martedì 2 febbraio 2016
Nel cuore della guerra Chris Kalenge
Chris Kalenge nel 1996 aveva 18 anni e con la famiglia, padre, madre, due fratelli e quattro sorelle, dovettero lasciare le loro case e iniziare una lunga fuga fra le foreste del Congo, alla ricerca di un salvezza.
La prima guerra della Repubblica democratica del Congo (1996-1997) e la seconda guerra (1998-2003) Battaglia di Kinshasa, hanno coinvolto molti altri paesi africani, tra cui Angola, Burundi, Ciad, Namibia, Ruanda, Uganda e Zimbabwe.
Il libro di Chris Kalenge "Nel cuore della guerra" racconta come le truppe governative, le forze ribelli, i mercenari, i bambini soldato, i guerrieri tradizionali, la popolazione, i politici, le ONG e i giornalisti interagiscono nel contesto di un conflitto armato in Africa.
Leggo questo su recensione al libro, e mi scorrono davanti agli occhi le immagini di "Hotel Ruanda", la guerra fra Hutu e Tsuti
Dal palco di Reggio Calabria, a Tabularasa, contro il pregiudizio universale io ricordai questa guerra.
http://trollipp.blogspot.it/2014/07/tabularasa-oltre-il-pregiudizio.html
Da Wikipedia:Il genocidio del Ruanda fu uno dei più terribili episodi della storia dell'Africa del XX secolo. Dal 6 aprile alla metà di luglio del 1994, per circa 100 giorni, vennero massacrate a colpi di armi da fuoco, machete pangas e bastoni chiodati, almeno 500.000 persone, secondo le stime di Human Rights Watch; il numero delle vittime tuttavia è salito fino a raggiungere una cifra pari a circa 800.000 o 1.000.000 di persone. Il genocidio viene considerato concluso alla fine dell'Opération Turquoise, una missione umanitaria voluta e intrapresa dai francesi, sotto egida dell'ONU.
La guerra razziale fu uno dei lasciti del colonialismo belga.
Fu l'amministrazione coloniale del Belgio che, a partire dal 1926, trasformò quella che era una differenza socio-economica (gli Hutu erano agricoltori, i Tutsi allevatori) in una differenza razziale basata sull'osservazione dell'aspetto fisico degli individui. I Belgi osservarono che i Twa, un terzo gruppo etnico dell'area, corrispondente ad appena l'1 % della popolazione, erano di bassa statura (come i pigmei), gli Hutu di media altezza, e i Tutsi erano di altezza maggiore, con lineamenti del volto e del naso più sottili. E su queste differenze inscenarono la divisione
Così facendo i gruppi si irrigidirono e non fu più possibile cambiare gruppo. I Tutsi divennero i ricchi al potere, gli Hutu i poveri che dovevano subire tutto. Dopo sanguinose rivolte e massacri, gli Hutu, con l'accordo dei belgi, presero il potere nel 1959–1962 e iniziò la lunga persecuzione dei Tutsi.
Giovedì 4 Febbraio, ore 17,30, a Palazzo Nicotera, Chris Kalenge con il professore Franco Ciriaco parleranno dei motivi per cui si scappa via dalla propria terra.
lunedì 1 febbraio 2016
Antonella Questa " Vecchia sarai tu!"
Monologo di Antonella Questa.
La vecchiaia è una carogna, diceva spesso mio zio, in età adulta. Mio zio è morto a casa sua, dopo una lunga degenza, immobilizzato in un letto. Lo andavo a trovare e lui, sempre ironico ed affabile, mai si lamentava, anzi mi raccontava aneddoti e ci mettevamo a ridere.
Ripenso a lui e mi scorrono immagini di vecchiaie diverse. Ci vuole fortuna anche nella vecchiaia, ci vuole quella torcia che la nonna ha con sé, sulla scena, per fuggire dalla casa di riposo dove la nuora l'ha relegata, dopo una semplice caduta.
Nella fuga ci vuole fortuna, si rischia altrimenti di essere riportati dentro, ed infatti la nonna viene acciuffata e ricondotta nella detenzione della dipendenza.
Nel letto con le sbarre alte affinché non si possa scendere ed andare al bagno, nel pannolone da dover portare per eliminare fastidi.
Fra le tre donne, suocera, nuora e nipote, giganteggia la nonna, livellando le altre due alle banalità del contingente.
Cambiando una sciarpa, da usare come scialle, nella casa di riposo, come sciarpa lasciata scivolare sulla spalla, nella nuora, oppure arrotolata intorno al collo nel caso della nipote, Antonella Questa interpreta i tre personaggi e dà loro vita e differenza.
Una sciarpa che è una vita srotolata.
Con i movimenti sincopatici della francese, la nuora, alla ricerca sterile di un piacere narcisistico, con i movimenti frenetici della nipote che vende gelati, gelati di ogni forma e colore, senza contratto e senza tempo, con i movimenti lenti e recitativi di ricordi vivi di una donna che si ribella ad una vecchiaia cosa, diventata oggetto e medicalizzata, lo spettacolo ci fa piangere e sorridere come ogni buon spettacolo dovrebbe.
Nel diniego continuo, che non dovrebbe essere così la parte ultima del nostro viaggio sulla terra, il monologo finisce con una speranza;
Che si ridia dignità ad una età, ad una casa, ai nostri mobili, ai nostri momenti, ad una affettività derubricata dagli impegni del quotidiano.
Ribellandomi come la nonna, ripenso a Clara Sereni con Una Storia Chiusa" Un anno di vita nella Casa di riposo scorre con tanti flash: sugli eventi temporali e accidentali, interni ed esterni e sulle singole persone, che si raccontano. Intrigante l’espediente letterario che unisce il filo conduttore del giallo con le dinamiche all'interno di una residenza collettiva." Ripenso a lei che è andata a starci di sua volontà in una Casa di riposo. Questo fa la differenza. La scelta.
Applaudiamo l'attrice ed autrice del testo per l'ironia e la bravura con cui ha messo in scena la nostra fragilità al divenire del corpo
Giovanna Villella cura con la cooperativa InRete, da sempre, la Stagione di prosa
In questa veste stamattina ha presenta agli alunni delle scuole superiori di Lamezia Terme lo spettacolo "Vecchia sarai tu", inserito nel programma Vacantiandu, dell'associazione teatrale I Vacantusi.
Sul sito di Antonella Questa: "Con VECCHIA SARAI TU! (produzione 2012, scritto insieme a Francesco Brandi che ne firma la regia e le coreografie di Magali B.) abbiamo vinto i premi:
Premio Museo Cervi 2012 – Teatro della Memoria
Premio Calandra 2012 come Migliore Spettacolo – Migliore Interprete e Migliore Regia"
La vecchiaia è una carogna, diceva spesso mio zio, in età adulta. Mio zio è morto a casa sua, dopo una lunga degenza, immobilizzato in un letto. Lo andavo a trovare e lui, sempre ironico ed affabile, mai si lamentava, anzi mi raccontava aneddoti e ci mettevamo a ridere.
Ripenso a lui e mi scorrono immagini di vecchiaie diverse. Ci vuole fortuna anche nella vecchiaia, ci vuole quella torcia che la nonna ha con sé, sulla scena, per fuggire dalla casa di riposo dove la nuora l'ha relegata, dopo una semplice caduta.
Nella fuga ci vuole fortuna, si rischia altrimenti di essere riportati dentro, ed infatti la nonna viene acciuffata e ricondotta nella detenzione della dipendenza.
Nel letto con le sbarre alte affinché non si possa scendere ed andare al bagno, nel pannolone da dover portare per eliminare fastidi.
Fra le tre donne, suocera, nuora e nipote, giganteggia la nonna, livellando le altre due alle banalità del contingente.
Cambiando una sciarpa, da usare come scialle, nella casa di riposo, come sciarpa lasciata scivolare sulla spalla, nella nuora, oppure arrotolata intorno al collo nel caso della nipote, Antonella Questa interpreta i tre personaggi e dà loro vita e differenza.
Una sciarpa che è una vita srotolata.
Con i movimenti sincopatici della francese, la nuora, alla ricerca sterile di un piacere narcisistico, con i movimenti frenetici della nipote che vende gelati, gelati di ogni forma e colore, senza contratto e senza tempo, con i movimenti lenti e recitativi di ricordi vivi di una donna che si ribella ad una vecchiaia cosa, diventata oggetto e medicalizzata, lo spettacolo ci fa piangere e sorridere come ogni buon spettacolo dovrebbe.
Nel diniego continuo, che non dovrebbe essere così la parte ultima del nostro viaggio sulla terra, il monologo finisce con una speranza;
Che si ridia dignità ad una età, ad una casa, ai nostri mobili, ai nostri momenti, ad una affettività derubricata dagli impegni del quotidiano.
Ribellandomi come la nonna, ripenso a Clara Sereni con Una Storia Chiusa" Un anno di vita nella Casa di riposo scorre con tanti flash: sugli eventi temporali e accidentali, interni ed esterni e sulle singole persone, che si raccontano. Intrigante l’espediente letterario che unisce il filo conduttore del giallo con le dinamiche all'interno di una residenza collettiva." Ripenso a lei che è andata a starci di sua volontà in una Casa di riposo. Questo fa la differenza. La scelta.
Applaudiamo l'attrice ed autrice del testo per l'ironia e la bravura con cui ha messo in scena la nostra fragilità al divenire del corpo
Giovanna Villella cura con la cooperativa InRete, da sempre, la Stagione di prosa
In questa veste stamattina ha presenta agli alunni delle scuole superiori di Lamezia Terme lo spettacolo "Vecchia sarai tu", inserito nel programma Vacantiandu, dell'associazione teatrale I Vacantusi.
Sul sito di Antonella Questa: "Con VECCHIA SARAI TU! (produzione 2012, scritto insieme a Francesco Brandi che ne firma la regia e le coreografie di Magali B.) abbiamo vinto i premi:
Premio Museo Cervi 2012 – Teatro della Memoria
Premio Calandra 2012 come Migliore Spettacolo – Migliore Interprete e Migliore Regia"
sabato 30 gennaio 2016
Family day non mi avrai
I nostri
figli non sono i nostri figli
(Titolo alla maniera di Gilbran)
(Titolo alla maniera di Gilbran)
30
settembre 2011
I figli non
sono di chi li genera.
Ogni figlio
è un uomo e una donna
Ogni figlio
è un essere a sé
Non si fanno
figli per noi stessi
Si fanno per
tutti - perché così è
Non sono le nostre
proiezioni, i nostri desideri non avverati,
le nostre
soddisfazioni.
Non sono il
nostro ego che si espande.
Sono solo
degli altri esseri umani.
Amare i
figli-non si può- non si deve-
Amare è un
sentimento cannibalesco, una lotta fra pari,
fra eguali.
fra eguali.
Non si
mangiano i figli.
Non si
sostituisce un primo piatto con il dessert, con il dolce.
I figli si
fanno per un’esigenza vitale,
per
appartenere al flusso eterno della sopravvivenza della specie.
Poi certo a loro
si vuole bene, molto, moltissimo
Si è responsabili verso di loro, ci richiedono impegno,
guida,
vogliono la
nostra cura.
E noi siamo
sempre lì, presenti, solleciti, pronti.
Noi li
allattiamo, li svezziamo, e gli regaliamo l’autonomia.
Non è così? Dov’è
che io sbaglio?
Non sono
amici, non sono amanti, non sono giochi, non sono per noi.
Sono solo
per loro.
Sbaglia chi
vuole da loro un alleato, una vendetta, un riscatto
Sbaglia chi
allontana la moglie, il marito, il suo amore, per un essere fragile, appena
nato.
Che grande
ingiustizia! Che storia sbagliata!
A volte i figli
si fanno per tante ragioni,
per ragioni
diverse dal semplice atto del solo piacere di generare.
Si fanno per
garantirsi un uomo legato, un patrimonio da ereditare,
un habitus da esporre.
Come
Cornelia :-Ecco i miei gioielli- dicono
giulivi femmine e maschi
A volte si
fanno con una violenza, con uno stupro, senza coscienza
Per un
preservativo bucato, per una voglia improvvisa.
Si fanno
alla cieca e si continua ad usarli senza
una disciplina
Considerandoli
solo dei piccoli puffi, dei mostri, dei cicciobelli.
Restano così
per anni, bimbetti e bambine,
alla mercé di adulti cretini, egoisti, sadici
che rubano
loro infanzia e stupore.
Ne fanno uso,
un abuso e vogliono poi il corrispettivo
Vogliono
loro, i genitori, essere protetti, vogliono essere amati,
vogliono, vogliono.
Ma non si
può! Ma lasciateli vivere! Ma lasciateli in pace!
Che possano
loro respirare felici,
che possano
loro capirci di più,
che possano
loro amare la vita
Quella che
noi gli abbiamo donato.
Ippolita
venerdì 29 gennaio 2016
Tante donne. Vittoria De Marco Veneziano
Ci si incontra nella vita in tanti luoghi, in circostanze diverse, e quel che era l'usuale conoscersi col vicino, col collega, con il parente o amico, ora attraversa i tasti e, con più facilità e con maggiore responsabilità, ci si incontra nella vita in altri luoghi che non sono più le piazze del nostro paese ma la piazza grande del virtuale, e soprattutto la piazza della volontà.
Così gli incontri diventano magiche coincidenze, che sassolino dopo sassolino, scrive uno scrittore da me molto amato, segnano la via per il ritorno.
Incontro è stasera con "Tante Donne", con il libro e con la persona che lo ha scritto, con le sue storie, con la bella opportunità che avremo di ascoltare Vittoria De Marco Veneziano.
Il libro raccoglie trenta biografie, l'autrice sceglie, e nella scelta emerge forte il messaggio che vuol dare a tutti.
Che è poi quello che ci unisce e quello che ci portiamo in tasca. Tutte.
Dalle Gelsominaie di Milazzo che raccoglievano i fiori di gelsomino intorno alle tre del mattino fino al sorgere del sole, con i piedi scalzi, ed immersi nel fango fino alla caviglia, la schiena curva, esposta all'umidità della notte, e con i figli appesi nelle ceste tra le piante, siamo nel 1946, siamo sempre nel 1946, 25 lire per un chilogrammo di fiori raccolti. Primo sciopero per aver aumento di salario e condizioni più umane. Credo che queste condizioni, taciute e in altre piantagioni, siano ancora purtroppo fra noi. Vero? E poi Las Mariposas, vissute nella Repubblica Dominicana, paladine per la lotta della liberazione dalla dittatura ed uccise nel 1960 dai sicari di Trujillo, il dittatore che fu, a sua volta assassinato nel 1961.
Dalle ingiustizie storiche e sociali alle traversie della vita potremmo raccogliere tante storie, anche nel nostro tempo, nella nostra piana
Potremo poi raccogliere le mancanze individuali, la storia di Rosetta Rota, di Gianna Beretta Mollo, di Mariannina Coffa. Nelle mancanze del circostante...
E dopo il raccolto ecco il messaggio di Vittoria
Viva La Vida, dedicato a Frida.
" Quando le traversie della vita non consentono di sfuggire al dolore è tuttavia possibile elaborarlo, a condizione che esso possa essere individuato. E proprio da questo tentativo che, sovente, nasce la poiesi dell'essere umano. La capacità di andare oltre se stessi, trovare un'armonia estetica che emerge dalle proprie dolorose vicende"
Viva La vita con le sue mancanze, con i suoi affanni, viva la vita se sapremo esserne degni. Con responsabilità, rispetto e volontà.
Questo ci dicono le donne di Vittoria, questo stasera ci dirà lei, con il coraggio ed il sorriso di aver trasformato il dolore in ricchezza, la sofferenza in entusiasmo.
Questo lei stasera ci donerà, nel dono al quale ognuno di noi è chiamata: Il dono della vita
Il dono che non è solo generare, particolare condizione fisica, bensì generare, dare alla vita il rispetto per la vita stessa.
mercoledì 27 gennaio 2016
Scuola aperta nel teatro al Liceo Scientifico ieri.
Amleto e
company al teatro in classe. Con Pierpaolo Bonaccurso e gli studenti.
Al Liceo Scientifico
di Lamezia per i quattrocento anni della morte di Shakespeare. Sono in scena
gli alunni, preparati da Pierpaolo Bonaccurso, attore, regista e direttore
artistico di TeatrOltre e di Teatrop, nella foto insieme a Greta Belometti e a Valentina Arichetta, attrici e collaboratrici.
“Recitare
per interpretare le difficoltà che incontreremo tutti nel corso dei giorni.
Prepararsi con le tragedie. Saremo forti se ricorderemo che quel ci succede,
quel che è già successo nel castello di
Danimarca, oppure nel Macbeth alla corte del re di Scozia.” Le parole di
Pierpaolo rivolto agli attori, che per la prima assoluta si esibiscono in
monologhi tratti dalle tragedie di Shakespeare. I ragazzi, tutti bravi,
innamorati del teatro, avevano gli occhi brillanti, ed anche i loro compagni e
professori entravano ad assistere con grande partecipazione. A turni.
Io li ho ascoltati due volte e mi riprometto di andare ancora e ancora. Accanto a me la loro docente di Lettere, Mara Perri, orgogliosa come lo sono anche io degli alunni che si entusiasmano e seguono nel testo quello che sui libri è letteratura.
Nel teatro è vita. Palpitante.
Recitare quindi è studiare, vivendo dentro i personaggi, dentro i luoghi e capire che tutto può accadere, e che ci può accadere. Come lezione difensiva. Una tecnica di respiro, disciplina e di postura per affrontare l’abulia e il tedio di una vita senza teatro. .
Evviva Evviva
a tutti gli autori che ci hanno regalato tante tragedie che reciteremo
E l’applauso finale va a Shakespeare e a tutti voi
martedì 26 gennaio 2016
Non abbiamo nulla da ricordare. Giornata della memoria
Foto di Alfonso Bombini. Per il nostro giorno della memoria corta. Nei camion uomini portati ai campi, senza contratto lavorativo.
Possiamo solo guardaci intorno.
2015
Certo commemorare mi sembra d'uopo, anche per far sapere a chi non sa che si poté fare così, incarcerando e sopprimendo interi popoli, etnie e gruppi, senza pietà.
Dopo però aver espletato il compito di dare una conoscenza a chi non l'ha, dobbiamo avere forte l'imperativo di guardarci intorno e ribellarci.
Se ci fanno senso tutti i conniventi al nazismo e fascismo dovrebbero farci ancora più senso le trasformazioni che stiamo vivendo. Con noi conniventi. Votanti un sistema di carneficine, andando noi nei centri commerciali, spellando e spellando la pelle ad una accoglienza che nei camion porta misera gente.
Certo non siamo noi che buttiamo a mare la povera gente, sono scafisti ed omicidi.
Certo non siamo noi che facciamo morire nei camion la povera gente pressata e gassata, sono gli autisti ed assassini.
Certo non siamo noi a mettere il filo spinato alle frontiere per impedire alla povera gente di attraversare quel territorio, sono le guardie messe ai confini, confini oramai insanguinati.
Certo non siamo noi a chiudere nei campi di pomodori, fragole e fiori, la povera gente senza contratto, sono caporali e produttori.
Certo nessuno stupra e approfitta a Rosarno e Rossano, dal mare Ionio al Tirreno le lavoratrici di ogni nazione, oramai ci sono i sindacati che difenderanno i lavoratori, le corporazioni dovrei dire, i fasci littori, le nuove forme che hanno distrutto conquiste recenti chiamate diritti.
Non ci sono diritti nel nostro mondo. Ci stanno solo i privilegi.
Quindi guardiamoci un po' intorno e spaventiamoci ogni giorno di più.
Il mare Mediterraneo un forno crematorio è, non vi sembra?
I nostri camion non sono uguali a quei camion lì? Leggete il monologo di Michele Lupo "Io Sono la montagna" e vedrete.
Le leggi fatte sono leggi che montano sempre più la nostra impotenza.
Intanto che leggi pensa anche un po' col tuo cervello senza seguire quelle cordate, quelle intruppate del social insocial e vedi quanto siamo vicini noi a quel tempo del grande kaiser, del grande moloch, del grande fratello, e riflettiamo, scornati e delusi, che stiamo facendo uguale e preciso agli aguzzini del tempo che fu
sabato 23 gennaio 2016
Leonardo Caimi alla libreria Tavella
Stamattina libreria in musica.
Fortemente voluto da Tommaso Colloca, che presenterà, ci sta l'incontro con Leonardo Caimi, Tenore.
Leonardo è di Lamezia Terme, suo papà era stato presidente dell'AVIS e, fra i suoi parenti, la mitica zia Vanna, professoressa di lettere presso la Scuola media Pitagora.
La zia, stamattina, è uscita proprio per lui, e tutti i suoi alunni vanno a salutarla con affetto.
Diventa quasi lei il personaggio della mattinata.
Aspettiamo fra una folla affettuosa ed arriva lui. Un attore. Bello, bravo, elegante. Disponibile ed amabile. Ironico.
Laureato in filosofia col massimo dei voti si diploma in Clarinetto e in Canto al Conservatorio di Messina.
Poi per un problema al braccio sinistro non riesce a continuare a suonare e canta.
Nasce così, da una difficoltà, un grande tenore che è stato diretto da Riccardo Muti e da tanti altri grandi direttori.
Tommaso Colloca inizia con un gioco di parole il saluto a Leonardo. "Lamezia deve cambiare tenore di vita, con un tenore nel senso nobile del termine, cominciando ad essere orgogliosa dei suoi concittadini, proponendosi di debellare l'invidia che l'attanaglia.
Riuscirà? si domanda il sindaco che crede in questo sogno oltre ogni politica.
Riuscirà Lamezia? Non si sa.
Sappiamo però che è riuscito Leonardo a mantenersi puro e sorridente, a scherzarci su anche lui, quando ci invita tutti in coro a dire "Invidia" la parola che dovremmo cancellare dal nostro animo.
Riuscirà Leonardo, nel saper di filosofia, del distacco che bisogna aver per mantenersi in equilibrio.
Riuscirà lui che ricorda le parole di Riccardo Muti, meridionalista della Puglia, "Noi abbiamo più talento degli altri però non abbiamo disciplina "
Riuscirà un giorno a fare l'Otello, così lo chiameranno il Moro di Lamezia, ci dice sorridendo, e nel profetizzare facile che, ai moltissimi teatri internazionali, manchi nel suo curriculum il Teatro Grandinetti di Lamezia, la mattina si avvia al termine con il gagliardetto, il libro e l'invito del maestro Colloca, direttore della banda, un cimelio conservato da Tommaso.
Intanto domani Leonardo Caimi sarà Cavaradossi nella “Tosca” di Giacomo Puccini al Teatro Rendano di Cosenza.
Evviva dalla Litweb
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