giovedì 21 giugno 2018

W il giornalismo: Non lasciamoli soli

I corridoi umanitari del giornalismo vero. 
Ieri sera a Lamezia ospiti del Festival Trame Francesco Viviano presenta il libro di Simona Zecchi La criminalità servente nel Caso Moro e alle 21 ci racconta qualche episodio del suo libro scritto con Alessandra Ziniti: Non lasciamoli soli. Voci dall'inferno della Libia. Quello che l'Italia e l'Europa non vogliono ammettere.
Francesco Viviano mi arriva subito con l'urgenza della situazione e il gesto vero dei fatti.
Sul libro di Simona ci confessa: Io non sarei stato capace di scriverlo. Tante fonti, tante ricerche. Lei ci ha provato. Io sono un cronista. 
Francesco Viviano ripete più volte la parola cronista, e Simona Zecchi a quel punto aggiunge che lui è cronista di mafia e sa di cosa lei si è occupata ricercando. La Commissione Moro ha acquisito alcune ricerche fatte da lei incrociando, intersecando atti giudiziari e testimonianze di collaboratori di giustizia. 
Giornalismo d'inchiesta serio.
"Ci aiuteranno a trovare una rotta", sento presentare più tardi così Giulia Veltri il libro di Francesco Viviano.
" Io faccio il giornalista da 35/40 anni e mi occupo di mafia e migrazione." Lo dice con i gesti, con lo sguardo e con il tono serio del ruolo, di chi ha una funzione utile in un consesso civile, di chi è voce di un giornale e di una coscienza. 
Ci fa partecipi del suo orrore e del suo impegno, del lavoro del giornalismo che trasforma i numeri in fatti, in storie. E del movimento di disperati che dall'Africa arrivano sulle coste italiane dice:" Finora sono stati trattati solo come dei numeri, e sono come noi, esseri umani, che vengono lasciati annegare, che vengono lasciati nei campi di concentramento libici. La Libia è un inferno." Una moltitudine di uomini scappano dall'Africa avvelenata e sfruttata, dall'Africa dove dittatori terribili privano i loro sudditi di un passaporto, dall'Africa depredata e sconvolta dalle grandi compagnie  commerciali cinesi americane europee. Scappano i sudditi, pagano per scappare, pagano e sperano di arrivare in Europa. Dovranno attraversare quel mare color del vino, quel mare solcato da navi commerciali, dalla Marina Militare, da Ong. I soccorsi in mare... il soccorso in mare è solo un cerotto. Con la lucidità della conoscenza Francesco Viviano lega tutti i ministri che si sono succeduti, nello stesso filo di incapacità di gestire un fenomeno storico di entità immensa. Dal ministro Moroni a Salvini, passando per Minniti, lo stesso inutile fare, anzi dannoso. Lo stesso pagare i libici per tenere lontani gli schiavi, i sudditi. Li chiamo così perché mi rifiuto di chiamarli diversamente. Sono privi di passaporto, quindi schiavi. A questi uomini, costretti nelle carceri libiche bisognerà ridare dignità. Bisognerà appellarsi al Regolamento internazionale, ci saranno ancora in vigore un codice di auto regolamento, un pronunciamento della Corte europea, e ci sarà impellenza di una contronarrazione. 
"Io sono un cronista, il mio giornale La Repubblica, mi ha permesso di fare lavorare, faccio il cronista, mi occupo di verificare, indago sui fatti ed a volte chi fa questo mestiere dà fastidio. Ora invece nei giornali arrivano solo comunicati,ed i video sono della guardia di finanza, della polizia, dei carabinieri, e inondano di comunicati i giornali." Giornalisti usati solo come diffusori di comunicati.   
L'inondazione crea distorsione.  
Una grande empatia mi lega a questo giornalista, mi lega a tutti i giornalisti che perseguono con tenacia il riscontro dei fatti, che vanno a vedere, che oltre ad informare vorrebbero dare un aiuto. 
Il momento che viviamo è un'antitesi della civiltà, permette schiavismo e razzismo, ignominia e violenza, permette privilegi e disprezzo.
 W il giornalismo di Francesco Viviano, W il giornalismo di Simona Zecchi, ed evviva chi fa ancora della sua professione un corridoio umanitario. 
Ippolita Luzzo       

lunedì 18 giugno 2018

La folle storia del kamikaze che non voleva morire di Claudio Marinaccio

"La vera pornografia è la sofferenza degli sconosciuti."
I racconti di Claudio Marinaccio iniziano con la metafora del sarto di Brecth
Un sarto sosteneva di poter volare con un apparecchio che si era costruito da solo e un giorno si presentò dal vescovo della sua città, dicendogli: “Ora posso volare”.
Il prelato non si emozionò. Con semplicità disse all'artigiano: “Allora provaci”. Il sarto si lanciò dall'alto e  finì spiaccicato sul selciato. Un sarto creativo, curioso. Il suo fu un peccato di curiosità. Trovarlo qui come incipit della storia del folle kamikaze che non voleva morire  mi sembra una vera goduria. Sorrido anche io al referto dei medici che scrivono di aver appurato che il sarto sia morto di paura prima dell'impatto col terreno. Ricordo quando morì Lucio Magri si parlò molto di quel suo libro del 2009  Il sarto di Ulm. Una possibile storia del Pci, terribilmente profetico,ed io scribacchiavo pezzi sulla vicenda triste della fine di Magri e di un sarto che voleva volare.  
Brecht scrisse “dopo alcuni secoli gli uomini riuscirono effettivamente a volare”.
 Io però non credo che il volo e la morte del sarto siano stati necessari nella storia del volo
La folle storia del kamikaze che non voleva morire sono racconti di un umorismo nero. Deliranti, alcuni. Ho iniziato a leggere il primo racconto, sono saltata, giuliva, e per problemi di vista, ai ringraziamenti e ho trovato Claudio ad aspettarmi e a dirmi che sapeva quello che avrei fatto. Ridendo sono andata indietro, giorno per giorno fino a che ho capito che Claudio sa ogni cosa, ci conosce tutti, come conosce l'arte del narrare. Nei racconti lo preferisco, così come mi piacciono i suoi bozzetti sul giornale, sulla Stampa, i suoi post su facebook, mi piace il suo sguardo surreale e di amicizia, attento agli affetti, ma senza quella pornografia dei sentimenti tanto in voga, senza quella terribile autofiction spiattellata da scrittori venduti al servizio di un melenso mulino bianco. In Claudio c'è il cinismo con affetto, l'amore per gli altri autori e il distacco giusto per non cadere nella pornografia dello zucchero "Se siete arrivati fin qui significa che avete letto tutto il libro oppure che avete saltato tutti i racconti e ora vi ritrovate a leggere dei ringraziamenti. Se fate parte di questa seconda categoria e leggendoli vi viene voglia di leggere tutto il libro, be’ tanto meglio Alessandro De Vito, Fabio Mendolicchio e Davide Reina sono Miraggi e li creano, ma sono anche e soprattutto persone vere (vere per davvero). Grazie a loro perché mi danno la libertà di scrivere quello che mi piace e, in più, mi pubblicano pure.Luca Garonzi disegna. E lo fa così bene che è un onore avere i suoi disegni all’interno del mio libro. Ognuna di queste tavole è una storia nella storia." 
Delirio di negazione 
FooG 
Una giornata da dimenticare 
Una barba lunga un mese 
Il tragico inizio di una storia non banale 
Pelle 
Amore farmacologico 
Un viaggio mentale in una terra desolata 
La folle storia del kamikaze che non voleva morire 
Così diversamente uguali 
La ballata del ladro di anime:"Il deserto è un luogo strano. Un posto dove l’uomo soffre di solitudine visiva. Il paesaggio è sempre lo stesso, immobile. C’era un’enorme distesa di pietre e sabbia, interrotta da cespugli secchi che sembravano sfoghi della terra, come nei pelosi sui volti dei vecchi,così fastidiosi da calamitare lo sguardo. A volte l’orrido attrae. Il gusto del macabro è insito dentro di noi." Leggerete Claudio con il piacere di vedere storie che hanno un senso vero così anche noi facciamo con la vita come questo vecchio che ha perso la moglie "Al principio fui colto da tristezza poi rabbia poi delusione e poi da una strana forma di accettazione. Fino a quando non capisci che la morte non è altro che una fase della vita. Come lo è per esempio l’adolescenza, non puoi accettarla e perciò capirla." Capendo aleggerà il sorriso sul tutto.
Ippolita Luzzo 


"David Foster Wallace e Bret Easton Ellis, dopo anni, si chiariscono."
Claudio Marinaccio è nato a Torino nel 1982. Collabora con diverse riviste tra cui GQ, Il Mucchio, Donna Moderna, Io donna e Linus e sulla chat dei genitori... Nel 2016 esce il suo romanzo Come un pugno (Aliberti) e nel 2017 una raccolta di dialoghi e racconti dal titolo Non disturbare (Miraggi).  Ha condotto un programma radio dal titolo I fuorilegge. Scrive su La Stampa. 

sabato 16 giugno 2018

Luigi Lollini La Controfigura Edizioni Alegre

Direttamente da Cabaret Bisanzio ora sul blog la mia lettura del libro di Luigi Lollini La Controfigura 
"Cadrà una pioggia tremenda e definitiva a cancellare forse una volta per tutte le macchie fetide della vergogna di tutti voi pennivendoli politici prostituti europei e mediocri pacifisti".  Le poesie di Eduardo, come questa della raccolta Lealtad, forse mai data alla stampa, si offrono in uno spazio e in un tempo preciso.

Eduardo Ròzsa  Flores  viene ucciso a Santa Cruz, in Bolivia, nel 2009. A trenta anni è dirigente del partito socialista dell’Ungheria, e partecipa nel 1988 al IX Centenario dell’Università di Bologna dove si tiene un meeting di giovani. Qui lo incontra Alberto, studente dell’Alma Mater e voce narrante del libro, inesausto  investigatore  della sorte di Eduardo, suo amico, anche se con brevi incontri. Attraverso le indagini e la ricerca incessante di Alberto ricostruiamo tasselli di storia, di avvenimenti, cerchiamo di capire le ragioni di come sia stato possibile che Eduardo diventasse altro, se mai lo sia diventato e di come i fatti vengano manipolati e offesi. Distorti. Ripercorriamo il crollo del socialismo reale, la terribile guerra del Kosovo, un mondo bipolare, un mondo diviso prima in due blocchi e poi, uno dei due,  frantumatosi all’interno del blocco socialista.  Il controllo di un mondo distorto attraverso le guerre, le tante guerre, attraverso le bugie, le tante bugie, attraverso lo spaesamento e l’oblio. Dimenticare. Il controllo dell’oblio è uno dei strumenti più spietati di potere. Questo scrive Le Goff e questo ci ripete Luigi Lollini con una prosa chiara e asciutta, con un incalzare di fatti, con un continuo logorio interiore per decifrare fatti sempre confusi oppure costruiti.  Verosimile ma falso. Inverosimile ma vero. Ogni verità sembra parte di una menzogna. Dal libro di Luigi Lollini La Controfigura.

Appunti: "Eduardo sapeva tenere la scena, era a proprio agio, si sentiva a casa… Finita l’assemblea mi presentai. Di lui mi restò nel portafoglio un biglietto da visita color argento. … Sono convinto che la verità, forse un certo tipo di verità, sono prudente, sia una ripetizione. La ripetizione è un modo per capire, per aggiustare il tiro nel breve corso del tempo concesso. Forse sono io che capisco così, che ho bisogno sempre di una seconda volta. Non si ripete quello che fu, che era in passato, senza che ci sia uno scarto, una deviazione, la lieve incoerenza da cui nasce l’intero universo. Diventa vero quello che viene ripreso, che resta e ricresce diverso come l’erba di questo parco. È questa la mia religione? Riconoscere l’ombra del dopodomani, ritrovare nel presente i corpi, i gesti del passato e forse del futuro, il prolungarsi di un evento che ancora non c’era, il sigillo degli altri in noi, qualcosa che era possibile, che finalmente è diventato vero, o che lo sarà. “ Si riprende, si compie qualcosa che c’era e non c’era, un’impronta, in te in me tra noi nella storia. Qualcosa che non era necessario, che non era un destino” …La ferita di guerra ricalca, nasconde, consuma la ferita dell’infanzia."

Ricopio parola per parola, trascrivo io, con occhi stanchi, con polpastrelli indolenziti, trascrivo la storia della controfigura, seguendo Alberto che vuole conoscere la verità.

Pubblicato a maggio 2018 per la collana Quinto tipo, collana diretta da Wu Ming 1,  dalla Casa Editrice Alegre, il libro di Luigi Lollini giunge da me e mi coinvolge sulle storie amicali di destini incrociati. Su vicende in cui ci chiediamo  con Alberto, con Eduardo, con Daniele “Tu chi sei? Voi chi siete?” dopo essere andati insieme sulla piazza degli Eroi.  Riflettiamo sul cambio, sulla trasformazione politica dell’Europa tutta e del Nicaragua per non essere avvolti nell'oblio.
Ippolita Luzzo 

Fabrizio Coscia Dipingere l'invisibile

Riconquistare un'immagine perduta nella domanda eterna su come si possa rendere visibile l'invisibile.
"In questo misterioso transito dal buio alla luce, enigmatici varchi bianchi, per alludere ad un superamento stesso dell'idea della morte." Study of a Bull (1991) Astratto e concreto, idea e materia raggiungono l'apice della rappresentazione, e sulla tela Francis Bacon ha aggiunto la polvere reale che si era accumulata nel suo studio, come in Sand Dune(1983) la polvere usata come fosse un pastello perché come lui stesso amava ripetere: La polvere è eterna. Dopotutto, noi tutti torniamo alla polvere"
Riassumo il sentimento che pervade la sfera della fruizione dell'opera d'arte da parte dello scrittore Fabrizio Coscia che legge, a suo modo, con una sensibilità allungata nel tempo e nello spazio, le opere di Francis Bacon.
Tutta l'arte di Bacon una rappresentazione dell'uomo nel suo attimo finale, rendere visibile ciò che lascia il suo passaggio, il suo breve esserci.
Leggere Fabrizio Coscia è come "riconquistare una immagine perduta". Ci troviamo a parlarne con le sue stesse parole, ad essere sedotti da quel modo signorile di spiegare l'arte come interpretazione.
Fabrizio Coscia, in Dipingere l'invisibile, ama,osserva, ricorda se stesso bambino, adolescente, attraverso le opere del pittore ed insieme racconta e conosce, interpretando i quadri,  la vita di Francis Bacon.
Ritroviamo un episodio forse inventato, forse no, sul come si siano incontrati il pittore Francis Bacon e colui che sarà il suo amore, George Dyer.  Un amore finito, già finito forse da prima, e terminato col suicidio di Dyer. Un amore che continua nella disperazione dell'arte, nel doppio dell'immagine deformata, nella distruzione che l'amore attua e nella sua trasfigurazione attraverso l'arte.
La domanda che sottende al gesto artistico è come rendere visibile l'invisibile, come dipingere e raccontare il dolore, lo spasimo, la solitudine, il rammarico, il rimorso, la riluttanza, il disprezzo, la distrazione. Morire e rinascere nell'opera artistica. L'arte è meglio di uno sputo, scrissi una volta, dando all'arte il compito di rendere giustizia. Qui all'arte si dona il compito, se mai si possa dare un compito all'arte, di continuare ad agire come "forza operosa" testimoniando la dissipazione del tempo.
Nel capitolo dedicato alla fotografia come premonizione leggiamo l'inane volontà di fermare una immagine già perduta nello stesso momento in cui si ferma. Ciò che c'è di spaventoso in ogni fotografia è una catastrofe già accaduta. Sorridendo mi chiedo se lo sappiano i milioni di individui che si fanno selfie in continuazione, che diffondono in continuazione catastrofi continue e già accadute, sarebbe interessante far loro avere consapevolezza che l'immagine non riporta nulla anzi è "la morte al futuro". Capirebbero la vanità del tutto? 
Fotografie, specchi. Anche lo specchio, come le fotografie, ci mostra un'immagine che non restituisce quella del soggetto riflesso.
Camilleri sostiene in una intervista recente che il fatto di essere cieco gli consente di non guardarsi più e quindi non " Vedere questa faccia da imbecille ogni mattina allo specchio". 
La decomposizione di Narciso: Come si può cogliere l'emanazione di un soggetto, l'energia interna? Nell'arte, a differenza di uno specchio, di una fotografia, vi è il gesto dell'artista che, fra carezza e aggressione, parla sempre del suo rapporto con la violenza e con l'amore. Un sistema nervoso all'opera. 
Avrò fatto anche io una improbabile ecfrasi del libro di Fabrizio, per me opera d'arte fra le opere d'arte, avrò tentato di "descrivere con eleganza"  e ho abdicato, in effetti impresa impossibile mi sembra. Voglio però comunicare il trascinamento e la sensazione di essere accolti in un luogo delizioso che è quello di una scrittura non imprigionata in schemi ma libera di riconquistare l'immagine perduta  con colori e figure che raccontano l'invisibile.
Ippolita Luzzo    

domenica 10 giugno 2018

Un mandarino

Ad aspettare cento notti sotto la finestra del mondo intero e infine prendere lo sgabello e andare via.

giovedì 7 giugno 2018

Pezzo di Andrea Zandomeneghi: Ospite eccezionale del blog

Credo sia unico caso nella storia del blog, sebbene felice di avere ospite quassù Andrea Zandomeneghi con un suo articolo. Un abbraccio e un augurio alle sue produzioni da tutta la Litweb. Andrea è un bravo autore e lo leggeremo molto e in molti.


Notazioni di lettura incrociate
 su  Ipsilonaccadoppiavuacca nell’epilettico barbuto e nel sifilitico emicranico

Dostoevskij non ha mai conosciuto, né tantomeno letto, Nietzsche. Viceversa il tedesco ha letto il russo e la lettura de qua  fu  folgorante, tale da irradiare e innervare  la seconda parte sua vita [prima lo erano state le frequentazioni assidue dei testi di Schopenhauer, Wagner, Rèe – tutti poi decostruiti e seppelliti] – scrive di lui nei frammenti postumi [memorandum: per Nietzsche nulla è più importante dell’essere uno psicologo, nel senso peculiare da lui inteso e il divino è spiccatamente fenomeno psicologico]:  «Io conosco un solo grande psicologo» – altrove dirà addirittura: «uno psicologo a me superiore e superiore a Stendhal» – «Fedor Dostoevskij».
Attribuirà la sua idea di Cristo al russo: «egli ha indovinato Cristo». Di più: l’idiotismo di Dostoevskij è la base per l’idea del Cristo buddhista edonista pervertito e iperirritabile che andrà a tracciare;  fu la lettura de I demoni a ispirare l’idea di Dio nell’Anticristo [Satov in particolare, ma non solo: gli estratti autografi di Nietzsche dai Demoni occupano più di dieci pagine formato in folio dei suoi quaderni]; fu Rodiòn Romànovič Raskòl'nikov – e non Cesare Borgia, come sostengono talune letture censurabili e disinformate – la prima incarnazione del prototipo dell’oltreuomo [infra #2]; parlando dei Vangeli scrive parole inequivocabili [riferite al Principe Myškin, ma anche a Kirillov, Šigalëv, Stavrogin, Liza, Peter Verchovenskij, Ippolit, il Generale Ivolgin, Lebedev et coetera]: «quello strano mondo in cui ci introducono i Vangeli – un mondo che sembra uscito da un romanzo russo in cui i rifiuti della società, le malattie nervose e una “infantile idiozia” paiono essersi dati convegno».

Enormi le differenze tra le concezioni dei due autori [assimilabili invece per l’irriducibile asistematicità delle loro cogitazioni, intuizioni e spettralità], ma intanto vediamo una interessantissima convergenza sulla questione di Dio, dell’Inferno e del Paradiso, in una parola: dell’aldilà.
Fedor Pavlovic Karamazov dice: «crederei all’Inferno se non ci fossero i soffitti» – che intende? Che l’aldilà non è materiale, non ha spazio, non ha edifici, non può avere un soffitto! L’aldilà è psicologico – questo emerge anche dalla conversazione di Ivan con il Diavolo – e non c’entra nulla con i monaci che mangiano i ghiozzi: «il paradiso non si compra mangiando ghiozzi e cavoli».

Nietzsche scrive nell’Anticristo: «l’eterno non è che una nozione simbolica di liberazione dal tempo […] Con la parola figlio il Cristo esprime l’immergersi nel sentimento di una trasfigurazione totale di ogni cosa, la beatitudine, con la parola padre questo stesso sentimento […] Il regno dei cieli è una condizione del cuore, non giunge dopo la morte, oltre la vita, oltre la terra. […] Il paradiso è psicologico»
Da ultimo un altro passaggio – di un tipo così raro in Nietzsche! – dallo stesso testo a metà del capitolo 31: «ci sarebbe da rammaricarsi che non sia vissuto un Dostoevskij nelle vicinanze di questo interessantissimo décadent, un uomo, intendo dire, che sapesse appunto avvertire il trascinante fascino di una siffatta mescolanza di sublimità, malattia e infantilismo. Un ultimo punto di vista: il tipo, come tipo della décadence, potrebbe essere stato caratteristicamente multiplo e contraddittorio».

In conclusione, mi chiedo, quale è però l’opposto di questo paradiso psicologico, cioè cosa è l’inferno in terra, l’inferno psicologico? Credo possa essere ricondotto a due differenti morfologie complementari: ossessione e «oasi d’orrore in un deserto di noia» – cioè il Baudelaire in esergo a 2666 di Roberto Bolaño.
Andrea Zandomeneghi



martedì 5 giugno 2018

Il nostro tempo è terminato da Salvatore Parise a Michele Vaccari Il tuo nemico

Leggo entrambi i libri in tempi differenti e ne sento la familiarità, la vicinanza per il tema trattato, Hikikomori: gli adolescenti chiusi in una stanza con tutti gli strumenti connessi su tutto un mondo digitale, su relazioni ed immagini che sono i nuovi mezzi per restare in comunicazione. 
Nel libro di Michele Vaccari  "Gregorio è un ragazzo prodigio, un genio dell'informatica, il bersaglio preferito dei bulli della scuola. Quando la professoressa di economia gli comunica l'intenzione di sostenere la sua candidatura al MIT di Boston, Gregorio vorrebbe gioire per la notizia ma non può: c'è un ostacolo, e sono i suoi genitori.Gregorio sceglie l'esilio, diventando un NEET giovani che non studiano e non lavorano." Questo sta scritto nelle note di presentazione e questo mi piace riportare oltre la prosa eccellente e il periodare curato usato da Michele. Nel libro c'è molto di più ma preferisco limitarmi alla vicinanza con Ramy, l'altro ragazzo incontrato in questi giorni sul libro di Salvatore Parise, come se volessi farli incontrare.
Gregorio mi sembra Ramy, il ragazzo protagonista del racconto "Il nostro tempo è terminato" di Salvatore Parise ed infatti leggo questo racconto con in testa Gregorio. Le famiglie di entrambi sono famiglie infelici, irrisolte, composte da esseri umani in difficoltà e che creano a loro volta difficoltà. Il difficile delle famiglie e nelle famiglie è proprio non fare danni, o almeno cercare di limitare i danni. 
Le famiglie, questi organismi mutanti, composti da individui inermi e sconsolati, falliti ed egoisti, hanno al loro interno spesso, dei figli. I figli di genitori oramai senza ruolo, senza funzioni, senza il senso vero della vita, direbbe Battiato. I genitori di Gregorio e di Ramy si somigliano. Gregorio e Ramy reagiscono con gli strumenti di ora. I collegamenti internet, il ciberspazio, il virtuale come vero momento di scelta. D'altronde il virtuale è reale ed io non vedo nessuna divaricazione se non un altro modo di comunicare con strumenti anche questi da qui a poco antelucani.  
Solitudine umana  sempre più ampia, grande superficialità nel voler risolvere rapporti e ansie, desideri e umiliazioni con semplici strumenti. Ho sempre in mente un quadro "Il seppellimento di Santa Lucia" di Caravaggio a Siracusa. In quel quadro più si amplifica la scena più l'individuo resta solo. Così ora più il mezzo, i mezzi, ci connettono, io a te, voi a noi, più noi restiamo soli e fissati come Gregorio e Ramy. Le ossessioni, le fissazioni si ingigantiscono. I genitori sono altrettanto sprovvisti di difese interiori e vengono fagocitati dal loro orizzonte, una rotatoria, un complimento, un momento di gratificazione. I figli si guardano e non si vedono e volano nella dimensione onirica dell'infinito. Lo psicologo dove Loser il padre di Ramy si rivolge ammette la sua impotenza "Sai, che a noi psicologi non è dato di conoscere tutti i segreti della memoria, della mente umana. E come dice uno scrittore, ognuno di noi è padrone di ciò che tace e schiavo di ciò di cui parla. Ciò che ti interessa è il presente, per oggi il nostro tempo è terminato" Fra la vita e la morte ondeggiare fra orgasmo e finitezza, fra piacere e disgusto, fra un vorrei e non vorrei, con nuovi mezzi più potenti e maggior nausea si creerà. Nella condizione di essere umani la famiglia affonda e chiede aiuto a chi ne fa parte vedendo però i suoi componenti fuggire a quel S:O:S: inascoltato in due punti e zero, nuove tecniche di chat.
Leggo Michele Vaccari e Salvatore Parise nella famiglia dei libri veri, famiglia che non fuggirà alle richieste di aiuto. 
Ippolita Luzzo 

Michele Vaccari si occupa di editoria e comunicazione dal 1999. È consulente per la narrativa italiana di Chiarelettere ed è copywriter per Paramount Channel. È stato direttore editoriale di Transeuropa Edizioni. Ha scritto tre romanzi: Italian fiction (ISBN Edizioni), Giovani, nazisti e disoccupati (Castelvecchi Editore), L'onnipotente (Laurana Editore). È nato a Genova nel 1980.
Salvatore Parise, scrittore calabrese, vive a Crotone. È bassista e cantante del gruppo “Il Genere”. Alla sua quarta pubblicazione, ha pubblicato Poesie Metropolitane (Princesse Editrice, 2006), In Vivo (Csa Editrice, 2012), Sono una rockstar (Csa Editrice, 2015). Con Musicaos Editore, nel 2018, ha pubblicato il romanzo dal titolo “Il nostro tempo è terminato”