domenica 7 febbraio 2021

Pavese Non ci capisco niente Lettere dagli esordi


 I Pacchetti, i libri pronti per essere spediti, sono raccolte inedite di lettere dagli epistolari di grandi personaggi della storia, della  letteratura. Sono leggeri e tascabili e la sovraccoperta può essere trasformata in una busta per essere affrancata e spedita con la sua bella lettera all'interno. L'Orma Editore  ama i libri e li cura con affetto infinito, e noi insieme abbracceremo queste meraviglie. Sono 37  I Pacchetti, con le lettere di Gramsci e della Austen, di Wilde e della Luxemburg, oggi con Pavese, affidato alla sapiente attenzione di Federico Musardo. 

 Federico Musardo raccoglie le lettere di Pavese, in un periodo che va dal 1924 al 1936, dai sedici anni dell'adolescenza ai trenta della età adulta, anno in cui Pavese esordì con la raccolta di poesie Lavorare stanca. 

Pavese scrive e conserva, forse consapevole che tutto un suo pensiero debba essere lasciato a noi, e scrive al professore di italiano e latino, Augusto Monti, scrive ai suoi amici, Mario Sturani e Tullio Pinelli, e noi lo incontriamo nel suo farsi scrittore, nel confessare dubbi e nel voler attenzione. Con le contraddizioni e gli amori, con la voglia di usare la scrittura per divergere dalle incombenze del vivere difficile, come poi ci dirà nel Il mestiere di vivere, il diario dal 1935 al 1950. 

Federico Musardo ci invita a leggere le mail per "scoprirne il piglio insolente da spaccone, il sorriso sornione, persino la voglia disinibita di divertimento" ed io ve li raccomando con la stessa affettuosità. "Più si è malcontenti di sé e più la firma si mette gigante" scrive fra parentesi Cesare Pavese a Sturani, nel novembre del 1924, ed io faccio la prima piccolissima orecchietta al libro, per pentirmene subito dopo, perché non dovrei sciuparlo, ma il desiderio di fermare con un mio segno mi sembra impellente quasi come quello di chi crede fermamente di avere vastità e verità con il libro in mano. Con un libro il mondo è nostro, sembra ci diciamo. 

Il libro è arricchito da fotografie dei destinatari delle lettere, conosciamo Sturani, Pinelli, Monti, e quello che poi mi sorprende, ma qui è un mio fissarmi, è leggere in una nota che Sturani si vedrà rifiutato un suo romanzo all'Einaudi proprio per l'opposizione di Pavese, ed io sono curiosissima di sapere ancora. 

A Tullio Pinelli il 18 agosto 1927 Pavese scrive: "E se amo anche i libri è perché in fin dei conti i libri sono parte del mondo, come le donne, gli alberi, le bestie, i fiori, i poeti, le fabbriche, le stelle e questa mia meravigliosa lettera" 

e sorridendo affabile dal mio "meraviglioso pezzo" un grande onore per me avere nel Regno della Litweb il delizioso "Pavese Non ci capisco niente" Lettere per noi

Ippolita Luzzo  

sabato 6 febbraio 2021

Finestra vista mare di Ariel Fonseca Rivero


 La casa editrice Ensemble ringrazia, alla fine, chi ha permesso di portare avanti il progetto di stampare e pubblicare bei libri. Ci sono i nomi di questa sinergia fra lettore e lettura, fra editoria e librerie, fra tutti noi che amiamo i bei libri. Mi piace molto stare qui a parlarne e a consigliare questo libro, tradotto con cura da Laura Mariottini e Alessandro Oricchio, un libro di racconti, e nella premessa Laura Mariottini ci parla proprio di cosa siano i racconti.

Nelle parole di Cechov il racconto deve tenere il lettore sospeso fino alla fine, in Poe la lettura deve durare da mezz'ora a due ore, in Quiroga il racconto è come un tiro alla freccia che non permette distrazione, in Cortazar la similitudine del racconto con la fotografia.

 Io amo moltissimo i racconti, quelli di Dino Buzzati e quelli più recenti di Simone Ghelli, quelli fantastici e quelli dove il gioco della vita raggiunge angoli dimenticati. Ho amato moltissimo questi di Ariel Fonseca Rivero, sette racconti con sette personaggi, che noi guardiamo come se fossimo alla finestra. L'immagine della finestra mi è familiare e sento familiare l'autore come se fosse un abitante nella mia casa. 

Mi leggo con attenzione anche l'intervista che Fonseca Rivero dona ad Alessandro Oricchio, un donare Cuba, l'isola di Fonseca, un donare le persone che vivono a Cuba, ciò che lui vede ogni giorno. Sono con lui, con la fatica di vivere con i pregiudizi atavici, con la violenza di cui non si parla mai, una violenza silenziosa: l'umiliazione. 

Nonostante tutto però il messaggio è sempre positivo e c'è sempre la lotta per raggiungere ciò che si desidera.

E poi c'è il mare.

Uno degli ultimi miei pezzi è dedicato a Piergiorgio Paterlini e al suo Stanno smontando il mare, ed in entrambi i racconti io sento il mare, l'odore della salsedine, e il mare che è movimento e sollievo. 

Imparo tutta l'intervista e sono d'accordo sul dono della sintesi per raccontare un urgenza, per raccontare e comunicare ciò che si ha dentro, senza etichette, per dirlo semplicemente. E fra i nomi amati da Fonseca trovo lo scrittore Abelardo Castillo Mondi reali, libro amatissimo qui a casa mia, nel Regno della Litweb. 

Finestra vista mare

Così, tanto per dire, uno dei racconti che riguarda una vita matrimoniale, un tradimento, e alla fine la violenza, la violenza dell'inizio. La lotta

Il viaggio, e qualcuno che se ne va, Carlos va via, e poi Carmen, cara Carmen, l'amore rende ciechi. 

Sette racconti per voi, per noi che amiamo i racconti, ed ora mi ricordo quegli altri racconti di Alessandro Raveggi, Il Grande regno dell'emergenza, e con lui e con  Raymond Carver affermiamo: "Mi piace quando nei racconti c'è un senso di pericolo o di minaccia. Ci deve essere della tensione, il senso che qualcosa sta per accadere, che certe cose sono messe in moto e non si possono fermare" nel grande Regno della Litweb

Ippolita Luzzo 


lunedì 1 febbraio 2021

Alessio Forgione Napoli mon amour


 "Ferito a morte vivo per sempre" è il titolo dell'articolo di Sandro Veronesi sulla Lettura del 31 gennaio 2021, ed io lo leggo con in testa l'incontro fra Amoresano, il protagonista di Napoli mon amour, e Raffaele La Capria. 

Mi piacerebbe moltissimo leggere Alessio Forgione sulle pagine dei giornali di letteratura e non dubito sia e sarà così perché Alessio è uno scrittore che affascina e commuove, che suscita empatia e amicizia. Mi sembra proprio di conoscerlo dopo aver letto una stupenda prefazione al libro di Marotta "San Gennaro non dice mai di no" e ora qui alla prova con Napoli mon amour "Piccoli pezzi" di un mondo fatto a pezzi.

Cosa sarà di noi, non lo sappiamo, in un girovagare che fa pena.

"Dentro di me comparve una pena che poi crebbe, inarrestabile. Per me stesso, per il mio presente e per quello che sarebbe stato il mio futuro, e provai pena anche per lui, che si guadagnava la vita in quel modo assurdo. Pensai che forse si sentiva umiliato dalle cose che gli accadevano ed era per questo che m'aveva tenuto là, temporeggiando su quello che aveva da dirmi" la dissoluzione del lavoro ci sta tutto, come un saggio sociologico, nell'offrire lavori che non sono lavori, nel creare qualifiche che non sono qualifiche, ed qui nell'incontro fra Amoresano e chi lavora, per finta anche lui, alla comunicazione di una Onlus, ci sta tutta la pena di un nulla fatto mercato d'illusioni per fingere ancora che non sia crollato del tutto il mercato.

 Continuo a copiarmi le pagine seguendo il protagonista nel suo andare dall'amico, vivere con i genitori, prendere la macchina della mamma e sfasciarla per un incidente. E poi l'amore, e poi la scrittura, la voglia di fare racconti e l'incontro con La Capria e poi lo scrittore gli chiede di parlargli di "Ferito a morte"

" Gli dissi che doveva considerare che era scritto in maniera perfetta. Centotrenta pagine e non una virgola fuori posto" "Gli dissi che la vicenda di Massimo De Luca era una vicenda universale in cui mi riconoscevo " " Gli dissi che aveva così ben descritto Napoli che Napoli , forse per non rovinare il libro, non era più cambiata" e io sto sintetizzando tutto ma chi leggerà sarà come me coinvolta e prenderà in mano i racconti di Amoresano e insieme l'opera di Raffaele La Capria con su scritto, "Un augurio, Raffaele La Capria".

Mi piace moltissimo questo passaggio di testimone, questa amorevolezza nel mondo difficile delle patrie lettere e sono sicura che la vita sia proprio questa, fatta di attimi di perfezione. Ed è ciò che un bel libro deve regalarci e ci regala ora Alessio Forgione con Napoli mon amour subito nel Regno della Litweb

Ippolita Luzzo 

mercoledì 27 gennaio 2021

Pezzi recensiti da Giovanna Albi


Quello di Ippolita Luzzo è davvero un nomen omen; la regina delle Amazzoni non sì è fatta decurtare però del dono del suo cinturone, che la rendeva invincibile, e certo Eracle non lo portò ad Euristeo. Non ha sposato Ifito e nemmeno Teseo e non è la madre di Ippolito. Lei è rimasta l’indomita amazzone, oggi una delle più versatili e folgoranti critiche letterarie contemporanee, che ci parla dal regno della litweb. La casa editrice Città del sole, con la curatela di Letizia Cuzzola, ha selezionato alcuni pezzi dell’autrice “liquida”; non saprei dire se i più belli, ma certo tali da cogliere lo spirito pugnace, dissacrante, irrisorio, ma al contempo profondamente umano di chi combatte ogni giorno per far emergere in questa elefantiaca produzione pseudo-culturale autori che forse non avrebbero la risonanza che meritano. Non sto qui a consigliare il libro per vincolo amicale, anche se, come dice Ippolita, l’amicizia ha bisogno di acqua, e noi non siamo cactus, non sto qui a portare acqua al mulino di una amica, ma perché credo che i pezzi della Luzzo compongano un puzzle animico di assoluto interesse. Dalla presentazione che fa di sé come una donna sui generis, che non rientra certo nella categoria standard della donna del Sud: non ha mai fatto la salsa di pomodoro, le melanzane ripiene, non stira le camicie…si sente che il Sud sta spostato in un altrove, che è nel suo sangue, nello spirito creativo e ribelle, nella ricerca indefessa della sua anima, perché per lei scrivere è la sua droga e sottende la fiducia illimitata in un giorno migliore che certo verrà. Un giorno da condividere da donna con le donne; perché è sempre la giornata della donna per la Luzzo che la “incarna la quintessenza femminea” con tutte le folgorazioni del caso. Stile intuitivo, immaginifico, sospeso, taciuto, svelato con parole che si rincorrono con lena: parole scavate, tese, irridenti, ironiche e pur di denuncia di tutto quello che non va in questa società che soccombe alla crisi. Nel passo dedicato alla Donna Marisa Belisario si registra la condanna delle idee ex coro e amaramente: ”un giorno le idee coltivate (negli horti conclusi) restarono anch’esse senza rivoluzione e nella città in cui tutto si confuse anche le idee, disoccupate, presero la borsa e andarono a spasso!”

Le idee della Luzzo però non cadranno in prescrizione, non rimarranno disoccupate, perché la rivoluzione la alimentano dal di dentro, con la sua passione di lettrice curiosa e i suoi pezzi in punta di penna; mentre fuori impazza la tempesta, qui nel regno della Litweb splende sempre il sole delle idee rivoluzionarie e indomite. La Luzzo non si piega alla convenzione, nemmeno della scrittura, lei procede per immagini, per intuizioni che non hanno un approccio ordinato logicamente, sono attraversate dal furore dionisiaco e nietzschiano, attraverso cui ciò che è solitamente protetto nell’hortus conclusus viene preso a martellate. La chiamerei la critica del martello: ”Così oggi la letteratura ha preso a dire baci e bacini, caffè e cioccolata, sospiri e caramelle, il bello che avrete, “ Un giorno in più” e a vendere e vendere la carità a ogni angolo di strada . Connivente con la pubblicità.” Oggi la pubblicità domina e manipola il mercato della cartastraccia e in questo emporio di scambi e favori, le idee vanno alla rovina e la democrazia non esiste: il voto è uno scambio, che si ammanta di legalità. Eppure, “ Esiste l’amore, ne sono certa, esiste e continua a creare, a conoscere, a comunicare che la vita è amore, che mangiare un gelato allo yogurt bianco sulle strade di un paese sconosciuto può essere il più bel momento amorevole della nostra estate. Esiste quello che non hai , perché più bello sarà andare a cercare amore nelle pieghe di una tovaglia che ondeggia, nella ballata sul mare salato di Hugo Pratt, che riscritta su un telo si asciuga al sole di una terrazza al caldo vento di agosto.” Profondamente platonico questo concetto: l’eros esiste ed è figlio di Poros e di Penia; nasce sulla mancanza e non si stanca mai di cercare, anche nei luoghi e nelle circostanze più strane e più lontane dal consueto, ma anche in un gesto banale, in fondo al vasetto di uno yogurt bianco, ma soprattutto l’amore sta nelle parole. Di queste Luzzo ”il saltimbanco” ha da venderne.”

Giovanna Albi su Satisfiction



venerdì 22 gennaio 2021

Un villaggio chiamato Lamezia Terme


Ora intorno tanti brutti fabbricati. 

Il 14 gennaio 2016 scrivevo: La seconda cattedrale nel deserto periferico di un mostro chiamato città. Lamezia Terme non è una città. Vi sono tre agglomerati urbani con due distinti e pregevoli centri storici. Una stazione centrale e tre cimiteri. Uno per ogni villaggio. Tre villaggi. Nonostante sia stata da apprezzare l'idea di crearne una città per essere più forti e contare di più nelle richieste, questa unione ha ormai generato un mostro. Con la testa del Minotauro. Come un connubio a tre mal riuscito la città non è riuscita a far sue le meravigliose idee che aveva nel nascere: università, polo industriale, strade efficienti, sviluppo conserviero e agricolo, pulizia e compostaggio dei rifiuti, soluzione ad un campo Rom dilagante ed ora capannoni e accoglienza a numerose persone in attesa di passaporto e che si fermerebbero per andarsene ed invece ne vengono trattenuti come impigliati nelle maglie del business locale. Una città con troppi cimiteri, con pompe funebri che portano due carri, uno per il morto ed uno per le corone, che ogni morto blocca una via principale per ore senza che un vigile si veda, anzi col permesso forse dei vigili stessi, ora questa stessa città inesistente chiede una nuova cattedrale. Perché?

 Ha già moltissime e bellissime chiese.

 Ha due cattedrali un santuario, conventi e prega. 

Preghiamo veramente che il Signore  illumini quest'atomo opaco del male!

 In un medioevo prossimo venturo

Ippolita luzzo

giovedì 21 gennaio 2021

Le Imperfette


Le Imperfette. 

Storie di donne nell’Inghilterra vittoriana e post vittoriana 

Traduzione: Emanuela Chiriacò

Editing: Paola Del Zoppo

Coordinamento del Progetto: Antonia Santopietro

In collaborazione con LITERARIA (Promozione culturale edivulgazione ambientale) www.literaria.it

Alla metà dell’Ottocento, in Inghilterra nascono molte riviste femminili che documentano la visione del ruolo della donna nella società. Il progetto Le Imperfette. Storie di donne nell’Inghilterra vittoriana e post vittoriana raccoglie dieci racconti, pubblicati su riviste inglesi e antologie di racconti, nell’arco di un quarantennio. 

Le autrici e gli autori (George Moore, Ella D’Arcy, George Egerton, Netta Syrett, Arthur George Morrison, George Gissing, Virginia Woolf, May Sinclair, Elinor Mordaunt, e L.Parry Truscott) ci parlano di "donne diverse per età, carattere, cultura e provenienza in procinto di sposarsi, già sposate, in fuga o in relazioni fuori dall’istituto matrimoniale." questo e altro nella prefazione di Emanuela Chiriacò. 

Fermiamoci qui "Il Cuore Fedele di George Moore

" C’era stato un periodo in cui la signora Shepherd si era resa conto della sterilità della sua vita; ma era cresciuta così, ci era abituata, e aspettava il maggiore in quella terribile poltrona, contenta di sentire i suoi passi e quasi felice quando le sedeva accanto e le raccontava cosa accadeva a «casa»"

Viverci dentro poi crea un malessere immenso, vivere nelle imperfette, leggere di questi destini straziati, sciupati. La letteratura cerca di dare voce allo sciupio, di dare coscienza e voglia di riscatto, di testimoniare l'orrore, anche quando nemmeno sembra orrore, di scrivere il tortuoso meccanismo della dipendenza affettiva, il lungo processo di una emancipazione con leggi ma anche con un nuovo modo di intendere la dignità personale. Essere donna.

Nel seguire l'ottimo lavoro delle curatrici del progetto si nota la cura e l'amore verso una letteratura civile che riesca come con un grimaldello a scardinare i pregiudizi, le forme di schiavismo, i soprusi, una letteratura che io amo proprio perché si oppone alle ingiustizie mostrandole, scritte sulla pagina. 

Consiglio la lettura di questi racconti affinché il dibattito resti sempre aperto, e non si perdano diritti già conquistati. Nel libro di Anna Vinci su Tina Anselmi, a livello politico questi temi erano trattati, e Tina raccomandava la vigilanza, affinché non si perdessero conquiste tanto dolorosamente raggiunte. Attraverso i racconti scelti noi facciamo una immersione storica sulla condizione delle donne e insieme un viaggio nella letteratura. Come dice nel saggio finale Paola Del Zoppo Tutti i racconti qui riuniti trattano di passaggi obbligati, tra cui spicca in maniera inequivocabile il rito del matrimonio, che per le donne dell’epoca, e molto spesso ancora oggi, rappresenta il rito di passaggio per eccellenza: l’accettazione dell’età adulta data dall’affidarsi alla protezione a un uomo diverso dal padre, che comporta l’agire sociale secondo alcune regole prestabilite. Qui però vediamo personaggi, maschili e femminili, che in alcuni casi non compiono il passo, ma più spesso non riescono a conciliare la visione sociale consolidata con il proprio sentire, relegandosi in esistenze votate all’infelicità o comunque all’assenza di autonomia di desiderio e aspirazioni. Se da una parte sono gli uomini sotto accusa, perché perpetrano alcuni meccanismi di conservazione dello status quo, dall’altra sono le donne, in molti testi, a vedere se stesse proiettate nella società solo tramite la padronanza della dinamica matrimoniale. Ma non mancano, in questa raccolta sapientemente composta, situazioni in cui sono le donne a scegliere una condizione diversa, e cioè proprio una condizione di “liminalità permanente”, rifiutando il passaggio."

In Litweb con stima immensa un plauso ad Emanuela, Traduttrice, a Paola, che ne ha curato l'editing, e ad Antonia per aver coordinato il progetto. A tutte le donne per tutte le donne e agli uomini di buona volontà. 

Ippolita Luzzo

mercoledì 20 gennaio 2021

Annarosa Maria Tonin L'uomo nell'ombra


Per la casa editrice Digressioni nel 2020 Annarosa Maria Tonin pubblica un racconto "Anatolia" e un saggio atipico, quasi una serie di bozzetti, "L'uomo nell'ombra"
Il raffinato racconto "Anatolia" viene ben recensito e accolto, ho appena letto la recensione di Nicola Vacca per Gli amanti dei libri,e vi invito a leggerla "A cosa serve  la letteratura se non a raccontare la vita attraverso la fitta rete dei suoi misteri?
Anatolia di Annarosa Maria Tonin è un romanzo molto particolare e tra le sue pagine il lettore troverà lo scorrere inquieto della vita attraverso diversi registri di narrazione dei quali fanno parte i personaggi.", e io invece vorrei fermarmi su "L'uomo nell'ombra" letto da me come se fossero piccoli racconti, ritratti in pittura e in parole.  

"L'uomo nell'ombra" sono quattordici dipinti, 
ritratti d'epoca, quando non esisteva lo smartphone, spiegati e raccontati con passione e competenza ma soprattutto con affetto. 
Impariamo a conoscere i grandi protagonisti della Storia, Luigi XV, la regina Enrichetta Maria, Carlo IX, Filippo II, Massimiliano I, ed insieme a loro, ai sovrani, gli imprenditori, Iseppe Da Porto , la famiglia Lange, oppure altri occasionali soggetti, il ragazzo col cane, la bevitrice di assenzio. Due opere del primo Novecento fanno da cornice iniziale e finale, e poi stiamo nel trionfo di Paolo Veronese, Francisco Goya, Sofonisba Anguissola e molti altri. 
Dovrete leggerlo per restarne ammaliati. Io sono rimasta legata al quarto dipinto, "Il conto eretico" di Paolo Veronesi, Iseppo Da Porto con il figlio Adriano, opera del 1555, circa. La tela è ora conservata alla Galleria degli Uffizi, mentre allora stava a Vicenza, nel fulgore del periodo di Palladio. 
Andrea Palladio, amico del conte da Porto, progetta il palazzo, mentre l'abbellimento delle pareti  è affidato a grandi pittori, come Paolo Veronese, anche lui amico del conte. Due tele saranno dipinte da Paolo, in una il padrone di casa con il figlio, e nell'altra la moglie Livia e la figlia Porzia, con un delizioso abito verde, chiamato proprio verde Veronese. Invidio queste splendide amicizie del conte, faccio amicizia col conte, e improvvisamente ne vedo una somiglianza perfetta con un mio amico scrittore. Potenza dell'arte, dei visi, della memoria! Sembriamo lì insieme a loro, e intanto Annarosa ci racconta il periodo storico, la condanna per eresia del conte, e insieme ci spiega i dettagli dell'opera.  
Del 1561 un altro ritratto, queasta volta di Carlo IX ci ricorda il massacro degli Ugonotti, e alla fine leggo nella bibliografia di riferimento, (a cura di Giovanni Comisso) Gli ambasciatori veneti, e tutto un lavoro accuratissimo di ricerca storica. 
Leggendo ho pensato molto a Fabrizio Coscia, anche lui raffinato saggista di opere pittoriche, e mi piacerebbe quasi vedere entrambi i due studiosi cimentarsi insieme in una conversazione. 
Sogni per ora, in tempi così difficili, ma chissà!
Intanto i miei applausi ad Annarosa Maria Tonin nel Regno della Litweb 
Ippolita Luzzo
  
Annarosa Maria Tonin è nata il 22 aprile 1969 a Vittorio Veneto (TV), dove vive. Laureata in Lettere Moderne a Cà Foscari con una tesi di storiografia dal titolo “Per una storia della corte praghese di Rodolfo II. Gli inviati veneti (1595-1609)”, ha svolto attività giornalistica e di ricerca ed è stata docente di Materie Letterarie e Storia dell’Arte. Si dedica alla scrittura narrativa e saggistica e all’organizzazione di eventi culturali legati alla promozione della lettura. Collabora con la rivista cartacea di cultura Digressioni.
Ha pubblicato le raccolte di racconti “Vento d’autunno” (2011), terza classificata al Premio Kafka Italia 2012, “Tele di ragno” (2016), “Le visitatrici” (2018) e i romanzi “Rivelazione” (2014), “La scala a chiocciola” (2015), “Il segreto di Alvise” (2017).