domenica 21 dicembre 2014

Litweb intervista Daverio. Al Premio Limen



Litweb intervista Daverio. Daveru?

Daveru?-  mi domanda spesso una  amica, non so se perché non ci creda affatto o per dire che quella cosa, quand’anche fosse vera, sarebbe niente, visto che lei dopo un attimo l’ha già scordata, infatti me la ridomanda.

Così, davvero, vi riporto mia intervista con Daverio, al Limen e sulla soglia del Palazzo Gagliardi di Vibo Valentia, ieri sera.

Intervista da Litweb, aerea e senza televisione, senza registrazione. Solo tasti di tastiera.

Conferenza, conferenza, ci sediamo inizia il Limen

Arte da far incontrare, da mostrare e da gustare per infine premiare.

Guardar lontano veder vicino, L'arte di guardare l'arte, L'arte è la nave, Arte stupefacente. Da Dada alla Cracking art. Installazioni

In corsivo titoli di libri di Daverio, che solo stasera conosco, venendo io  da un paese straniero, dalla Litweb, appunto, come inviato speciale.

Ascolto suoi aneddoti storici sui balconi di ghisa inglese nei palazzi nobiliari di Vibo Valentia e su  navi, con  arance e vino verso l’Inghilterra, ritornanti, per stabilizzar peso, carichi di ghisa, (a minor prezzo di quella di Mongiana) e   su come il marmo di Carrara stia sulle soglie delle scale del palazzo Gagliardi, essendo la proprietaria cugina dell’arciduca di Toscana.  

Una vera commistione di elementi, commenta Daverio, forse maggiore di oggi in cui tutto sembra commisto e non lo è.

Continua e ci porta in Parlamento Europeo a chieder vocianti solo di immagini, di statue e dipinti, gridare che con arte  Italia sia fatta, salvata, dice lui, per il vero motivo che sia Italia e Calabria  il paese dell’immaginazione.

Così lo ascoltiamo e  lo seguiamo per stanze e dipinti fermandoci insieme a dire bravo, interessante, molto carino oppure niente, sentendolo dire che per esser veri bisogna dire una bufala grande, dirla con forza e crederci davvero, convincere gli altri che questa sia vera, come fu con Capalbio, luogo di residenza di intellettuali, ma quali? Sorride lui, eravamo solo quattro amici che volevano divertirsi, eppure Capalbio diventò quello che per scherzo lui aveva detto.

Ed a questa sua asserzione  io dico:- Ahah come il regno della Litweb!-

Lui mi dà mail ed io manderò mio stralunato post su incontro Daverio -Daveru?- direbbe mia amica.

Daverio sarebbe pronto a fare un catalogo, perché un catalogo ci vuole, è come una casa, ed io son già nel film La migliore offerta e ricordo Virgil, il protagonista, Geoffrey Rush, alle prese con un catalogo che stravolgerà la sua vita.

 Daverio come Geoffrey?

Da Dadaista al Regno. Inviato in redazione il 21 dicembre, IV domenica d’avvento alle ore nove e venti. Venti Post\umi per voi.

Le élite


Io sono Litweb in rosso.

Ippolita Luzzo 

sabato 20 dicembre 2014

Quelli che sanno presentare libri



Quelli che presentano libri a volte sono più bravi, più preparati, più interessanti dello scrittore, del libro dello scrittore e del contenuto del libro dello scrittore che presentano.

Un piacere ascoltare quello che, loro suppongono, avrebbe potuto scrivere lo scrittore se solo avesse saputo mettere giù le frasi.

Sono da applaudire e infatti applaudo quando incontro fenomeni suddetti e loro sanno che, senza alcun velina, dico loro:- Tu sei stato bravissimo oppure bravissima, tu riesci a trasformare una zucca in carrozza, un foglio scritto in un racconto-

Sono una rarità, da proteggere da tanti, moltissimi presentatori che non sanno presentare nemmeno i libri veri.

Come presentano costoro, i non presentatori, i libri?

Ve ne racconto alcuni di molti anni fa con protagonisti prestigiosi

Venne Annarosa Macrì a presentare un libro e lo raccontò per filo e per segno, fino alla fine, tanto che dal pubblico, non io, sorse voce:- No, fai rimanere il piacere di leggerlo!-

Venne altra  donna delle pari opportunità lametina, della quale rimuovo sempre nome, non so perché, non lo ricordo proprio, e lesse lesse lesse, fogli su fogli mentre Carofiglio ormai distrutto si allacciava e slacciava scarpe e altra presentatrice le chiese alfine:- Tutti questi fogli devi leggere?-

Terribili presentatori che raccontano la loro vita, le loro idiosincrasie, la prossemica e la domestica, terribili presentatori che annoiano e allontanano per sempre il piacere del leggere non distinguendo una frase semplice da una complessa. Allungandosi in lungaggini inutili.

Terribili presentatori asserviti al vuoto piacere di aver in bocca microfono oltre cui dire che son davanti ad una Rosa o ad una Spina, ad un Nobel,  un premio qualsiasi, oppure al più grande romanziere del novecento italiano (del lametame), così sentii dire io una sera da un imprenditore e protettore dello scrittore che veniva presentato.
Poi domandano:- Sicuramente starà preparando il prossimo?-

Molto bene molto bene divertiamoci così se non fosse che "Da che parte sta il mare" noi sappiamo che sta sempre dalla parte del potere e giammai del sapere.

Onore e plauso ai bravi presentatori ai quali auguro di esser loro a pubblicare.

mercoledì 17 dicembre 2014

Mario Maruca all'Uniter




Mario Maruca all’Uniter


Il teatro dalla scena al quotidiano

Il teatro come comunicazione e per comunicare bisogna saper pronunciare le parole

Il teatro come dizione corretta

Rispettando la lingua, l’italiano.

Poche regole per avere dizione corretta

Le vocali sono sette, a è é i o ò u, aperte o chiuse.

Sono aperte se sono accentate sono chiuse se sono atone.

Lo insegnavamo a scuola ma non l’abbiamo mai messo in pratica, colpa di una abitudine dialettale. Di un uso comune

Ci siamo privati del piacere del suono della parola.

Mentre Mario parla di curva discendente e ascendente della frase, mentre parla dei muscoli facciali che non muoviamo nel pronunciare suoni, mi passa davanti un sud perdente e rinunciatario, servile e furbetto che se ne frega di imparare una corretta pronuncia. Un sud inservibile, continuo io, pensando a come abbia insegnato grammatica italiana, accenti e vocali senza mai correggermi un po’.

Nel porgere la parola ora Mario ci parla di gesti, di postura

Armonia tra corpo e mente

Se ti muovi veloce non puoi parlare lento perché l'azione del pensiero è una reazione all'azione del movimento

Di bugia e verità

Di come attore debba essere vero se non lo è risulta falso allo spettatore e non più credibile nel suo momento

Dalla scena al quotidiano

Recitare, creare energia

La posizione. Lo spazio tra noi.

La giusta distanza

Controllo delle cose

E mentre Mario conclude sua lezione di base sul vivere civile ci mostra con un esempio come ogni gesto sia una reazione ad un altro, se tu fai ciao ti risaluteranno e se rispondi arrabbiato ad uno già di suo infuocato un incendio si propagherà.

Al fuoco bisogna buttare acqua, ha sempre detto mia mamma e Mario insieme, facendo esempio e rispondendo dolce e con tono calmo a chi prima era irritato vedremo che anche l’altro sarà più disponibile, si placherà.

Lezione che noi tutti applaudiamo certi di voler imparare almeno a dir giusto una e.

Grazie Mario

martedì 16 dicembre 2014

Ti puzzano i piedi?



- Ti puzzano i piedi?-



Pubblicato da Ippi il Sab, 14/04/2012 - 13:51

Ti puzzano i piedi?   14- 04- 2012
Ragazzina, a casa mia non c’era più il telefono e nemmeno la televisione.
C’erano stati entrambi negli anni cinquanta,   poi il nonno aveva tolto tutto e la mia famiglia era ripiombata nel medioevo.
Pertanto negli anni settanta, io,  appena adolescente,  guardavo con invidia le mie cugine con televisione e telefono.
Una mia zia, seria ed attenta nella sua vita reale, all’arrivo del telefono a casa sua, subì uno strano fenomeno.
Alzava la cornetta e faceva un numero a caso, poi,  dopo aver ottenuto risposta, domandava:- Ti puzzano i piedi?-
Staccava,  felice dello scherzetto ed io ero sconcertata che una quarantenne, mamma, adulta, di chiesa, facesse così.
Ora mi spiego. Probabilmente il fatto di sentirsi invisibile e sconosciuta le permetteva di liberare i freni inibitori di una vita troppo controllata ed  infelice, non vera.
Mia madre, alla quale io raccontai,  mi rispose stizzita, mi rispose che lei non aveva tempo per simili stupidaggini, e che erano proprio scemate.
Era da allora che non sentivo rivolgere la stessa domanda in un contesto simile, fra sconosciuti, fra uomini e  donne adulti, seduti, suppongo ad un tavolo di conversazione,  su un sito letterario.
La chat pubblica, si chiama
Una meravigliosa opportunità di dialogo fra esseri umani in case disabitate oppure abitate da televisioni urlanti, da uomini ciabattanti, da donne in vestaglia, da pargoli frignanti, da adolescenti irrequieti e sbuffanti, da cani, da gatti, da pappagallini  e criceti.
La chat pubblica è facile: ti presenti, non c’è bisogno, chiedi il nome, non c’è bisogno di sapere il nome, vuoi sapere l’età dei tuoi interlocutori, sei forse della polizia? conoscere il luogo da dove parlano,  che te frega?
Mancano così i presupposti aristotelici di luogo di tempo di spazio.
Però si può lo stesso conversare, scegliamo un argomento, uno.
Ricordo ancora con nostalgia una bellissima chat con uno di voi, di cui conosco il nome, la città e l’età.
Una chat  sui fumetti, da Topolino a Tex, dal Corriere dei piccoli al Mago, a Linus, da Batman a Diabolik. Non si può nemmeno fare così. Sei scema?
Sono scema, sicuramente e rimango a guardare una conversazione così fatta:- eheheheheh,  ihihihih,prrrrrr,-
continua così:-ahahah, naaaa, azz.-
Finalmente la prima frase con un nesso logico, una domanda:-Ti puzzano i piedi?
Mi sono rifiutata di rispondere, ho chiuso la chat pubblica e sono rimasta a rimuginare su me che non so tuffarmi ancora nella bellezza di un dialogo sincopatico fatto di eee di aaa di  bbb.
Sulla leggerezza e sullo scherzo di una futilità che ci distrae.
Io mi sono solo intristita, ma io non faccio testo, io ho fatto studi filosofici e sono una che ha sempre pensato che esiste la logica, una logica.
Proprio per questo, penso che ci sia una logica in una domanda così:-Ti puzzano i piedi?-
  Evidentemente sono solo io a non saperla


Il palco vuoto



Il palco vuoto
Il sindaco, andando via da ennesima scempiaggine teatristica, sussurra: Melassa melassa uguale ogni anno- eppure non si oppone anzi sussurra, nemmeno un respiro deve circolare nell’aria fetida della palude.
Lo spettatore si beve qualunque sciroppo, un libro autopubblicato e sciorinato come Dumas e un corso per autoguida di un sé disperso nell’aere scuro del divenire
Un canto al cielo e un musical prodotto da chi fa scatole che son contesti
Vuoti
Palchi che applaudite per non sembrar esser diversi, palchi che poi omaggiate sia che ci sia un genio oppure un cretino.
Palchi che stanno su per un solo motivo quello di prendervi in giro perché se voi lasciando la rappresentazione non saprete nemmeno cosa abbiate visto, l’altro il protagonista pensa se ci abbia poi guadagnato a farsi vedere da una massa di ignoranti che nemmeno una critica, un pensiero concluso abbiano fatto
Palchi vuoti di pensiero debole troppo debole per opporsi a chi con comparaggio vi è salito su
Palchi inutili o utili solo a chi con un microfono vuol fare l’amore
Una masturbazione senza creare