Quell'anno che mi fissai con la tribù degli Yanomani.
Insegnavo a Monterosso, in una prima media e facevo storia, o meglio avrei dovuto, ma non potevo.
Quell'anno esistevano solo le tribù amazzoniche, il loro mondo, perché si erano fermati, perché vivevano ancora in un periodo astorico senza progresso, senza divenire.
"Erano cretini?" mi domandava qualcuno
"Sicuramente" si rispondeva da solo "Sono inferiori, ma sì, ma sì" diceva quello, compiaciuto, a tavola, di tanta evoluzione, di tanta comodità.
"Noi occidentali siamo progrediti, noi siamo migliori" e poi continuava "Cos'è l’intelligenza? è sicuramente un popolo non intelligente"
Questo fra un primo ed un buon caffè.
Ed io ribattevo con tutto lo strutturalismo, con la filosofia dell’essere che loro avevano introiettato e noi no, noi eravamo figli del divenire mentre loro erano andati nel profondo dell’incontro fra uomo e natura e noi avevamo scisso per sempre il nostro legame beoti e incoscienti di vivere ormai nel migliori dei mondi.
Così andavo a scuola e quella tribù da ottobre a dicembre fu ben studiata, usi costumi, linguaggio, suddivisioni in uomini e donne, le donne vivevano solo tra loro.
Avevano capito prima di noi, semplicemente loro sapevano che niente dovevano dire agli uomini, noi ancora caparbie proprio non lo vogliamo capire. Gli uomini, certo, giocavano con i piccoli, quando tornavano dai loro giri, si dondolavano sulle amache, stanchi dalle cacce a piedi, dopo aver inseguito per molto tempo la scimmia, il tapiro, le tarantole e le termiti.
Studiammo il rapporto violento, aggressivo, dell’uomo civile nei loro confronti, il lento e veloce asservimento di un mondo ai biechi bisogni dell’uomo moderno.
Arrivammo a Natale ed io mi accorsi con vero terrore che non avevo fatto né fiabe, né favole, né pleocene e nemmeno sumeri ma avevo spiegato la favola nera dell’oppressione sul diverso, sull'altro da noi.
Nel salutarmi, però, i genitori, venuti agli incontri del primo trimestre, erano sorpresi ma tanto felici, si erano proprio sentiti coinvolti a ricercare cartine geografiche, a rivedere foreste pluviali, a considerare un mondo diverso fatto di riti e danze tribali.
Un mondo popolato da anime, dovunque, negli alberi, nei fiori, nei loro animali, di anime vive che sono con noi.
Ne fui sollevata ma al ritorno a gennaio ripresi il libro di testo e velocemente spiegai gli Assiri, i Fenici, gli Etruschi, gli Ebrei per poi rifermarmi su Greci e Romani.
Ma che meraviglia! Ma che assurdità!
Un duplice mondo, un mondo affannato ed uno fermo, un divenire ed uno stare immobile, un essere per sempre, così come lo chiamava il mio professore di storia della filosofia.
Nessun commento:
Posta un commento