domenica 3 maggio 2020

Lamezia in Galles

Lamezia Terme sarebbe una amena cittadina situata fra il golfo
di Sant' Eufemia e l'Appennino calabro, nella pianura lametina. 
Il clima dovrebbe essere ameno e per alcuni mesi lo è se non fosse che da molti anni all'arrivo del maggio odoroso il cielo non si ricoprisse di una caligine grigia e triste e la caligine durasse per tutta la primavera almeno nelle ore mattutine. Un vero effetto Galles.
Il Galles, una delle 4 nazioni che compongono il Regno Unito, occupa la zona sud-occidentale della Gran Bretagna, si affaccia sul Mare d'Irlanda, confina con la sola Inghilterra a est e la popolazione ammonta a più di 3 milioni d'abitanti.
In Galles il cielo è spesso nuvoloso, ed io ricordo proprio quel nuvoloso così simile al nostro cielo ogni anno, così come ricordo lo stesso paesaggio di solitudine, identico alla cittadina da dove scrivo. 
Allora rimasi quindici giorni ad Agosto, un agosto plumbeo e freddo,  ma le similitudini mi si ripropongono ogni anno a maggio.
Con ironica affettuosità chiamo Galles la città di Lamezia e gallici i suoi abitanti che stamani, secondo il resoconto di una amica, uscirono per le strade dopo una lunga quarantena. 
Solo uomini anziani o debosciati, se uno si ferma ad una fontana e bellamente vi orina contro, se un altro sputa in terra e altri, con mascherina abbassata, fumano e si chiamano l'un l'altro ad alta voce. 
Anche allora, quasi 15 anni fa,  nel Galles ricordo di aver osservato tante stranezze: Una mamma giovane infilava una patatina fritta in bocca ad un pargolo nemmeno svezzato, ed un uomo dava da bere ad un bimbo piccolissimo una bevanda coloratissima forse leggermente alcolica. D'altronde in Galles l'acqua non esisteva e se c'era costava carissima. 
Un vero orrore. 
Certo poi ricordo i bellissimi castelli medioevali, ed anche qui in Calabria tutta non mancano i castelli medioevali, ma di tutto mi resta l'orrore di una umanità lobotomizzata, incapace di un gesto elegante, di un pensiero.
E credo che la lobotomia sia stata praticata moltissimo nella piana lasciando moltissimi ciondolare nelle strade e nelle case senza un desiderio di relazione amicale, senza uno slancio di originalità.
Nel Galles lametino una quarantena in un cielo plumbeo di socialità.
Ippolita Luzzo 


   

sabato 2 maggio 2020

L'epidemia in Mongolia e la Storia maestra di vita

Da Avvenire, giorno 8 Aprile, conservo una lettera "La lezione della storia (e di Manzoni) e la libertà responsabile dei figli di Dio" e la risposta del direttore del giornale, Marco Tarquinio, sulla storia maestra di vita. Da qualche tempo ogni mattina vado a comprare una copia dell'Avvenire, a volte ne scrivo un post su Facebook, a casa leggo e conservo gli articoli, alcuni li rileggo e ne parlo al telefono con tanti ormai delusi da un certo modo di fare giornalismo. Scopro in confidenza che anche altri giornalisti, di altre testate, leggono l'Avvenire, riconoscendo a questo giornale la capacità di interpretare il momento e di saper dare chiarezza. 
Giorno 4 Aprile Vincenza Cinzia Capristo scrive un articolo sull'epidemia in Mongolia e lo fa partendo dai diari del missionario francescano padre Antonio Cipparone presente in Mongolia per incarico del governo italiano. 
Possiamo trovare i suoi diari nell'Archivio Storico della provincia religiosa Salernitano-lucana, pubblicati nel 2012.
Anche in quei diari troviamo come si reagì all'inizio alla peste, con incredulità e poi con panico.
"Tutto venne bloccato. Si circolava solo muniti di autocertificazione scritta. Il picco era previsto in primavera. La zona rossa venne estesa fino alla Grande Muraglia. Si cercava un nemico a tutti i costi. Gli ospedali erano carenti e poco forniti." ed anche allora c'era chi non sapeva usare la mascherina e lasciava il naso fuori quasi che dal naso i microbi non potessero passare.
"Nella seconda settimana di Pasqua iniziarono ad esserci meno casi" Anche ora come allora sembra che ci siano meno contagi  e molte analogie ci sono anche con l'attuale diffusione del virus, per esempio la diffusione in maniera orizzontale, con maggiore aggressività nel Nord. 
Io ho affrontato tutto il periodo della pandemia con in testa i diari di padre Antonio Cipparone e ve li porgo come riflessione per uno studio sui medici della Legazioni straniere che collaborarono con i medici cinesi. La storia maestra vita ci accompagna e ci offre soluzioni. 
Noi grati a letture di approfondimento e grati all'Avvenire.
Ippolita Luzzo  


martedì 28 aprile 2020

Il Guaritore di Renzo Brollo

Il romanzo nasce in Renzo, come idea, nel 2012 dopo aver letto la storia di Girolamo Crescentini, raccontata sul Venerdì della Repubblica da Vittorio Emiliani.
Nella storia si parlava anche di Carlo Brioschi detto Farinelli. 
Nell'intervista che Renzo Brollo fa a settembre 2019 su TomTomRock con Marco Zoppas dice:"La sfida, e la domanda che subito mi sono posto quando ho deciso di raccontare la vita del piccolo protagonista, era proprio questa: come vivrebbe oggi un nuovo Carlo Broschi? Come sarebbe la sua vita? Perché è proprio ad essa che mi sono ispirato, leggendo il saggio La voce perduta. Vita di Farinelli, di Sandro Cappelletto. Un’esistenza avventurosa e affascinante, la sua. Cantante dalla voce cristallina, che provocava amabili deliri, ma anche guaritore di re e idolo delle folle."
Il libro mi giunge in un periodo difficile, subisco un intervento e faccio chemio, non riesco a scrivere subito, come vorrei, e aspetto finché leggo da Renzo Brollo a marzo la notizia: “Ricevo una mail dal Premio che dice: Il libro "Il guaritore" di " Renzo Brollo" è iscitto alla 58^ edizione del Premio Campiello.
Grazie di cuore alla Diastema per la fiducia e che ha creduto sin dall'inizio in questo romanzo.” e come Regno della Litweb mi unisco agli auguri.
Ricordo di aver letto con partecipazione e tensione il libro, la tematica era terribile, un grande dono, il dono della voce, una grande violenza continua e definitiva, essere privati della propria individualità in nome di una perfezione vocale, diventare idolo delle folle pur nella grande solitudine. Soffro e mi ribello, sento una adesione empatica con Carlo e poi con lui cammino."Senza la maschera e senza il vestito piumato, Carlo camminò per le vie di Parigi annusando e osservando, libero di guardare senza essere guardato"
Ed è sulla tomba di Jim Morrison, nel sogno triste su una cosa che non può più tornare, accompagno Carlo nella Parigi "fatta di creature accatastate l'una sopra l'altra per amore, per odio, per necessità"
Il libro mi regala l'opportunità di conoscere una raffinata casa editrice  specializzata in tematiche inerenti alla musica e mi fa piacere riportare sotto la scheda delle attività. Ogni libro poi è un ponte amicale e incontro Alessandra Farinola, alla quale si rivolge grato Renzo Brollo per aver seguito fin dall'inizio l'elaborazione, incontro "Fisica della malinconia" di Gospodinov, amatissimo ed insieme ci stringiamo accanto a Renzo Brollo e a tutti gli amici nel grande regno della affabulazione. 
Raccolgo da Renzo Brollo pensieri che sono nostri e mi piace ricordarli con l'abbraccio del Regno della Litweb.
"Questo tempo deve insegnarci a non paragonare le nostre vite a quelle degli altri. Deve insegnarci che le parole sono essenziali, non si devono sprecare. Non sono rinnovabili. Sono gas volatili, se pronunciate nel momento e nel modo sbagliato. Io non sono te, tu non sei me.Quello che ci unisce è l'empatia.
Che significa comprendere, sentire e capire l'altro nella sua diversità rispetto alla mia.La diversità è reciproca, viaggia nei due sensi".
(Renzo Brollo)
Ippolita Luzzo 



Renzo Brollo è nato a Gemona del Friuli (UD) nel 1971, dove vive e lavora. Si definisce un lettore compulsivo. Dal 2009 fa parte della redazione di Mangialibri per la quale legge e recensisce libri. Finalista al premio Teramo del 2007, ha ottenuto il secondo posto nei premi Leggimontagna del 2016 e Moak del 2018 e ha vinto il concorso La Quara edizione 2017. Ha pubblicato per Cicorivolta Edizioni (Racconti Bigami, Se ti perdi tuo danno, Mio fratello muore meglio e Metalmeccanicomio), per Edizioni della Sera (La fuga selvaggia) e per Bottega Errante (La montagna storta).

La casa editrice Diastema, attiva dal 1991, ha esordito con la rivista musicologica Diastema, un periodico di cultura e informazione musicale nato con lo scopo di incoraggiare e diffondere la produzione di articoli originali, saggi musicologici e analitici,
proposte di didattica ed estetica della musica, studi sull’opera con l’intento di sviluppare un discorso culturale sulla musica in maniera interdisciplinare. Progressivamente la rivista si è specializzata
nell’ambito dell’analisi musicale con particolare riferimento alle problematiche tecniche, musicologiche e filosofiche dell’interpretazione della musica.
Intorno ai 15 numeri della rivista, che ha ottenuto
molteplici riconoscimenti nel mondo musicale e accademico, sono in seguito nate e cresciute diverse pubblicazioni di approfondimento: biografie, studi analitici e di carattere didattico, preziose ristampe di opere vocali e strumentali, saggi e testi narrativi, fino alle edizioni critiche dei trattati che hanno permesso lo sviluppo del pensiero teorico musicale, in collaborazione con l’Università di Padova.
Le pubblicazioni sono suddivise in nove collane tematiche:
Urania, la composizione e l’analisi
Urania|Specola, il pensiero teorico
Calliope, l’opera
Clio, le biografie
Talia, la narrativa e la saggistica
Polimnia la didattica
Euterpe, le partiture
Erato, il cinema.
Fin dalla fondazione, l’Associazione Diastema Studi e Ricerche e la casa editrice Diastema sono dirette da Paolo Troncon e Mara Zia. 

mercoledì 22 aprile 2020

Che bella età la mezza età

Che bella età la mezza età
Cantava così negli anni sessanta Marcello Marchesi
Tranquillità, serenità
Già, ma qual era la mezza età?
Per me,
bambina allora, era l’età dei miei genitori, degli zii, 
oltre i quarant'anni 
Era l’età della mia maestra, del parroco, del commerciante, 
del mio medico di famiglia
La mezza età allora esisteva
Mia mamma si vestiva da mamma, la nonna faceva la nonna, il nonno portava il cappello, un borsalino,un panama, il vestito doppio petto grigio, mio padre era severo e comandava su tutto, 
dopo il nonno, però.
Gli adulti erano adulti
Poi il tempo passò ed adulti saremmo dovuti diventare noi.
Noi?
Ma siamo matti?
Noi che abbiamo fatto gli anni settanta con perline e gonnelloni,
con eskimo e jeans?
Neanche a pensarci.
E così abbiamo allevato i nostri ragazzi nel laissez faire più scontato, abbiamo cavalcato gli anni novanta e duemila con ipnosi collettiva ed ora quasi siamo ancora sulla soglia di una adolescenza, immemori e incantati del tempo  passato.
Abbiamo reagito in vari modi.
Molti scompostamente, ed in questo do ragione a chi critica, molte donne e uomini sembrano macchiette,
ma la maggior parte di noi, ha ripreso un cammino, mi auguro felice, del riappropriarsi del nostro mondo, degli ideali in cui abbiamo creduto
Non li abbiamo mai dimenticati, solo soporiferamente, abbiamo lasciato che le cose, gli inganni, i matrimoni, gli interessi, il lavoro, ci allontanassero
E così ci rifiutiamo, a cinquant'anni, cinquantacinque, sessanta ed oltre, di sentirci nella mezza età
Siamo in una età
Sicuramente, ma la vera età è l’età del nostro entusiasmo, è l’età di imparare internet,  di imparare il web, di riprendere in mano gli studi, la poesia, gli ideali, di riprendere in mano il filo della memoria
Ed è uno stato di grazia, una grande opportunità, una seconda giovinezza.
Non importa se non abbiamo vissuto la prima, o se l’abbiamo vissuta intensamente
Stranamente chi l’ha vissuta intensamente permettendosi amori reali  ed incontri occasionali ora ha l’ennui
Invece chi ha vissuto di rimessa, guardando e sognando, ha ancora il pudore e la bellezza del sogno pulito di una possibile alterità
Gli anni, cosa sono gli anni? non so
E riconosco che ognuno racconta dalla sua stanza
Ognuno racconta per darsi un motivo
Per farsi una ragione
Per darsi un perché
Senza sentirci in una età--- come una riserva indiana
Ippolita Luzzo
Quando pubblicavo su Neteditor 
Pubblicato da Ippi il Mar, 10/04/2012 - 15:40


mercoledì 15 aprile 2020

L'attesa di Davide Franchetto

Leggo questo libro proprio durante i giorni dell'attesa che questo momento evapori e scompaia lasciando a noi tutti la libertà di rincontrarci e di poter parlare nelle librerie di storie come questa. 
Davide Franchetto, il libraio della Libreria Pantaleon di Torino, che ha fondato nel 2015, è uno scrittore di racconti usciti su Effe, Nazione Indiana, L’Inquieto e Carie. 
L’attesa, racconto lungo di Davide, edito dalla torinese Autori Riuniti, è uscito il 5 marzo 2020 proprio nel momento in cui tutto in Italia si ferma. 
Giunge nel Regno della Litweb in modo amicale con la lettura della recensione di Riccardo Sapia sul gruppo Facebook Letto, Riletto, Recensito.
Riccardo scrive nella sua appassionata recensione " Lui e Lei corrono, scappano o rincorrono una meta. E il sentiero non si rivela sempre dritto e facile da percorrere. Viaggiano alla disperata ricerca di qualcosa, con un mezzo di trasporto che si rivela spesso di straordinaria efficacia: la Bugia. Ma la bugia non porta mai molto lontano. Ti concede delle pause nelle quali siamo, nel caso specifico sono costretti a recitare, ma sempre di tregue si tratta e, prima o poi, i nodi vengono sempre al pettine." ed io lo ringrazio perché ho avuto modo di conoscere un autore interessante e amabile, in una storia che è il compendio di tante storie narrate, di tante fiabe amarissime, favole nere, le chiamavo io, e così chiamo questa favola di Davide Franchetto.
In ricordo di Hänsel e Gretel dei fratelli Grimm, anche qui abbiamo due ragazzi giungere nella casa di una vecchia che mormora:- Come siete magri! ma ora metterete su carne" più o meno,
 I due ragazzi "Si acquattano sulla scalinata di una chiesa, ma il primo pomeriggio non vede che il passo di un paio di beghine che hanno troppa compassione di sé stesse per poterne concedere ad altri." ed abbiamo qui una stoccata verso il falso pietismo delle praticanti alle troppe preghiere come forma esteriore, e poi eccoli dalla vecchia
"Come tutti i vecchi parla di gioventù e famiglie e cerimonie, di festa e lutto con lo stesso affetto. Raccontando si commuove, si asciuga le due lacrime e dà un colpo di tosse. Non ne pronuncia mai il nome, se nei ricordi si nasconde in mezzo ai troppi di altri e ai rovi di parentele, ma Lei la scorge ed è l’unica che riconosca perché ne ha immaginato il viso. Lei sa che è per lei che sono stati accolti, sa che il suo ricordo zittirà l’anziana in una certa ora del pomeriggio, dopo ore di altre storie e aneddoti, come un cammino che a percorrerlo si possa gioire ma al termine si conosca il precipizio." 
Si fermano ma non troppo devono ritornare sulla strada, la strada di tanti racconti. altri racconti ancora, la strada di Pollicino senza un ritorno.
" Conta le stelle sotto la coperta, va a memoria, conta i sassolini che stringe nel pugno vuoto, fa la conta all'indietro, da cento a uno, si aspetta l’aggressione o solo lo scherzo: la coperta lanciata via, la presa in giro, il risveglio. Ascolta il cigolio di nuovo, le voci si spengono, i passi riprendono il cammino sul tappeto di seta, il fruscio si allontana." C'è un gusto antico nel raccontare, in Davide sento l'incedere di mia nonna, le sue pause e le favole che mi raccontava per ore, favole terribili di donne scuoiate a poco a poco con un coltellino perché così, loro pensavano, sarebbero diventate bellissime. 
Ho ritrovato in Davide l'attesa di una vita per dover dire no, di Ornella Vanoni, quel sognò sognò sognò poi come tutti si risvegliò e auguro a questo libro e a Davide moltissime fiabe ancora e tantissime librerie dove parleremo insieme al Regno della Litweb 
Ippolita Luzzo 

lunedì 13 aprile 2020

Le magnifiche sorti e progressive

Mi sveglio con questo verso e mi accompagna La ginestra di Leopardi fin sotto al caffè e il caffè stempera "Le magnifiche sorti e progressive" in un ricordo affettuoso di banchi, di aule, di campanella che suona, di scuola, di alunni, di Leopardi con noi.
"Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive.
Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco"
Siamo a Napoli, anzi a Torre del Greco presso Villa Ferrigni, luogo che è stato oggi rinominato Villa della Ginestra, e Leopardi scrive
"Non so se il riso o la pietà prevale."
Della Ginestra moltissimi ricordiamo quel verso in cui il poeta ci mostra quanto siano ciechi gli uomini convinti di dominare il creato con il progresso, ci chiede di riflettere se sia veramente progresso, ci impone il suo giudizio, anzi ci mostra la ginestra come esempio.
"E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,...
Ma  più saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali."
"La ginestra" di Giacomo Leopardi è stato uno dei suoi ultimi componimenti, edito postumo nel 1845 nell'edizione napoletana dei Canti, a cura di Antonio Ranieri. 
Inizia con le parole del Vangelo di Giovanni
"E gli uomini vollero piuttosto
le tenebre che la luce.
Giovanni, III, 19"
Siamo qui all'alba di un duemila, nel duemila e venti, in pandemia, e reclusi in casa ci interroghiamo come Leopardi nel suo secolo, ci interroghiamo sul destino dell'uomo, sulla terra, sul disastro ecologico procurato dal progresso, sul disastro immane di una Grande Estinzione, come scrive Matteo Meschiari nel suo ultimo saggio. 
Ci interroghiamo su virus ed epidemie, sui mezzi con cui fronteggiare nemici invisibili.
Segni particolari: Nessuno.
La scienza troverà la soluzione a questo virus, ne siamo certi, ma ciò di cui non siamo certi è cosa noi siamo diventati:
"Libertà vai sognando, e servo a un tempo"
Quel grande orgoglio, quella fiducia e quella speranza di crederci padroni del mondo ormai dovrà sottostare alla stessa constatazione della ginestra. 
Ippolita Luzzo 


domenica 12 aprile 2020

Pasquetta del 2010

5 aprile 2010
La mia pasquetta

Il Lunedì dell’Angelo che annuncia agli uomini il Cristo Risorto è per tanti il giorno della prima uscita fuori porta.
La “Galinea”,  si diceva da bambini, e noi salivamo in terrazza con la cuzzupa in mano.
Non avevamo nemmeno allora comitive vocianti e chiassose, ne conoscevamo l’esistenza però e il senso di privazione di qualcosa al quale mi sarebbe piaciuto partecipare mi ha seguito per tutta la vita,
è sicuramente per molti, per tanti così.
So però dell’esistenza di autobus che partono per agriturismi fiorenti, macchine in gruppo per località di mare, sento e vedo tutto con la fantasia.
Cosa impedisca la realizzazione di questo sogno infantile non l’ho appurato. 
Mi muovo fra gli altri con delicatezza e cortesia, sono disponibile ad essere d’aiuto, telefono, ascolto, invito, non critico e non giudico, ma tollerante cerco di esserlo sia per me che per chi mi circonda, poi, vorrei che anche chi mi sta accanto facesse così. 
Arrivo a tesserarmi a qualche associazione, partecipo a qualche iniziativa, ma tutto si spegne velocemente come quando lo stoppino dell’olio incontra l’acqua. Puff.
Le feste sono la dissolvenza dei rapporti sociali che mi illudo di costruire giorno per giorno. Ricordo un’altra pasquetta di un anno fa, forse.  
Ritornai ad invitare alcuni soci di un circolo che frequentavo e una signora, accettando,  commentò: - Per me, tutto fa brodo! –
 Una signora che ha una comitiva,  che si muove in gruppo, che è sempre insieme ai suoi amici.
Io raggelai e avvilita non riuscì più a concretizzare l’invito. 
Preferii la solitudine.
Ho la presunzione di coltivare amicizie da molti anni, ho affetto verso i miei parenti, mamma ha sempre invitato loro, nessuno ha mai invitato la mia mamma. 
Un giorno passeggiai con una mia compagna di scuola ora deputata al Parlamento e questa mi disse: - Ippò,  nessuno mi invita, nessuno si ricorda di me – 
Io la guardai con curiosità e replicai: - Ma non è vero! Tu sei seguita, sei votata, sei stimata! –
Ma lei si sentiva così. Non si accorgeva.
È probabile che io non mi accorga degli inviti che mi fanno, delle proposte di gite fuori porta e rinuncio senza accorgermi del rutilante e caleidoscopico tavolo approntato per me da una compagnia sorridente e solare.
Nel castello immaginario e immaginato dei nostri legami ci sarà pure la stanza della convivialità, del desco frequentato da gentiluomini e gentildonne, arguti e salaci, ironici e leggeri, capaci ancora della delicata arte del conversare tra simili.
 Filo, quando era ragazza, in un pomeriggio di Natale di molti anni fa, scelse una vita così.
 Bella d’incontri, di viaggi, di comitive, la disegnò e la realizzò. 
Non so quanto abbia lavorato e quante rinunce abbia dovuto fare per ottenere ciò, ma la vedo giustamente fiera.
 Ne sono ammirata, ma vorrei tanto che queste tecniche, che queste abilità venissero insegnate e che tutti possano realizzare una felice condivisione del Lunedì dell’Angelo e delle altre feste comandate, avendo in mano se non la chiave, almeno la mappa con la quale orientarsi verso la stanza della convivialità. 

Oggi 7 Aprile 2012
Quell'anno, nel pomeriggio del Lunedì dell’Angelo, andai a mare con una amica e sulle panchine del lungomare leggevo a lei il mio pezzo. Alcune donne s’incuriosirono, si fermarono ad ascoltare, una di loro mi disse:-Lei, signora, ha raccontato la mia pasquetta.
Le altre annuirono e mi ritrovai a rileggere ad un gruppetto di donne sole quel che ormai era un racconto corale.
Poi riposi il pezzo e l’anno dopo scrissi un’altra pasquetta
Ormai ero un personaggio letterario
Ippolita Luzzo