Il carnevale va va va
Il carnevale va va va
finisce male va va va
e questa maschera ormai
non serve piuuu'
Agli aeroporti di Roma, a Fiumicino, ci sta la segnalazione del carnevale di Lamezia terme, dice un sindaco, orgoglioso dei carri in cartapesta che da anni gridano dal corso cittadino una festa di pupazzi mascherati.
Il carnevale di Caterina Caselli.
Scendo sul corso e vedo due adulti, uno mette coriandoli in testa all'altro, dalla fisionomia dei due e dai gesti potrebbero con la stessa disinvoltura piantarsi una pallottola in testa.
Un corso cittadino sempre sporco perché non esistono più gli spazzini, non esiste più la macchina con spazzola rotante che lavava le vie della città.
Cacche di cane e piscio umano sono i profumi di una Multiservizi in coma. Un grande apparato amministrativo per non pulire più le strade della città.
Il carnevale come il capodanno lasceranno il vomito per giorni e giorni.
Intanto la televisione si lancia, con Domenica in, nel tema dell'amore. Salvo Sottile con Paola Perego affrontano con sciatteria l'argomento alludendo solo ad un atto meccanico, di pillole blu oppure rosa, e al possesso di un altro essere, come esibizione di potenza. Non mi meraviglia poi che ci siano in giro tanti atti di perversione e di cronaca nera legati a questo amore così stupido. Una carnevalata.
In piazza San Pietro a Roma, Padre Leopoldo esposto morto con Padre Pio morto. Due morti in piazza esposti all'idolatria dei fedeli, due morti, che sarebbero scappati se avessero potuto. Un anno Santo meno santo di questo non lo avremmo mai immaginato. Un giubileo simile a quello che ebbe Martin Lutero.
Una carnevalata.
Non c'è scampo a questi tempi orrendi nemmeno scrivendo il nostro sdegno.
Mi giunge notizia che sul carro carnevalesco salì questo anno il sindaco per arringare le folle vestite in maschera, vanificando col suo gesto quel che era la festa del carnevale: i giorni in cui si poteva irridere il potere.
Ora è il potere che sale sul carro
tanto e' sempre carnevale
per chi non ha
le spine dentro al cuore
il carnevale va va va
finisce male va va va
e questa maschera ormai
non serve piuuu'
domenica 7 febbraio 2016
venerdì 5 febbraio 2016
Ci vorrebbero moltissime come Angela e Chris
Ieri sera Angela Lupia Palmieri organizza in Biblioteca l'incontro con Chris Kalenge
Il libro di Chris, presentato dal professore Franco Ciriaco che ha dato i riferimenti storici e geografici entro cui la vicenda umana dell'autore e del suo paese si svolgeva, è una testimonianza di guerra, di esilio, di viaggio, di spostamenti fisici e psichici.
Una testimonianza di studi, di opportunità che travolgono qualsiasi guerra e fanno diventare la vita di Chris quasi una missione. Far sapere a tutti come sia stata e come sia la tragedia del Ruanda, del Congo, del Burundi, la tragedia di guerre continue alimentate da associazioni di guerriglieri. Da Mobutu a noi, dai confini artificiali delimitati a tavolino da penne di colonizzatori del Belgio, della Francia, dell'Inghilterra, degli Stati Uniti che aiutarono un tiranno ad insediarsi, la terra insanguinata da troppe armi sta.
"La mia Africa" era per i colonizzatori. "Congo" di Michael Crichton
Armi e malattie. Danni ingenti della guerra su uomini e sulla terra.
Dal film "Hotel Ruanda" che riavvolge la pellicola al video che fa vedere Chris stasera, la tensione di svelare a tutti quanta sia grande l'ingiustizia e la sofferenza di un intero continente. Il continente madre. Dall'Africa dove nasciamo tutti.
Dall'impegno di Angela e di Chris la speranza che il bene possa un giorno affermarsi, che il loro sorriso e la loro fermezza possano raggiungere i luoghi dove si decidono i destini di moltissimi.
Angela ha scelto studi di antropologia che l'hanno portata in Sierra Leone al tempo dell'Ebola.
Chris ha fatto studi di ingegneria e ora dopo un tirocinio presso l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni a Bruxelles nel 2010, ed aver lavorato come tutor accademico allo IUSS fino al 2014, dal 2012 organizza conferenze sulle crisi umanitarie nella regione dei Grandi Laghi in Africa.
giovedì 4 febbraio 2016
Uniter con Tiziana Iaquinta
Uniter ieri sera, mercoledì 3 febbraio 2016, con Tiziana Iaquinta arrivata da Cosenza a bordo di un monovolume bianco. Bellissimo mezzo che io scorto con mia panda viola fino alla Casa Del Sacerdote, sede dell'Uniter.
L'aspettano in tanti.
Più che lezione Tiziana fa una conversazione di alto livello e nello stesso tempo umana ed avvolge l'uditorio in un unico corale sentire.
I soci erano estasiati, nessuno si alzò per allontanarsi, anzi, alla fine non volevano più andare via abbracciati dalle parole di Tiziana.
Eppure erano state, le sue, parole forti, complesse. L'argomento era il dolore. Come affrontare il dolore con la nostra fragilità.
Non esiste un guardare in faccia il dolore. Ora solo rimozione si attua, ci dice Tiziana, raccontando di una scuola sempre più impreparata alle debolezze viventi nei banchi, raccontando di mamme che non domandano ai figli eppure fanno mille messaggi. Si rimuove l'incontro con il dolore, con le fratture, con le separazioni, con le ferite e si lascia che sia il tempo a lenire. Il tempo non lenisce niente, incancrenisce e nel darci questo avvertimento racconta ancora come abbia lei affrontato il dolore, come sia nato da un dolore grande un libro " Ciao, Caterina" come abbia lei ripercorso sulla soglia la casa appena lasciata dal papà di Caterina, la loro bimba di cinque anni.
Nell'impatto con le difficoltà la svolta.
Sembra il suo di stasera la continuazione di altro bellissimo momento successo sabato sera con Vittoria De Marco Veneziano, una altra grande testimonianza di svolta.
Nel fare della nostra vita materia commista agli studi amati anche le discipline che poi si insegnano vivono e la scuola non è più solo test e codici.
La farfalla che appare nelle mani di Tiziana, gioco di movimento, ricorda il titolo del libro di Vittoria de Marco Veneziano " La Farfalla dalle ali spezzate"
Nel grande desiderio di rivedere entrambe a Lamezia, nel ringraziarle speriamo di applaudire il monologo, portato sulle scene da Marco Paoli, attore e regista, che si è innamorato del testo
" Ciao, Caterina" io qui, nel mio intervento alla fine ricordo la responsabilità delle nostre azioni di fronte a gioia e dolore in qualsiasi luogo noi ci troveremo. Essere abili alla risposta, qualsiasi sia la domanda che la sorte oppure i nostri simili ci faranno
L'aspettano in tanti.
Più che lezione Tiziana fa una conversazione di alto livello e nello stesso tempo umana ed avvolge l'uditorio in un unico corale sentire.
I soci erano estasiati, nessuno si alzò per allontanarsi, anzi, alla fine non volevano più andare via abbracciati dalle parole di Tiziana.
Eppure erano state, le sue, parole forti, complesse. L'argomento era il dolore. Come affrontare il dolore con la nostra fragilità.
Non esiste un guardare in faccia il dolore. Ora solo rimozione si attua, ci dice Tiziana, raccontando di una scuola sempre più impreparata alle debolezze viventi nei banchi, raccontando di mamme che non domandano ai figli eppure fanno mille messaggi. Si rimuove l'incontro con il dolore, con le fratture, con le separazioni, con le ferite e si lascia che sia il tempo a lenire. Il tempo non lenisce niente, incancrenisce e nel darci questo avvertimento racconta ancora come abbia lei affrontato il dolore, come sia nato da un dolore grande un libro " Ciao, Caterina" come abbia lei ripercorso sulla soglia la casa appena lasciata dal papà di Caterina, la loro bimba di cinque anni.
Nell'impatto con le difficoltà la svolta.
Sembra il suo di stasera la continuazione di altro bellissimo momento successo sabato sera con Vittoria De Marco Veneziano, una altra grande testimonianza di svolta.
Nel fare della nostra vita materia commista agli studi amati anche le discipline che poi si insegnano vivono e la scuola non è più solo test e codici.
La farfalla che appare nelle mani di Tiziana, gioco di movimento, ricorda il titolo del libro di Vittoria de Marco Veneziano " La Farfalla dalle ali spezzate"
Nel grande desiderio di rivedere entrambe a Lamezia, nel ringraziarle speriamo di applaudire il monologo, portato sulle scene da Marco Paoli, attore e regista, che si è innamorato del testo
" Ciao, Caterina" io qui, nel mio intervento alla fine ricordo la responsabilità delle nostre azioni di fronte a gioia e dolore in qualsiasi luogo noi ci troveremo. Essere abili alla risposta, qualsiasi sia la domanda che la sorte oppure i nostri simili ci faranno
Curriculum scientifico:
- (1997-2001) Dottorato di ricerca in Modelli di formazione. Analisi teorica e comparazione – Università degli Studi della Calabria, Dipartimento di Scienze dell’Educazione
- (2002-2005) Assegno di ricerca– Università degli Studi della Calabria, Dipartimento di Scienze dell’Educazione
- (2010) Ricercatore confermatoin Pedagogia generale e sociale (SSD M-Ped/01)
Ultima pubblicazione
- IAQUINTA T.,La fragilità, il silenzio, la speranza. Una pedagogia del dolore per insegnare a costruire la felicità, Aracne, Roma, 2014.
mercoledì 3 febbraio 2016
Ho conosciuto Domenico Dara leggendo questa sua lettera
"A TORINO PIOVE SEMPRE"di Domenico Dara
mercoledì, 29 gennaio 2014
Non era abituato a ricevere telefonate. Lo squillo si diffuse nelle stanze vuote come un urlo. Afferrò la cornetta esitando. Pronto? Tale Mario Marchetti gli annunciava che era tra i finalisti del premio Calvino. Io? Sicuro? Il signor Marchetti aveva una voce senza età, poteva avere 30 o 100 anni, e questo lo confondeva di più. Non capiva cosa dicesse, nella testa gli scorrevano solo quelle parole, finalista del premio Calvino, finalista del premio Calvino come sottotitoli d’un film muto. Non lo dica a nessuno, concluse la voce senza tempo, più in là verrà contattato dalla nostra segreteria. Forse non si erano nemmeno salutati.
Sorrise, si guardò intorno:non è un sogno. Sorrise anche qualche settimana dopo, quando, seduto alla scrivania, la segreteria gli telefonò per i particolari.
La voce gioiosa di Gaia Salvadori era quella d’una ragazzina all'ultimo giorno di scuola: una camera doppia lo aspettava il 19 aprile all'hotel Alpi Resort. Finita la telefonata, il postino aprì il suo breve trattato e trascrisse la coincidenza numero 632:
Gaia mi telefona proprio quando trascrivo
sul quaderno un aforisma da La Gaia scienza di Nietzsche:
Da quando fui stanco di cercare / imparai a trovare."
Avevo mandato un mio manoscritto al Premio Calvino quell'anno e leggevo e rileggevo le lettere dei premiati, di Giuseppe Catozzella, di Gianni Agostinelli, di Domenico Dara.
Non ho ancora letto i romanzi degli altri due, ma ho letto il Breve Trattato sulle Coincidenze di Domenico Dara più di una volta.
Venne quell'anno a Lamezia Terme ed io andai alla sua prima presentazione alla libreria Tavella il 16 luglio 2014.
Andai via leggermente infastidita dal modo in cui uno dei presentatori parlava del libro, chiesi amicizia a Domenico Dara e la sera stessa spiegai il perché fossi andata via, poi, grazie all'informazione di Pasquale Allegro, altro suo relatore, riandai a sentirlo a Jacurso il 6 agosto, serata organizzata da Loredana Ciliberto.
In seguito ho partecipato a qualcuna con mio grande entusiasmo.
Sarebbe bastato che quella sera io non potessi raggiungere Jacurso e non sarei qui a scriverne. Invece quella sera avevo trovato il passaggio da un angelo.
Le coincidenze che creano un sentiero, se avremo possibilità di percorrerlo.
"Era felice, che finalmente era uno scrittore. Non ricordava nemmeno di averlo spedito, quel manoscritto. Di messaggi al mondo ne scriveva ogni giorno, e forse quel libro era un messaggio più lungo, che il suo destinatario se l’era scelto proprio bene, che non immaginava ci fossero lettrici e lettori che potessero restare affascinati dalle sue combinazioni di parole. Tutto alla fine si ordinava: gli uomini, le azioni, i pensieri, ogni cosa compie centinaia e centinaia di giri, si muove, si allontana, sparisce, ma poi, alla fine, tutto si colloca nel suo giusto posto."
Rileggo sempre con una commozione particolare questa sua testimonianza e non leggo più il mio manoscritto, lo so a memoria.
Conteneva una serie di lettere che avevo scritto, moltissime lettere, che avevo mandato ad un mittente sconosciuto, ad uno scrittore di cui leggevo tutti i suoi romanzi, interagendo con i personaggi dei racconti come se fossero veri.
Nelle lettere esisteva il tentativo di ricostruire me stessa attraverso le tante letture amate, i film, le canzoni, i rimandi, i riferimenti che fanno chi siamo.
Non sapevo ancora che le lettere avrebbero preso il volto del postino di Domenico Dara e del suo tentativo di colmare le mancanze, i buchi della vita, semplicemente riscrivendo le lettere.
Basterà riscriverle.
mercoledì, 29 gennaio 2014
Non era abituato a ricevere telefonate. Lo squillo si diffuse nelle stanze vuote come un urlo. Afferrò la cornetta esitando. Pronto? Tale Mario Marchetti gli annunciava che era tra i finalisti del premio Calvino. Io? Sicuro? Il signor Marchetti aveva una voce senza età, poteva avere 30 o 100 anni, e questo lo confondeva di più. Non capiva cosa dicesse, nella testa gli scorrevano solo quelle parole, finalista del premio Calvino, finalista del premio Calvino come sottotitoli d’un film muto. Non lo dica a nessuno, concluse la voce senza tempo, più in là verrà contattato dalla nostra segreteria. Forse non si erano nemmeno salutati.
Sorrise, si guardò intorno:non è un sogno. Sorrise anche qualche settimana dopo, quando, seduto alla scrivania, la segreteria gli telefonò per i particolari.
La voce gioiosa di Gaia Salvadori era quella d’una ragazzina all'ultimo giorno di scuola: una camera doppia lo aspettava il 19 aprile all'hotel Alpi Resort. Finita la telefonata, il postino aprì il suo breve trattato e trascrisse la coincidenza numero 632:
Gaia mi telefona proprio quando trascrivo
sul quaderno un aforisma da La Gaia scienza di Nietzsche:
Da quando fui stanco di cercare / imparai a trovare."
Avevo mandato un mio manoscritto al Premio Calvino quell'anno e leggevo e rileggevo le lettere dei premiati, di Giuseppe Catozzella, di Gianni Agostinelli, di Domenico Dara.
Non ho ancora letto i romanzi degli altri due, ma ho letto il Breve Trattato sulle Coincidenze di Domenico Dara più di una volta.
Venne quell'anno a Lamezia Terme ed io andai alla sua prima presentazione alla libreria Tavella il 16 luglio 2014.
Andai via leggermente infastidita dal modo in cui uno dei presentatori parlava del libro, chiesi amicizia a Domenico Dara e la sera stessa spiegai il perché fossi andata via, poi, grazie all'informazione di Pasquale Allegro, altro suo relatore, riandai a sentirlo a Jacurso il 6 agosto, serata organizzata da Loredana Ciliberto.
In seguito ho partecipato a qualcuna con mio grande entusiasmo.
Sarebbe bastato che quella sera io non potessi raggiungere Jacurso e non sarei qui a scriverne. Invece quella sera avevo trovato il passaggio da un angelo.
Le coincidenze che creano un sentiero, se avremo possibilità di percorrerlo.
"Era felice, che finalmente era uno scrittore. Non ricordava nemmeno di averlo spedito, quel manoscritto. Di messaggi al mondo ne scriveva ogni giorno, e forse quel libro era un messaggio più lungo, che il suo destinatario se l’era scelto proprio bene, che non immaginava ci fossero lettrici e lettori che potessero restare affascinati dalle sue combinazioni di parole. Tutto alla fine si ordinava: gli uomini, le azioni, i pensieri, ogni cosa compie centinaia e centinaia di giri, si muove, si allontana, sparisce, ma poi, alla fine, tutto si colloca nel suo giusto posto."
Rileggo sempre con una commozione particolare questa sua testimonianza e non leggo più il mio manoscritto, lo so a memoria.
Conteneva una serie di lettere che avevo scritto, moltissime lettere, che avevo mandato ad un mittente sconosciuto, ad uno scrittore di cui leggevo tutti i suoi romanzi, interagendo con i personaggi dei racconti come se fossero veri.
Nelle lettere esisteva il tentativo di ricostruire me stessa attraverso le tante letture amate, i film, le canzoni, i rimandi, i riferimenti che fanno chi siamo.
Non sapevo ancora che le lettere avrebbero preso il volto del postino di Domenico Dara e del suo tentativo di colmare le mancanze, i buchi della vita, semplicemente riscrivendo le lettere.
Basterà riscriverle.
martedì 2 febbraio 2016
Nel cuore della guerra Chris Kalenge
Chris Kalenge nel 1996 aveva 18 anni e con la famiglia, padre, madre, due fratelli e quattro sorelle, dovettero lasciare le loro case e iniziare una lunga fuga fra le foreste del Congo, alla ricerca di un salvezza.
La prima guerra della Repubblica democratica del Congo (1996-1997) e la seconda guerra (1998-2003) Battaglia di Kinshasa, hanno coinvolto molti altri paesi africani, tra cui Angola, Burundi, Ciad, Namibia, Ruanda, Uganda e Zimbabwe.
Il libro di Chris Kalenge "Nel cuore della guerra" racconta come le truppe governative, le forze ribelli, i mercenari, i bambini soldato, i guerrieri tradizionali, la popolazione, i politici, le ONG e i giornalisti interagiscono nel contesto di un conflitto armato in Africa.
Leggo questo su recensione al libro, e mi scorrono davanti agli occhi le immagini di "Hotel Ruanda", la guerra fra Hutu e Tsuti
Dal palco di Reggio Calabria, a Tabularasa, contro il pregiudizio universale io ricordai questa guerra.
http://trollipp.blogspot.it/2014/07/tabularasa-oltre-il-pregiudizio.html
Da Wikipedia:Il genocidio del Ruanda fu uno dei più terribili episodi della storia dell'Africa del XX secolo. Dal 6 aprile alla metà di luglio del 1994, per circa 100 giorni, vennero massacrate a colpi di armi da fuoco, machete pangas e bastoni chiodati, almeno 500.000 persone, secondo le stime di Human Rights Watch; il numero delle vittime tuttavia è salito fino a raggiungere una cifra pari a circa 800.000 o 1.000.000 di persone. Il genocidio viene considerato concluso alla fine dell'Opération Turquoise, una missione umanitaria voluta e intrapresa dai francesi, sotto egida dell'ONU.
La guerra razziale fu uno dei lasciti del colonialismo belga.
Fu l'amministrazione coloniale del Belgio che, a partire dal 1926, trasformò quella che era una differenza socio-economica (gli Hutu erano agricoltori, i Tutsi allevatori) in una differenza razziale basata sull'osservazione dell'aspetto fisico degli individui. I Belgi osservarono che i Twa, un terzo gruppo etnico dell'area, corrispondente ad appena l'1 % della popolazione, erano di bassa statura (come i pigmei), gli Hutu di media altezza, e i Tutsi erano di altezza maggiore, con lineamenti del volto e del naso più sottili. E su queste differenze inscenarono la divisione
Così facendo i gruppi si irrigidirono e non fu più possibile cambiare gruppo. I Tutsi divennero i ricchi al potere, gli Hutu i poveri che dovevano subire tutto. Dopo sanguinose rivolte e massacri, gli Hutu, con l'accordo dei belgi, presero il potere nel 1959–1962 e iniziò la lunga persecuzione dei Tutsi.
Giovedì 4 Febbraio, ore 17,30, a Palazzo Nicotera, Chris Kalenge con il professore Franco Ciriaco parleranno dei motivi per cui si scappa via dalla propria terra.
lunedì 1 febbraio 2016
Antonella Questa " Vecchia sarai tu!"
Monologo di Antonella Questa.
La vecchiaia è una carogna, diceva spesso mio zio, in età adulta. Mio zio è morto a casa sua, dopo una lunga degenza, immobilizzato in un letto. Lo andavo a trovare e lui, sempre ironico ed affabile, mai si lamentava, anzi mi raccontava aneddoti e ci mettevamo a ridere.
Ripenso a lui e mi scorrono immagini di vecchiaie diverse. Ci vuole fortuna anche nella vecchiaia, ci vuole quella torcia che la nonna ha con sé, sulla scena, per fuggire dalla casa di riposo dove la nuora l'ha relegata, dopo una semplice caduta.
Nella fuga ci vuole fortuna, si rischia altrimenti di essere riportati dentro, ed infatti la nonna viene acciuffata e ricondotta nella detenzione della dipendenza.
Nel letto con le sbarre alte affinché non si possa scendere ed andare al bagno, nel pannolone da dover portare per eliminare fastidi.
Fra le tre donne, suocera, nuora e nipote, giganteggia la nonna, livellando le altre due alle banalità del contingente.
Cambiando una sciarpa, da usare come scialle, nella casa di riposo, come sciarpa lasciata scivolare sulla spalla, nella nuora, oppure arrotolata intorno al collo nel caso della nipote, Antonella Questa interpreta i tre personaggi e dà loro vita e differenza.
Una sciarpa che è una vita srotolata.
Con i movimenti sincopatici della francese, la nuora, alla ricerca sterile di un piacere narcisistico, con i movimenti frenetici della nipote che vende gelati, gelati di ogni forma e colore, senza contratto e senza tempo, con i movimenti lenti e recitativi di ricordi vivi di una donna che si ribella ad una vecchiaia cosa, diventata oggetto e medicalizzata, lo spettacolo ci fa piangere e sorridere come ogni buon spettacolo dovrebbe.
Nel diniego continuo, che non dovrebbe essere così la parte ultima del nostro viaggio sulla terra, il monologo finisce con una speranza;
Che si ridia dignità ad una età, ad una casa, ai nostri mobili, ai nostri momenti, ad una affettività derubricata dagli impegni del quotidiano.
Ribellandomi come la nonna, ripenso a Clara Sereni con Una Storia Chiusa" Un anno di vita nella Casa di riposo scorre con tanti flash: sugli eventi temporali e accidentali, interni ed esterni e sulle singole persone, che si raccontano. Intrigante l’espediente letterario che unisce il filo conduttore del giallo con le dinamiche all'interno di una residenza collettiva." Ripenso a lei che è andata a starci di sua volontà in una Casa di riposo. Questo fa la differenza. La scelta.
Applaudiamo l'attrice ed autrice del testo per l'ironia e la bravura con cui ha messo in scena la nostra fragilità al divenire del corpo
Giovanna Villella cura con la cooperativa InRete, da sempre, la Stagione di prosa
In questa veste stamattina ha presenta agli alunni delle scuole superiori di Lamezia Terme lo spettacolo "Vecchia sarai tu", inserito nel programma Vacantiandu, dell'associazione teatrale I Vacantusi.
Sul sito di Antonella Questa: "Con VECCHIA SARAI TU! (produzione 2012, scritto insieme a Francesco Brandi che ne firma la regia e le coreografie di Magali B.) abbiamo vinto i premi:
Premio Museo Cervi 2012 – Teatro della Memoria
Premio Calandra 2012 come Migliore Spettacolo – Migliore Interprete e Migliore Regia"
La vecchiaia è una carogna, diceva spesso mio zio, in età adulta. Mio zio è morto a casa sua, dopo una lunga degenza, immobilizzato in un letto. Lo andavo a trovare e lui, sempre ironico ed affabile, mai si lamentava, anzi mi raccontava aneddoti e ci mettevamo a ridere.
Ripenso a lui e mi scorrono immagini di vecchiaie diverse. Ci vuole fortuna anche nella vecchiaia, ci vuole quella torcia che la nonna ha con sé, sulla scena, per fuggire dalla casa di riposo dove la nuora l'ha relegata, dopo una semplice caduta.
Nella fuga ci vuole fortuna, si rischia altrimenti di essere riportati dentro, ed infatti la nonna viene acciuffata e ricondotta nella detenzione della dipendenza.
Nel letto con le sbarre alte affinché non si possa scendere ed andare al bagno, nel pannolone da dover portare per eliminare fastidi.
Fra le tre donne, suocera, nuora e nipote, giganteggia la nonna, livellando le altre due alle banalità del contingente.
Cambiando una sciarpa, da usare come scialle, nella casa di riposo, come sciarpa lasciata scivolare sulla spalla, nella nuora, oppure arrotolata intorno al collo nel caso della nipote, Antonella Questa interpreta i tre personaggi e dà loro vita e differenza.
Una sciarpa che è una vita srotolata.
Con i movimenti sincopatici della francese, la nuora, alla ricerca sterile di un piacere narcisistico, con i movimenti frenetici della nipote che vende gelati, gelati di ogni forma e colore, senza contratto e senza tempo, con i movimenti lenti e recitativi di ricordi vivi di una donna che si ribella ad una vecchiaia cosa, diventata oggetto e medicalizzata, lo spettacolo ci fa piangere e sorridere come ogni buon spettacolo dovrebbe.
Nel diniego continuo, che non dovrebbe essere così la parte ultima del nostro viaggio sulla terra, il monologo finisce con una speranza;
Che si ridia dignità ad una età, ad una casa, ai nostri mobili, ai nostri momenti, ad una affettività derubricata dagli impegni del quotidiano.
Ribellandomi come la nonna, ripenso a Clara Sereni con Una Storia Chiusa" Un anno di vita nella Casa di riposo scorre con tanti flash: sugli eventi temporali e accidentali, interni ed esterni e sulle singole persone, che si raccontano. Intrigante l’espediente letterario che unisce il filo conduttore del giallo con le dinamiche all'interno di una residenza collettiva." Ripenso a lei che è andata a starci di sua volontà in una Casa di riposo. Questo fa la differenza. La scelta.
Applaudiamo l'attrice ed autrice del testo per l'ironia e la bravura con cui ha messo in scena la nostra fragilità al divenire del corpo
Giovanna Villella cura con la cooperativa InRete, da sempre, la Stagione di prosa
In questa veste stamattina ha presenta agli alunni delle scuole superiori di Lamezia Terme lo spettacolo "Vecchia sarai tu", inserito nel programma Vacantiandu, dell'associazione teatrale I Vacantusi.
Sul sito di Antonella Questa: "Con VECCHIA SARAI TU! (produzione 2012, scritto insieme a Francesco Brandi che ne firma la regia e le coreografie di Magali B.) abbiamo vinto i premi:
Premio Museo Cervi 2012 – Teatro della Memoria
Premio Calandra 2012 come Migliore Spettacolo – Migliore Interprete e Migliore Regia"
sabato 30 gennaio 2016
Family day non mi avrai
I nostri
figli non sono i nostri figli
(Titolo alla maniera di Gilbran)
(Titolo alla maniera di Gilbran)
30
settembre 2011
I figli non
sono di chi li genera.
Ogni figlio
è un uomo e una donna
Ogni figlio
è un essere a sé
Non si fanno
figli per noi stessi
Si fanno per
tutti - perché così è
Non sono le nostre
proiezioni, i nostri desideri non avverati,
le nostre
soddisfazioni.
Non sono il
nostro ego che si espande.
Sono solo
degli altri esseri umani.
Amare i
figli-non si può- non si deve-
Amare è un
sentimento cannibalesco, una lotta fra pari,
fra eguali.
fra eguali.
Non si
mangiano i figli.
Non si
sostituisce un primo piatto con il dessert, con il dolce.
I figli si
fanno per un’esigenza vitale,
per
appartenere al flusso eterno della sopravvivenza della specie.
Poi certo a loro
si vuole bene, molto, moltissimo
Si è responsabili verso di loro, ci richiedono impegno,
guida,
vogliono la
nostra cura.
E noi siamo
sempre lì, presenti, solleciti, pronti.
Noi li
allattiamo, li svezziamo, e gli regaliamo l’autonomia.
Non è così? Dov’è
che io sbaglio?
Non sono
amici, non sono amanti, non sono giochi, non sono per noi.
Sono solo
per loro.
Sbaglia chi
vuole da loro un alleato, una vendetta, un riscatto
Sbaglia chi
allontana la moglie, il marito, il suo amore, per un essere fragile, appena
nato.
Che grande
ingiustizia! Che storia sbagliata!
A volte i figli
si fanno per tante ragioni,
per ragioni
diverse dal semplice atto del solo piacere di generare.
Si fanno per
garantirsi un uomo legato, un patrimonio da ereditare,
un habitus da esporre.
Come
Cornelia :-Ecco i miei gioielli- dicono
giulivi femmine e maschi
A volte si
fanno con una violenza, con uno stupro, senza coscienza
Per un
preservativo bucato, per una voglia improvvisa.
Si fanno
alla cieca e si continua ad usarli senza
una disciplina
Considerandoli
solo dei piccoli puffi, dei mostri, dei cicciobelli.
Restano così
per anni, bimbetti e bambine,
alla mercé di adulti cretini, egoisti, sadici
che rubano
loro infanzia e stupore.
Ne fanno uso,
un abuso e vogliono poi il corrispettivo
Vogliono
loro, i genitori, essere protetti, vogliono essere amati,
vogliono, vogliono.
Ma non si
può! Ma lasciateli vivere! Ma lasciateli in pace!
Che possano
loro respirare felici,
che possano
loro capirci di più,
che possano
loro amare la vita
Quella che
noi gli abbiamo donato.
Ippolita
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