domenica 30 luglio 2017

Mio padre, in ricordo alla Casa di Riposo Tamburelli

Venuto a mancare il 21 giugno di questo anno nella Casa di riposo dove aveva trascorso da aprile i suoi ultimi giorni, mio padre ha avuto una sorte insolita e bene augurante. Domenica 18 giugno mangiava la torta alla frutta, mandata da Gabriella, mamma di Salvatore, e Antonello Coclite  suonava W Maria e Bella Ciao.
Un pomeriggio felice. 
Così come erano stati gli altri giorni fino al 21 quando serenamente ci ha lasciato con la musica suonata da Pasqualino Porchia: Plaisir d'amour.
Eppure...   
Lui non ha partecipato ad una vita di relazione e di società.
In vita le sue occasioni mondane erano la partita di calcio, la domenica al campo, come spettatore composto e silenzioso, e l'edicola di Giovanni prima, e di Giuseppe poi, dove comprava moltissimi giornali, l'immancabile Gazzetta del Sud ogni giorno e La Domenica del Corriere, Tribuna illustrata e via via Oggi, Gente, Epoca, Tempo, fino a Chi, Visto, e la deriva delle riviste. Giornali che leggeva pagina per pagina. 
Era questa la sua finestra sul mondo.
Per il resto era un metodico osservatore di orari sempre uguali. Sempre a casa la sera, mai ricordo un suo impegno fuori casa, se non un brevissimo periodo in cui fu nominato presidente di un consorzio nato per proteggere i vigneti. Carica di cui lui si stancò ben presto e lasciò appena poté. Mai quindi un ritrovo tra amici, mai una festa rumorosa di persone, mai, se non per i familiari più stretti e nemmeno, matrimoni, battesimi, cresime ed ogni orpello di società. Mai vita di relazione con l'esterno se non la campagna dove si recava ogni giorno per prendersi cura delle sue piante, dove alcuni andavano a chiedere consigli che lui era ben lieto divulgare. Andava infatti da alcuni vicini di campagne limitrofe se veniva chiamato per consulenze. Per stima. Ieri sera riflettevo perciò su questa stranezza successa proprio a lui. Una legge del contrappasso l'ho chiamata.
Ieri sera sulla spianata, sul piazzale della Casa Tamburelli, era sceso Sant'Antonio portato dagli statuari. Una grande partecipazione di familiari e amici ossequiava i defunti dell'ultimo anno e fra questi mio padre, ospite per due o tre mesi della struttura. Lui si è trovato insieme agli altri, facenti parti di un consesso umano, nel ricordo e nella messa che Padre Bruno Macrì ha celebrato.
Si è ritrovato nelle parole di Antonello Coclite, la sua immagine e la gazzetta sotto braccio è stata benedetta insieme al quadro al terzo piano della struttura.
Un capovolgimento.
Dante Alighieri attribuiva  alle anime un destino da scontare o da Premio nell'aldilà.
Io ho visto questo destino in lui:
Una socialità post mortem che gli piacerà moltissimo non intralciando in alcun modo i suoi orari
Ippolita Luzzo 

sabato 29 luglio 2017

Dux in scatola a Innesti Contemporanei


Venerdì 28 luglio 2017
Sulla scena Daniele Timpano,
Dux in scatola. 
Un baule in primo piano, un baule che non si aprirà e in fondo lui, Daniele Timpano, in silenzio, in nero.
La distanza Temporale tra noi e il fatto storico che narrerà viene colmata da quel silenzio, quello stare in scena guardando immobile il fatto storico nel suo divenire senza possibilità di intervenire se non raccontandolo.

Scandendo i giorni.
Dux in scatola è la storia di Mussolini, la storia della sua prigionia, della sua fucilazione, del corpo morto portato a Piazzale Loreto con Claretta Petacci ed altri 15 fascisti fucilati, per essere poi esposti, impiccati, al ludibrio dei passanti.
Comunicato del 29 aprile 1945."Qui Valerio decide di scaricare i cadaveri a terra, proprio dove le vittime della strage del 10 agosto 1944 erano state abbandonate in custodia ai militi fascisti della Muti, che li avevano dileggiati e lasciati esposti al sole per l'intera giornata, impedendo ai familiari di raccogliere i loro resti."
Dux in scatola è la storia del fascismo vivo e vegeto fra noi, non più simulacri e bottigliette a Pedrappio, è la storia di giorni e giorni in un corpo morto chiamato Dittatura.
Il corpo morto parla e racconta.
Il fascismo e il consenso.
Duce Duce, gridava la folla, Duce Duce, e il saluto fascista e il ventennio fascista.
Un corpo offeso eppur si racconta con la stessa distanza con cui ormai si raccontano i morti altrui: I tantissimi oppositori al fascismo fucilati e torturati.
Seppellito il corpo, la notte tra il 22 aprile e il 23 aprile 1946, all'approssimarsi del primo anniversario della sua morte, tre fascisti, Mauro Rana, Antonio Parozzi e Domenico Leccisi, facenti parte del Partito Democratico Fascista, ne trafugarono la salma. 
Dux in scatola e la repubblica nasce al canto di Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta, dall'elmo di Scipio s'è cinta la testa. Dov'è la vittoria?


In quel baule, ritrovato e riconsegnato alla famiglia Mussolini il 30 agosto 1957. In una scatola la storia d'Italia raccontata con sequenze storiche puntuali, giorno per giorni, nei giorni in cui avvengono i fatti. 
Una precisione da storico, una cadenza da speaker televisivo, una presenza scenica da mimo, mimare un corpo morto che parla, vitale e presente, una lezione di teatro.


L'ora è tarda al Castello di Squillace, soffia il vento e non lo sentiamo. Applaudiamo e applaudiamo Daniele.
Applaudiamo la ricerca delle fonti, applaudiamo la storia riconsegnata a noi spettatori, a noi facenti parte di una nazione che dimentica, maldestra, il corpo morto dal quale non si è staccata. 
Brividi e paure per altri corpi morti, per altri ventenni di storia recenti, per altro sciupio nel correre dei tempi e delle scelte. 
Su tutto questo però non può il teatro intervenire, il teatro è in Daniele, nel suo impersonare i gesti e la velocità, il fluire dei fatti, nella successione scandita a mo' di denuncia e nel riconciliarci con la scena.
Ippolita Luzzo  
    


La rassegna al Castello di Squillace "Innesti contemporanei", il festival di teatro ideato e diretto da Nastro di Mobius con la direzione artistica di Saverio Tavano.
Ed ora le foto di Angelo Maggio: grazie 



giovedì 27 luglio 2017

Ospiti da Giacomo Verri i miei scaffali

Tra gli scaffali di Ippolita Luzzo

Di solito sono ubbidienti e non mi fanno disperare. Sanno che moltissimi altri libri sono stati messi in sacchi e sacchi e donati, depositati in scuole e biblioteca, nella raccolta differenziata!
Ho un cestino nelle scale dove cestino i libri scritti male, libri insulsi per suono, ritmo e sintassi.
Libri illeggibili per contenuto, forma e altre amenità.
Certo, costoro mi guardano un po’ male, aspettano di essere ripresi, ogni tanto infatti mi capita di salutarli e di risfogliarli, chissà!
Ornella, la ragazza che mi aiuta a casa, tenta di indurmi ad un ordine fatto di spolverate e di contenimento. Lo vede anche lei sul tavolo della cucina troneggiare Simenon di Adelphi Memorie Intime insieme a Vertigine di Julien Green e non le sembra il caso di cucinare Le Rane di Aristofane o mettersi a discutere con Il pescatore di tonni di Raffaele Mangano e invitare Jenny la secca di Claudia Lamma.

venerdì 21 luglio 2017

Vertigine

Vertigine di Julien Green
Direttamente da CabaretBisanzio il mio pezzo su Vertigine http://www.cabaretbisanzio.com/2017/07/18/vertigine-julien-green/

“A differenza dei romanzieri cui siamo abituati, Julien Green non descrive i suoi personaggi: li materializza“.
Walter Benjamin




A cura di Giuseppe Girimonti Greco e di Ezio Sinigaglia questo raffinato lavoro di traduzione vede fra gli altri Lorenza Di Lella, Francesca Scala e Filippo Tuena. Due narratori  e tre traduttori eccellenti. Venti racconti di un autore nato agli inizi del  novecento, venti racconti composti dal 1920 al 1956 in inglese e pubblicati una prima volta nel 1984  tradotti in francese. Inediti in Italia vengono proposti ora dalla casa editrice Nutrimenti nella collana “Greenwich”, andando ad arricchire ancor di più uno splendido catalogo.
Il momento “Folle” della propria esistenza di vertigine in cui si può mettere tutto in discussione e cambiare la propria vita, leggo così sfogliando la presentazione della casa editrice.
Dal primo racconto, in assoluto, scritto nel 1920, il tema della follia viene quasi avvicinato alle atmosfere dei racconti di Poe. Julien Green in L’apprendista psichiatra attraversa la mente del suo assistito con la lama della curiosità e dell’esperimento. Osserva, sperimenta e impara. Viviseziona. Un po’ questo fa lo scrittore in ogni suo racconto, tagliando come una millefoglie un momento, una situazione, un personaggio. Ce lo offre così nel sadismo, nell’atteggiamento verso bambini e adulti; in una millefoglie di sadismo nella Lezione e in Paura. Una paura non solo di relazione con l’altro, una paura di osservare il proprio io: in Fabien, nel Ritratto di donna, nelle Scale.
Mi sono fermata a lungo a rileggere Una vita qualunque, cesellata in una solitudine interrotta dalla visita di un ragazzino, dalla presenza della governante, una solitudine femminile fatta di nulla, incentrata su quel momento di orgoglio in cui la protagonista compie un suo ulteriore capriccio.
Ossessioni, fisime, capricci, incredibili momenti colti senza indulgenza, analizzati, e siamo nell’inferno del quotidiano, delle case sbreccate come le tazze, della rovina economica dei possidenti, del tramonto di un modo di vivere fatto di schiavi, e di abbuffate. L’inferno si consuma in grandi mangiate, si mangia fino a scoppiare e a me ricorda il film La Grande Abbuffata.
“Vertigine” di Julien Green è un libro di riconciliazione con la letteratura vera, un libro di ambienti, di specchi, di gesti e di luminosi e taglienti raggi di sole.
Alla fine ci lascia il sorriso su una firma imitata, in una lettera mandata a Eveline, una lettera in effetti come pretesto per scrivere al mondo alla maniera in cui gli scrittori parlano a noi.
Ippolita Luzzo 

giovedì 20 luglio 2017

Leggere rane

Ospite del blog di Gianluigi Bodi http://senzaudio.it/ippolita-luzzo-le-rane-e-facebook/ Il mio pezzo sulle Rane a Siracusa

Leggere sempre.L'ossessione della lettura. Leggere: Un testo da studiare, un bugiardino dei medicinali, una composizione della marmellata, un'opera teatrale. Leggere un gesto, un fatto, un non fatto, un commento, un post. Stiamo qui a leggere sempre. Oziosi e curiosi. Vivi e decisi a far vivere, far provare anche a chi non legge il piacere della lettura.
Vado a teatro, al Teatro Greco di Siracusa, danno Le rane di Aristofane, una commedia politica ateniese del V secolo avanti Cristo. 
Ascolto, seguo frizzi e lazzi dei protagonisti, pregusto il momento in cui, col testo in mano, io continuerò a leggere quel che viene rappresentato. 
Una commedia didascalica, la potrei chiamare, con Dioniso e il suo servo alla ricerca della porta dell'inferno per andare a prendere e portare in vita Euripide, affinché lanci un messaggio di coesione ad una città, Atene, dilaniata da una schermaglia politica senza fine.
Ci trasferiamo all'inferno per meglio leggere i giorni del reale, dicono insieme con tragedie e commedie i classici di un tempo. 
Le Rane sono una parte del coro, insieme agli Iniziati.
Gli Iniziati sono il popolo scontento e deluso e le Rane sono i troll di facebookkiana memoria. Le rane infastidiscono e sfottono Dioniso, il quale, con addosso una pelle di leone, travestito da Eracle, tenta il traghettamento verso l'Ade bussando alla porta di Plutone. 
Nella prima parte della commedia Dioniso e il suo servo si scambiano la pelle, a seconda la convenienza di Dioniso, a seconda la convenienza di tutti i padroni, lesti a lasciare ai servi il momento del ricevere insulti e bastonate che spetterebbero a loro.
Si ride quindi con sgradevole sensazione di aver riso. Nella seconda parte siamo in pieno facebook. 
La commedia segue il certamen fra Euripide ed Eschilo, una giuria deciderà, un solo uomo decide, come in tutte le giurie, bisogna stabilire chi abbia diritto al trono, chi sarà in grado di unire il popolo.
Una noia profonda.
Mi riprendo in mano il libro con il testo, a casa, dopo giorni di rimuginare, pensando a come scrivere sull'ossessione di voler leggere e sul piede della metrica, nella domanda di Euripide a Dioniso:
Lo vedi questo piede? mi sembra di rileggere gli infiniti commenti sul compito della letteratura, su cosa sia il messaggio, se sia o non sia, che vuoi che sia, e con Eschilo potremmo dire anche noi ad Euripide: Ma davvero, figlio della dea... delle ortolane? Tu dici questo a me? Tu che vai raccattando chiacchiere inutili, che metti in scena pezzenti, che rattoppi stracci? ti farò vedere io!
Ed a questo punto nella nostra era Eschilo avrebbe bannato Euripide!
E con Caronte nel traghettare: C'è qualcuno qui, in partenza per il nulla eterno- eterno riposo dei mali e degli affanni? prossime fermate: Piana dell'Oblio, porto delle Nebbie, Stato dei Cerberi. Vaf'fà fottere-e-và mmorì ammazzato.
Le Rane di Aristofane, nella seconda parte, sulla disputa fra Eschilo e Euripide, sembravano precise intifiche dei post di oggi. Chi avrebbe vinto Lo Strega? Eschilo conservatore oppure Euripide innovatore? Pesiamo i loro versi, dissero nell'Ade.
Ora a me Le Rane piacquero a metà. Mi piacque la prima parte, il gioco fra servo e padrone, il travestimento da Eracle compiuto da Dioniso e la beffa alla porta di Plutone. Mi piacque un gioco antico degli equivoci
Lo straniamento non avviene in realtà sulla scena, avviene con il testo sulle gambe, nel sottolineare ed imparare le battute, nel godere di dove si ripeteranno, nel riderne insieme sui blog di amici e sodali nel piacere ossessivo di  rilanciarci letture. 
Dalle rane con la regina della Litweb
Ippolita Luzzo
  

mercoledì 19 luglio 2017

Heidi di Francesco Polopoli

Heidi ti sorridono i monti...
Heidi le caprette ti fanno ciao...
Heidi, Peter, Clara...
"Sono trascorsi più di 40 anni da quando è apparso in televisione per la prima volta in Italia Heidi, il cartone animato per bambini di molte generazioni. E' basato sul romanzo per ragazzi dell'autrice svizzera Johanna Spyri, che ha trascorso la sua vita sulle Alpi e a Francoforte, in Germania."
dalla storia famosa, ci sembra di sentire la sigla, ve la metterò, alle immagini saltellanti delle caprette e al sorriso contagioso di Heidi. 
Francesco Polopoli ora mi sta donando la sua Heidi. Siamo in montagna a Corazzo, nell'abbazia dove abitò per un periodo Gioacchino da Fiore, nel comune di Carlopoli.
Ci appartiamo un po', estrae furtivo dal suo zaino un sacchettino e dal sacchetto appare lei, Heidi, in latino.
La prima volta che esce. La prima copia ad esser regalata.
La prima la prima.
Saltello giuliva come Heidi, batto le mani e sorrido su noi gioiosi di immagini, canti e ricordi ora tramutati in lingua latina. 
Carmen Adelhaidis 
Oh Adhelaidis, montes te rident, capellae te salutant...
Francesco Polopoli ha curato il libro pictografico insieme agli alunni del liceo classico della III E e III F nell'anno a.D. 2017
Studiare in questo modo mi sembra felice, quella felicità dello spirito utopia dei Gioacchino da fiore, mi sembra veder la giocondità nello scegliere immagini, nel trovare i termini fedeli al testo: 
Passer, deliciae pullae,
quicum ludere, quem in sinu tenere,
cui primum digitum dare appetenti
et acris solet incitare  morsus... 
insieme ad Heidi Catullo nel Carmen II
e Lucrezio nel De rerum Natura
Inde ferae pecudes persultant pabula laeta
et rapidos tranant amnis
e poi Virgilio nelle Georgiche 
Propter hoc silvatica es! Rustica progenies semper villana est!
La bellezza dei puri vittoriosa sarà.
ed il nonno, di cui non conosciamo il nome nel fumetto, qui si chiama Gioacchino. Sarà un caso? 
Nel piacere di parlarne ancora "sui monti di pietra può nascere un fiore" nella palingenesi del passato e nel presente del linguaggio, con Heidi, da caprette, facciamo Ciao Ciao a Francesco Polopoli e ai suoi alunni nel piacere dello studio.
Ippolita Luzzo 

martedì 18 luglio 2017

E mentre le persone colte della mia città... Trallallà

E mentre le persone colte della mia città si fotografano in splendide residenze e resort, in costume da bagno, languidamente stese su chaise longue di Le corbusier, mentre mangiano cultura a tavoli di bellezza e pietanze ornati, mentre porgono onorificenze e premi a uomini e donne colti come loro, e mentre con loro la cultura impazza da spiagge e da monti sempre firmati, le stesse persone colte disdegnano leggere la solitudine vera, disdegnano offrire un passaggio, disdegnano una lettura che non sia colta e mangiata. 
Appurato ciò anche io andai in vacanza, mi sdraiai perciò non languidamente su blog e riviste, mandai i pezzi, al posto mio, a Senzaudio Di GianLuigi Bodi, a Cabaret Bisanzio di Enzo Paolo Baranelli, sul blog di Giacomo Verri, Su Liberi di Scrivere di Giulietta Iannone.
Non li conoscete vero? Li conoscerete, forse, chissà, quando tornerete dalle vostre spiagge, abbronzate di cultura, stanche di vernissage, annoiate di premi. 
Vi fermerete a leggere... 
Lo so, lo so, per la cultura firmata frittura, sutura e sicura, questo mio viaggiare non fa gulp, non fa rumore, non porta quattrini, non ha le luci televisive, il richiamo del nome.
E con le parole di Francesca Tuscano direi:
"Chi ci ignora volutamente esalta il nostro valore assai più di chi ci loda." leggerete Francesca.
Lo so, lo so, cultura sarà quando Fazio poi inviterà tutti loro... ed allora io penso sempre, con grande sberleffo, che a quel punto cultura non è più.
E per dire, oggi mi arrivarono Le indomabili, il libro di Davide Steccanella, Paginauno Edizioni. Storie di donne rivoluzionarie. Lo conoscete? No,vero? Per me invece cultura è tutto questo: accorgersi dei fermenti, accorgersi del momento nascente... trallallà 

Ippolita Luzzo