Michele- L’infinito buio
Una indagine difficile per il
commissario Capurro
Un commissario fragile e
solitario, convinto però che chiunque compia un assassinio, un atto criminale
di qualsiasi natura poi voglia raccontarlo. Chiunque.
Da Dostoevskij a noi, basta
aspettare e inevitabilmente la rivelazione verrà fatta, come una liberazione.
Giallo psicologico e di
introspezione accurata, giallo di ambienti che abitano strade, case e Genova.
Mi trovo sul comodino
L’infinito buio per una bella amicizia, per temi condivisi con l’autore.
Identico infatti lo
scetticismo che, attraverso i tasti, si possa davvero amare, innamorarsi,
essere amici.
Identico il convincimento del
pericolo della suggestione che una immaginazione può creare.
Identica l’ammirazione per
grandi autori che capirono, prima di internet, come una molteplicità di stimoli
azzerino oppure fanno disconoscere l’unico motivo valido.
Ricordo la chiacchierata sul grande inquisitore,
sull’uomo che condanna Gesù, ritornato sulla terra per liberarci.
La stessa cosa potrebbe
succedere ora.
Non riconoscere chi viene per
dare la luce, la conoscenza, liberarci dalla schiavitù, per dare amore.
Il popolo è ondivago,
manipolabile e segue… segue
Seguirà l’inquisitore che,
benché turbato dal bacio, continuerà nella sua opera di condanna.
Forse la grande e difficile
arte del narrare sta proprio nello svelare, non troppo, quello spiraglio di
luce fra noi e le tenebre.
Poco però per non abbagliare.
Indagini quindi fino ad
entrare nella mente dell’assassino per capire, per accendere la luce.
Mi piacciono i gialli, mi
piace un genere che, indagando su un omicidio, in effetti indaga sulla miseria
di vivere come si vive, nel vuoto assoluto di luce.
Fissati tutti, convinti che
l’altro, che gli altri siano i cattivi, gli invidiosi, i maligni, convinti che
uccidendo un altro, si possa eliminare il male, il malessere profondo di
abitare nell’individualità.
Riflessioni autunnali, con
accanto il libro dalla copertina rossa, come un tramonto.