giovedì 2 febbraio 2017

Emozione è il Teatro Ragazzi

Emozione è, disse il sindaco di Lamezia Terme stamattina, emozione assistere alle rappresentazioni del teatro ragazzi che da trenta anni si svolgono nella piana con la partecipazione sempre numerosissima degli alunni delle scuole del comprensorio. 
Trenta anni di spettacoli.
Questo anno con la direzione artistica di PierPaolo Bonaccurso la stagione   inizierà giorno 8 febbraio per poi fare giorno 3 aprile Pinocchio Testadura con Greta Belometti e la regia di Piero Bonaccurso.
Pinocchio dunque e sono il gatto e la volpe, l'illustrazione di Leo Mattioli, nella locandina, a suggerire che il gatto e la volpe ci accompagneranno nel nostro cammino dall'infanzia all'età adulta. 
Nel presentare la stagione Giovanna Villella ha parlato di compito educativo del teatro, un compito civile che va ben oltre il testo, regole per imparare a saper stare in un teatro fin dalla età più piccola, regole su come stare seduti, su come saper stare in silenzio e stare insieme agli altri.
Regole fondamentali per creare cittadini che abbiano a  cuore la loro città e il luogo delle meraviglie chiamato Teatro.
PierPaolo Bonaccurso ha ripreso l'importanza del teatro dal punto di vista del gesto, della postura, da come bisogna camminare, muoversi, per imparare lo spazio e vederlo. 
Importantissimo momento quello di Piero Bonaccurso che è tornato a sollecitare al Sindaco l'utilizzo di almeno un teatro, che diventi teatro ragazzi, un teatro abitato dalle compagnie, che sia fruibile per laboratori, che possa ospitare le compagnie, immaginando anche luoghi dove le compagnie di fuori possano essere ospitati. Desideri possibili se si riesce ad attingere ai fondi per il teatro.  
Il sindaco parlò di emozioni, riconoscendo la validità alle proposte, ora auguriamoci tutti che queste emozioni diventino atteggiamenti concreti e che l'Utopia possa diventare realtà seguendo le semplici procedure per realizzare un teatro abitato a Lamezia. Guardando verso il futuro dall'inizio 

domenica 29 gennaio 2017

ITALIA di Fabio Massimo Franceschelli. Il buco rosso di una danza macabra

ITALIA "infine altri, pochi, si sentiranno tristi  perché l'ostentazione delle merci, dei loro colori, forme, voci, profumi, ammiccamenti e invadenze, conferma in essi che il consumo è una qualità del tempo e più si consuma e più si invecchia e più si produce e più si muore. Saranno costoro gli eredi di un'Italia antica che da qualche vive ancora, nei ricordi di ricordi altri, affiora nei libri che divorano ogni giorno
Edito dalla DelVecchioEditore, da un editore come il Manuzio dei nostri tempi,  nella collana Formelunghe, il libro finalista al Premio Calvino di questo anno, viene presentato con una copertina di colori, celeste e giallo, una spirale che va verso un buco rosso. "Una danza macabra. Tutta l'arte che ho dentro"  

Il libro di Fabio Massimo Franceschelli nella sospensione del tempo in un Centro Commerciale dove pochi avvertono il disagio.

La sospensione prima della valanga, la sospensione prima che l'aereo si infili nei grattacieli di Manhattan, la sospensione prima che il proiettile arrivi al centro e squassi tutto facendo zampillare il sangue. Una sospensione aleggia nelle pagine e nel senso di Italia romanzo a racconti. Ogni personaggio è un racconto di una storia sospesa che aspetta non sa cosa. Siamo fermi tutti all'aereo dell'undici settembre e così sono ferma allo zaino, ai due zaini. Anche gli zaini mi sembrano un motivo. Italia è un nome, il nome di una donna molto anziana forse italoamericana che ha mantenuto il suo dialetto e lo ha infarcito di termini americani un po' storpiati. Siamo in un Centro Commerciale. Nella mia cocciuta opposizione a questi luoghi conduco una battaglia solitaria di cancellazione e mai andrei se non fosse per le Multisale che ci permettono di vedere i film con bellissimi mega schermi. So però che molti usano i Centri commerciali come luoghi reali e vi trascorrono il loro tempo illudendosi di abitare uno spazio vivente. Cattedrale si chiama il Centro Commerciale di Fabio. Ed è in questa congerie di negozi che si svolge la rappresentazione di Italia, la scena, il palcoscenico brulicante di individui poi scelti uno per uno nella folla restringendo dall'alto lo sguardo su di loro. Si sente il rumore di sottofondo e si sente a volte la non linearità, mica sono lineari i gesti di chi non sa di essere nell'obiettivo di uno zoom. Così tendiamo orecchio alle chiacchiere, ai pensieri ed alle supposizioni, ai progetti che fanno i personaggi che via via incontriamo scorrendo le pagine di Italia. Mentre stiamo fermi e sospesi in attesa della pallottola iniziale già sparata. Siamo fermi al buco. 
"Il male è una categoria dello spirito ed è una categoria della Storia. Secondo i santi Agostino e Tommaso il male si definisce in termine di deficienza di bene" ma Fabio dissente e vede il bene come momentanea assenza del male. "Il male si è distratto un attimo, si è assentato qui, per andare lì, ma appena ha finito qui tornerà lì. Il bene è un vuoto provvisorio, molto provvisorio, di male."
non c'è rete e non c'è futuro e Italia incontra la luce, in un altro luogo. 
Un libro a cui ho messo tante orecchiette alle pagine ed ora vado a rileggermelo ascoltando un frastuono di storie comuni, il frastuono dei destini di una moltitudine vista dalla postazione della lettura. Nella sospensione. 
Siamo fermi al buco del proiettile. 

Ippolita Luzzo 

sabato 28 gennaio 2017

La La Land

Oscar ai colori, alle automobili, alle autostrade, Oscar a Los Angeles, alle luci, al panorama, Oscar al jazz, ai locali, Oscar alla buona fede, all'entusiasmo, a Parigi. Los Angeles premia sé stessa.

Oscar 2017 ad un musical che inizia come un musical, con le automobili incolonnate nel traffico e tutti ballano e cantano come negli ingorghi veri. Molto carina la scena. Inizio della storia con un dito alzato, ma lei alza il dito oppure me lo sono inventato? la storia esile è sempre l'incontro scontro fra due giovani e belli che all'inizio si scontrano e poi si incontrano innamorandosi e sostenendo uno l'entusiasmo dell'altro.  Comunque una storia inesistente, non hanno più storie da raccontare gli sceneggiatori di Los Angeles se non quella sempre uguale dell'individuo che deve coltivare il suo sogno, che non deve mai smettere di crederci, che deve poi dimenticare chi lo ha aiutato, e che darà emozioni perché un bel giorno arriverà Bill Gates, e siate folli, i sognatori sono tutti folli. Questa la trama di La La Land sviluppata con variazioni sul tema minime, apprezzabile e innovativo l'amore che tutti cercano nella vita, l'amore nello sguardo delle stelle e poi l'amore per la musica, per il jazz. 
I protagonisti non esistono in realtà, esiste il messaggio, la strada, quello che si insegue, il successo, quello che avrà solo l'un per cento della popolazione mondiale mentre il resto degli abitanti saranno fortunati se, come il protagonista maschile, potranno farsi due polpette al forno nella solitudine di una casa e suonare nel locale la musica che si ama. 
Nel sottotesto ci stanno gli altri, tutti gli altri, che verranno oscurati perché i tacchi vincono sulle scarpe del tip tap e sarà su tacchi vertiginosi che la protagonista arriverà alla fine a casa cinque anni dopo da un marito e da una figlia nella sua domus di attrice. 
Lei  ha vinto. Ha vinto il Cinema. 
Peccato che il messaggio di lei sia non ringraziare, sia lasciare indietro e non guardare indietro, non andare a dire due parole due a chi prima è stato vicino. In effetti il mercato vuole solo questo, non guardare indietro, andare avanti e...
Film carino perché siamo stanchi di pugni in faccia, di contumelie e di sgambetti, siamo però anche stanchi di sogni, emozioni e imperativi categorici.
Quello che mi impensierisce è una cosa che verificherò, sempre all'alba di tempi terribili il cinema ci offre il musical. 
"La collina voglia scalare, in cima voglio arrivare"
La collina di Los Angeles ha una cima? sulla collina di Hollywood
Oscar sarà questo anno a La La Land  dal mio antico Lallalà 

venerdì 27 gennaio 2017

Gli Yanomani

Gli  Yanomani   2 gennaio 2012
Quell'anno che mi fissai con la tribù degli Yanomani.
Insegnavo a Monterosso, in una prima media e facevo storia, o meglio avrei dovuto, ma non potevo.
Quell'anno esistevano solo le tribù amazzoniche, il loro mondo, perché si erano fermati, perché vivevano ancora in un periodo astorico senza progresso, senza divenire.
"Erano cretini?" mi domandava qualcuno
"Sicuramente" si rispondeva da solo "Sono inferiori, ma sì, ma sì" diceva quello, compiaciuto, a tavola, di tanta evoluzione, di tanta comodità.
"Noi occidentali siamo progrediti, noi siamo migliori" e poi continuava "Cos'è l’intelligenza? è sicuramente un popolo non intelligente"
Questo fra un primo ed un buon caffè.
Ed io ribattevo con tutto lo strutturalismo, con la filosofia dell’essere che loro avevano introiettato e noi no, noi eravamo figli del divenire mentre loro erano andati nel profondo dell’incontro fra uomo e natura e noi avevamo scisso per sempre il nostro legame beoti e incoscienti di vivere ormai nel migliori dei mondi.
Così andavo a scuola e quella tribù da ottobre a dicembre fu ben studiata, usi costumi, linguaggio, suddivisioni in uomini e donne, le donne vivevano solo tra loro.
Avevano capito prima di noi, semplicemente loro sapevano che niente dovevano dire agli uomini, noi ancora  caparbie proprio non lo vogliamo capire. Gli uomini, certo, giocavano con i piccoli, quando tornavano dai loro giri, si dondolavano sulle amache, stanchi dalle cacce a piedi, dopo aver inseguito per molto tempo la scimmia, il tapiro, le tarantole e le termiti.
Studiammo il rapporto violento, aggressivo, dell’uomo civile nei loro confronti, il lento e veloce asservimento di un mondo ai biechi bisogni dell’uomo moderno.
Arrivammo a Natale ed io mi accorsi con vero terrore che non avevo fatto né fiabe, né favole, né pleocene e nemmeno sumeri ma avevo spiegato la favola nera dell’oppressione sul diverso, sull'altro da noi.
Nel salutarmi, però, i genitori, venuti agli incontri del primo trimestre, erano sorpresi ma tanto felici, si erano proprio sentiti coinvolti a ricercare cartine geografiche, a rivedere foreste pluviali, a considerare un mondo diverso fatto di riti e danze tribali.
Un mondo popolato da anime, dovunque, negli alberi, nei fiori, nei loro animali, di anime vive che sono con noi.
Ne fui sollevata ma al ritorno a gennaio ripresi il libro di testo e velocemente spiegai gli Assiri, i Fenici, gli Etruschi, gli Ebrei per poi rifermarmi su Greci e Romani.
Ma che meraviglia! Ma che assurdità!
Un duplice mondo, un mondo affannato ed uno fermo, un divenire ed uno stare immobile, un essere per sempre, così come  lo chiamava il  mio professore di storia della filosofia.

Quel filo spinato

Quel filo spinato che di continuo viene rimesso ad Auschwitz, risistemato per fare scena e consentire le fotografie alle scolaresche e ai turisti un selfie migliore è ciò che di orrore non è più capace. Sbiadito perché ne siamo lontani.
Eppure ne siamo troppo vicini se solo sapessimo vedere quanti fili spinati ormai accerchiano i nostri pensieri.
Fili spinati che limitano un campo, un podere, una casa, un territorio, una nazione. 
Fili e poi muri, altissimi muri per arginare l'esodo ci sono sempre stati. 
Siamo ignavi che stanno a guardare finché sono gli altri a crepare per noi, finché tu ti butti in un canalone e muori sentendoti chiamare "Africa" e "nero", a Venezia succede, e certo tu ti vuoi suicidare ma nessuno grida "Aiutatelo", possibile?
Possibile anche che una slavina copra un albergo e qualcuno telefoni per avvertire e si senta rispondere che è una bufala, controlleremo, senza però controllare davvero.
Sul filo spinato dal Messico, da tempo esistente, non si potrà più andare negli Stati Uniti, faranno una grande muraglia che si vedrà fin dalla luna e questo porterà progresso e una vera felicità. 
Sul filo spinato della memoria anche in Italia si incita alla guerra civile, l'un contro l'altro armato, affinché l'odio purifichi e sterzi verso una guerra e non verso la comprensione.
Sul filo spinato di una memoria che sanguina e brucia, che rabbia fa, sul filo spinato dell'ignoranza ci stiamo bucando le dita e strappando i vestiti.
Ippolita Luzzo    

giovedì 26 gennaio 2017

In macchina




Oggi sono ospite di Una veranda per tre
 https://unaverandapertre.wordpress.com/2017/01/26/in-macchina/

In macchina 







In macchina- 20 aprile 2013 ore 19 e 45

Ho acceso la radio ad alto volume
per non sentire il silenzio assordante 
che mi è accanto, mi accerchia  senza scampo.
Ha vinto lui, stasera
Ha vinto nonostante io avessi messo in campo 
le truppe in ordine 
Una mamma piccina, fatina, vecchina
Una amica con nipotine giocose, ciarlanti, saltanti
Un momento all'Altrove associazione  e poi
Una conferenza sull'arte africana e sull'origine del mondo.

Più scappavo più il silenzio, il disagio, era con me.

Ho provato con le compere
Ma lasciavo lì pantaloni e magliettine
verde intenso, verde mela
Reggiseni con il pizzo, con un po’ d’imbottitura,
mutandine e canotte da abbinare,
verde acqua, verde mare.
Li ho lasciati, erano estranei, inutili. 

In gran fretta sono ritornata
Solo una fermata dal fruttivendolo 
Due  tre mele, le arance, le fragole biologiche
gli asparagi, la verdura a foglia larga
Al momento di pagare
la signora mi domanda: Le è successo qualcosa?
Ed io di  rimando: Si vede, vero?

Una tristezza così non la sentivo da anni
 la giostra gira e rigira e ti riporta al capolinea
Pfui 
Spariscono in un baleno i contatti, gli impegni,
il mondo reale e immaginario
sparisce il piacere, la gioia, l’entusiasmo 
non basta un’agenda fitta di parole nella settimana che viene.

 ora c’è il vuoto 

Ippolita Luzzo 

mercoledì 25 gennaio 2017

Sci-Fi ad Arrival

Scienze e fiction nel film di Villeneuve sugli schermi mondiali per celebrare un arrivo, gli arrivi alieni.

Arrival vuol dire anche neonato, avvento, apparizione.
Il tempo dell'avvento e siamo già nel Carnevale. 
"Arrivano" con le due r del verbo che scaldano i motori, arrivano nei gusci, astronavi del 2017, arrivano dei polpi, dei cefalopidi che emettono inchiostro nero attraverso un sifone, dice Wikipedia, e non uno dei tentacoli. Arrivano per darci un dono che fra tremila anni ci servirà, servirà a loro, ok ci servirà. Il dono di leggere nel futuro.  
Andiamo dunque a vedere questo film al Centro Commerciale in una sala vuota, altri due spettatori più in là. In quattro. 
Arrival e arriva il neonato, la neonata, la nascita della figlia della protagonista, insegnante e ricercatrice universitaria, non sappiamo se a contratto o meno, comunque linguista, che abita in una casa veranda spettacolare, in un bosco con vista lago. I film sono così.
Arrival sono dodici gusci che stazionano in alcuni punti della terra, Cina, Russia, America, l'Europa è un po' messa in disparte mentre la Cina si prepara ad attaccare il loro guscio, la Russia, il Pakistan ed il Sudan faranno lo stesso. L'America brava brava attende e cerca di comprendere quei segnali prima di intraprendere una guerra intelligente. Fantascienza dunque.
Visto così l'impianto sembra uno schema già fin troppo visto, ed infatti lo è, ridicolo a volte, come ridicolo l'arrivo notturno in casa della protagonista Louise e la battuta sui dieci minuti per preparare uno zaino necessario ad una così importante spedizione.
Un film senza una logica, prima i protagonisti indossano scafandri per andare ed è difficilissimo salire in una specie di parete uterina lunghissima per incontrare gli alieni, poi vanno e vengono senza protezioni come se andassero a passeggio sul corso cittadino e l'uccellino nella gabbia che portano dagli alieni cosa vorrà mai dire? Il grado di concentrazione dell'ossigeno, mi informano.
Protesteranno gli animalisti 
La sceneggiatura è basata su un racconto dal titolo "Storia della tua vita" di Ted Chiang e contiene qualche spunto interessante. La difficoltà di comunicazione, di interpretare i segni, il concetto di memoria circolare con possibilità di conoscere il futuro.
Con l'inchiostro della penna stilografica anche io, da bimba, facevo quei cerchi e quelle figure, forse ancestrali, in una memoria dove passato e futuro si incrociano nel luogo effimero del presente.
Un futuro che conosciamo, ne siamo responsabili, scegliendo volta per volta la guerra, la vita o il disprezzo. Un futuro che è un cerchio, molti cerchi, che noi non vedremo.
Salviamo dal film i due attori, non aspettando l'Oscar 

Ippolita Luzzo