi.
Liberi
Liberi, finalmente liberi, di scrivere qualsiasi cavolata.
Liberi dalla fatica possono recitarla.
Liberi dal lavoro e dalle necessità, la regione li aiuterà.
Liberi, finalmente liberi, liberi dalla responsabilità di dire la verità.
Liberi dalla libertà possono dir vittoria con la birra in mano.
lunedì 30 maggio 2016
martedì 24 maggio 2016
Beat
Caro Beat, cantava Celentano nel 1967
mi piaci tanto,
sei forte perché hai portato
oltre alla musica
dei bellissimi colori
che danno una nota di allegria
in questo mondo pieno di nebbia.
O cambi nome.
O presto finirai.
Il fenomeno beat in Italia darà vita a tanti complessi e canzoni, L'Equipe 84 e i Dik Dik, e i Rokes di Ma che colpa abbiamo noi?
A me il movimento beat ora somiglia ai giambi di Archiloco, come lui i rappresentanti sono
individualisti, litigiosi, trasgressivi e anticonformisti. Con i caratteri satirici della poesia giambica: in spregio della morale del tempo, Archiloco afferma di aver gettato lo scudo ed essere fuggito per salvarsi la vita, ripromettendosi di comprarne uno nuovo: alla negazione dei topoi dell'ethos eroico, si affianca l'affermazione di una visione pragmatica tipica del lavoro mercenario. Rifiutò anche la καλοκἀγαθία (kalokagathia), sintesi tradizionale di bellezza e virtù.
I versi caratterizzati dallo ψόγος (biasimo) e dall'invettiva erano composti in metro giambico: per questo motivo con "poesia giambica"
Le invettive, in Archiloco, tendevano innanzitutto a denunciare aspetti deformi della realtà a lui contemporanea, criticando o deridendo persone e fatti non per distruggere, ma anzi per costruire e affermare quei principi e quei valori che erano o avrebbero dovuto essere condivisi da tutti
Tre passi avanti
e crolla il mondo Beat,
una meteora che fila e se ne va
ragazza svegliati.
Ehi, cosa fai,
mi lasci per andare con uno
che li mette nei guai.
Tre passi avanti
e sola resterai
in una nuvola di fumo
come il Beat
e sono certo che
rimpiangerai
i miei capelli corti
e questo amore nato con te.
mi piaci tanto,
sei forte perché hai portato
oltre alla musica
dei bellissimi colori
che danno una nota di allegria
in questo mondo pieno di nebbia.
O cambi nome.
O presto finirai.
Il fenomeno beat in Italia darà vita a tanti complessi e canzoni, L'Equipe 84 e i Dik Dik, e i Rokes di Ma che colpa abbiamo noi?
A me il movimento beat ora somiglia ai giambi di Archiloco, come lui i rappresentanti sono
individualisti, litigiosi, trasgressivi e anticonformisti. Con i caratteri satirici della poesia giambica: in spregio della morale del tempo, Archiloco afferma di aver gettato lo scudo ed essere fuggito per salvarsi la vita, ripromettendosi di comprarne uno nuovo: alla negazione dei topoi dell'ethos eroico, si affianca l'affermazione di una visione pragmatica tipica del lavoro mercenario. Rifiutò anche la καλοκἀγαθία (kalokagathia), sintesi tradizionale di bellezza e virtù.
I versi caratterizzati dallo ψόγος (biasimo) e dall'invettiva erano composti in metro giambico: per questo motivo con "poesia giambica"
Le invettive, in Archiloco, tendevano innanzitutto a denunciare aspetti deformi della realtà a lui contemporanea, criticando o deridendo persone e fatti non per distruggere, ma anzi per costruire e affermare quei principi e quei valori che erano o avrebbero dovuto essere condivisi da tutti
Tre passi avanti
e crolla il mondo Beat,
una meteora che fila e se ne va
ragazza svegliati.
Ehi, cosa fai,
mi lasci per andare con uno
che li mette nei guai.
Tre passi avanti
e sola resterai
in una nuvola di fumo
come il Beat
e sono certo che
rimpiangerai
i miei capelli corti
e questo amore nato con te.
La Cultura lallallà
strisciata di sabato 9 settembre 2017 al ritorno da raduno poetico. Pezzo nato nel 2016, sempre attuale.
La Cultura Lallallà, La Cultura Lallallà,
la Cultura Lallallà, a Lamezia Lallallà.
Cantandola ad alta voce al volante della panda, torno a casa ilare ed in musica.
La Cultura lallallà, ogni due parole una è cultura.
A Lamezia Lallallà.
Rivoluzione culturale sarà, il sindaco della città
sinergia culturale verrà,
e tutto un coro di lallallà.
Si canta a Lamezia cultura forever, in ogni locale,
si canta e si balla in giro per la città. Lallallà.
Si prega e si mangia, si scrive a Lamezia cultura che bela, che miagola e ruggisce, cultura squittisce, barrisce e finisce.
Cultura per giovani,vecchi e piccini, cultura per ogni colore di pelle, di palle, di pollo, cultura per ogni sapore di marcio, di insipido, di stantio.
La Cultura Lallallà La Cultura Lallallà La Cultura ci salverà.
Cantando e leggendo ci prendono in giro con stupidario di ogni stagione.
Lallallà i giovani sono il nostro futuro, lallallà lasciamo un messaggio ai nostri giovani, lallallà i giovani ci chiedono di chi è la colpa, lallallà lasciamo ai giovani noi adulti un mondo in sfacelo lallallà e allora tendiamo una mano ai giovani lallallà disse ieri sera una culturata signora ad una conferenza.
Lallallà il mondo che è qua, lallallà In giro per la città.
Analfabeti analfabeti analfabeti cantano cultura lallallà
il mondo è loro lallallà.
Un mondo ignorante.
A Lamezia lallallà
canta così.
Lallallà
Quelli che non cantano sono coloro che si accorgono della presa in giro e stanno zitti. zittissimi. Hanno perso il controllo del volante. Lallallà
Ippolita Luzzo
lunedì 23 maggio 2016
Vi dichiaro divorziati
A Paola, a Paola. Prendo il treno per Paola dove, invitata da Ada Cassano, potrò conoscere Nicola Vacca e l'avvocato Gassani. Relatore ed autore del libro Vi Dichiaro Divorziati.
Sono felice. Nel treno alcune ragazze suonano. Il viaggio dura un attimo e Nicola, in arancio e limone vitaminico, mi aspetta in stazione.
Da Ada, che mi sembra di conoscere da sempre, c'è il soffio degli ultimi preparativi, l'attenzione che tutto sia fatto per bene. Nicola è ora in abito blu e cravatta, io gli aggiusto il colletto della giacca, stringo la fibbia alle scarpe di Ada. Mi rendo utile, insomma.
Partiamo.
Siamo nel complesso monumentale di Sant'Agostino a Paola, in Calabria. Di origine medievale, dopo aver ospitato il convento agostiniano, è la sede del Comune di Paola, in attesa che si compia la ristrutturazione del Palazzo di Città. Arrivano in tanti. Tutti i posti sono occupati da persone di età diversa, transgenerazionale.
Arriva anche Martino Ciano, impegnato in riprese televisive non posso salutarlo. Lo fotografo.
Seduta accanto a Lella, amica di Ada dall'infanzia, io prendo appunti. E a lei chiedo informazioni su quel ragazzo, appena andato via dopo aver salutato con un In bocca al lupo i relatori al tavolo.
Il sindaco, lei mi dice. Io da subito adoro quest'uomo, che non si perde in mille cincischierie.
E tutti gli interventi seguono la mia impressione. Interventi mirati con relatori competenti, dalla moderatrice Marianna Famà
a Margherita Corriere e Teodora Tiziana Rizzo.
Nicola Vacca, critico letterario, presenta il libro di Gassani, parlando di lui come un artigiano. Fondatore dell'associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani, Gassani crede ad un diritto di famiglia come casa etica. Ciò che siamo e ciò che vogliamo è il diritto di famiglia. Un diritto di famiglia ancora da fare, in cui l'autore del libro rappresenta il suo dialogo interiore, il dubbio e la perplessità dell'uomo, nel dover usare un mezzo antiquato, le leggi, per una miriade di casi umani disparati. Si ferma, Nicola, sul termine sacro, un libro sacro, nel senso di libro vero, che si interroga sul dramma di situazioni difficili e sulla impossibile soluzione, molto spesso.
La solitudine dell'avvocato: queste le parole con cui inizia Gassani, riprendendo le parole di Nicola, su quella funzione sacra dello scrittore, dell'uomo avvocato, del rispetto dell'uomo.
Libro scritto per bloccare l'amarezza, per aiutare chiunque lo legga, siano semplici lettori che legislatori, a interpretare una società fluida, un cambiamento rapido di costumi, di usi, di opportunità, con l'unico punto fermo che ci rimanga: L'umanità.
Un diritto di famiglia antiquato, fermo a società immutabili, che sembra peggio di quello talebano, con un delitto d'onore assolto fino a pochi anni fa, con figli fuori dal matrimonio che non potevano avere il cognome del padre, con il rapimento della donna sanato col matrimonio, con le donne massacrate e uccise, dopo aver sporto una inutile denuncia di violenza.
Un luogo pericolosissimo la famiglia!
Nella raccolta delle varie storie c'è seduto accanto a lui il testimone di una storia terribile di inganni e mistificazione, di tribunali, Giorgio Ceccarelli.
Lo ascoltiamo stupefatti di quanto possa essere distruttiva la sete di vendetta.
Devo andare via, purtroppo ho il treno di ritorno, e il marito di Ada mi ricorda l'orario, non prima di aver appuntato l'ultima storia.
Gassani sta raccontando di un ragazzo, 19 anni, adottato ed ora in cerca della sua mamma. Per conoscerne il viso. Il regolamento per cui una donna lascia un bambino in adozione ad un ospedale contempla l'anonimato ed il ragazzo non potrà mai vedere il volto di chi lo ha generato. La legge protegge il riserbo della donna, eppure lascia nel vuoto quella domanda su "Chi siamo, da dove veniamo", ineludibile per ogni essere umano.
Nella strettoia fra legge e casi umani il varco della scrittura, la testimonianza che si fa grido, imperio, che chiede il rispetto per ognuno dei protagonisti di una storia chiamata Vita. Nella postfazione di Martinelli a noi tutti.
Sono felice. Nel treno alcune ragazze suonano. Il viaggio dura un attimo e Nicola, in arancio e limone vitaminico, mi aspetta in stazione.
Da Ada, che mi sembra di conoscere da sempre, c'è il soffio degli ultimi preparativi, l'attenzione che tutto sia fatto per bene. Nicola è ora in abito blu e cravatta, io gli aggiusto il colletto della giacca, stringo la fibbia alle scarpe di Ada. Mi rendo utile, insomma.
Partiamo.
Siamo nel complesso monumentale di Sant'Agostino a Paola, in Calabria. Di origine medievale, dopo aver ospitato il convento agostiniano, è la sede del Comune di Paola, in attesa che si compia la ristrutturazione del Palazzo di Città. Arrivano in tanti. Tutti i posti sono occupati da persone di età diversa, transgenerazionale.
Arriva anche Martino Ciano, impegnato in riprese televisive non posso salutarlo. Lo fotografo.
Seduta accanto a Lella, amica di Ada dall'infanzia, io prendo appunti. E a lei chiedo informazioni su quel ragazzo, appena andato via dopo aver salutato con un In bocca al lupo i relatori al tavolo.
Il sindaco, lei mi dice. Io da subito adoro quest'uomo, che non si perde in mille cincischierie.
E tutti gli interventi seguono la mia impressione. Interventi mirati con relatori competenti, dalla moderatrice Marianna Famà
a Margherita Corriere e Teodora Tiziana Rizzo.
Nicola Vacca, critico letterario, presenta il libro di Gassani, parlando di lui come un artigiano. Fondatore dell'associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani, Gassani crede ad un diritto di famiglia come casa etica. Ciò che siamo e ciò che vogliamo è il diritto di famiglia. Un diritto di famiglia ancora da fare, in cui l'autore del libro rappresenta il suo dialogo interiore, il dubbio e la perplessità dell'uomo, nel dover usare un mezzo antiquato, le leggi, per una miriade di casi umani disparati. Si ferma, Nicola, sul termine sacro, un libro sacro, nel senso di libro vero, che si interroga sul dramma di situazioni difficili e sulla impossibile soluzione, molto spesso.
La solitudine dell'avvocato: queste le parole con cui inizia Gassani, riprendendo le parole di Nicola, su quella funzione sacra dello scrittore, dell'uomo avvocato, del rispetto dell'uomo.
Libro scritto per bloccare l'amarezza, per aiutare chiunque lo legga, siano semplici lettori che legislatori, a interpretare una società fluida, un cambiamento rapido di costumi, di usi, di opportunità, con l'unico punto fermo che ci rimanga: L'umanità.
Un diritto di famiglia antiquato, fermo a società immutabili, che sembra peggio di quello talebano, con un delitto d'onore assolto fino a pochi anni fa, con figli fuori dal matrimonio che non potevano avere il cognome del padre, con il rapimento della donna sanato col matrimonio, con le donne massacrate e uccise, dopo aver sporto una inutile denuncia di violenza.
Un luogo pericolosissimo la famiglia!
Nella raccolta delle varie storie c'è seduto accanto a lui il testimone di una storia terribile di inganni e mistificazione, di tribunali, Giorgio Ceccarelli.
Lo ascoltiamo stupefatti di quanto possa essere distruttiva la sete di vendetta.
Devo andare via, purtroppo ho il treno di ritorno, e il marito di Ada mi ricorda l'orario, non prima di aver appuntato l'ultima storia.
Gassani sta raccontando di un ragazzo, 19 anni, adottato ed ora in cerca della sua mamma. Per conoscerne il viso. Il regolamento per cui una donna lascia un bambino in adozione ad un ospedale contempla l'anonimato ed il ragazzo non potrà mai vedere il volto di chi lo ha generato. La legge protegge il riserbo della donna, eppure lascia nel vuoto quella domanda su "Chi siamo, da dove veniamo", ineludibile per ogni essere umano.
Nella strettoia fra legge e casi umani il varco della scrittura, la testimonianza che si fa grido, imperio, che chiede il rispetto per ognuno dei protagonisti di una storia chiamata Vita. Nella postfazione di Martinelli a noi tutti.
sabato 21 maggio 2016
Gli ottimisti come carriera
Gli ottimisti come carriera non leggono i dati Istat.
Gli ottimisti come carriera non spulciano nei tribunali e nelle
sedi della cronaca giudiziaria.
Gli ottimisti come carriera dimenticano Alessandro Bozzo e
tutti i giornalisti seri maltrattati.
Gli ottimisti come carriera non vedono il disagio dei pochi
abitanti che si impegnerebbero volentieri se la burocrazia ed
il malgoverno lo permettesse.
Gli ottimisti come carriera però hanno trovato il loro foraggio,
i loro fondi e non vedono più.
Gli ottimisti come carriera non spulciano nei tribunali e nelle
sedi della cronaca giudiziaria.
Gli ottimisti come carriera dimenticano Alessandro Bozzo e
tutti i giornalisti seri maltrattati.
Gli ottimisti come carriera non vedono il disagio dei pochi
abitanti che si impegnerebbero volentieri se la burocrazia ed
il malgoverno lo permettesse.
Gli ottimisti come carriera però hanno trovato il loro foraggio,
i loro fondi e non vedono più.
giovedì 19 maggio 2016
La pazza gioia di Virzì e Archibugi
Nei titoli di cosa passano le persone consultate, in testa il nome del senatore Luigi Manconi, firmatario di una legge del 2015 che riguarda la tematica del film.
Passano psicoterapeuti e psichiatri, personale che lavorano in ASL fornendo servizio parallelo ai malati, in luoghi come Villa Biondi.
Una struttura, dove si accolgono degenti con problemi psichici, donata dai Morandini Valdirana, per tenerci la figlia, Beatrice, una donna che ha dilapidato il patrimonio per amore di un delinquente, una bugiarda e instabile, fragile e ingenua nello stesso tempo.
Una intera comunità terapeutica si stringe tollerante intorno ai capricci di Beatrice che, con ombrellino e scialle, ordina agli ammalati strampalate sue decisioni. Lei, con il suo agire, ha costretto la nobile famiglia a dover affittare una parte del proprio giardino al cinema italiano, e questo mi sembra il passaggio più divertente del film.
Altro personaggio è Donatella, con una storia complessa, un tentato omicidio del suo bambino e un tentato suicidio.
Le due donne, diversissime, troppo facilmente si intendono, vanno via dalla struttura, rubano una macchina, mangiano ad un ristorante lussuoso e fuggono senza pagare, poi si ritrovano fra figuranti di un film e scappano via su una macchina d'epoca alla maniera di Thelma e Louise.
Il film avrà avuto di sicuro buone intenzioni, avrà voluto mostrare la follia nel genere commedia, con operatori che vanno a trovare le fuggitive e le riaccolgono nel finale come le pecorelle smarrite tornate all'ovile, eppure non riesce a convincermi.
Un film non è sulla malattia mentale, oppure sul disagio, bensì è un film sulla bravura delle attrici, sulla amicizia, che a quanto pare solo i pazzi possono ancora praticare come vera.
Loro si fidano in due e questo mi sembra bello e folle.
Infatti altro momento che salvo nel film è quando Beatrice cerca notizie su Donatella per cercare di esserle utile, per dare quel senso alle cose e alla vita che amicizia può dare.
Per il resto il film poggia su una sceneggiatura manichea, le due donne, guardate con indulgenza, e gli uomini mostrati come inservibili, l'episodio di Donatella, che fa il bagno in mare con il figlio, è quanto di più improbabile possiamo immaginare. Un bimbo che al mare fa il bagno con una sconosciuta... mah
Ed il finale con la canzone di Gino Paoli, espediente per legare il tutto ad un cantautore amato, mi infastidisce ulteriormente.
Amo Virzì, ho amato Ovosodo e Il capitale Umano, qui mi sembra tutto una forzatura, altro che pazza gioia!
Il pazzo conformismo dei tempi odierni
Passano psicoterapeuti e psichiatri, personale che lavorano in ASL fornendo servizio parallelo ai malati, in luoghi come Villa Biondi.
Una struttura, dove si accolgono degenti con problemi psichici, donata dai Morandini Valdirana, per tenerci la figlia, Beatrice, una donna che ha dilapidato il patrimonio per amore di un delinquente, una bugiarda e instabile, fragile e ingenua nello stesso tempo.
Una intera comunità terapeutica si stringe tollerante intorno ai capricci di Beatrice che, con ombrellino e scialle, ordina agli ammalati strampalate sue decisioni. Lei, con il suo agire, ha costretto la nobile famiglia a dover affittare una parte del proprio giardino al cinema italiano, e questo mi sembra il passaggio più divertente del film.
Altro personaggio è Donatella, con una storia complessa, un tentato omicidio del suo bambino e un tentato suicidio.
Le due donne, diversissime, troppo facilmente si intendono, vanno via dalla struttura, rubano una macchina, mangiano ad un ristorante lussuoso e fuggono senza pagare, poi si ritrovano fra figuranti di un film e scappano via su una macchina d'epoca alla maniera di Thelma e Louise.
Il film avrà avuto di sicuro buone intenzioni, avrà voluto mostrare la follia nel genere commedia, con operatori che vanno a trovare le fuggitive e le riaccolgono nel finale come le pecorelle smarrite tornate all'ovile, eppure non riesce a convincermi.
Un film non è sulla malattia mentale, oppure sul disagio, bensì è un film sulla bravura delle attrici, sulla amicizia, che a quanto pare solo i pazzi possono ancora praticare come vera.
Loro si fidano in due e questo mi sembra bello e folle.
Infatti altro momento che salvo nel film è quando Beatrice cerca notizie su Donatella per cercare di esserle utile, per dare quel senso alle cose e alla vita che amicizia può dare.
Per il resto il film poggia su una sceneggiatura manichea, le due donne, guardate con indulgenza, e gli uomini mostrati come inservibili, l'episodio di Donatella, che fa il bagno in mare con il figlio, è quanto di più improbabile possiamo immaginare. Un bimbo che al mare fa il bagno con una sconosciuta... mah
Ed il finale con la canzone di Gino Paoli, espediente per legare il tutto ad un cantautore amato, mi infastidisce ulteriormente.
Amo Virzì, ho amato Ovosodo e Il capitale Umano, qui mi sembra tutto una forzatura, altro che pazza gioia!
Il pazzo conformismo dei tempi odierni
mercoledì 18 maggio 2016
Valentina Di Cesare e Antonio Calabrò
Marta La Sarta e Chiudi E Vai i due libri di racconti mi giungono per posta quasi nella stessa settimana, sembrano fratelli, amici d'infanzia che si scambiano i personaggi incontrati e fatti vivere sul foglio del loro immaginario.
" Raccontare è una cosa seria, talmente seria e complessa che sempre più spesso le moltitudini depredate dalla propria umanità, la descrivono invece come un affare da niente, adatto solo agli sfaccendati senza rigore e agli inoperosi senza giudizio. Nel caso specifico Marta aveva solamente paura"
Marta è una merciaia e raccoglie i segreti. Vero, Valentina?
Antonio Calabrò è "un capotreno esistenziale che vaga di stazione in stazione come ha vagato nella vita, sempre cercando di afferrare le redini della comprensione, sempre vedendosele sfuggire proprio quando sembravano salde e sicure. Il suo lavoro è un'allegoria della vita, un lungo viaggio che vale la pena compiere anche se si è in galleria o se il sole brucia nella stazione di Rosarno, crocevia dei popoli dell'era moderna"
Valentina Di Cesare è al suo esordio, Antonio invece scrive da tempo. Articoli su articoli, scrive come vive, su un treno, inventa la rassegna Calabria D'Autore e trasmette da Radio Antenna Fabea.
Vi vedo entrambi qui, seduti a chiacchierare al mio tavolo, con tutte le storie che vogliono nascere, con i vostri incontri e le storie che raccogliete, con la nonna Bice che profuma di borotalco fra i seni, con il signor Vincenzo Scali che compie 105 anni sulla costa Jonica.
"Racconta chi sei" era il primo tema dell'anno.
Sorrido dietro al banco della merceria Pizzetti, con Marta, da ventitré anni puntuale commessa della merceria, sorrido sul treno di Antonio che mi chiede il biglietto per Reggio Calabria. Siamo insieme sul treno con Valentina Di Cesare e ci raccontiamo storie di ricordi "perché i ricordi tengono unite le cose come fanno i bottoni con le parti opposte di una camicia"
E con Antonio siamo tutti passeggeri.
"Un agente treno" ma chiamatemi Capo. Il Capo le fermate le conosce a memoria. Uno dietro l'altra. Si arriva al termine della corsa e si rimbalza. Una pausa di venticinque minuti e si torna indietro. La potenza della letteratura non smetterà mai di sorprenderci."
Ogni persona ha per Antonio un suo luogo letterario da abitare, esce da un libro per viaggiare con lui, così incontra l'Ultimo dei Mohicani, le carrozze sanno di Far West e il macchinista si chiama Placa, scrittore a tempo perso come tutti.
Nel nostro scrivere come relazione prendiamo per mano tutti i personaggi e con la voce squillante di Valentina che, al telefono, scappa per mettersi a scrivere, per far uscire dai suoi tasti, dalla penna, tanti e tanti altri personaggi, e con il fischio di Antonio, basta un fischio per far scattare la vitalità in ognuno di noi.
Chiudi e vai, si parte, si va a trovare Marta La Sarta, Antonio? Ne sono sicura. Andremo insieme dal balcone sullo Stretto.
28 ottobre 2017
Eppure ero convinta che avremo ospitato Marta la Sarta! Avremo Marta la Sarta! La attendiamo qui, a Lamezia Terme, magari a scuola!
E domani 29 Ottobre al Cine Teatro Metropolitano di Reggio Calabria andrà in scena il reading con il commento fotografico di Antonio Calabrò. Il libro ora editato e ristampato dalla Casa Editrice Città Del Sole. Telepatia magica stamani.
Ippolita Luzzo
" Raccontare è una cosa seria, talmente seria e complessa che sempre più spesso le moltitudini depredate dalla propria umanità, la descrivono invece come un affare da niente, adatto solo agli sfaccendati senza rigore e agli inoperosi senza giudizio. Nel caso specifico Marta aveva solamente paura"
Marta è una merciaia e raccoglie i segreti. Vero, Valentina?
Antonio Calabrò è "un capotreno esistenziale che vaga di stazione in stazione come ha vagato nella vita, sempre cercando di afferrare le redini della comprensione, sempre vedendosele sfuggire proprio quando sembravano salde e sicure. Il suo lavoro è un'allegoria della vita, un lungo viaggio che vale la pena compiere anche se si è in galleria o se il sole brucia nella stazione di Rosarno, crocevia dei popoli dell'era moderna"
Valentina Di Cesare è al suo esordio, Antonio invece scrive da tempo. Articoli su articoli, scrive come vive, su un treno, inventa la rassegna Calabria D'Autore e trasmette da Radio Antenna Fabea.
Vi vedo entrambi qui, seduti a chiacchierare al mio tavolo, con tutte le storie che vogliono nascere, con i vostri incontri e le storie che raccogliete, con la nonna Bice che profuma di borotalco fra i seni, con il signor Vincenzo Scali che compie 105 anni sulla costa Jonica.
"Racconta chi sei" era il primo tema dell'anno.
Sorrido dietro al banco della merceria Pizzetti, con Marta, da ventitré anni puntuale commessa della merceria, sorrido sul treno di Antonio che mi chiede il biglietto per Reggio Calabria. Siamo insieme sul treno con Valentina Di Cesare e ci raccontiamo storie di ricordi "perché i ricordi tengono unite le cose come fanno i bottoni con le parti opposte di una camicia"
E con Antonio siamo tutti passeggeri.
"Un agente treno" ma chiamatemi Capo. Il Capo le fermate le conosce a memoria. Uno dietro l'altra. Si arriva al termine della corsa e si rimbalza. Una pausa di venticinque minuti e si torna indietro. La potenza della letteratura non smetterà mai di sorprenderci."
Ogni persona ha per Antonio un suo luogo letterario da abitare, esce da un libro per viaggiare con lui, così incontra l'Ultimo dei Mohicani, le carrozze sanno di Far West e il macchinista si chiama Placa, scrittore a tempo perso come tutti.
Nel nostro scrivere come relazione prendiamo per mano tutti i personaggi e con la voce squillante di Valentina che, al telefono, scappa per mettersi a scrivere, per far uscire dai suoi tasti, dalla penna, tanti e tanti altri personaggi, e con il fischio di Antonio, basta un fischio per far scattare la vitalità in ognuno di noi.
Chiudi e vai, si parte, si va a trovare Marta La Sarta, Antonio? Ne sono sicura. Andremo insieme dal balcone sullo Stretto.
28 ottobre 2017
Eppure ero convinta che avremo ospitato Marta la Sarta! Avremo Marta la Sarta! La attendiamo qui, a Lamezia Terme, magari a scuola!
E domani 29 Ottobre al Cine Teatro Metropolitano di Reggio Calabria andrà in scena il reading con il commento fotografico di Antonio Calabrò. Il libro ora editato e ristampato dalla Casa Editrice Città Del Sole. Telepatia magica stamani.
Ippolita Luzzo
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