lunedì 14 ottobre 2013

Ciao, Caterina - Tiziana Iaquinta

A Tiziana Iaquinta



Le parole che non ti ho detto-Film

La fine è il mio inizio-Tiziano Terzani

La vita non è uno scherzo- Nazim Hikmet



Un gioco: la vita può esserlo, però diventa il gioco del riconoscersi.

Quante cose tu conosci di me? Quante cose io conosco di te? Giochiamo?

Giochiamo? chiede il papà a Caterina, la sua piccola bimbetta di tre anni, durante un lungo viaggio in macchina, imbottigliati nel traffico.

Giochiamo al gioco che tu mi hai suggerito, piccola mia, giochiamo a conoscerci. 
Siamo per questo al mondo, vero?



Dal libro al palcoscenico, dal Teatro dell’Acquario e di nuovo in macchina, a conoscere e conoscersi per amarci.
- Ciao, Caterina-
elaborazione proposta dall'associazione culturale Alt Art

Tiziana Iaquinta si commuove, sulla scena Marco Paoli, regista attore, nel ruolo di padre, monologa e dialoga con Caterina, figlia di Giuseppe e Tiziana, una bimba di dieci anni, ora. Dialoga con le parole che Giuseppe ha detto a Caterina negli otto anni del loro viaggio. Cosa piace, cosa non piace, quale lavoro faccia, chi sia il suo papà.
Da due anni Giuseppe viaggia su altre strade, in un'altra dimensione, in un altrove che noi immaginare non possiamo, nella luce e nell'eterno del mistero.

Da quel suo luogo, però, lui ha dettato a Tiziana, sua moglie, un continuum di parole, sensazioni, di immagini, e lei senza fermarsi, spinta dall'urgenza di dirle, le ha scritte inverandole in un libro. 
-Ciao,   Caterina. Lettera sulla soglia-

Lettera sulla soglia, prima di partire per sempre, lettera sulla soglia, dopo una lunga visita, di ritorno da lassù, dal luogo che non c’è, da dove si può tornare solo se quaggiù sono rimasti gli affetti. 
Celeste è questa corrispondenza di amorosi sensi- L’entusiasmo di esserci, di volere, di trasmettere, di dire, l’entusiasmo di oltrepassare saltellando, come i tanti saltelli che abbiamo o avremmo dovuto fare da bambini, di andare oltre, questo vuol dire vivere e reinventarsi giorno dopo giorno il gioco degli affetti, dei legami, della simpatia con i nostri simili, con i nostri cari.

-Tu coniugherai al presente- sulla soglia Giuseppe, nel commiato.

La vita non è uno scherzo, prendila sul serio, ma sul serio a tal punto che a settant’anni, per esempio, pianterai degli ulivi, perché non crederai alla morte, pur temendola, e la vita peserà di più sulla bilancia… sentivo questi versi di Hikmet nella mente mentre la scena andava. Sentivo tante altre assonanze, tante connessioni fra esseri dotati di sensibilità amorevole, e poi tutti i nostri scritti si incontrano.

La chiave che libera il gioco, la chiave che ci apre la fantasia e ci fa interpretare l’altro, la chiave magica si chiama scrittura, lettura, recitazione, musica, pittura, fotografia. Si chiama condivisione.

Caterina non era presente ieri sera al Teatro dell’Acquario, si parlava solo di lei sulla scena, il suo posto accanto alla sua mamma portava ben scritto sul foglio bianco
- Riservato a Caterina-

Io credo che a lei sarebbe piaciuto moltissimo, io credo che le piacerà moltissimo, col tempo, crescendo, ascoltare e sapere le tantissime cose che ognuno dei due conosceva dell’altro e giocare un gioco che vinciamo solo se siamo attenti.

Solo l’attenzione, cara Tiziana, conserva dettagli, osserva e cataloga, sceglie e imprime nel ricordo tutto il meglio e tutto il peggio che ci può succedere per ridonarci tutti i nostri giorni, sbagliati o no.

So che questo è il tuo stesso sentire, so che questo è il nostro comune retroterra di studio e di passione, inutile quindi mi sembra il mio dire.

Se scrivo adesso è solo per testimoniare, per testimonianza di una comunità fra viventi in terra e in cielo, una stessa comunità

Guarda il video di "L'arcobaleno"

Io son partito poi così d'improvviso

che non ho avuto il tempo di salutare

istante breve ma ancora più breve

se c'è una luce che trafigge il tuo cuore

L'arcobaleno è il mio messaggio d'amore

può darsi un giorno ti riesca a toccare

con i colori si può cancellare

il più avvilente e desolante squallore

Ecco la canzone per noi. Battisti la dettò a Mogol, da lassù, come Giuseppe ha fatto con te, come continueremo sempre tutti a parlarci se lo vogliamo, perché tutto il nostro fare, dire, immaginare, è volontà.
Ippolita Luzzo 

venerdì 11 ottobre 2013

Gianni Ianni Palarchio- per noi




Ho visto che cercavi un motivo per essere felice- Gianni Ianni



Esistono gli angeli? Se esistono sono come noi, come te, come me, come lei,

 come noi tre, seduti qui, al tavolo, abitato dai tuoi fogli.

Siamo con i tuoi fogli in mano, con loro che sorridono e che parlano,

siamo qui e ci parliamo tutti, perché questa è poesia.

Per amore, solo per amore, disponibilità a viaggiare per incontrarsi, attenzione verso,

donare un momento, donare per allargare il nostro vissuto.

Poesia

Tue poesie, tante poesie e fra queste ora ho conservato questi tuoi versi nei miei documenti


“Non ho voglia di capirne il senso

come di essere felice nel passaggio,

ma ti ho vista ridere in un mondo che è solo il mio

e se pensi, credi e speri che sia solo fantasia

nel mondo che io non conosco tu non ridi più.”


Noi abbiamo riso con gli occhi e già mi manchi, già ci manchi, ti direi

 se non temessi di essere poetica come un bacio perugina.


Gianni Ianni, poeta che protegge e vuole essere protetto

Poeta che ha voglia di famiglia e di libertà

Intensità e spirito da bohéme, comprensione e capacità di esprimere,

 poeta creativo come il suo segno aquario con luna in cancro


“Quello che non ti ho dato”


“E tu, padrona di ogni cosa e splendida melodia

che non esisti ancora e non ti ho ancora pensato

 perché laggiù, dove tu mi attendi,

 ci sarà poesia e suoni di foglie, gocce di rugiada e l’amore che ti ho dato.”



E tu...è una persona ideale che non esiste

e tu mi aspetti

e tu mi vedi

e tu vorresti quello che io non ho dato


“È poesia...dove tu mi attendi...non so dove sia, non so chi tu sia, non so nemmeno se ci sarai, ma è l'ideale che incanta i sogni...”


 L’azione… manca l’azione, infatti, così mi dice ora la tua luna a conferma di una mia domanda lontana, la tua luna esalta il lato fantastico e rischia di sottovalutare la realtà inevitabile



"e tu vorresti quello che io non ho dato."

Molti ormai ci vogliono convincere che poesia e scrittura sono mondi avulsi dal nostro vivere personalissimo, ci vogliono convincere che se c’ è un momento autobiografico quello scritto non è valido, che noi dobbiamo scindere, insomma valutazione e fruizione dell’opera dall’artista e dalla sua vita.

A me sembra crudeltà, sembra che sia un dividere in due il bambino, come propose Salomone alle due mamme che se lo contendevano, e come la mamma amorevole io urlerei che dividere artista dalla sua arte non è possibile. La vita dell’artista si legge lì 
e lui ce la regala, volente o costretto dal suo stesso impellente stimolo di viverla con noi, per non tenerla più. Nonostante tutto è bellissimo dare a chi ascolta il peso che ci grava, il fantastico che ci lievita, il vortice che rapisce.


“Ho visto che cercavi un motivo per essere felice

Ho visto la tua immagine allo specchio inseguire una certezza

Ho visto che non era natale e che niente potevi regalarmi

Ho visto che neanche con tutto l'oro del mondo potevo comprarlo

Ho visto che non c'ero e che non ci sarei mai stato

Ho visto che non era la fine, ma l’inizio del racconto.”

Ed ora che ci siamo visti lo sappiamo di sicuro che non è la fine ma l’inizio del racconto.

"Ho rivisto il mondo che parlava e si dibatteva

con occhi stolti, grandi e sognatori;

sentivo l'ansia ed ogni suo pudore

che tendeva all'incanto e alla massima gloria.

Certe verità vanno conquistate,

certe parole dette

per chi comprende e si lascia andare

e vuole portare il tempo e il suo passare

ad un solo istante

che non può, non sa e non vuole

finire mai.

Oggi, quel che è perso è perso,

è fuggito via,

troppo lontano per essere raggiunto,

troppo vicino per essere dimenticato
Ciò che è perso è perso

e, per quanto possa essere doloroso,

è meglio che non torni mai più."
a la buena de dios- cantavano I ribelli, nel 1966, ed io non so perchè la ricordo con te.
Una poesia, la tua, dialogante, un discorso con noi, con chi ti incontra, una prosa limpida e verseggiante, verdeggiante, nonostante succeda di tutto di più, nonostante si perda e mai più si rigiocherà quella partita. Sul campo, in derby senza arbitro e senza pubblico, fischia lo stesso la fine del primo e secondo tempo, e le due squadre lasciano il terreno a capo chino, senza esultare. Oppure sì?
Nelle tue poesie, sicuramente certi di aver giocato una buona partita, il rimpianto del gol mancato é solo un attimo, poi i giocatori ritorneranno ad allenarsi.
Precario é il mondo, precario il lavoro, precario il vivere, però... la costante rimane.
E la poesia del tuo accompagnare il primo amore all'altare é la favola vera che non ci illude. Se esiste poesia il suo valore aggiunto accompagnerà anche noi.  Per questo tu scrivi. Ancora "quando il cielo biasima se stesso con temporali, siamo noi che dobbiamo dargli fiducia affrontando la pioggia" perché come diceva Finardi, "ci può cadere il mondo addosso, finire sotto un masso, ma non ci arrenderemo mai" ora sì.

venerdì 4 ottobre 2013

Quest'ombra sul terreno- Felice Mastroianni



Quest’ombra sul terreno- Felice Mastroianni


La favola


Mi sveglio.

Ѐ la favola della nostra vita

Quando possiamo affacciarci

A salutare

Un nuovo mattino.



Così Felice Mastroianni continua l’eterno canto dei poeti che non si stancano di ricordare che nulla è scontato, che solo le piccolissime cose fanno di noi un essere umano, che essere felici vuol dire accorgersene, accorgersi che è di nuovo mattino.

Quest’ombra sul terreno, titolo di una sua raccolta, avviata alle stampe nel 1983, ad un anno della sua scomparsa, obbedisce ad una disposizione delle liriche, curate dallo stesso autore.

Il libro è stampato postumo, nel baule altri suoi scritti aspettano vengano editi.

Le sue raccolte, in vita, avevano titoli di antiche praterie nei pascoli verdi di Manitù, “L’arcata sul sereno”, “ Favoloso è il vento”, “ Luna santa luna”, titoli di un amore sconfinato verso il cielo.

“ Quante volte ho guardato al cielo” canta Renato Zero, quante volte abbiamo guardato il cielo, noi tutti, per prendere il volo, per sentirci piccoli dinnanzi alla grandezza, tanto piccoli da aver inventato il metro, per misurarlo un po’.

Sfoglio e risfoglio questa raccolta di poesie, la porto in giro per casa, anche a mare, in borsa, in terrazza, dinanzi al cielo che muta, a nuvole che dipingono rosee, dipingono grigio, il nostro cielo.

La poesia ci chiede sguardi sbilenchi, ci chiede di alzare gli occhi, di guardare di lato, di stare sul baratro fissi a vedere vertigine. La poesia è vertigine, affidare a parole la vita, affidarsi al giudizio di chi, leggendo capirà altro, non avendo visto lo sbalanco.

Felice Mastroianni, dal suo sbalanco, tiene stretto per mano tutti gli altri poeti, suoi simili, a lenire quella inquietudine di sentirsi un’ombra sul terreno.

“ Perché il vento non si porti via tutto di me” è la sua preghiera a moglie, ai  figli, una preghiera universale che tutti facciamo nostra. Mentre lui prega che questo accada, che lui rimanga nella memoria, già sa che

“ Cadranno le mie parole,

col tuo volto

E non sappiamo alba

 che venga a risvegliare il tuo nome

e la mia voce,

…Viene un vento d’anni

cui non reggerebbe un cuore.”

Felice "è tardi per noi", potrebbero rispondere a lui Montale con “ Non recidere forbice quel volto”, Costabile con la sua apparentemente frivola risata, espressione di una sofferenza inaudita e “Nel cammino senza tempo questa ombra sul terreno non è che un istante” vero?

Eterno l’andare?
Eterno e circolare, risponderebbe Sereni, lui che lesse" Sola", lui al quale Mastroianni chiese " Ma a che cosa abbiamo creduto?" rispondendosi " è rimasto il vento delle colline a risonarci dentro" e la risposta soffia nel vento.
Soffiano nel vento della storia le tante domande dull'ingiustizia, sull'infelicità, sull'ineguaglianza.
Parlando con Rocco, suo coetaneo, contadino del paese,  Felice cerca la solidarietà, " in te ritrovo... la traccia che può riportarmi lontano agli anni del silenzio" e ancora " tu solo forse hai un'immagine di me la più vera: scaviamo invano io l'anima tu la terra per un filo di sorgiva" 
Dal suo vissuto al nostro, dalla storia ai miti, con libri in mano, con scolari davanti, con inchiostro e pennini, siamo arrivati da lui  a noi e con lui diciamo " siamo gli eredi delle mani screpolate e incallite gli estranei al cuore della terra" " si spegne la luce... d'un mito di salvezza... all'arca dei sopravvissuti ai diluvi del mondo." Sembra cronaca di oggi, sembra dolore di oggi, sembra che questi versi siano lo scrivere di un nostro coetaneo, di chi stia guardando un mondo senza luce e  senza salvezza 
Ippolita Luzzo 




giovedì 3 ottobre 2013

Teneramente Tattico- Daniele Timpano



Teneramente tattico- Daniele Timpano

All’ingresso del  teatro Politeama di Lamezia stiamo fermi in tanti, aspettiamo che inizi un monologo in cui l’Italia s’é desta, dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa, e scopriremo in seguito, grazie a Carla, l’invisibile, che in realtà l’Italia sta nel burrone.

Dalila contro Sansone, Dalila Cozzolino, contro la ‘ndrangheta.

Siamo fermi, dicevo, appoggiati al muro, e conosco Daniele Timpano così.

Al muro. Lui si gira, accetta il contatto facebook, immediato, clicca mi piace, e la giornalista se lo porta via.

Le serate della rassegna Ricrii, stagione teatrale di residenza 2013, in questo settembre ottobre, cercano disperatamente, ma non troppo, un padre da guardare.

Patres sembra Recalcati, lo scrittore  dopo aver partorito Telemaco, Dario e Gianluca dopo La tempesta, Patres, Padre nostro che sei nei cieli…

Il padre che non abbiamo

Dal padre al figlio, seguo queste tre sere, sempre con questo padre, il padre di Dario, di Dalila ed ora il padre di Daniele.

Il padre partito, Il padre sparito, il padre morto.

Eureka, il padre non c’è. Evviva! Chissà come sarei stata, saremmo stati felici di saperlo tutti, un tempo lontano

Eppure abbiamo legami, legacci, e mattoncini lego che ci legano ancora…

Il lupo di Daniele lega la mamma, così non scappa, nelle "Operine splendide", che Timpano ha scritto a venti anni,  lega Clorinda terrorizzandola, certo per amore, solo per amore, e Oreste uccide la mamma, consigliato da Apollo. “Posso ammazzare la mamma?” é la domanda ovvia. Certo che puoi, caro!  

Il dadaista, che saresti tu, caro Daniele,  ci lascia stasera, dopo due ore di monologo, in cui io ho provato di tutto, sfinita mi sono poi arresa, uccisa e risvegliata, ho avuto un sussulto di orgoglio e riconosciuto Renato Curcio sui monti di pietra…

Insomma anni terribili e  tu sorpreso ti sei chiesto come fai ad esserci dentro visto che, come il lupo e l’agnello, sei nato dopo, quindi non puoi aver sporcato l’acqua, quindi non puoi arrabbiarti così, quindi non sei tu ad averla sporcata.

Veramente mi rifiuto anche io, io non c’ero, non sono stata,  e se c’ero leggevo. Non ho mai vissuto qui
Chi ha rubato la marmellata?
La fiducia di credere che un giro lo possiamo fare tutti, la fiducia di credere che non uccidi mai definitivamente, che nessuna cosa viene uccisa per sempre, perchè tutti dopo tre giorni risorgeremo, la fiducia di fare parte di un tutto, questa fiducia non ci lascia mai
Il surrealismo a luci rosse, proprio rosse, come il colore di tutto quel sangue rosso, come il rosso del tramonto che ...se rosso di sera, il rosso che non è più una bandiera e continua però ad essere il colore della vita, del palcoscenico, quel rosso di una Renault Rossa che ci appartiene, trasforma il bagagliaio morto in un fremito di memoria viva, vivo come sei tu.