martedì 29 marzo 2016

Leggo

Leggo negli occhi, nei gesti, nei vestiti, leggo il romanzo che non fu scritto mai.
Leggo da voi, nei vostri messaggi, nelle confidenze, nel silenzio di tutti.
Leggo al di là del vostro vestito, della professione, della famiglia e dell'età.
Leggo e poi chiudo con un sospiro, con rassegnazione, quel libro che scriver non so.
Certo potrei, se mi impegnassi, scriver di quello che ho letto in giro, nelle giornate della pasquetta, nel martedì del carnevale, nel giovedì del capodanno, nel venerdì di ferragosto.
Sarebbe un bel libro in bianco, con frasi e risate, quante risate!, su chi non è presente quel dì, sul parlare e mangiare tanto per fare una bella festa.
Leggo e continuo su quella pagina a fermare il dito, a prender matita e a sottolineare quel verso, quella risata che, all'improvviso, mi appare di scherno su chi la legge e su chi la fa.  
Leggere è quell'azione che non si vede, leggere non è come il parlare, il camminare, oppure il mangiare. 
Puoi leggere tranquilla ogni persona senza che lei si accorga di niente, puoi fare i tuoi appunti, puoi metter le orecchie a quel suo libro, in ogni momento. 
Infatti lo faccio e non mi diverte sgualcire il libro della vostra esistenza.
Mi sto di lato, sto in un canto a leggere soltanto una pagina scritta.
Quella che scrivono i veri autori  

venerdì 25 marzo 2016

Una Via Crucis Continua


Sembrano tante le stazioni che con la croce sulle spalle pellegrini e fedeli stiano facendo stamattina. Più del consueto. Le 15 Stazioni della Via Crucis cominciano davanti al Sinedrio dove Gesù è condannato a morte. Ed il volto di Gesù stamattina è il viso di Giulio Regeni, torturato in Egitto dai servizi segreti per farlo parlare, per sapere da lui qualche verità. Gli avranno chiesto chi lui fosse, cosa sapesse, quali documenti avesse in mano, e nel chiedere gli toglievano le unghie ad una ad una. Ho letto pochissimo sulle torture inflitte, ho letto pochissimo, eppure stamattina Giulio Regeni con il volto di Gesù mi racconta la sua stazione, con la Croce sulle spalle.
Seconda stazione. 
Dopo averlo schernito, i soldati spogliarono Gesù della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo. 
Dice Gesù: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua". 
Seconda stazione.
La croce, simbolo di umiliazione, di scherno e di uomini in mano ad aguzzini, mi porta nelle stanza di Foffo e Prato, questi due che seviziano Varani, lo uccidono perché lui grida, ci mette troppo a morire, nella terza stazione lui cade sotto la croce. 
Nel cammino verso il Calvario Gesù incontra il Cireneo, la Veronica che asciuga il suo volto e Gesù cade la seconda e la terza volta accorgendosi che molti godono della sua caduta. Come i tanti commentatori insulsi godono nell'avere carne fresca dilaniata ogni mattina per riempire i loro talk show senza nessun rispetto.

 Le nostre stazioni quotidiani continuano così, nei vestiti stracciati dei morti in Siria, nei barconi capovolti in un mare sempre più tomba, nello sguardo sbrecciato delle nostre vie deturpate, stanno qui  tutte le stazioni di un dolore senza fine. Esplosioni di un malessere voluto da concentrazioni di interessi a noi sconosciuti. Noi vediamo solo il sangue, la Via Crucis continua senza una Resurrezione.

Quel che mi dispiace è che Regeni non possa resuscitare. Quel che mi dispiace è che dopo tre giorni non possano resuscitare le tante persone uccise e annegate in ogni luogo di questo mondo crudele. Quel che mi dispiace rimane una preghiera silenziosa. Una Via Crucis continua


martedì 22 marzo 2016

The Final XXI Sec Paolo Zardi Romasecretstore

Auguri al libro che compie un anno. XXI Secolo di Paolo Zardi
Auguri cari con mio pezzo in regalo. Non potendo essere a Roma a The Final XXI Sec- Romasecretstore- organizzato da Satellite Libri, sarà come esserci con un post. 

" Il giorno in cui trovò il telefono" forse il titolo sarebbe stato questo se l'urgenza di universalizzare a tutto un secolo la mutevolezza e la distanza fra pulsioni e realtà non avesse avuto la meglio. Quindi il particulare, la vicenda di Eleonore, in coma, e del marito, che trovò il suo telefono e vide nella memoria centinaia di foto salvate, e l'universale, il mondo intorno che erutta croste e cacche di cani, al guinzaglio di imbecilli, questi due elementi si incontrano e animano il romanzo nella mente di un venditore di filtri per l'osmosi inversa. Un depuratore. Il protagonista è un uomo di quarantacinque anni, padre di due figli, sposato, con mamma ottantenne, sorella e cognato, ed una moglie in coma.
Intorno tutto sbrecciato; "nel momento in cui la sua vita si era trasformata in una lunga, macchinosa indagine" nessun poliziesco lo aiuterà a trovare risposta ai suoi dubbi. Lo soccorrerà l'infanzia, la ricerca di luoghi abitati da Eleonore, con segni tali da aprire un pianeta sconosciuto. E Poi? 
Sconosciuti. Con una scrittura essenziale e con un tono narrativo sempre teso, seguiamo il marito alla ricerca di rapporti amicali, intrattenuti dalla moglie. Rapporti con sconosciute, per lui. Ci siamo interrogate, un giorno, con mia sorella, su cosa sapessimo una dell'altra, oltre ai legami familiari. Era pochissimo, eppure viviamo a cinquanta metri di distanza. Così per tutti, ed il libro chiede una seria e composta riflessione su affetti, attenzioni e rispetto di identità e scelte. Dove vogliamo e con cosa vogliamo riempire un vuoto che il secolo in corso ci mostra con una crudezza impietosa. 
Nel coma di un secolo che stenta a vivere con dignità ci sta la tragica coscienza di essere, come individui, preda  di  inconfessabili verità. Nel film recente anche  Paolo Genovese, regista, nel  sottotitolo di Perfetti sconosciuti ha usato una frase di Marquez: "Ognuno di noi ha tre vite, una vita privata , una vita pubblica e una vita segreta" continuando  "C'è in tutti noi una parte inconfessabile, qualcosa di noi che non vogliamo far conoscere agli altri, e oggi questa parte passa attraverso i cellulari." Sembra lo stesso dialogo che si faceva un anno fa Paolo Zardi nel dare a noi lettori il suo romanzo da leggere. Un altro titolo di un libro di Zardi " Il giorno che diventammo umani" sembra essere il perfetto sigillo di chiusura del libro XXI secolo, con l'augurio che libri così possano sempre trovare lo spazio per giungere nel particulare delle case di ognuno di noi.  

sabato 19 marzo 2016

Veronica Montanino al Marca. Paint it black

Al Marca con Veronica Montanino Paint it black

Senza confini se non lo smalto, la vernice lucida e nera che cola uniforme su tutto. Entriamo nel mondo nero, nerissimo di Veronica, La canna da pesca e l'amo, in evidenza, i tubi, i salvagenti, l'ombrello, e sembra che il mondo sia tutto nero come nella famosa canzone dei Rolling Stones
poi andiamo oltre, senza confini, nel colore che rutilante ci accoglie nelle altre sale e giungiamo al suo video, alle stanze dei bottoni di un potere che colorare ci può, tanto, troppo, per far diventare tutto nero. 

Una scatola di bottoni in una merceria coloratissima. Molte scatole di bottoni rovesciate su un piano smaltato e lucido. 
Tantissimi smarties sui volti dei bambini al cioccolato, sui corpi spennellati per essere preparati al sacrificio del rito. Era così un tempo il colorare i visi, i corpi, nel sacro offrire al Dio un corpo disegnato. 

Entriamo nella stanza dei giochi, nella festa di compleanno dei tanti adolescenti, nelle bamboline messe in ordine in una ciotola,
nel telefono e nel braciere in rosa fucsia dei tantissimi blog letterari, nel cerchio e nelle spirali, nelle torte e nei piatti su tavole sempre più smaltate. Antologia di segni. Insieme alla soffitta che, svuotata dai mille oggetti, sta qui colorata, come pavimento.
Il trionfo del non color. Oltre il color.
La profusione dello smalto, della vernice, mi ricorda le unghie super lavorate che donne in nero mostrano ad ogni cerimonia. Il troppo raggiunge il nero e così mi si svela forse il gioco dell'artista nel mettere il nero in prima pagina. Dal titolo dei giornali della cronaca. Sbatti il mostro in prima pagina.
" Vedete?" Sembra ci dica Veronica, " Il mondo è tutto nero, sempre. Con il gioco dei colori poi possiamo spennellare e divertirci sia sui corpi che sui luoghi per prepararci al nulla. Perché festa non ci sarà."
E nessuna letizia giunge da quei colori, nessuna liberazione, nessuna voglia di combattere. Sazi e scontenti.
Alan Jones, newyorchese, scrittore, critico e curatore di mostre d’arte, uno dei massimi conoscitori della scena della Pop Art, questa sera con noi parla di fantasia, di fantasmagoria e poi lancia la provocazione che l'arte vada cercata nelle osterie, perché nei musei, l'arte non è più arte è ideologia. 

Mi soccorre Pessoa stamattina e con lui un grazie infinito ad Antonio Pujia Veneziano che, strappandomi alla monotonia della mia esistenza, ieri sera mi portò al Marca, regalandomi una bellissimo incidente, non di certo insignificante.
Alan Jones nelle presentazioni gli disse:" Veneziano? Stamattina ero con i veneziani a Venezia e stasera sono con un Veneziano." Sorridendo della coincidenza con noi.
Evviva l'amore per l'arte che ci unisce e che ci meraviglia.  
Saggio è colui che rende monotona l’esistenza, poiché in questo modo ogni incidente insignificante offre il privilegio della meraviglia
Fernando Pessoa

giovedì 17 marzo 2016

Il libro passerà di moda

Passerà questa moda di pubblicare un libro per raccontare la nostra infanzia, adolescenza e maturità.
Passerà la moda di scrivere del nonno morto, dello zio, del marito, della moglie e del figlio, sono morti tutti. 
Passerà la moda di raccontare al mondo la nostra separazione dal primo matrimonio, dal secondo e via
Passerà, cara signora, come sono passate le mode di possedere e farsi regalare una pelliccia dopo essere state cornificate.
 Passerà, cara ragazza, come passarono i canti della rivoluzione, la democrazia e il voto
passerà, caro signore, come si perse l'abitudine del pranzo domenicale dai suoceri, come passano tutte le mode, compresa quella di declamare versi e pubblicarne i libri, di parlare con gli astanti accomodati.
Passerà la moda di sventolare il premio ottenuto al festival di Pincopalla e ben riportato sulle pagine locali del giornale cittadino, regionale, con il titolone del giornalista più vicino, sia un cugino, un parente del parente.
Passerà questo elemosinare un riconoscimento, perché non sarà più di moda il titolo di scrittore, scrittrice, poeta, poetessa, autore, autrice, esordiente, capolavoro, eccellenza nel mestiere. 
Passerà di moda riunire le associazioni, doppie, triple e quadruple, intorno al desco di Santa madre libro, divenne madre il  libro, nel cambiamento dei ruoli sempre ben codificato dal nuovo letterario che finirà.
Finirà, me lo ripeto come un mantra, finirà il mio libro.it, anobi, le recensioni a comando, e ogni altra editoria a pagamento, perché non tutti quelli che pubblicano a pagamento sono Dino Campana, Calogero e Chissacchì.
Passerà la moda di ogni cantante, ogni presentatore, ogni cuoco, ogni prestigiatore, ogni attore con il libro scritto da chi non si sa.
Resterà il piacere di leggere un bel libro, senza la smania di pubblicarne uno, dieci, cento, mille.
Resterà il gusto di capire se un libro è scritto bene, se è scritto male, se ne sentiamo il suono, il ritmo, se sorridiamo leggendo, se ci fa compagnia, se è un libro onesto e ci libera dal nostro fastidio quotidiano. 
Vedrete passerà questa moda  come scomparvero i fotoromanzi, il principe azzurro, la cabina telefonica e il forno a legna. 
Questa moda finirà, care signore, e tornerete a fare centrini, come disse una mia amica all'uditorio, quella volta, e tornerete a fare bricolage, cari signori, e tornerete a fare torte e pizze, e poi la sera prenderete in mano un libro vero e leggerete. Oh Leggerete! Perché leggere tornerà di moda

mercoledì 16 marzo 2016

Sul Soffitto Éric Chevillard



Evviva la sedia e chi la inventò. Evviva la sedia e le persone sedute, nelle chiese, nelle scuole, negli uffici. Una civiltà seduta. Seduta alle tante presentazioni di libri. Umani seduti che sembrano tutt'uno con la sedia, ho sempre pensato, mentre sulle sedie io mi agito, faccio movimenti circolari, manifesto il mio disappunto oppure il mio entusiasmo.  Leggo "Sul soffitto" segnalato da un amico molto caro, lo leggo da ieri sera. Non è un racconto lungo,144 pagine, eppure sono pagine che voglio rileggere e gustare come se fossi io ad averle scritte. La storia comincia con una riflessione sul colore grigio, un colore che è invisibile, tanto da farci dire di un uomo spento un uomo grigio.  Ed invece non è così: "rimane il pregiudizio secondo cui il grigio sarebbe la più sottile manifestazione del visibile, ciò che si distingue appena dal nulla o se ne avvicina di più, un pregiudizio così tenace, d'altronde, che ha finito con l’accecare per davvero i popoli: quanti uomini e quante donne restano giorni, mesi, anni interi senza vedere un elefante, né un ippopotamo, come se bestie talmente imponenti fossero veramente diventate impercettibili per loro? Oggi, la sensibilità al grigio caratterizza alcuni rari esteti che possiedono un’anima da musicista. Loro lo sanno, esistono tante sfumature di grigio quanti colori schietti, ogni sua sfumatura corrisponde precisamente a uno di quei colori di cui esprime tutti i valori, solo con maggiore delicatezza e finezza, con un’esattezza e una purezza assolute."
Mentre si  racconta la stranezza del protagonista che non può fare a meno di una sedia sulla testa, seguiamo i pensieri e le difficoltà di passare sotto le porte, di infilare vestiti, di andare in giro senza voler e poter cedere la sedia ad una vecchia signora. Intanto che i pensieri diventano universali, sui gruppi, sulle necessità di alcune minoranze, sul chiedere o meno che della diversità se ne occupino architetti, stilisti, esperti vari, ci viene da sorridere sulle nostre difficoltà a stare in mezzo agli altri. Tutti diversi con o senza sedia. Tutti bisognosi di aiuto, eppure tutti pronti ad essere falsamente caritatevoli verso altri ancora, individuati come soggetti a parte, e donando loro quello che non serve.Ah la carità! La carità pelosa! diceva la mia mamma. Basterebbe solo rialzare i soffitti. 
L'uomo con la sedia in testa ha una fidanzata, Méline, vive in un cantiere in disuso di una  biblioteca mai terminata " ma questa in realtà è un’opera del vicino Kolski" una opera simbolo di una civiltà disgustata. Con altri vicini di casa: La signora Stempf, Malton e Lanson, Topouria, Kolski, gli altri alloggi sono tutt'ora disponibili.Volete trasferirvi? Io chiedo asilo. 
Nel voler sfuggire alla noia la signora Stempf racconta la storia del principe ranocchio e del bacio ai suoi piccoli mai partoriti, perché incompleti
Sorridendo leggo le immagini che non vi racconterò. Ognuno di noi dovrà trovare il sortilegio da disinnescare, ognuno di noi dovrà fermarsi e tornare indietro nella lettura. Mentre leggo, le mie due sedie, in cantina, aspettano di essere impagliate, nello stesso modo della sedia in testa, rovesciata.
"Applichiamoci per prima cosa a risolvere dei modesti enigmi se auspichiamo di svelare infine i misteri della nostra propria condizione" Intanto Kolski si fa la doccia. Ma come? Non doveva lavarsi mai più? Non doveva fare arte del suo odore puzzolente? Questo domanderò allo scrittore se mai lo incontrerò. Un applauso al surreale che ci appartiene, al mondo rovesciato, al viaggio ludico e sferzante del Luciano di  Samosata dei nostri giorni.   
La traduzione di Gianmaria Finardi tiene il gioco fin quaggiù, dalla Francia allo stivale italico. Una musica per noi. «Quel che funziona sulla carta,per me, ha sempre costituitola sola realtà possibile.»  Éric Chevillard 

 Ippolita Luzzo 

martedì 15 marzo 2016

Una ragione di più: La ragione dell'informale

Sai c'è una ragione di più per dirti che vado via, cantava Ornella Vanoni, e porto anche con me la tua malinconia, continuava il testo di Califano e Reitano ed io stamani la sento in testa con altre canzoni e fra queste 
Una ragione vera non c'è... della  Formula tre su testi di Mogol Battisti.
"Ma che disperazione nasce da una distrazione era un gioco non era un fuoco.
Nelle canzoni la ragione ha un bel dire, la ragione ci chiede un comportamento, una azione, una scelta.
Alberto Badolato sceglie proprio questa ragione per dare il titolo alla mostra ancora in corso da Be Cause a Lamezia Terme. La Ragione dell'Informale. 

Avevo in testa anche un'altra canzone, che ora si perse nel tragitto dalla cucina al computer, per appuntare le mie suggestioni sui quadri e sull'incontro tra amici che avverrà nella stessa galleria Be Cause giovedì 17 Marzo alle ore 18, una chiacchierata amichevole sul tema della Ragione, sul tema dell'Informale nei quadri di Alberto.
Intanto la scelta che l'artista fa dei materiali; carta da parati, sacchi di canapa, gesso, foglia d'oro, corda, stucco. Colori Colori, Colori a volontà, perché è il colore la ragione di tutto il dipingere, quand'anche fosse un semplice bianco. 
Alberto mi dice che uno dei suoi quadri più ammirati è quello bianco, bianco e viso insieme, secondo Mario Maruca, attore e regista. Lui, guardandolo, vide un bianco riflettente il viso di una donna. Un bianco che ridona ai fruitori una soddisfazione tale da far dire: Mi piace.

Sono tanti i colori che, informali, ci attendono, appesi in un bianco pulito, lungo le pareti della galleria. Una galleria da sembrare una stazione di treni con gli orari e i tabelloni di arrivi e partenze sulle pareti  all'ingresso e alla fine il saluto. Il saluto del colore. 
Mi sono imposta di non cercare forme nei colori appesi, altrimenti, mi ha spiegato Alberto Badolato, sarebbe quasi un fallimento, per l'arte, se nell'informale  noi vediamo  una forma, e vogliamo trasformare quel verde in una caverna di Platone,
oppure nell'orecchio di Dionisio, quel rosso caldo nei divani Frau,


quel giallo oro  nei capelli  platino di Marilyn Monroe. 

Giovedì saremo quindi immersi nei colori che gioia e sapore danno alla vita, dal piatto fumante del rosso pomodoro al golfino viola, dalla gestualità colorata dell'artista alla  materia lavorata  per donarci informale.
Una ragione vera non c'è
Un tuffo dove l'acqua è più blu, niente di più