venerdì 29 maggio 2015

La prostituzione culturale e la malafede

Essere in malafede... dalla  Treccani: [consapevolezza della propria slealtà e della propria intenzione di ingannare: essere in m.] ≈ disonestà, slealtà. ‖ doppiezza, insincerità, ipocrisia, falsità. 
Deve essere questo il comportamento diffuso nel mondo e in ogni ambiente, pur piccino che esso sia.
La malafede, comportamento per il quale si osanni il qualsivoglia prodotto di infima qualità e si tralasci il bel romanzo, il bravo scrittore o scrittrice, se non fa parte del proprio Hortus Conclusus.
La malafede, comportamento con il quale si spellano le mani ad applaudire sconcezze autentiche, e si disertano ottime presentazioni e ottimi artisti.
La malafede del popolino cultural cantando, raggiunge responsabilità civile di abiezione negli insegnanti di lettere e filosofia, che, invece di mettere un freno, accolgono qualsiasi idiozia e non riprendono alunni poco dotati.
Ho già, stamane, detto come simile fare danneggi pensieri, come l'amore fatto venalmente, così la cultura viene prostituita a far da gratificazione a vite significanti solo a chi le vive.
Tutte le vite sono un romanzo? Embè?

giovedì 28 maggio 2015

Dal Salone del libro di Torino al Maggio dei libri

“Maschere di vetro e polvere” dal Salone del Libro di Torino
Al Palazzo Nicotera  Michele Falco editore parla del libro di Jesa Aroma con attenzione ed affettuosità.
Libro da lui letto in Agosto, riletto e pubblicato, libro che lui ha voluto con copertina rifrangente uno specchio in cui tutti possiamo guardarci, e poi con due piedi nudi sul pavimento. A piedi nudi nel parco, mi ricordano subito quella deliziosa commedia americana.
Jesa Aroma è scrittrice di suo, dai tanti libri letti, dal segno che abbiamo in comune, il segno delle persone analitiche e razionali, ed insieme fortemente viscerali, con in testa un cammino dignitoso, anche a costo di scelte difficili.
Le difficoltà, a noi della Vergine, non ci abbattono, anzi ci esaltano, nel tentativo di dare il meglio in una sfida continua di dignità e senso.
Così Jesa decide di essere scrittrice e non solo avvocato, e nello stesso tempo di trasfondere tutti i suoi studi in temi assolutamente intimi e nascosti, in ua interiorità troppo spesso violata e mortificata alla quale nessuna denuncia può rendere giustizia.
Il tema del libro sembrerebbe da donne in cerca di guai, donne sottomesse e schiaffeggiate, donne picchiate… invece il coro da tragedia ci informa quanto il cammino verso donne rispettate parta sempre dalle stesse donne, parta sempre dal credere in sé stessi.
Nessuna legge può aiutare se, se tutte e tutti, non facciamo un cammino di ricostruzione- identità nella morsa di necessità e costrizione.
Potenza della scrittura vera, stasera. Mine Vaganti siamo.  Il brano del celebre film “Mine vaganti”  diretto da Ferzan Özpetek dove  il protagonista confessa come mai lui scriva:
" perché non sono bravo a parlare. a volte, quando mi fate una domanda, vorrei quasi chiedervi di aspettare un attimo: prenderei un foglio, una penna e scriverei la risposta, così forse mi capireste meglio" 

Commossa di aver partecipato ad incontro vero, ascolto la voce di Januaria, cantante di strada, e figlia di Jana, cantare una canzone scritta dalla sua mamma in un momento complesso in cui solo scrivendo le cose si possono dire e musicare.


Musica e parole stasera hanno sorpreso stasera  un Palazzo Nicotera ed un Maggio dei libri donando un momento di verità                                                                                                                                   Ippolita Luzzo

martedì 26 maggio 2015

Da James Senese a Syndone- Suoni Del Sud Festival




Verranno con un pulmino da Torino, per la prima volta a Lamezia, per la prima volta in Calabria, la progband, il gruppo rock, progrock, con voce solista Riccardo Ruggeri, una delle voci più belle nella musica italiana- sta dicendo Tommaso Colloca alla conferenza stampa, tenuta nella Libreria Tavella, ieri sera.
Con lui Peppino Serratore, socio attivo dell'associazione Suoni Del Sud Festival, organizzatore con Marcello Nicotera e Tommaso della straordinaria tre giorni. 30-31 Maggio e 1 Giugno 2015.
Lamezia che c'è.
 Nella seconda giornata Richard Sinclair con la sua band è lo stile, unico, dal suono morbido e suadente, una voce e uno strumento, il basso, un solo suono. 
 Prima  nella formazione dei Caravan e poi dei Camel, Richard abita da anni in Puglia, in un trullo, amando la nostra terra ed i suoi colori. Un uomo coerente con stile unico. Nessun successo planetario e monetario può dare maggiore soddisfazione della coerenza con  noi stessi- dal vangelo di Richard, ed anche di Rodriguez, altro straordinario protagonista di un film che amo: Sugar Man.
I soldi servono e non servono, si può aggirare il chiedere favori, si possono eludere le istituzioni se una grande volontà si mette in moto e si fa vera. 
Certo Mangiafave, presente alla conferenza,  rappresentante del progetto Gedeone all'abbazia di Corazzo, può elogiare, e noi con lui, la sensibilità degli amministratori di Carlopoli, sicuramente, ma conta sempre in tutto questo voler fare, positivo, il dare la mano, lo spartirsi conoscenze ed opportunità.
Felicità dunque partecipare, felicità che, dalla Litweb, suona e batte con chitarre  e batterie, con organo e vibrafono, con tastiere che posseggono solo i tasti neri di un computer, cantando e ricordandovi di andare a sentire. 

lunedì 25 maggio 2015

Punt e Mes- Mario Panarello alla mostra di Antonio Pujia Veneziano





"Nel 1960 Armando Testa crea un  manifesto PuntMes 

Un punto di amaro  e mezzo di dolce, capovolgendo la formula: sintetico, essenziale, il manifesto è esemplare dello stile maturo del grande grafico torinese, orientato nella direzione della massima efficacia comunicativa:
Nel vasto spazio bianco del foglio, la sfera e la semisfera impongono con forza all'occhio dello spettatore, grazie al tono rosso acceso,  il colore del liquore, e al rilievo tridimensionale che assumono attraverso il gioco delle ombreggiature:
La nitidezza formale del manifesto risente delle contemporanee ricerche astratte di matrice concettuale."
Un Punto di dolce quindi vermut corretto con mezza china, amara, sembra la formula dell'equilibrio nel gusto.

Un punto di storia e mezzo d'artista, al contrario, come Armando Testa. La storia è l'amaro.



 Al castello ducale di Corigliano Calabro Mario Panarello presenta la  mostra di Antonio Pujia Veneziano. Segni_Tempo_Spazio a cura dello storico dell'arte Alessandro Masi.
πάντα ῥεῖ  Tutto scorre.
Panta rei-  il tempo scorre e non passa mai. Essere e divenire nella concezione orientale ed occidentale. Il mutare esterno e l'immutabile interiore. I Punti, Le linee, I tracciati, i confini, del nostro passaggio che immobile sta. Un Punto e mezzo, a seconda, a volte più amaro, a volte più dolce.
Il viaggio verso Corigliano, luogo dove si terrà la mostra, è un lungo indagare sulle ragioni per cui il nostro sud sia fermo, non sappia usare i beni che ha, anzi li sciupi e li danneggi. Mario, storico dell’arte, ci sta raccontando come alcuni beni vengano falsificati e manomessi nelle chiese  da sacrestani, ed io ricordo il bidello della mia scuola intento in un restauro non autorizzato. Danneggiare sembra  sia molto più facile che conservare, rispettare. Il viaggio procede con l’immagine del dipinto di una madonna, che, decapitata dalla sua testa originaria, verrà trovata dallo storico con la testa di un altro dipinto, in un collage che genera  disarticolazione di elementi spazi temporali. Una distonia che impedisce il movimento. Fermo quindi il sud, come il dipinto alla Frankestein, incubi e mostri in sovrapposizione. Anche quando giungono a pioggia i contributi europei, oppure da Roma, peggio sarà, perché tale ricchezza verrà impiegata per spartire e comprare favori rovinando ulteriormente, in restauri alla qualunquemente quel che vivacchia di un passato.
Il viaggio si interroga sul compito dell'artista e siamo ora nel Castello di Corigliano, dove al primo piano  si tiene la mostra e la presidentessa della Dante Alighieri  ci informa che il Salone degli Specchi  è stato scelto come simbolo calabro all'Expo.
Nel mondo, dunque. Da tanta periferia.
Appunti presi mentre  Mario Panarello  racconta i quadri di Antonio,  esposti in quattro sale del castello: Il segno- La materia- La forma- I concetti.
Seguendo un percorso a ritroso l’artista con un gesto raggiunge equilibrio nella realizzazione delle opere, un gesto meditato, con  coerenza.
Il valore del segno è nel gesto che traccia su carta  su tela con pennelli e pastelli la forza che sta nel significato.
Nel valore semantico dei segni l’arte si condensa nello spazio della rappresentazione. Se valgono le cose, i punti, le linee, i colori, se valgono sono. Da sala in sala, nella seconda sala il doppio, l’ambivalenza, il cerchio, il segno perfetto.
Nella terza sala la natura, la forma circolare della terra, la terracotta, piccoli rami, luce lunare, aria e acqua. Aria dipinta.
Nella quarta sala la luce sublimata. Oro e bianco stemperato, tutto l’oro dell’estasi con tutto il biancore della luce ottenuto piegando e ripiegando la  tela in una pittura scultura. Attraverso le pieghe quasi del Bernini nella Transverberazione di santa Teresa d'Avila.
Dall'estasi al benessere, Antonio Pujia, nel prendere la parola, con molta semplicità, ci informa che lui dipinge per star bene, per dar forma cioè ad un benessere fatto di tanti riferimenti in un dialogo continuo con tanti, prima e dopo, con poesia e filosofia.
 Henry Michaux sulla via dei segni, il libro scelto da Saverio Tavano per dialogare con le tele e le carte di Antonio Pujia Veneziano, risponde a quel punto e mezzo di Armando Testa, al gesto e al colore per dire no, all'avventura del voler dire sì,  a sbuffi e spruzzi che son punti fermi nell'immaginario dell'umanità.
Nel punto amaro di  storia di sconfitte, di denominazioni, il gusto dolce dell'artista che prova a far bello un suo mondo interiore. 
Nel punt e mes di interiore ed esteriore, di segni e cancellazioni, l'equilibrio mutevole dell'avventura artistica.
 
E mentre il Castello di Terranova teatro del settecento si sgretola, sgretolando ogni esteriorità, nel ritornare alla finestra della storia, fermi nel tempo, segni nello spazio gli artisti tracciano perché se noi  siamo vivi un motivo è 


Luzzo Ippolita




 “ANTONIO PUJIA VENEZIANO
“SEGNI_TEMPO_SPAZIO”
a cura di Alessandro Masi
CASTELLO DUCALE DI CORIGLIANO CALABRO
Dal 23 Maggio al 26 Giugno 2015
Inaugurazione 23 Maggio 2015 Ore 18.00
Sabato 23 Maggio 2015 alle ore 18:00 sarà inaugurata, presso il Castello Ducale di Corigliano Calabro, la mostra personale dell’artista Antonio PUJIA VENEZIANO dal titolo “SEGNI_TEMPO_SPAZIO”, curata dallo storico dell’arte Alessandro Masi.
L’evento, promosso dalla Società Dante Alighieri - Comitato di Cosenza in collaborazione con le Associazioni Culturali EuropArte ed Aleph Arte, e organizzato dall’Associazione White Castle, vanta anche i prestigiosi patrocini culturali del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Turismo – Polo Museale Regionale della Calabria e del Comune di Corigliano Calabro.” 

sabato 23 maggio 2015

Giochi fai da te- La girandola della cultura

Soffia soffia nella girandola e questa gira gira più forte. Cultura. Si chiama così il vortice, il giro, la corsa, e gira gira gira più forte. Contributi regionali a penna d'argento, targhe d'encomio a calabresi nel mondo,premi e poi premi, ancora premi e di nuovo premi, inutili premi che servono solo a riempire pagine di vecchi giornali.
Manifesti sono le sorti dell'umane e progressive genti. 
Bisognerebbe mettere un veto, un freno, una risata. 
Bisognerebbe arginare il falso, inutile spreco, sempre imperante, disse qualcuno, del tener alto il vessillo imperante e poi soffiarci, soffiarci forte per far girar solo una consunta e stanca  girandola di una cultura di nome e non di  fatto.


giovedì 21 maggio 2015

Michela Cimmino e Ferdinando Scianna- La Fotografia


Tutti gli uomini scompaiono- mi risponde così Ferdinando Scianna a mio sconcerto che, di Tommaso Giglio, grande direttore del giornale Europeo, esista pochissimo in rete, oltre al mio post ed a sue testimonianze.
Tutti gli uomini scompaiono, ribatto io, però Tommaso Giglio vorrebbe parlare, parla attraverso noi, altrimenti perché io continuo a scriverne, io che leggevo sempre il suo giornale?
C’ è fra gli uomini l’incontro trasversale, esiste una comunicazione oltre il gestuale e riconosciuto scorrer degli eventi che ci porta dappertutto a fotografare l’attimo vivente, l’incontro fra l’usuale e lo straordinario, l’attimo fuggente del volo, della striscia di fuoco che scende giù, vero Michela?
Michela Cimmino, classe 1988, fotografa, Freelance. Sua la tesi con pubblicazione, Edizioni Accademiche italiane, sulla fotografia, la storia della fotografia, la comunicazione fotografica, fotogiornalismo e reportage, fotografia 2.0…
 la fotografia a portata di mano, con uno Smartphone
siamo tutti reporter? In potenza, direbbe i filosofi, poi aggiungerebbero che per essere reporter ci vuole occhio, testa e contesto…
 Instagram: Fotografie condivisibili con tutti i social, fotografie e hastag, etichetta applicata per fornire un tag di ricerca, per creare community, cioè contesto.
Oggi il contesto sembra che sia il Big Data, il campo dei database, grandi aggregazioni di dati, accessibili grazie a smartphone, sensori e computer.
Mappe rintracciabili con un hastag, con una legenda e strumenti di navigazione.
“Tracce virtuali lasciate sul nostro territorio  possono formare una mappa di dati capaci di prevedere e conoscere”
Una rivoluzione fra il diritto al rispetto delle proprie tracce e il diritto di accedere alla conoscenza.
Tracce di noi che non siamo un’orma sul terreno, benché capisca la risposta di Scianna, e Mappe, Contesto in cui muoverci per orientarci.
Mi sembra sempre che La lanterna di Diogene sia utile e che non manchi mai la consapevolezza del nostro usare nuovi mezzi per dire e fotografare quel nostro passaggio sul terreno che nessuno di noi vorrebbe solo un’0mbra sul terreno.
 Tommaso Giglio, Scianna, Salgado, Michela… a tutti noi che amiamo la fotografia… fotogiornalismo sarà
Cogli l'attimo, quell'attimo, quello che storia diventerà

                                                                            Ippolita Luzzo



mercoledì 20 maggio 2015

Matteo Garrone- Ip Ip Urrà- Nel regno della Litweb vinto ha già


Essendo forma contratta del mio nome, Ippolita, Ip Ip Urrà è il mio gioioso applauso ad un film che ho visto in braccio a mia nonna, per sere e sere, nel Cunto de li cunti di Basile, trasposizione favolistica di tradizione orale più immaginario personale e che  ora  scorre sullo schermo. Tre favole...
A che servono le favole? Perché si raccontavano? 
Per allenarci alla perdita
Si narravano nelle favole avvenimenti truci e violenti, il male senza senso, il capriccio di una strega, di un bruto, di un re, a cui sottostavano ragazze giovanissime e bimbi incolpevoli. Tutti condannati ad una sorte terribilmente ingiusta. Un continuo spavento ripetevano le favole per allenare i piccoli al vivere, per temprarli. La realtà per quanto cattiva non avrebbe mai raggiunto simile aberrazione oppure quand'anche, si era allenati.
Rido e rido nel primo tempo, sorpresa che altri non ridano, come, al contrario,  nella scena iniziale,  tutti ridano ai giochi circensi e solo la regina sta con labbra serrate  e non ride.
Si scopre presto che lei non possa ridere perché soffre di una mancanza. Soggiace alla privazione e vuole, con ogni mezzo, riempire suo ventre. Rider non può. 
Perché si ride? Di cosa si ride quando si ride.
Si ride se il pagliaccio cade, io non rido, si ride se un difetto fisico viene burlato, io non rido, non rido nemmeno alle barzellette sul sesso, sui carabinieri e sul governo. Mi mettono tristezza.
Rido e rido felice al film di Garrone “ Il Racconto dei Racconti” Tre cunti di Basile, tre storie, ambientate in Italia, e prendo  appunti. Ogni nascita presuppone una morte, per equilibrio nel mondo, dice la strega in nero, a me sembra un uomo, suggerendo come far nascere figlio alla regina. Nasce poi il figlio, anzi ne nascono due, identici, da due ventri diversi, e la regina inseguirà il suo, correndo,  nel labirinto di Donnafugata, senza mai raggiungerlo. Se non erroneamente. Scambiandolo. Nel gioco eterno del figlio scambiato.
 Muri e muri si alzano fra gli uomini e realtà, Si innalzarono muri e non ce ne siamo accorti, continua a dirci, con Kavafis, Matteo Garrone,  scegliendo alte siepi, Gole dell’ Alcantara e muri di pietra, muri mentali  del desiderio.
 La regina e il figlio, Il re e la pulce, e poi l’erotismo di Bataille, i corpi ubriacati per il piacere di un re che sposerà una vecchia con la pelle d’asino, pardon giovane.
Appunti sul film: tu pensi che quello che hai lo possiedi e lo possederai in eterno, pensi erroneamente che se ritorni giovane per un momento poi lo sarai per sempre. Dalla pelle vecchia alla giovane in un attimo e nello stesso attimo dalla pelle giovane alla vecchia. Solo un attimo. In un corpo che va per conto suo prigioniero di un sogno di possesso. Pensi di possedere un figlio, lo cerchi oltre ogni razionale e sensata condizione, lo cerchi nella morte e nel pulsare e poi e poi tuo non è. Così ci insegnano le favole I racconti di Basile sullo schermo di un immaginario teso fra le mura di Castel del Monte. Possesso possesso possesso.  Possesso di una pulce. Acari siamo. Giganteschi. Come la pulce del film. Come la pelle della pulce che esposta diventa l'asta con cui scegliere il destino della figlia del re. La pelle che isola e condanna. La pelle che capire tu non puoi... Ahah Mogol! La pelle di Curzio Malaparte. La pelle d'asino o diafana. La pelle che fa la differenza. Una pellaccia
Una possessione che filmica è. Nel film che scorre, tra passato e presente, onnipresente nelle nostre testoline più o meno strutturate a riconoscere simboli segni e significati di storia e spazi, costruzioni e rimandi, le favole antiche di un grande squallore, il nostro splendore
Il tempo della fiaba che scorre in ognuno di noi raccontando tutte le fiabe che ci aiutino a decodificare il tempo reale.
Un film che io  abito e torno ad abitare nel ballo finale a  Castel del Monte, con la principessa diventata regina, di ritorno e salva da un precipizio, da silenzi e terrori.
Nel ballo finale un filo si tende fra una torre ed un’altra. Il filo dell’equilibrio fra realtà e fantasia.